giovedì 1 febbraio 2024

La crisi e le soluzioni farlocche

E' di poca fatica e di grande godibilità mettere assieme tesi, spiegazioni e soluzioni farlocche, di facile costruzione. In situazioni di crisi in cui si avverte il malessere e l'insoddisfazione per uno stato della propria vita che risulta opaca, grigia, angusta e povera di valore, in cui si sente tarpata la gioia perché lì dentro, in quella condizione, quel che appare di se stessi e della propria condizione non può di certo metterle le ali, è risposta frequente cercare di dare a se stessi soluzioni tanto facili, di pronta esecuzione, di apparente validità, quanto fasulle. Gli si costruisce attorno delle tesi d'appoggio che rendano credibile ciò che si sta offrendo a se stessi. Il primo passaggio è vedersi infelicemente schiacciati, privati, considerarsi come vittime di un torto, di uno scontento che pare reclamare pronta ricompensa e riscatto. La propria responsabilità, ciò che, risalente a se stessi, ha creato quello stato infelice passa subito a lato, non è preso in seria considerazione, analizzato, compreso. Così facendo si va via dal cercare le basi della conoscenza e della scoperta autonoma delle vie del riscatto della propria vita, del contenuto e dello scopo di un cambiamento vero. Si va via  dal lavoro necessario su se stessi, sulla propria esperienza che permetta la formazione del proprio giudizio, della valutazione appropriata, pertinente, fondata, frutto della comprensione autonoma, di ciò che è insito nelle proprie scelte condotte sinora, riconoscendone la vera natura, arrivando a vedere con i propri occhi cosa non va della propria vita, prendendo visione diretta di quanto si è messo in atto, risultato del proprio modo di procedere e di farsi interprete delle proprie esigenze e aspirazioni, comprendendo cosa per opera propria ha messo in stallo e miseria, in mediocre esito e stato di disvalore la propria vita. Solo così facendo, lavorando con cura e serietà su se stessi, si può cominciare a vedere, a riconoscere il valore vero che è mancato, che si vuole coltivare e far crescere, cosa, intervenendo su se stessi e modificando il proprio modo di procedere, si può e si vuole perseguire, cosa, davvero congeniale e fedele a sè, tratto e messo in opera da sè, darebbe vera gioia e otterrebbe pieno apprezzamento e stima propria convinta e non quella, a più pronto uso, presa in prestito e subalterna al giudizio e all'apprezzamento altrui. L'immagine non esaltante di se stessi e del proprio stato, che la crisi interiore mette dolorosamente in risalto, presto, dove e quando si eluda il lavoro, certamente impegnativo e paziente, su se stessi, si veste e prende il volto dipinto da fuori, fa appello e prontamente trova sostegno e guida nello sguardo comune, da cui si fa dare i parametri, le misure, i criteri di valutazione. Sempre da sguardo comune sono desunte e tratte le indicazioni delle vie di riscatto, di recupero da seguire. Se si ha dolorosa percezione di valere poco e che poco valga e dia gioia la propria esistenza, se incalza il timore o l'orrore di rimanere in quello stallo o di cadere ancora di più in disgrazia, ecco già pronto il manuale che dice come rimettersi in pista, come risollevarsi, come ottenere una rivalutazione di se stessi, la propria rivalsa. In che modo, a quali condizioni così desunte è possibile rivalutare se stessi e la propria vita? Il corpo e l'aspetto fisico sono spesso il primo terreno di intervento per puntare al riscatto, per alzare le proprie quotazioni, per avere sembianza che piaccia, che risulti interessante, pregevole, apprezzata. E' la leva per avere opportunità di richiamare a sè l'interesse e l'apprezzamento degli altri e casomai di chi ci si dedichi particolarmente a destinare a sé attenzione, predilezione e cariche di desiderio che facciano da ricarica della stima di sè, del proprio valore che erano a terra, che ridonino entusiasmo e lo galvanizzino, che nella propria vita portino la luce e l'ebbrezza del nuovo. Soluzioni e percorsi farlocchi, tutti in delega di potere e in appoggio a altro, che alimenti e supporti ciò che altrimenti non è di facile autonomo raggiungimento e conquista. A sostegno dell'artefatto, perché la costruzione regga e risulti credibile e perciò godibile, ecco intervenire tesi, letture e interpretazioni della propria esperienza in atto sulla via del riscatto, che di certo non cercano il vero di ciò che si sta facendo, ma che permettono di raccontarsela  in modo similvero, utile a che si renda godibile la festa. Volentieri ci si racconta che finalmente si sta dando spazio a se stessi, che si sta liberando la propria voglia di vivere, che è in atto un cambiamento e casomai una riscoperta di se stessi. Balle su balle, chiudendo gli occhi sul vero, su come si sta dando risposta alla crisi con soluzioni prese in prestito, con rimedi che, pur inebrianti e eccitanti, trovano sostegno in altro, chiudendo gli occhi e non dando peso alla dipendenza ad esempio da chi ha avuto la consegna di potere di dare la ricarica di vitalità e di fiducia in se stessi, di autostima oltre che di fare da incentivo a nuova consapevolezza, si fa per dire, che su queste basi, fragili e dipendenti, hanno avuto modo e luogo di esistere e che casomai presto avranno modo di sbollire. Un'altra via, frequentemente battuta, del riscatto e della apparente rinascita e rivalutazione di se stessi e della propria vita, come risposta e soluzione alla crisi, può essere quella, sempre segnata e consegnata da fuori, del successo del fare, del mettere in luce doti di capacità, di prestanza, di presunta intraprendenza, coraggio, intelligenza e quant'altro, capaci di riscuotere benedizione e applauso, che fanno conto su una qualche glorificazione. E' un'altra soluzione farlocca, costruita in appoggio a altro e in debito di altro su cui si fa conto come autorità garante della sua validità, autorità del sistema di giudizio e di stima comune che svolge il compito, perché la (pseudo)conquista sia considerata  attendibile e fruibile, di riconoscerla come tale e di esaltarla. Ancora devono intervenire le tesi di appoggio, che mistificando e offrendo a se stessi beneficio di credibilità per la godibilità dell'espediente di rinascita messo in atto, convincano di essere davvero protagonisti e  artefici compiaciuti di imprese e conquiste che rivelerebbero a se stessi il proprio merito, le capacità e le prove di cui essere fieri. Quante costruzioni farlocche, tanto gradite e rese con bei giri di ragionamento credibili, quanto ingenue! La crisi che interiormente scuote e tormenta, che dà sofferenza, che tiene vivo il malessere chiede ben altro perché non sfoci in questi esiti. Solo sul vero, conquistato, compreso senza risparmio, si può costruire solidamente e dare a se stessi nutrimento di crescita autentica e non fasulla e artefatta, presa in prestito ingenuamente. E' proprio a questo scopo che interviene e lavora l'inconscio, capace di dare un contributo essenziale e imprescindibile alla conoscenza di se stessi e alla ricerca di realizzazione e crescita che non finiscano nelle secche dell'apparentemente valido e nelle trappole del similvero. Sull'inconscio si può fare sicuro conto come propria guida e maestro, è una parte viva di se stessi che tanto sa dare e da cui tanto si può ricevere a condizione di saperlo ascoltare, di intenderne fedelmente le proposte e di condividerne l'intento e  l'impegno di ricerca di verità e di conoscenza. L'inconscio, se da un lato apre la crisi, le dà voce e forza di imporsi come priorità, dall'altro col sentire, che per intero modula e dirige, dà gli spunti e gli stimoli opportuni, coinvolge, cala nel vivo e dà le tracce da seguire per non stare altrove dal luogo dell'incontro col vero e con i sogni indirizza con sapienza magistrale e nutre con cura eccellente la ricerca, dando le chiavi di comprensione e i simboli per dare volto e riconoscibilità al vero, guidando lo sguardo e il pensiero ben oltre le apparenze. 

mercoledì 31 gennaio 2024

Il rischio di travisare

Non è sempre facile accettare ciò che si vive interiormente, condividere con se stessi ogni passo compiuto, soprattutto ciò che di ogni passo è la traccia viva, ciò che il proprio sentire testimonia, spinge e guida a riconoscere come il  vero di quel momento dell'esperienza. L'interiorità, l'inconscio che ne è l'ispiratore e l'anima, dà risalto a ciò che è sinceramente coinvolto di sé nell'esperienza, a ciò che è importante mettere a fuoco e riconoscere, avvicinare e comprendere. La forma può essere spigolosa, ardua, anche se mai esagerata, sconsiderata o impropria rispetto a quanto di vero vuole rendersi tangibile e riconoscibile, talora è acutamente dolorosa, altre volte è così stringente, assillante e imperiosa da far risultare quella situazione interiore quasi intollerabile, da essere vissuta come ostile e minacciosamente lesiva verso sé e i propri interessi. La risposta a una simile situazione interiore è spesso di allarme, di tentata fuga, non di rado di rigetto, di squalifica e di invalidazione come abnorme e assurda. Spesso la lettura dell'esperienza interiore disagevole e sofferta è preconcetta e incapace di cogliere l'intento e il senso vero di ciò che l'interiorità con quel sentire vuole indurre a capire e a portare a compimento. Al primo posto si impone l'istanza di risolvere, di dissolvere il disagio, di approntare rimedi a ciò che è visto come uno stato negativo, una condizione da superare. L'incapacità di reggere la tensione condizionata non poco dall'idea che vada procurata prima di tutto a se stessi un'uscita liberatoria, mette facilmente al primo posto l'esigenza di agire, di risolvere, anziché quella di fermarsi per riflettere, cioè per guardare bene dentro le tracce vive e la consegna del sentire, che per quanto doloroso e fitto di disagio, vuole portare a vedere, a aprire gli occhi su ciò che più coinvolge se stessi, a scoperte di verità, sinora ignorate, su cui sensibilizzarsi e coinvolgersi, su cui lavorare. E' frequente l'errore di dare una lettura distorta di quanto interiormente angustia e inquieta, mettendo in primo piano l'esterno e gli altri, più o meno direttamente messi in gioco o volutamente tirati in ballo muovendo da quel sentire, considerandoli fondamentali parti in causa, parti responsabili o referenti principali, non capendo che l'intento dell'interiorità è di portare lo sguardo su quanto di se stessi è coinvolto e che è ora di mettere in primo piano, di riconoscere. Frequente è invece dare priorità alla necessità di intervenire sul piano esterno, con l'idea, così facendo, di porre mano e riparo alle questioni, con la conseguenza di fraintendere, di non capire cosa realmente quel movimento interiore vuole segnalare rivolto, indirizzato a sé, con la conseguenza di non capire nulla di utile e fondato, di tornare viceversa a impegnare se stessi in modi e modalità tutte di vincolo e di impegno verso altro e altri. Il rischio, anzi la fatale conseguenza, è di riconfermare, assieme ai soliti riferimenti e schemi di giudizio, le stesse modalità e vincoli, spesso tutt'altro che felici, di cui si è ben poco consapevoli di ciò che sono e che implicano. Sono spesso espressione di legame e di investimento dipendente su altro e su altri, che coincide col mancato investimento, che richiede dispendio di energie e paziente lavoro su se stessi, su crescita propria, su ricerca e sviluppo dentro sè di ciò che, preso da fuori e da altra fonte, destinato fatalmente a essere solo un compenso e un sostituto improprio, risulta di più facile e immediata acquisizione. In qualche modo incorporato o fatto vivere come proprio un simile sostituto di bene essenziale ottenuto in legame con altro che lo garantisce, è fatale che tenga vincolati al mantenimento del legame, vivendo come sciagurata oltre che insopportabile la sua perdita, a meno di trovare pronta sostituzione o ripiego in altro. Proprio per la priorità data ai legami esterni e a quanto si pensa possano o debbano dare o viceversa negare e tradire, tenendo lo sguardo e le aspettative tutte rivolte all'esterno, non è poi raro che le risposte al disagio puntino su cambiamenti, anche radicali, di situazioni concrete, pensati come  risolutivi e a sé favorevoli, siano essi di rottura con circostanze e luoghi, con situazioni di lavoro e abitudini, che di rottura di legami interpersonali e affettivi, con indispensabile pronta sostituzione con altri legami e punti d'appoggio, o di loro precipitoso restauro e recupero, perchè non vada persa la presa su ciò e su chi è diventato di vitale sostegno. Sono cambiamenti e interventi che, ben lungi dal produrre il nuovo, non mutano la sostanza di ciò che è messo in gioco di se stessi, anzi che la mantengono tale e quale, finendo solo per illudere di aver dato risposta congrua e efficace, di aver prodotto con rapida esecuzione un reale cambiamento valido e confortante o di aver messo in atto un provvedimento di consolidamento utile. Queste risposte, oltre a risultare velleitarie e sterili, di fatto chiudono la strada alla possibilità, attraverso un ben più maturo e ben diversamente proficuo impegno di ricerca, di generare, in ascolto e in dialogo con la propria interiorità, lavorando con fedele sintonia con quel sentire arduo e doloroso, chiarimenti su se stessi e sui propri modi di procedere e di condurre le proprie scelte e la propria vita, su nodi decisivi mai in precedenza riconosciuti e compresi, conquiste di pensiero e di consapevolezza nuove, fondamento necessario di scelte e di nuovi propositi, finalmente lucidi di verità, ben fondati e coerenti con se stessi. E' frequentissimo e non solo per  iniziativa e per lavorio proprio abituale, ma non di rado anche dentro un'esperienza di psicoterapia, fraintendere la proposta interiore, mettendole sopra letture e risposte, interpretazioni e spiegazioni, che, anziché raccogliere l'originale e il vero della proposta interiore, danno, pur con l'illusione o la pretesa di aver spiegato e chiarito, il via al ritorno e al consolidamento di modalità di sguardo, di pensiero e di risposte solite, che mettendo in primo piano l'esterno, altro e altri, vanno con lettura univoca a chiudere la ricerca nel recinto del consueto, ribadito come scontato. Va persa così la possibilità di presa di coscienza nuova, che richiede, con un cambio di prospettiva consona a ciò che l'esperienza interiore vuole suggerire e promuovere, di mettere al centro dello sguardo se stessi, i propri modi di procedere, le proprie responsabilità nel condursi. L'alternativa in gioco nel modo di trattare la propria esperienza interiore è tra infilarsi e incastrarsi nel solito recinto di pensiero e di attese che vedono sempre altro e altri avere la priorità come causa e come soluzione, e recuperare invece visione vera e centrata su di sé, lavorando su ciò, decisivo e centrale, che si fa di se stessi, andando alla scoperta di ciò che si ignora e non si conosce di se stessi e in primo luogo della parte intima e profonda, mai considerata e riconosciuta nel suo valore, in realtà essenziale per la capacità che ha, se ascoltata e compresa in ciò che dice nel sentire anche se arduo, di aprire strade, percorsi di conoscenza e sviluppi di pensiero completamente nuovi e originali, consoni a sé e validamente liberatori dai luoghi comuni, dagli eterni ritorni all'uguale, anche se riverniciato e rianimato da apparente linfa nuova. Ciò che si sente e che si svolge dentro la propria vicenda interiore è senza esclusioni, anzi nelle parti più difficili con un più di capacità di far fare passi avanti di conoscenza e di crescita personale, il mezzo e il veicolo per capirsi, unitamente e di concerto con i sogni, che nel promuovere e guidare la conoscenza di se stessi hanno un ruolo fondamentale e imprescindibile. Se dunque c'è un modo, il più frequente, che, nel rapporto con l'esperienza interiore,  spinge a senso unico il discorso, la ricerca di spiegazioni e di soluzioni, in perenne appoggio e vincolo all'esterno, e che, seppure con la promessa di risolvere e di rinnovare, riporta dentro la visione, l'orizzonte e gli intenti abituali, ce n'è un altro, da imparare a conoscere e a praticare, fortemente promosso dal proprio profondo, che invece impegna all'ascolto attento e fedele e alla valorizzazione di tutto ciò che il proprio intimo propone, alla condivisione con la propria interiorità della ricerca del vero di se stessi, essenziale per fondare la propria libertà e autonomia di pensiero e di realizzazione.

domenica 21 gennaio 2024

L'autonomia

L'autonomia è la questione centrale, al centro del confronto tra l'inconscio e la parte cosiddetta conscia. E' comprensibile che sia così, che ci sia dibattitto necessario, a volte acceso tra le due parti, lo si comincia a comprendere quando si comincia a aprire gli occhi, a riconoscere come tale la bolla di illusione che lascia credere che bastino manifestazioni di presunta autonomia da recita per dare compimento all'aspirazione di dire la propria a modo proprio. Alla parte profonda non basta di certo la recita e l'illusione, sa bene che su questo terreno si gioca la realizzazione, la messa a frutto di una vita. Occhi ben aperti dunque e in questo l'inconscio, maestro e guida nel veder chiaro, è una garanzia. Tant'è che non concede complicità, non dà manforte alla richiesta di convalida, di mantenimento delle pie illusioni. Il malessere interiore è spina nel fianco, è scuotimento di certezze di comodo, è crisi che vuole verità e trasformazione, cambiamento non di poco conto. Una impostazione della vita e un modo di procedere che si rifanno e si lasciano guidare e plasmare da altro già ben formato e definito, che ne ricalcano le orme e gli indirizzi, che consegnano all'aspirazione di figurare bene al cospetto del giudizio esterno il compito di tradurre il proprio desiderio di dire la propria, sono il terreno su cui interviene l'inconscio per sollecitare una verifica attenta, una scrupolosa  presa di coscienza del vero. L'autonomia di cui ci si può illudere è spesso l'autonomia del bravo bambino, del diligente scolaretto che fa mostra di buona capacità di riuscita, di estro in alcuni casi nel rimenare discorsi e renderli originali si fa per dire, nel farsi vanto di riuscita ben dentro le guide di un discorso già impostato, di un credo, di un sistema di attribuzioni di significato e di valori già pronti e codificati, che come pezzi di un lego possono essere variamente combinati, assemblati, di una progettualità che ha già caselle e piste da percorrere in cui infilarsi e avanzare, procedendo con passo più o meno lesto. L'inconscio non ci casca. L'inconscio è l'anima di una vita che, sostenuta da intelligenza vera e non da palcoscenico o da accademia, vuole crescere e generare, dare al mondo il proprio, senza le scorciatoie delle imitazioni, senza la sbornia della rincorsa del consenso o dell'apprezzamento altrui e generale, veri elementi tossici che drogano la coscienza e il pensiero, che tengono in pugno la volontà di riuscita, che li rendono ottusi, che li piegano a essere schiavi della bella figura. Fare vivere l'autentico di sè, rispettando e valorizzando al meglio ciò di cui si è portatori, formare e alimentare visione e pensiero propri, trovare nella pienezza del rapporto con la propria interiorità le risposte e le ragioni d'esistenza proprie, scoprire ciò che ai propri occhi risalta come carico di valore , che perciò con sincera passione si sente di voler far vivere, senza attaccarsi ad altro, senza bisogno di conferma e d'apprezzamento esterni, di trarre da lì incentivo e gratificazione, senza bisogno di platea che annuisca, che apprezzi e applauda, questo è il terreno della formazione e conquista della autonomia vera e non da recita. Prima di tutto c'è la necessità di vedere le cose, l'andamento solito, il proprio procedere abituale, per ciò che sono, di far cadere le illusioni e le mistificazioni, di riconoscere cosa sono per davvero e su cosa si sorreggono, di aprire gli occhi per riconoscere il vero, senza preconcetti, puntualmente, analiticamente, scientificamente. Questo è il lavoro che l'inconscio nel proprio vero interesse spinge e guida a fare, lo fa mobilitando il sentire, i vissuti e l'intera trama delle vicende interiori, lo fa magnificamente e con superlativa intelligenza attraverso i sogni. Da un lato vuole condurre l'individuo a fare chiarezza, senza limiti e condizionamenti, vincendo le remore della parte che vorrebbe tenere in piedi gli artefatti, perchè ci si è fortemente compromessa e perchè ci si è affezionata, dall'altro l'inconscio spinge per saggiare il gusto nuovo e diverso di elaborare con cura, di cucinare e di dare a se stessi cibo di conoscenza vera, ben più gustoso e nutriente, ben più capace di alimentare crescita personale delle solite pietanze, più o meno reclamizzate, prese da cucina pronta di modelli, di idee e di traguardi di riuscita e di successo in voga e benedetti. L'autonomia di concepire e saper dire la propria e a modo proprio, di conquistare vera capacità di autogoverno per salvaguardare, per onorare e per affermare il valore unico della propria vita, per realizzare aspirazioni e progetti davvero originali, è la conquista e il dono che l'inconscio vuole riservare. Non è un pacco dono pronto da scartare, è un dono da conquistare, per cui dare, in stretto legame e alleanza col proprio intimo e profondo, il meglio del proprio impegno, della propria voglia di vivere.

sabato 6 gennaio 2024

Il "mestiere" di psicoterapeuta

Ripropongo con qualche integrazione un mio scritto di molti anni fa su un argomento che, a chi voglia soffermarsi sulla qualità dell'aiuto che vorrebbe ricevere da uno psicoterapeuta, potrebbe rivelarsi utile.                                                                  Quali sono le basi necessarie e irrinunciabili per svolgere il lavoro di psicoterapeuta?  L'unico strumento di cui lo psicoterapeuta non dovrebbe essere privo è la capacità riflessiva. Non sto parlando di riflessione e di capacità riflessiva come solitamente si intendono e si praticano e che si traducono nel confezionare sul conto dell'esperienza e di ciò che si vive qualche spiegazione ragionata. Sto parlando di capacità riflessiva come capacità di entrare in rapporto e di prendere visione senza distorsioni dell'intimo di stati d'animo, di emozioni, di esperienze interiori di cui si è portatori, dentro cui si è coinvolti. Il suo possesso da parte dello psicoterapeuta non è per nulla scontato, coincide con lo sviluppo di una matura capacità di ascolto e di dialogo con la propria interiorità, frutto di un approfondito lavoro su se stesso. Non è affatto garantito da studi, da iter formativi in scuole, da apprendimento di tecniche, da possesso di titoli e della stessa abilitazione a svolgere la professione di psicoterapeuta. Il possesso dello strumento riflessivo è però fondamentale. Se non ha capacità di rapportarsi a se stesso, se non sa accogliere e raccogliere i suoi vissuti ed ascoltarli, lo psicoterapeuta è sospeso nel vuoto. Se non sa da un lato lasciarsi prendere, investire, coinvolgere pienamente (nel suo spazio intimo) dalla spinta interiore, dall'emozione, dal sentire e dall'altro non sa prenderne distanza per vedersi riflessivamente, per vedere come dentro uno specchio ciò che gli appartiene, per riconoscere cosa di sé gli si rivela nell’esperienza che vive, cosa interiormente ha preso forma, lo psicoterapeuta vaga nel nulla o procede pericolosamente. Manca infatti dello strumento fondamentale per scoprire cosa di volta in volta gli accade, per orientarsi, per capire l'esperienza e la dialettica interiore. Rimane tutt'uno e adeso inconsapevolmente a ciò che si muove in lui, non lo vede, non lo comprende. Nel rapporto con la propria intima esperienza dà credito alle spiegazioni che mette in campo, spiegazioni più o meno sofisticate e in apparenza coerenti, che, capaci di dargli sostanziale conferma nelle sue persuasioni consuete, ricalcano e ricombinano schemi e attribuzioni di significato diligentemente appresi, fino a convincersi di aver fatto chiarezza o, sarebbe meglio dire, fino a porre e a rafforzare dentro sé, con le sue parole e con i suoi ragionamenti, una solida barriera impermeabile al contatto e allo scambio vivo con se stesso, col suo sentire. Privo di capacità riflessiva, di capacità di ascolto e di visione di ciò che la sua esperienza interiore gli vuole rendere riconoscibile, armato di interpretazioni e di spiegazioni concepite in separata sede col ragionamento e messe sopra a ciò che vive interiormente, lo psicoterapeuta rimane nascosto a se stesso. Non ha occasione di capirsi, di ferirsi anche, di vedere di sè ciò che (diverso dalle sue attese e dalle sue persuasioni) può risultargli doloroso o scomodo vedere, non ha capacità di trasformarsi e di far crescere se stesso, di fare dell'umano più vera e profonda esperienza e conoscenza. Dicevo che vaga nel nulla pericolosamente. Sì, perché, oltre a non fare nulla di utile per se stesso, nella relazione con l'altro è possibile che faccia disastri e senza, per giunta, arrivare a rendersene conto. Vittima ad esempio della necessità di meritare l'approvazione e la considerazione, il consenso dell'altro, di provarsi e di dar prova di essere all'altezza del suo "ruolo", capace, bravo nel verso della capacità di spiegare tutto, di risolvere i problemi, senza che tutto questo gli risulti ben visibile come base vera di conoscenza di se stesso su cui soffermarsi e aprire un confronto approfondito con se stesso, lo psicoterapeuta rischia di tornare a agire queste spinte, finendo per condurre o per confermare l'altro nella dipendenza dalla sua autorità e capacità di risposta. Rischia di non vedere la sua speculare dipendenza dall'altro, che con il suo presunto, come fosse scontato e immodificabile, bisogno di riceverle da lui, lo confermi nella sua capacità di dargli spiegazioni e risposte, nel possesso di questa prerogativa. Sarebbe viceversa compito prioritario dello psicoterapeuta aiutare l'altro a formare e a sviluppare capacità di dialogo con la propria interiorità, a scoprire e a impadronirsi di questa possibilità di conoscenza, in precedenza ignote. Lo psicoterapeuta deve però possedere lui per primo capacità riflessiva, capacità di dialogo aperto e trasparente con la propria interiorità, per favorire questa possibilità nell'altro. Lo psicoterapeuta, se privo di capacità riflessiva, rischia invece e sciaguratamente di incoraggiare l'altro alla dipendenza e, come fa con se stesso, all'impiego passivo di formule e di risposte pronte. Può indurre l'altro a non ascoltarsi pazientemente e attentamente, a non concedersi all'incontro e al dialogo con la propria interiorità, con ciò che da dentro gli si propone, all'inizio oscuro, temuto. Può incoraggiare o dar manforte alla tendenza già presente nell'altro a mettere a tacere l'esperienza interiore, specie se dolorosa e ardua, a difendersene prima di tutto, a tentare di neutralizzarla con qualche spiegazione o ricerca di cause del malessere interiore in apparenza plausibili, che illudono di aver portato alla radice del problema, ma estranee all'intenzione, al senso di quel sentire doloroso, arduo, cui, per mancanza di capacità di rapporto con l'esperienza interiore, di capacità riflessiva, non è concesso vero ascolto. Tant'è che non è infrequente che a dispetto della convinzione di aver compiuto un passo decisivo chiarendo le sue (presunte) cause, il malessere insista come e più di prima, perchè incompreso nel suo senso, perchè non affatto assecondato negli scopi di presa di coscienza e di trasformazione personale, assolutamente utili e necessari, che spingeva a realizzare. Sono disastri veri e propri, perché costituiscono impedimento alla scoperta di sé e al cambiamento nel rapporto con se stessi e con la propria vita, tanto fortemente voluti dal profondo dell'individuo, quanto incompresi, ignorati. Lo psicoterapeuta può, anzichè aprirlo a se stesso, riconsegnare l'altro alla "normalità", può cioè contribuire a mantenerlo in un'idea di sé che profondamente non gli corrisponde, può (malgrado l'illusione di averlo aiutato a capire, a capirsi) chiuderlo a se stesso, mantenendolo nell'ignoranza delle sue risorse interiori, dei suoi più originali orientamenti, della sua capacità più profonda, del suo progetto. Se privo di capacità riflessiva lo psicoterapeuta non ha capacità di accedere alla vita interiore, di capirne il linguaggio e le ragioni, rischia, malgrado le pretese e le buone intenzioni, di riprodurre, pur se in una forma più sofisticata, logica e pensiero convenzionali, rischia, come fa con se stesso, di tenere l'altro in quei confini e limiti ristretti. Serve allo psicoterapeuta un bagaglio di sapere e di conoscenze apprese, perchè abbia e dia garanzia di poter svolgere bene e utilmente il suo lavoro, la sua funzione con l’altro? Parlo a partire dalla mia esperienza di analista e con riferimento all'esperienza analitica. Ogni esperienza analitica produce, crea il suo sapere. Non serve sapere già e prima, anzi, teorie e spiegazioni già confezionate e pronte, che pretendano di spiegare tutto, possono solo coprire col preconcetto ciò che invece ha necessità di manifestarsi nella sua unicità. E' il lavoro analitico a generare tutto. Ogni individuo nel suo percorso analitico è intento a un discorso originale, tutto da scoprire e da rispettare nella sua unicità. Lo psicoterapeuta, l'analista deve possedere la capacità di dialogo con l'esperienza interiore, la capacità riflessiva di cui dicevo prima. L’analista, possedendola, può trasmettere all’altro questa capacità di avvicinare e di dialogare con l’esperienza interiore, può farla crescere in lui sempre più, liberandolo dalla paura e dalla incapacità di comunicare con se stesso. L'analista, quanto più si è cercato e ha esercitato nel rapporto con se stesso apertura e dialogo, continuità di ricerca, tanto più può rivolgersi utilmente all'altro per sostenerne, con pazienza e con fiducia, il viaggio di ricerca dentro se stesso. Se lo psicoterapeuta, se l'analista è solo imbottito di teorie e di sapere già formato e preso in prestito, tenderà soltanto a ripetere ciò che ha appreso, a girarlo sull'esperienza che incontra, sua e dell'altro. Discepolo sciocco di qualche maestro, non importa se autorevolissimo e famoso, si limiterà a ripeterne il pensiero in una forma imbalsamata e stantia. Non prenderà su di sè il compito e il peso di portare avanti da sè la ricerca, di misurarsi col diverso, con l'imprevedibile, col nuovo che perennemente si dà dentro se stesso e dentro l'altro. Non consegnerà analogo compito e non coltiverà nell'altro analoga capacità verso se stesso.

martedì 2 gennaio 2024

La ricerca delle cause per non cambiare nulla

Ripropongo con qualche integrazione questo mio scritto di qualche tempo fa, perché la questione della ricerca delle cause del malessere è un nodo importante da capire e da sciogliere. E' ormai un luogo comune pensare che il modo più aperto e approfondito di affrontare il malessere interiore consista nel cercare le cause che l'avrebbero provocato. In realtà c'è il rischio di costruire teoremi che non aiutano l'incontro e il dialogo con la propria interiorità, che chiudono alla comprensione di ciò che il proprio profondo, dentro e attraverso il malessere e la crisi, sta cercando di proporre e di promuovere nel proprio interesse. La ricerca delle cause e le premesse da cui parte, rischiano di confermare la separazione e l'incapacità di comunicare con la propria interiorità.                                            La reazione più comune all'emergere del disagio interiore è di considerare il malessere come un guasto, come un'anomalia, che si ritiene debba avere la sua causa in qualcosa di sfavorevole e di nocivo che avrebbe fatto danno, che avrebbe compromesso un equilibrio psicologico altrimenti normale e fisiologico. Una simile risposta al malessere interiore trova in non pochi casi sostegno e perfezionamento in percorsi psicoterapeutici che, indagando nel presente e soprattutto nel passato dell'individuo, particolarmente nelle relazioni familiari, vanno alla ricerca di condizionamenti sfavorevoli, di carenze o di distorsioni affettive, di traumi patiti, per rinvenire lì le ipotetiche cause del disagio perdurante e attuale. In realtà il malessere interiore non è conseguenza di cause e di condizioni esterne, di condizionamenti sfavorevoli, ma è espressione di iniziativa interiore. Le ragioni, intelligenti, profonde, del malessere, affatto destinate a rimanere incomprese, purché ci si voglia impegnare a capire se stessi, a dare voce e a confrontarsi con la propria interiorità, originano interiormente, sono espressione di lucida consapevolezza e di ferma presa di posizione della parte profonda di se stessi. La lettura che il profondo, che l'inconscio dà della propria condizione personale e del proprio modo di procedere non è affatto in linea col modo convenzionale e abituale di pensarli, di leggerli, modo per il quale basta veder quadrare alcune cose per dedurre che tutto va bene, che le cose sono normali, sostanzialmente a posto. Se alla parte profonda di se stessi, dove il proprio sguardo è molto più attento ed esigente, assai meno incline ad andar dietro alla logica comune e a soddisfare il bisogno di auto conferma di quanto non sia la propria parte conscia col suo modo di pensare e con i suoi ragionamenti, risultasse ad esempio chiaro che nel modo d'essere attuale manca qualcosa di fondamentale e di decisivo, questa parte non tacerebbe il problema. Se le fosse chiaro che nel modo abituale di procedere e di dare forma a ipotesi, a scelte o a impegni attuali e futuri della propria vita c'è un che di non corrispondente a se stessi, di avventato e di inconsapevole, di insoddisfacente e di pericolosamente sfavorevole, non solo per l'oggi, ma soprattutto in prospettiva per il futuro, perché non guidato da conoscenza approfondita di ciò che si è e di ciò che per sé ha senso e valore, cosa di cui sinora non ci si è più di tanto preoccupati, la parte profonda non passerebbe sotto silenzio il problema. Ecco che, tenendo presenti simili rischi e implicazioni, di cui il profondo dell'individuo, diversamente e ben prima della sua parte conscia, è consapevole, il malessere come intralcio e come freno tirato sull'andar via e avanti scioltamente, il senso di fragilità e di insicurezza, l'ansietà continua, l'allarme sulle proprie condizioni e sul proprio stato, con picchi di paura come negli attacchi di panico, lo scoramento e il senso di sfiducia  nel proprio valore e nelle proprie capacità, spesso considerati semplicemente sintomi di malattia e trattati come disturbi, come stati anomali e nocivi da correggere e da superare, cominciano viceversa a svelare il loro significato, a mostrarsi carichi di senso e di valore. Sentire intralciato il procedere solito da ansietà e insicurezza che non danno tregua, affinchè lo sguardo, abitualmente tutto rivolto all'esterno, si porti all'interno, per prendere consapevolezza del proprio stato vero, per adoperarsi a generare ciò che, a dispetto delle apparenze, non c'è e che è essenziale per dare volto proprio alla propria vita, per essere individui davvero autonomi, è una risposta interiore che ha un senso o va considerata come una anomalia, come uno stato interiore da medicare o come un disturbo cui cercare remote cause, augurandosi in questo modo di levarselo dai piedi? Sentire, fuori dalle illusioni a lungo coltivate sul valore delle proprie scelte e conquiste, il vuoto, la fragilità e l'inconsistenza della propria condizione, perché affidata più a conferme e a sostegni esterni che a fondamenti intimi e propri, perchè col proprio intimo e profondo non si è cercato e non si ha rapporto, sentire caduta di interesse verso la vita e infelice senso di sfiducia in se stessi, è un sentire, certamente doloroso, ma malato e da correggere o è specchio di verità e punto di partenza per invertire la rotta e per costruire finalmente, senza scorciatoie, qualcosa di originalmente proprio e consono, coerente col proprio intimo, ben aderente a ciò che in unità col proprio profondo va cercato e compreso? Patire il senso di minaccia e di precarietà, di paura crescente rivolto a ciò che vive dentro se stessi, da cui si è sconnessi e lontani, fino all’acme dell’attacco di panico, del terrore che la propria vita cessi, che le proprie funzioni vitali non siano più garantite, che il cuore cessi di battere, che la vita se ne vada, anche questo, che il malessere interiore può smuovere e  rendere acutamente tangibile, è segno di anomalo stato e di patologia, oppure è pungolo fortissimo a riconoscere il vero di un modo d'essere dissociato, sconnesso da sè, dal proprio intimo e tutto artificialmente adeso e in connessione con altro, un ammonimento e un richiamo potente a occuparsi di sè seriamente, a impegnarsi prima di tutto a cambiare profondamente il rapporto con la parte intima e profonda di se stessi? Tutte le risposte interiori, tutte dettate e regolate dal profondo, tutt'altro che sintomi di un meccanismo guasto, dicono, svelano, spingono a capire, a prendere consapevolezza. Non si tratta di trovare cause esterne al malessere, partendo dall'assunto che stare male significa guasto e stato anomalo provocato da qualche fattore molesto e disturbante, ma di intendere che il malessere può essere un forte richiamo, lo specchio per vedere la propria condizione in profondità e non nella ingannevole superficie, la spia di una necessità cui finora non si è saputo provvedere. E' la necessità, irrinunciabile secondo la parte profonda di se stessi, di promuovere la propria crescita, la formazione di un proprio pensiero attorno a se stessi, lo sviluppo di una capacità di capirsi non dissociata nel ragionamento, ma costruita in unità con se stessi, fondata e guidata dal proprio sentire. E' fondamentale e non certo superfluo trovare ciò che affidabile e coerente con se stessi possa guidare, autonomamente e consapevolmente, il proprio cammino, le proprie scelte, pena il rischio diversamente di affidarsi pericolosamente solo a guide e a conferme esterne. Lo stato di separazione in casa, nello spazio del proprio essere, tra ciò che si pensa da un lato e ciò che si sente e che si vive interiormente dall'altro, va superata e messa ben al centro del proprio sguardo e preoccupazione. L'inconscio spesso sottolinea proprio questo stato di separazione e di dissociazione, lo fa parlandone con grande acume nei sogni, lo fa rendendo tangibile, acutamente vissuta la situazione di contrasto e di non incontro tra vicenda intima e parte conscia e ragionante, che mal tollera e vive come estranea e ostile, minacciosa e sgradita l'esperienza interiore sofferta e disagevole, a cui fa muro chiedendo e rivendicando altro. Le vicende interiori spesso non sono comprese, sono ampiamente fraintese dalla logica corrente, secondo cui tutto dovrebbe funzionare "normalmente" e l'ansia e ogni segnale interiore che crei impaccio nel procedere solito, che impegni ad andare verso se stessi, a mettere al centro dell'attenzione e della preoccupazione se stessi e non il fare e il proseguire come se niente fosse e come se tutto fosse a posto, sarebbe soltanto una anomalia, un disturbo, un maledetto ostacolo. Dandoci dentro con farmaci e con rimedi vari, con psicoterapie intese come correzione di comportamenti o, come dicevo all'inizio, come ricerca di cause funeste fuori di sè in qualcosa di presente o di passato, pur di togliersi di dosso un che di sofferto e di interiormente difficile, non si comprende che il proprio malessere è frutto e segno di iniziativa propria e profonda per trarsi in salvo e non per far danno. Quanta miopia e ottusità purtroppo nel pensare che tutto debba funzionare "normalmente", senza mai chiedersi come davvero le cose stanno andando, non all'apparenza, ma nella sostanza, senza mai concedere ascolto a se stessi, al proprio sentire, senza mai concepire che ci si debba capire seriamente e in profondità, che ci si debba confrontare e intendere con ciò che dentro se stessi dà segnali insistiti, che nessun rimedio farmacologico o di altro tipo può mettere a tacere! E' significativo che chi si è adoperato, casomai attraverso una psicoterapia, a cercare le cause di ciò che difficile e sofferto sperimenta interiormente in vicende passate e in condizionamenti sfavorevoli, in traumi pregressi, si ritrovi spesso a dire a se stesso che finalmente oggi conosce le cause del suo malessere e contemporaneamente a percepire la propria estraneità e lontananza perdurante dal proprio intimo, l'incapacità di entrare in rapporto vero e aperto con ciò che sente, che non smette di insistere e di battere duro, di chiedere vera udienza, accoglienza e ascolto. La parte profonda non desiste, non sa che farsene di spiegazioni ragionate, spesso viziate da vittimismo, come se soffrire fosse sempre l'equivalente e la conseguenza dell'aver subito o del subire un che di ostile e di ingiusto, spiegazioni che non colgono il senso della sua proposta e iniziativa. La parte profonda non agita le acque insensatamente, per deficit di ragionevolezza, non le agita puerilmente dando respiro solo a paura, a irresponsabilità e a incapacità di procedere e di fare, non le agita perché ancora disturbata o traumatizzata da accadimenti passati o con l'intento di riportarli in qualche modo in superficie. Si abusa di questi che ormai sono diventati dei luoghi comuni, ben presenti nel pensato comune, nei discorsi correnti, nei film, nelle teorie e spiegazioni portate da non pochi presunti esperti della psiche, luoghi comuni e ricorrenti che intervengono a suffragio di un atteggiamento di fondo verso se stessi conservativo e vittimistico. La parte profonda agita le acque con lucidità e determinazione, sorretta da capacità di visione che la parte conscia non possiede, troppo passiva e assuefatta al pensare convenzionale, troppo incline a darsi ragione e a rincorrere la normalità, le agita per "inquietare" a ragion veduta, perché in gioco c'è il rischio di condurre la propria vita in modo banale e inconsapevole, secondo guide prese in prestito e non trovate in se stessi, con la conseguenza di andare a sbattere nel tempo nell'inutilità o nel fallimento. Che insorga malessere è segno più spesso di quanto non si creda di vitalità interiore, di presenza vigile della propria parte profonda, di potente richiamo a far le cose per tempo, a provvedere a coltivare e a formare ciò che non c'è e che l'età anagrafica da sola non garantisce: prima di tutto l'unità con se stessi, perché solo l'incontro e il dialogo con la propria interiorità può dare e sviluppare la forza di un pensiero proprio, la conoscenza senza veli e distorsioni di chi si è, la scoperta di ciò che ha valore per sé, che profondamente si ama e cui si aspira, per non destinare a altro la propria vita, per non infilarla sui binari delle idee e dei modelli imperanti, delle soluzioni già pronte. Quando, come accade in una buona esperienza analitica, si dà voce al proprio profondo, quando, anziché parlargli sopra e cercargli delle cause, si impara a ascoltare il proprio sentire in ciò che dice, quando si segue il percorso conoscitivo tracciato dai sogni, si ha modo di scoprire quali siano le vere intenzioni dell’inconscio, si ha occasione di comprendere il senso e di apprezzare il valore della propria esperienza interiore in tutte le sue espressioni, anche in quelle che sembravano negative e fortemente sfavorevoli. L'inconscio sa dare e nutrire la propria crescita personale come nient'altro saprebbe fare. E' necessario allora scegliere se imparare, facendosi aiutare a questo scopo, ad ascoltare il proprio sentire, a comprendere e a assecondare la proposta interiore, accettando un serio lavoro su se stessi e nutrendosi dei frutti di questo lavoro di cui il proprio inconscio sa e vuole essere promotore e guida o insistere nei tentativi di contrastare in vario modo il malessere, anche confezionandogli sopra spiegazioni di cause che vorrebbero, ingenuamente, metterlo a tacere, spiegazioni sterili, utili solo a uno scopo: tirare avanti dritto nel solito modo scisso da sé, dalla propria interiorità e aderente ad altro, senza cambiare nulla.

mercoledì 13 dicembre 2023

Lo scudo

Di quante cose ci si fa scudo per difendere ciò che di se stessi non si vuole mettere in discussione! La critica che proviene dall'esterno può lasciare il tempo che trova. Se infatti a volte, direi raramente, è disinteressata e ben mirata, capace di toccare in modo appropriato punti nodali, di non essere giudicante, ma di stimolo alla riflessione, spesso invece non è libera da interessi di parte e di comodo di chi la pronuncia, conforme e di conferma al suo modo di pensare, perciò inattendibile come valenza critica, di fatto del tutto arbitraria. Altra cosa è la critica che proviene dall'interno, messa in atto dal proprio profondo. Purtroppo, visto il poco credito dato a tutto ciò che si sperimenta nell'intimo, nel sentire, nelle emozioni, negli stati d'animo, nelle spinte che si provano, considerati se non totalmente inaffidabili perlomeno non attendibili come intelligenza, in genere definiti viscerali, irrazionali, aggettivi usati come sinonimi di movimenti incontrollati, istintivi poco o tanto ciechi, privi delle capacità viceversa attribuite al pensiero razionale, che, a mente fredda, saprebbe garantire visione lucida, con queste premesse tutto ciò che accade nell'intimo non è compreso e valorizzato in ciò che dice, adeguatamente stimato nella funzione e nella capacità di critica, sempre diretta alla ricerca del vero, che sa e che vuole esercitare sulla propria esperienza e modalità di procedere. La critica che origina dall'interno dunque spesso non è riconosciuta come tale, oppure, quando si avverte che ciò che si frappone nell'intimo, sollecita dubbi, apre qualche crepa nelle proprie convinzioni, in ciò che si vuole credere e che ci si dice, è facilmente sminuita, messa in ombra o neutralizzata con qualche giro di ragionamento. E' un peccato, è una perdita non da poco, perchè è la sola critica che vale veramente, perchè affidabile, puntuale, intelligente, assolutamente priva di preconcetti e di arbitrarietà, così come di malanimo e di distruttività, viceversa risorsa preziosa e essenziale per la propria crescita. Proviene da una parte di se stessi che conosce al meglio e nell'intimo ciò che si è, che muove le proprie scelte, che è insito nei propri modi, ciò che li detta e che perseguono. Niente e nessuno ci conosce come il nostro profondo, che è presenza attenta in ogni momento del nostro procedere, della nostra esperienza. Non solo, la critica, gli spunti di riflessione e di ricerca offerti dal proprio intimo nascono da una capacità di visione che tiene conto non solo dell'immediato dell'esperienza, ma di una condizione di insieme, di un modo di procedere, di un assetto del proprio modo di stare in rapporto con gli altri e, che è l'aspetto più trascurato, con se stessi, che la parte profonda spinge a rendere riconoscibile, per comprenderne le ragioni, per averne più chiare le conseguenze e gli sviluppi. E' una critica che vuole portare alla presa di visione della verità, mettendo in crisi e in discussione convincimenti di comodo, alibi o vere e proprie mistificazioni costruite col ragionamento, che valgono a difendere e a ribadire idee su se stessi e convinzioni funzionali solo a proseguire sulle basi consuete. Nel corso dell'esperienza il sentire, ciò che interiormente si muove, interviene per aprire spazi di riflessione, per dare spunti di ricerca e di approfondimento, che spesso sono tenuti in secondo piano, non sono raccolti o che, se fatti oggetto di considerazione, sono distorti nel loro significato, piegati nell'interpretazione applicata col ragionamento a dare solo convalida, a sostenere e a consolidare idee su se stessi e sui propri propositi, che non si vogliono mettere in discussione. L'orizzonte, l'idea di ciò che va perseguito rimane quello predefinito e che va a senso unico nel verso di una rincorsa dell'adeguamento ai criteri di valore e di normalità vigenti, per non rimanere indietro, per non perdere occasioni di buona riuscita e prestazione, per non compromettere legami dentro cui c'è più l'istanza di tenere assieme ciò che conviene, che ci si vuole tenere stretto e fruibile, che desiderio di verità, che desiderio di offrire a sè e all'altro sincera presenza, anche perchè di sè non si è ancora compreso nulla di vero, di attendibile. Non ci si è spesi per questo scopo, l'interesse prioritario è stato e continua a essere la riuscita, il mantenimento di posizione, anche perchè l'affaccio sulla verità pare azzardato, persino temuto. Pseudo verità di volta in volta rabberciate col ragionamento, in qualche modo rafforzate tengono banco e, un pò per inerzia e un pò per spregiudicata convenienza, le si tiene in auge. Lo scudo entra in opera e pare essere valida difesa dei propri interessi. L'inconscio, il proprio inconscio, è l'unica presenza discorde, che non si accorda col disegno di tenere su e di far valere l'ignoranza del vero. La verità richiede coraggio, vuole passione nuova, passione di conoscenza, di ricerca di intesa profonda con se stessi e non di conservazione. Dal sentire arrivano le note discordanti, le sensazioni inattese, gli imbarazzi, le esitazioni e gli impacci, le strane note di umore imprevisto, l'ansietà improvvisa, la caduta di interesse, la fiducia in se stessi che scricchiola e declina, note tanto sgradite quanto sapienti, tutt'altro che insensate o negative, note discordanti rispetto a ciò che si vorrebbe credere e ottenere, che cercano nuovo accordo all'insegna di guardare con più attenzione dentro l'esperienza, di mettersi allo specchio, di conoscersi  in modo trasparente, di comprendere non la superficie ingannevole, ma il nucleo vero delle proprie scelte e espressioni, per mettere in luce ai propri occhi il proprio modo di procedere, ciò che lo determina, la direzione in cui porta. Nei sogni l'inconscio si spende al meglio per dare impulso e per fornire guide per capire in profondità se stessi, per comprendere ciò che è in atto nel proprio modo di procedere e ciò che va costruito per non essere passivi a rimorchio di pensiero, di attribuzioni di significato e di valore, di perseguimento di scopi già definiti e imperanti, per mettere al primo posto e per compiere passi nuovi nella ricerca e nella presa di visione del vero, nella scoperta di ciò che è autenticamente e originalmente proprio. Nuove scoperte quelle guidate dall'inconscio nei sogni di tutt'altro peso e valore rispetto a quanto prodotto e messo in campo dal proprio pensiero abituale di cui cominciano a evidenziarsi i vuoti di comprensione vera e fondata, gli artifici e le costruzioni di comodo, pensiero razionale di cui ci è sempre valsi e che, a dispetto del credito che gli è stato dato come garante della propria capacità di capire e di condursi, si scopre, non senza difficoltà di ammissione, aver garantito a se stessi in realtà solo il proprio stare al di qua del vero. La critica che proviene da dentro se stessi purtroppo è spesso ignorata. Anche se non manca in molti la percezione della fragilità dei propri convincimenti, della loro inattendibilità, della necessità di una conoscenza più approfondita  e fondata di se stessi, il rinvio e il riaccredito dato a ciò che è abituale continua a prevalere, per non perdere posizione, per non darsi un incomodo di scoperta di verità, che pare così impegnativo, che non dà garanzie di quieto vivere e procedere. Non deve stupire se l'inconscio fa allora ricorso, come in non pochi casi accade, a soluzioni più incisive. Il malessere, l'esperienza interiore tribolata e sofferta vuole allora esercitare un forte richiamo a guardare dentro se stessi, vuole creare terreno interiore vivo, di più forte presa, su cui stare, da cui non evadere facilmente, dentro cui riconoscere la necessità di occuparsi di se stessi, di capirsi, di conoscersi, di vedere chiaro. E' un invito, una pressione decisa del profondo che a volte trova ascolto e felice corrispondenza, che in non pochi casi invece non incontra la disponibilità a desistere dal proposito di tirar dritto e di tornare a imbracciare lo scudo di autodifesa, che dice che nulla va messo in pericolo e in discussione, che il malessere va debellato e messo possibilmente a tacere, autodifesa che in realtà rischia di garantire e tutelare soltanto la propria lontananza da se stessi. 

sabato 18 novembre 2023

Quando la psicologia è incapace di comprendere la centralità del profondo

Una psicologia che ignora il peso e il valore del profondo, dell'inconscio, che riconduce e riconsegna tutto alle capacità  della parte conscia e alle sue magnifiche sorti, che ne ribadisce l'egemonia, che vuole il resto dell'essere sottostante alla sua guida, manca della conoscenza e della dovuta considerazione di ciò che è essenziale e irrinunciabile per capire il significato degli svolgimenti della vita interiore. Non è una mancanza di poco conto. Una psicologia che implicitamente riconosce e ribadisce solo la concezione abituale dell'uomo, l'idea dell'individuo sostanzialmente monco, senza necessità vitale di recuperare un legame forte e una relazione il più possibile aperta e autenticamente dialogica con la sua parte intima e profonda, che semmai, anziché proporsi di ascoltarla e di intenderla in ciò che vuole dire, si arroga di spiegarla, di variamente interpretarla con argomenti logici razionali, perché continui, illusoriamente, a stare sotto il governo della parte conscia, che psicologia è, quale ricchezza di contributo può dare? Una psicologia, che prima di tutto vede l'individuo nella necessità di continuare a funzionare, facendo leva sulle capacità di guida della sua parte conscia, non sa, quando questi è messo in difficoltà dalla sua parte profonda, che, attraverso crisi e malessere interiore, vuole risvegliare in lui la capacità di riflessione, di ricerca del vero della propria condizione e del modo di condurre la propria vita, non sa che offrirgli la conferma della necessità di tenere a bada la vicenda interiore sofferta e critica. Gli fornisce a questo scopo e lo incoraggia nella ricerca di spiegazioni sul conto di ciò che di difficile sta vivendo interiormente, letto, arbitrariamente, come segnale di difettoso, di disturbato e comunque sfavorevole andamento. Allo scopo di individuare le presunte cause del presunto guasto e anomalo sviluppo, ecco la ricerca nel passato di traumi o di condizionamenti nocivi, con l'idea e l'intento di risanare il tutto, per tornare a spingere verso gli scopi predefiniti come normali o validi, mettendo al primo posto il beneficio del superamento della crisi, senza averne ascoltato e compreso le vere ragioni e le finalità, tutt'altro che insignificanti. Una psicologia che, ben il linea col pensato e con le aspettative comuni, concepisce e fa tutto questo, che grado di intelligenza della vita interiore rivela e che contributo alla conoscenza di se stesso e alla sua vera realizzazione e crescita è capace di offrire all'individuo? Una psicologia che cerca spazi di elaborazione e di iniziativa che non vanno al di là del recinto del cosiddetto senso di realtà, che altro non è che ciò che lo sguardo, già abituato a puntare e a vincolarsi al fuori, può vedere e intendere guardando in quella direzione esterna, rendendosi incapace di dare credito a ciò che potrebbe vedere e intendere rivolgendosi al  dentro se stesso, fuori che coincide con ciò che si ritiene abitualmente essere normale e possibile, utile e necessario, realtà unica e imprescindibile, che capacità ha di di favorire ricerca autonoma del vero e dell'autentico di se stessi? Una psicologia che ignora quale sia l'origine e il senso, lo scopo del malessere interiore, che lì dentro ignora e non riconosce l'azione propositiva del profondo e ciò che persegue, che non mette al primo posto la necessità di imparare a intenderla fedelmente, che capacità ha di favorire visione nuova, ben fondata su esperienza vissuta e originale, ben oltre i confini di quella visione di realtà generalmente concepita? Che capacità ha di favorire nell'individuo consapevolezza che non sia ripetizione degli schemi soliti pur in qualche modo resi più efficienti, fluidi e riadattati?  E' una psicologia che ignora il valore e la profonda necessità, per non rimanere monco di una parte essenziale di se stesso, di sviluppare da parte dell'individuo capacità di ascolto e di dialogo con la sua interiorità, scoprendo quanto gli sia essenziale e prezioso, cosa ne possa scaturire. E' una psicologia che ignora cosa nella crisi e nel malessere interiore di assolutamente necessario e favorevole, di veramente salutare, sotto la spinta e la guida del profondo, vuole formarsi e nascere. Può solo ribadire e dare più spazio, confortandola di nuove argomentazioni, all'iniziativa della parte conscia, al  suo monologo, parte conscia che presume di saper definire gli scopi e gli interessi fondamentali dell'individuo, di saper dire sul conto dell'interiorità, leggendo a priori tutto, quando ci sono segnali di crisi e di disagio, in termini di alterazione e di necessità di ricostituzione, pur con qualche aggiustamento o innovazione, di un ordine solito, ma non concepisce certo di ascoltarla e di raccoglierne e valorizzarne le proposte, di riconoscerne la funzione guida. E' una psicologia che non vede il nodo decisivo, che sottostà e che è reso sensibile dalla crisi, dal malessere interiore, di una scissione, di una mancata unità dell'individuo con una parte essenziale del suo essere, col suo profondo, senza il quale non ha possibilità di trovare proprie risposte consone a se stesso, di arrivare a conoscenza del vero di se stesso, di accedere a  una visione e a una scoperta di significati e di valori fondata su propria intima esperienza, su proprio sguardo e non in adesione a altro, non al seguito di ciò che la cosiddetta realtà dice e impartisce. Una psicologia di rincalzo, che soccorre la parte che, messa sotto pressione dal profondo per cominciare a prendere visione dello stato delle cose, spesso di un procedere gregario e al seguito di modelli e di guide esterne, per dotarla finalmente di capacità di visione e di pensiero autonomi e fondati, in realtà dà sostegno all'individuo nell'anomalia, questa sì è un'anomalia dell'umano, del suo essere scisso dall'intimo, del voler, col superamento della crisi, ripristinare questa condizione. L'esito, pur salutato come di positiva ripresa e presa di coscienza, è infatti di mantenere e anzi di rafforzare la lontananza dal suo intimo e l'incapacità dell'individuo di ascoltare e di  comprendere fedelmente quanto la sua interiorità nei vissuti, nel sentire e in tutto ciò che vive e prende forma nell'intimo sa e vuole dirgli, di rendere ancora più saldo lo squilibrio di posizione, che tiene al vertice la mente razionale, incapace e per nulla incline a riconoscere quanto sia necessaria e fondamentale la funzione del profondo, il solo in grado di restituire all'individuo la capacità di capirsi veramente. Solo l'inconscio è capace attraverso tutte le sollecitazione del sentire, anche nelle sue espressioni più difficili e sofferte, attraverso i sogni in modo ancora più efficace e nitido, bisogna ovviamente imparare a intenderne il linguaggio, di guidare l'individuo alla scoperta e all'esercizio del pensiero vivo e fondato, di uno sguardo riflessivo su se stesso, ben dentro la sua esperienza, le sue scelte e modi di procedere, di dotarlo così della capacità di conoscere e di conoscersi, che è il  fondamento della sua vera autonomia. Una psicologia che non intenda questo e che non abbia intento e capacità di promuovere nell'individuo la ricerca dell'avvicinamento alla sua interiorità, lo sviluppo della capacità di ascolto e di dialogo col suo profondo, essenziali per generare pensiero e capacità di orientamento autonomi, lo mantiene e lo riconsegna fatalmente, malgrado le illusioni d'aver capito con le interpretazioni e le spiegazioni del pensiero ragionato e di potersi muovere ora con più libertà e padronanza, alla dipendenza, alla modalità, rimasta nascosta e non resa riconoscibile ai suoi occhi, del farsi dire e istruire da altro, di assecondare ciò, che, già configurato e pronto nell'esempio e nel pensato comune e prevalente, continua a essere la sua guida, l'autorità di riferimento da cui farsi orientare, convalidare e dirigere. La parte conscia razionale, equivocando il significato e il valore delle proprie iniziative e produzioni,  ritenendole espressione di capacità di pensiero autonomo e originale, di fatto, senza la guida del profondo, che è il solo a sapergli dare le basi e tracce vive, a rimettergli sotto i piedi il terreno su cui conoscersi nel segno del vero, non può che continuare a prendere in prestito e a rimasticare idee, attribuzioni di significato prese da pensato comune, da ciò che è stato già concepito come valido, affidabile e sensato, non può che rimanere ingabbiato in una falsa idea di se stesso e in una visione distorta di ciò che vive interiormente. Senza il recupero della unità di tutto il proprio essere, senza il riconoscimento del significato della propria vita interiore e del suo valore fondamentale, della funzione e della capacità del proprio intimo e profondo di alimentare pensiero proprio e autentico, l'individuo non può che rimanere in uno stato di inconsapevolezza e di falsa coscienza, perciò di impotenza a recuperare a sé il significato e lo scopo della propria vita, di formare, di assaporarne il gusto e di far crescere la sua vera autonomia.

domenica 29 ottobre 2023

Il cambiamento

Spesso il cambiamento è cercato fuori, affidato a soluzioni esterne da cui ci si aspetta che mutino il proprio stato, in genere pensando che siano le condizioni esterne a provocare disagi. Mutare il giro di relazioni, cambiare luogo da frequentare o dove vivere, aderire e condividere con altri un nuovo credo, sono esempi di cambiamenti che sembrano racchiudere la promessa di una vita diversa, fatta di nuovo respiro di libertà, di fruizione di opportunità migliori, di risveglio di consapevolezza, di leggerezza da pesi e carichi interiori sgraditi, di senso di benessere. Da cosa parte questa istanza di cambiamento? Spesso c'è un senso di restrizione di possibilità, di vuoto e di mancanza, di irrigidimento di abitudini, di malessere che segnala e rende acutamente disagevole e sofferta una sensazione di stasi e di oppressione, di illibertà e di insoddisfazione. Sono tutte sollecitazioni interiori, che vogliono portare a stare e non a andare via, a coinvolgersi sul terreno della scoperta del vero. Purtroppo è tale la mancanza di legame e di familiarità con la vita interiore, l'incomprensione del suo significato e valore, che, quando accade che la propria interiorità eserciti una presa più decisa e consegni vissuti capaci di indurre con più forza a fermarsi e a riflettere, senza pretesa di liquidare la questione in pochi istanti, la risposta è di insofferenza. Come si fosse vittime di un torto, di una pena indebita, la reazione è di cercare di uscire al più presto da quelle sensazioni, anzichè rendersi disponibili a rimanere, visto che è voce intima quella che sta parlando attraverso e dentro quegli stati d'animo. Anzichè ascoltare questa propria intima voce per cominciare a trovare sintonia con la propria interiorità e visione più veritiera di se stessi e del proprio modo di procedere, consapevolezza dei nodi decisivi e delle questioni importanti, che richiedono un lavoro riflessivo su stessi e non una critica e una reazione ad altro visto come causa di un malessere a cui trovare rimedio, si mobilita subito il dispositivo razionale, che tutto pensa di poter fare in orgogliosa solitudine, meno che congiungersi al sentire e da lì trarre guida e occasione per aprire gli occhi. Il dispositivo di pensiero razionale cerca cause fuori e prende a inventarsi soluzioni, sempre cercando all'esterno la via del cambiamento. Così come attinge a idee comuni per spiegare le cause, così il pensiero razionale assorbe idee e suggerimenti da mentalità e da esempio comune per individuare le vie d'uscita e le soluzioni possibili. Questo lascia già prevedere quanto incongruo, inappropriato e lontano da sè, da corrispondenza con la propria intima verità e da ciò che aprirebbe e spingerebbe a realizzare come vero cambiamento, possa mettere in campo il proprio dispositivo di pensiero razionale. False strade, illusori cambiamenti, copia d'altro preso a modello dalla pratica e dal pensato comuni, finiranno per lasciare incompreso e immutato ciò che il richiamo interiore voleva portare a vedere, a trovare come terreno di ricerca e occasione, questa sì felicemente appropriata, di trasformazione personale, tutto sulla base di scoperte di validi punti di riferimento ritrovati e di prese di consapevolezza ben fondate e verificate e non di belle pensate, ispirate da fuori e in adesione a altro, che sia un credo o un altro poco cambia. Il cambiamento messo assieme e impacchettato dalla mente razionale non farà che garantire visione  miope, ma soprattutto distorta, che non potrà che prolungare e ingarbugliare ulteriormente gli equivoci, che allontanare ulteriormente da  chiarimenti e da intese valide con se stessi. Solo la valorizzazione e l'attento ascolto e comprensione delle proposte interiori, nella forma in cui sono e in cui si manifestano interiormente, mai casuale o sbagliata, sempre mirata e intelligente, anche se disagevole e sofferta, potrà permettere di comprendere le ragioni vere del disagio, più legate a modi di procedere e di rapportarsi a se stessi e alla propria esperienza, che risalenti al fuori, di coltivare le basi vive e di portare a maturazione le premesse valide del cambiamento di se stessi e dell'apertura di percorsi non di fuga e di illusoria novità, ma di vera e affidabile nuova vita.

domenica 8 ottobre 2023

I sogni son desideri?

E' proprio vero che i sogni sono desideri? Mi riferisco ai sogni fatti dormendo. E' idea diffusa, seguendo le orme del pensiero psicoanalitico originario freudiano, che i sogni racchiudano, che diano espressione a desideri non riconosciuti o non ammessi dalla parte conscia, desideri dunque insoddisfatti. Sono facilmente intesi come desideri traducibili in cose o iniziative o modi cui sinora sarebbe stata negata aperta ammissione e soddisfazione. E' proprio questo che i sogni vogliono portare a far emergere?  C'è in realtà un desidero di fondo non riconosciuto dalla parte conscia, che ne fa e di cui farebbe volentieri a meno, che non considera affatto necessario e irrinunciabile. E' il desiderio di fare chiarezza, di cercare il vero di se stessi e del proprio modo di interpretare la propria vita, di condurla. La parte conscia, malgrado non ignori del tutto le fragilità o le incongruenze del suo modo di pensare, di pensarsi e di procedere, cui mancano basi salde, cui non si fa sentire la convalida e il sostegno della parte intima, che spesso nelle sensazioni e negli stati d'animo che ingenera non dà conferma e solidarietà a quanto essa persegue e a come se la spiega e se la racconta, non ritiene sia il caso di dubitare più di tanto dei suoi convincimenti e propositi. La parte conscia cui l'individuo si affida, ritenendola la più capace, non ritiene sia necessario e prioritario dare rilievo e soddisfazione all'esigenza, al desiderio di vederci chiaro, per accertarsi con scrupolo e apertamente dello stato delle cose della propria vita, con piena disponibilità a mettere la ricerca della verità al primo posto, per non correre il pericolo di procedere ciecamente o illusoriamente, per non rischiare di commettere errori capitali circa la comprensione e la realizzazione dello scopo della propria vita. L'inconscio sul desiderio di fare chiarezza, di aprire gli occhi, di evitare l'illusione e il fraintendimento, il rischio di muoversi a rimorchio di idee e di ideali presi in prestito da esempio e da mentalità comune, di proseguire più preoccupati di darsi conferma, di rinforzare e di blindare i convincimenti soliti e persistenti che di interrogarsi e di capirsi nelle proprie scelte e responsabilità,  senza alibi, senza impiego di schemi di preconcetti e di sentito dire, su questo desiderio l'inconscio c'è e non demorde. L'inconscio non fa altro che sollecitare la presa di visione di cosa c'è nel proprio modo di pensare abituale e di procedere, di cosa gli fa da appoggio e con quale intento, sollevando il velo della falsa coscienza, dei pensieri che razionalmente chiudono e non svelano, che valgono più a darsi conferme che a chiedersi cosa si sta dicendo, in forza di che cosa, con quale vera e fondata comprensione e per ottenere quale scopo. L'inconscio è attentissimo a mettere le cose in chiaro, a far riconoscere le falle del sistema di pensiero di cui ci si fa forti, non con spirito inquisitore o per far male, ma per trarre in salvo, per affrancare lo sguardo dell'individuo dalla passività, dall'inerzia del dire sempre, gira e rigira, le stesse cose, del non chiedersi mai cosa ci sia davvero dentro la propria esperienza e cosa sveli di se stesso. L'inconscio ben svela all'individuo che non ha possibilità e mai avrà capacità di vedere, fino a che starà, come gli è abituale, arroccato nei ragionamenti, alla larga dal suo sentire e da ciò che gli si muove interiormente, che diversamente dalle congetture razionali, dice e dà traduzione,  rappresentazione la più fedele e fondata, la più affidabile del vero. Al sentire è tendenza assai diffusa dare poco peso o relativo, giudicandolo poco affidabile, tant'è che è ritornello dato per buono che per avere visione lucida è necessario tenere da parte le emozioni, il sentire. Quando finalmente ci si degna o si ha urgenza, se le cose interiormente si fanno inquiete o turbolente, di occuparsi di ciò che si sente, si tende, spacciandosela come riflessione, che di riflessivo non ha nulla, a mettergli sopra con la parte razionale spiegazioni e interpretazioni, anziché imparare a ascoltare e a farsi condurre e dire da ciò che l'intima esperienza ha capacità e intenzione di comunicare, di far vedere, di far toccare con mano e intendere. C'è anche chi si riconosce o si vede facilmente riconoscere familiarità col sentire, più spesso donne, si ritiene nel pensato comune per natura e per educazione tramandata, ma ci sono anche uomini che si attribuiscono spiccata sensibilità. In tutti i casi è da vedere quanto ci sia di apertura, di ascolto fedele e di valorizzazione di ciò che il sentire, quello autentico, senza filtro e selezioni, senza artefatti, vuole condurre a conoscere di se stessi e quanto invece ci sia di interesse e di tendenza a fargli dire ciò che piace, che si vuole credere e far apparire. L'inconscio in ogni caso, né si lascia dissuadere dalla presa di distanza e dall'arbitrio razionale, né si lascia incantare dai tentativi di rappresentarsi sensibili, ricettivi e profondi per proprio agio e vantaggio, a proprio uso e consumo. L'inconscio agisce senza discontinuità e parla, suggerisce e stimola la presa di visione e di consapevolezza attraverso il sentire che anima, attraverso emozioni e stati d'animo, spinte e freni che induce e che, passo dopo passo lungo l'esperienza, si fanno avvertire interiormente, di cui è promotore e regolatore, che sono terreno vivo, sempre e senza distinzione di sensazioni positive o negative, per portarsi vicino a se stessi e alla visione del vero. Magnificamente l'inconscio dice e suggerisce ricerca di consapevolezza e di puntuale verità  attraverso i sogni, preziose guide e insostituibili per conoscersi, di acume e intelligenza impareggiabili. I sogni sono sì desideri dunque, che si riassumono nel desiderio del profondo di far crescere l'individuo in consapevolezza, di coinvolgerlo nella passione per la verità, senza altro vincolo che questo.

mercoledì 20 settembre 2023

Autostima sì, ma...

Non si può fare stima corretta di qualcosa se non la si conosce. Non ci può essere autostima, affidabile e fondata, se non ci si conosce, se non si vede e verifica con i propri occhi ciò che di sè e di prodotto da sè vale davvero. Quante volte ci si sente dire e incoraggiare a nutrire stima e a credere in se stessi, perchè questo può dare forza e fiducia e procurare benessere! D'accordo, ma per la stima, di importanza ancora più rilevante quando rivolta a se stessi, dev'esserci valido, ben consapevole e accertato motivo e fondamento, diversamente ogni attribuzione di  merito e di valore è fragile e gonfiata, assai poco affidabile, persino illusoria, diversamente non resta che affidare il compito di giustificarla e di sostenerla al consenso esterno e al plauso altrui, in una forma diretta o indiretta, con platea e giuria esterne o senza platea e giuria presenti, pensando di essere adeguati o ben realizzati, concordemente con i criteri e i modelli comuni, ogni volta che si dà o ci si dà prova di riuscita e si forniscono prestazioni ad essi corrispondenti. Ci si abitua così a una autostima incassata, fatta propria a scatola chiusa, una stima affidata a altro che la giustifica, che la promuove e che la sostiene, senza vedere con i propri occhi, senza scoperta autonoma delle ragioni e senza stima di valore autonoma di ciò che si porta avanti e in cui ci si spende, spesso, quando si accetti di ascoltarsi attentamente, senza ricevere da dentro se stessi segnali di consenso e di sostegno intimo, senza concorde giudizio di tutto il proprio essere. Non è raro infatti che, a dispetto degli sforzi di ben figurare e di qualche, poca o tanta che sia, conferma ricevuta da fuori, l'autostima dentro di sè vacilli e non trovi conferma e conforto in stati d'animo che sembrano dire che non c'è fiducia salda, che non c'è dentro se stessi credo intimo e profondo circa il proprio valore. La parte intima e profonda del proprio essere non si fa persuadere dalle apparenze, non si fa incantare dalle convalide e dai tributi esterni, saggiamente vuole portare a vera e fondata autostima, affidabile, ben sostenuta e giustificata. E' un terreno questo dell'autostima decisivo e dove sono frequenti l'equivoco e l'illusione. Si ama credere infatti che nelle proprie realizzazioni e scelte ci sia mano propria indipendente e prova convincente di merito e di capacità personali, così come all'inverso ci si affanna e angustia a pensare di non essere all'altezza e ci si giudica incapaci di merito su prove e misure di capacità che si pensano scontate e indiscutibili, in ogni caso è ben nascosta e volentieri nascosta la dipendenza, è occultata la consapevolezza circa ciò che tira i fili di quelle scelte e di quelle aspirazioni, di quel fare e dei risultati che si sono voluti e che si vorrebbero perseguire, spesso definiti e regolati non autonomamente, ma da senso comune, da modelli e da idee prevalenti a cui ci si affida e da cui ci si fa portare. L'inconscio non per caso proprio su questo terreno fondamentale e decisivo interviene con insistenza e incisività, lo fa mettendo segnali nel sentire, lo fa mirabilmente attraverso i sogni, proprio per sfatare tesi e convincimenti infondati e mai verificati, per far vedere chiaro, per non celare il vero. La posta in gioco è grande, verità su se stessi e sull'impiego della propria vita. Vivendo affidati a guide e a conferme esterne ci si abitua a pensarsi, a valutarsi cercando appoggio e passando per lo sguardo altrui e comune. Non ci si conosce e spesso nulla di sè, che non sia ciò che è riconosciuto e riconoscibile da fuori, si conosce, nulla si costruisce che non sia risposta conforme a quanto promosso, guidato e regolato da fuori e spendibile sulla scena esterna, nulla si coltiva e si genera da sè, che abbia linfa e sostanza proprie e che perciò risulti ben riconoscibile ai propri occhi, che rappresenti davvero un valore di cui essere convintamente fieri e felici. Senza conoscenza di sè, rompendo i limiti e la trappola seduttiva di ciò che di se stessi è riconoscibile e apprezzabile da altri e da fuori, non c'è accesso, incontro e scoperta di ciò che di se stessi è più originale, di risorse e potenzialità umane a sè connaturate e che rischiano di rimanere ignote, non coltivate, sepolte. La parte profonda del proprio essere, l'inconscio spinge, da un lato per rendere tangibili e per far si che si prenda chiara visione dei propri modi di procedere abituali, spesso più regolati da fuori che da dentro se stessi, dall'altro per rendere finalmente riconoscibile ciò che è proprio e fedele a se stessi, per far sì che al suo sviluppo ci si appassioni, smettendo di  consegnare il pregio e il senso della propria vita al dare prova, alla corsa per non sfigurare o per ben figurare, corsa tracciata da altro e che pretende altro da ciò che di proprio potrebbe essere scoperto, coltivato e fatto vivere. Non prende valore una vita svolta nelle guide pronte e rassicuranti di altro che dice il come e il quando di scelte e di impegni, di tappe e di traguardi da perseguire, nell'inseguimento di applausi e di convalide esterne. Non sa e non può alimentare autostima vera, affidabile e salda una simile ricerca del valore di sè e della propria vita come pagella e bel voto da farsi dare. L'autostima richiede riflessione e ricerca attente, ne va del cuore e del pregio della propria vita. Non è un caso che l'autostima sia spesso terreno di disagio e di sofferenza, tasto dolente, reso cocente dall'azione del profondo, ben consapevole che lì si gioca la verifica e la presa di coscienza del modo di condurre la propria vita, di come si pensa e si fa impiego di se stessi. Purtroppo la risposta più frequente, in presenza di autostima che vacilla e che stenta, è di chiudere la questione nel cerchio delle responsabilità da trovare e da imputare ad altro e ad altri, che non avrebbe dato sostegno, che avrebbe condizionato in negativo la fiducia in se stessi e nelle proprie capacità e possibilità. Schiere di psicologi non si scostano da questo solco, da questo modo di leggere il disagio e sono pronti a dare manforte a simili elaborazioni. Non mancano i tentativi poi, attraverso tecniche e strategie varie, come se si fosse in presenza di un meccanismo che non funziona a dovere, di un atteggiamento sbagliato da correggere, di stimolare, di sostenere e addirittura di potenziare l'autostima, dove quel che conta è spingere verso la riuscita e la miglior prestazione secondo i criteri soliti e i traguardi altrettanto soliti e predesignati. Non per caso si tratta spesso di teorie e di tecniche di provenienza nord americana, dove la mentalità dominante, cui certo non siamo estranei, è spiccatamente quella che punta prima di tutto e su tutto alla riuscita nel verso del successo, della prestazione, della competizione in cui non essere mai lasciati indietro. Su queste basi si moltiplicano nuove figure professionali (counselor, mental coach), portatrici di promesse di pronto sostegno e rimedio, di suggerimenti, di tecniche all'ultimo grido e di soluzioni per risollevare e per accrescere l'autostima, in apparenza foriere di benefici e di buoni e appetibili risultati, in realtà capaci solo di allontanare dalla presa di coscienza che sul terreno dell'autostima non è in gioco un deficit da sanare o la necessità di una possibile nuova leva di pronto benessere, di riuscita personale dentro la solita corsa e rincorsa, ma ben altro. La ricerca a testa bassa e a senso unico nel verso del rimedio e della correzione della sfiducia nel proprio valore e capacità di riuscita, ignora e neppure lontanamente intende che il tasto dolente e la spina nel fianco patita sul terreno dell'autostima non è una anomalia conseguente a cattiva impostazione, a condizionamenti negativi, a traumi subiti, a errori cognitivi o a altri accidenti simili, ma che prima di tutto nasce dall'iniziativa, tutt'altro che insana o scriteriata, del profondo dell'individuo, perchè questi cerchi non una rassicurazione o un allenamento da palestra per credere di più nelle proprie capacità di prestazione, ma ben altro, come ho cercato di chiarire. Si tratta di non essere miopi e di saper intendere la natura del problema dell'autostima e della posta in gioco. Non ci si può porre come vittime di un torto ricevuto dove l'autostima sia intimamente sofferta, non c'è da rivendicare nulla come se dovesse esserci ben altro dentro se stessi e a propria immediata disposizione. L'autostima non può essere un diritto da rivendicare, non è un requisito gratuito e garantito da possedere a priori e a prescindere dall'averne o meno compreso il significato, dall'averne o meno coltivato e creato le basi e fatto conquista. Non può esserci autostima se non ha al proprio vaglio valide basi, se non c'è stata, a darle fondamento, autonoma creazione di pensiero, scoperta in accordo e in intesa con la propria interiorità e perseguimento con tutte le proprie forze di scopi fedeli a sè, crescita personale autentica. Questo soltanto può sostenere e alimentare autostima salda e su cui tutto il proprio essere concorda, autostima che non ha bisogno e necessità vitale, per stare in piedi, di apprezzamento e di convalida esterna, perchè generata e nutrita da sè, perchè con fondamento vero.

mercoledì 6 settembre 2023

Lo scopo non è il sollievo, ma il pensiero

Di fronte alla crisi, alla sofferenza interiore, la risposta data da chi la vive e spesso da chi si propone di offrire aiuto punta abitualmente alla ricerca del sollievo. La crisi e quanto si mobilita interiormente e non per caso, non per effetto di un guasto, ma per precisa volontà profonda, vuole indurre a aprire lo sguardo su di sè, a portare l'attenzione abitualmente rivolta all'esterno al dentro, a porsi in atteggiamento riflessivo, a aprire una non certo sbrigativa, vista la posta in gioco e la materia coinvolta, la conoscenza di se stessi e del vero della propria condizione, fase di riflessione, un tempo di impegno di ricerca, in cui ci sia mobilitazione di ogni energia per capire, per capirsi. Lo scopo è l'esercizio del pensiero, non per agire, per operare, per trovare soluzioni e adattamenti a situazioni concrete e contingenti o per arrangiare una spiegazione di tipo razionale, ma per vedere dentro se stessi e la propria esperienza, per cogliere il senso, rompendo con luoghi comuni, con spiegazioni di superficie o con vere e proprie omissioni di sguardo e di attenzione. Insomma c'è da impegnarsi per dare risposta a ciò che interiormente interroga la propria vita, il proprio modo di interpretarla e di condurla. E' giunto il tempo. L'interiorità, con il malessere interiore, non dà segnali di logorio e di cattivo funzionamento, nemmeno segnala il costo e le conseguenze della esposizione o del sovraccarico di fattori nocivi. Che si chiami in causa lo stress o si punti il dito contro  altro o altri più definito cui imputare la responsabilità di tutto il proprio disagio, la tesi vittimistica è comunque prevalente, tesi tanto confortante e comoda, quanto fuorviante e di intralcio alla conoscenza di se stessi e alla crescita personale. L'interiorità in realtà, attraverso il malessere, che esercita così forte presa, che non può essere ignorato, chiama a raccolta la propria attenzione e interesse per capire cosa di sè è stato finora dato per scontato e che invece ora è da dentro se stessi richiesto di chiarire, di conoscere senza approssimazione e soprattutto senza distorsioni, cercando con onestà e coraggio, senza veli, senza costruzioni di comodo, frutto di acrobazie o di sofismi del ragionamento, la verità di se stessi e del proprio modo di procedere. Il profondo è pronto a dare guida e sostegno alla ricerca del vero, fornendo attraverso il sentire la base e il terreno vivo, il più sincero e affidabile, per vedere e capire e attraverso i sogni le guide di ricerca più appropriate e consone. Il malessere interiore, anche nelle sue espressioni più difficili e sofferte, non è una minaccia ostile, non è il segno di una pericolosa fuoriuscita dal sano, ma è un richiamo che viene da parte di sè intima e profonda, è una voce e una traccia viva, mai casuale o insensata, per cominciare a aprire gli occhi, per avvicinarsi a sè, alla consapevolezza del vero, per non essere ignari e lontani da sè, portati da illusioni, guidati e regolati più da idee e da principi comuni che da visione propria e da fedeltà a se stessi. Si tratta di imparare a entrare in rapporto aperto e fiducioso e a intendere il linguaggio della propria interiorità, aiutati in questo da chi abbia capacità di offrire questo aiuto. Chi vive un'esperienza di sofferenza interiore tende però a considerarsi sovraccaricato di peso indebito, si vede vittima e bisognoso di essere sollevato, in diritto di vedere alleviata la propria pena e non è raro che trovi conferma in questo modo di considerarsi nei pareri di chi gli sta attorno e pure nelle proposte d'aiuto di terapeuti vari. E' ben lontano spesso dal voler fare proprio l'impegno di ricerca, dall'intendere che ciò che sta vivendo non è l'effetto di volontà nemica o la conseguenza di qualche malaugurato e casomai remoto trauma (al riguardo non mancano di certo teorie psicologiche e pratiche psicoterapeutiche che contribuiscono a dare credito a simili tesi) che l'avrebbe segnato fino ad oggi, dell'oppressione e della mortificazione provocate da  qualche accidente e fattore nocivo esterno, ma è l'espressione di una forte e chiara presa di posizione della sua parte profonda, che non vuole tacere e che vuole porre al primo posto la ricerca, la riflessione su di sè, il lavoro necessario per non procedere senza guida propria, senza cognizione, senza intesa e accordo con la totalità di se stesso. E' soltanto il pensiero, non quello sterile costruito razionalmente, ma quello autenticamente riflessivo, che raccoglie, ascolta e sa vedere ciò che il proprio sentire dice, svolto con pazienza e tenacia, ispirato e reso fecondo dall'iniziativa interiore, che è capace di trasformare il proprio essere e la propria visione, di alimentare la propria crescita personale, di rendere capaci di generare idee e scoperte di valore originali, profondamente sentite e comprese e non di imitare e assecondare tesi e modelli prevalenti, di rendere salda l'unità col proprio intimo, di essere la leva indispensabile di una nuova e davvero autonoma capacità di decidere e di procedere fedelmente a se stessi. Il sollievo, invocato come il miglior beneficio, viceversa lascia tutto intatto com'era, conferma e rafforza soltanto la disunione, il distacco e la fuga dalla propria interiorità e da ciò che propone, non di certo inopportuno o dannoso.  

sabato 2 settembre 2023

Senza il contributo e la guida dell'inconscio non si va da nessuna parte.

Senza rapporto, aperto e dialogico, con la propria interiorità, senza il contributo e la guida dell'inconscio, non si va da nessuna parte, non si rompe il vincolo di dipendenza da tutto ciò che, organizzato e strutturato nella realtà esterna e concepito nel pensato comune, nei modi consolidati di intendere la realizzazione e la crescita personale, di definire ciò che ha valore e gli scopi da perseguire, offre già pronta ogni risposta e possibile soluzione e nello stesso tempo, però, rende scontati i traguardi da raggiungere e disciplina i percorsi da seguire. Senza unità con il proprio intimo, senza guida interiore non c'è possibilità di affrancarsi da questa dipendenza, di accedere alla conoscenza di se stessi e al vero della propria condizione, di scoprire le proprie originali risorse e potenzialità, di comprendere autonomamente significati e di arrivare alla consapevolezza di ciò che ha davvero valore per sè e che merita di essere coltivato e perseguito, non emulando i modelli comuni, non ricevendo istruzioni e convalida da fuori, ma fondando la conoscenza e la capacità di scelta su propria intima esperienza e su esercizio del proprio sguardo. Solo le scoperte di significato e di valore così generate, non certo in un attimo, ma dentro un prolungato e fitto scambio e ascolto della propria interiorità, sono capaci di dare fondamento e alimento allo sviluppo della propria autonomia, alla conquista della libertà e della capacità di fondare su di sè, su propria ricerca e presa di coscienza, le proprie scelte e prima di tutto il proprio pensiero. Solo l’inconscio sa guidare e sostenere, alimentare una simile crescita di individui veramente autonomi e capaci di condurre la propria vita fedelmente a se stessi. Fare leva e affidamento, come solitamente si fa, in modo unilaterale sulle capacità del pensiero razionale, scisso, non connesso e non orientato dal profondo, comporta rimanere intrappolati, inglobati in una visione a senso unico, significa non avvicinarsi a sè e al vero della propria condizione, significa riprodurre e stare dentro le trame di un pensiero che riconosce solo ciò che è sancito dalle idee e dal concepito comune, che, anche quando si tenti in qualche modo di contrastare o di mettere in discussione, fa sì che in ogni caso ad esso ci si appoggi e ci si riferisca, che si rimanga comunque dentro il suo recinto. La mente razionale, anche quando si crede capace di produrre visione nuova e cambiamenti, non fa che stare dentro e ricombinare idee e attribuzioni di significato assorbite e apprese, di cui è fruitrice dipendente, significati e definizioni date per scontate, prese in prestito e non generate, non tratte e comprese da intima esperienza. La mente razionale e chi ci si affida è tutt'altro che insensibile alla presa dell'esterno e in ciò che elabora ha spesso, se non sempre, di mira che ciò che produce sia ben considerato, che riceva apprezzamento da altri, dall'autorità e dalla giuria esterna. La mente razionale e chi ci si affida è dentro vincoli che non riconosce e che è abile nell'occultare e camuffare, procurando a se stesso l’illusione di pensare e di agire autonomamente. Solo l'inconscio sa liberare da una simile dipendenza, rendendola prima di tutto visibile, riconoscibile, portando sempre e tenendo lo sguardo fermo su se stessi, sulla propria esperienza, aprendo percorsi di ricerca finalmente originali, capaci di non nascondersi nulla, percorsi corrispondenti alla propria realtà e alle proprie vere necessità di crescita. Solo l'inconscio ha capacità di generare, di stimolare, di coinvolgere profondamente e totalmente, se corrisposto, di far appassionare a coltivare e a far nascere da se stessi ciò che altrimenti, come sostituto e surrogato, è fatale cercare fuori dove ci sono, ben considerati e caricati di stima comune e di valore, gli esempi, i modelli e le risposte già pronte da seguire, da fare proprie. Il problema è che queste risposte non hanno attinenza con sè, anzi mettono, ancor prima di scoprirle, in soffitta le proprie vere ragioni d'esistenza, il proprio autentico pensiero, il proprio progetto, accantonati prima di scoprirli, di conoscerli, sommersi. Non è conseguenza di poco peso, perchè significa vivere per ciò e di ciò che non corrisponde a se stessi, confortati solo dall'approvazione esterna, non certo da quella intima, profonda, che tutt'altro, autenticamente proprio, vuole spingere a formare, a sviluppare. Vissuti, stati d’animo, considerati fastidiosi e fuori luogo, che siano ansia, paura e senso di fragilità, sensazione dolorosa di peso e di oppressione interiore, di infelicità o altro, non graditi e giudicati solo un disturbo o un segno di inadeguatezza e di incapacità di sostenere validamente la propria vita, sono in realtà spine nel fianco e richiami che la parte profonda del proprio essere esercita per far sì che si prenda consapevolezza della natura a sé estranea e dipendente del proprio modo di procedere, della sua insostenibilità, che chiede verifica e presa di coscienza, esigenza che l’inconscio vuole abbia la precedenza rispetto all’andare avanti comunque, al non perdere il passo con pretese di riuscita. Se, come troppo spesso accade, anche quando si provi a svolgere un lavoro su se stessi, si rimane confinati e aggrappati alla parte conscia razionale, se le si dà la funzione guida, se in questo modo si permane scissi e amputati nel proprio essere, privi dell'apporto fondamentale di una parte vitale e fondamentale di se stessi come è l'inconscio, ci si destina a prolungare e a rafforzare la dipendenza da ciò che da fuori offre risposte e che, nello stesso tempo, regola e disciplina ogni possibile espressione e sviluppo di sé, a non capire cosa si sta in realtà facendo di se stessi. Se si insiste nel dare primato e egemonia alla mente conscia, si prolunga e si rafforza la non intesa col proprio profondo, si persiste nel non capire i segnali che arrivano dalla propria interiorità, nel non intendere il senso vero e originale di ciò che propone il proprio sentire, di tutto ciò che accade nel corso della propria esperienza e vicenda interiore. La mente conscia pretende di spiegare, di interpretare, di dirla sul conto del sentire e delle vicende interiori, compiendo, senza prenderne consapevolezza e riconoscersene la responsabilità, non poche forzature e distorsioni. La prima distorsione compiuta nel rapporto col proprio sentire, con i propri vissuti è di mettere in campo subito la distinzione e la implicita contrapposizione tra ciò che è ritenuto normale e valido e ciò che in automatico, seguendo giudizio comune, è considerato anomalo, difettoso, segno di disturbo, di cattivo funzionamento, tra ciò che pregiudizialmente è considerato sano, positivo e a sè favorevole e ciò che, sempre in automatico, senza apertura riflessiva, capace di riconoscere ciò che il proprio sentire sta dicendo e mettendo in risalto, è considerato dannoso, negativo, sfavorevole. A partire da qui, da questa distinzione, del tutto arbitraria e preconcetta, sul conto del proprio sentire, si passa in genere, quando alle prese con vissuti difficili e dolorosi, a cercarne le cause, dando per scontato che si tratti di disturbo e di anomalia da combattere e superare, vedendo sempre se stessi come vittime di un che di nocivo, di svantaggioso, di penalizzante. Da qui il tentativo di correggere le cose adottando soluzioni che vorrebbero rendere il cammino non intralciato da ostacoli, spedito e efficiente nella corsa solita. E' una corsa in cui ciò che vale e che è da perseguire è già fissato e è tenuto in piedi e in auge, incoraggiato e avvalorato da idee e da modelli comuni e prevalenti, da tutto un sistema ideologico e organizzato che, casomai pretendendo di essere la voce della scienza, offre tutte le spiegazioni e fornisce  le risposte e soluzioni per tenere a bada e liberarsi di presunte patologie e disturbi, di disagi che andrebbero tolti di mezzo e superati, per rinfilarsi e non perdere terreno su percorsi ben segnati di presunta realizzazione e benessere. Nulla di compreso da sè e in unità con se stessi, in unità con la propria interiorità, su base e fondamento di comprensione di ciò che la propria esperienza dice, testimonia, porta a conoscere come vero. La propria esperienza interiore, che vuole dare basi fondate e vere, non inventate e manipolate, di conoscenza è liquidata e fraintesa, vagliata con filtro di giudizi, di preconcetti che vogliono che tutto giri in un’unica direzione, quella considerata valida e normale, che subordinano ciò che si sente alla pretesa che le sia corrispondente. Intervenire su se stessi in questo modo, a partire e ribadendo uno stato di disunione, di incapacità di rispetto, di ascolto e di comprensione del proprio profondo, comporta rimanere intrappolati in una visione infedele, lontanissima dalla  scoperta del vero di se stessi, significa continuare a farsi condurre da altro, che detta il pensiero, anche se con l'illusione di essere artefici e pensanti in proprio, anche se con l'illusione di aver capito, di aver preso coscienza e di aver cambiato le cose in meglio. Tante psicoterapie, che promettono di offrire rimedio al malessere, di spiegarne le cause, di sbloccare condizioni che parrebbero di intoppo e di ostacolo alle proprie necessità e possibilità di esprimersi al meglio, di perseguire i propri scopi, finiscono, proprio perchè incapaci di dare ascolto e di mettere in primo piano la proposta interiore, di riconoscere la funzione fondamentale, il ruolo guida dell'inconscio, per rendersi funzionali allo scopo di confermare i vincoli e i modi di procedere abituali, di non riconoscerli e di non  intaccarli alla radice, di produrre soltanto pseudo cambiamenti. In assenza di un rapporto col profondo, in presenza di una incomprensione del senso di tutto ciò che si svolge interiormente e che, ben lungi dall’essere un meccanismo che va incontro a guasti, mira sempre in modo acuto e intelligente, anche nelle sue espressioni più difficile e disagevoli, a toccare punti cruciali, a aprire momenti riflessivi per vedere chiaro nel proprio modo di procedere, in ciò che si cerca, nei vincoli e legami che si tengono in piedi, si finisce per stravolgere a proprio danno tutto, per far diventare, in aderenza a stereotipi e a giudizi comuni, segno di anomalia da correggere ciò che una parte, tutt’altro che scriteriata, del proprio essere ha capacità di dire e di dare a se stessi per capirsi. Sono distorsioni gravi, legate a mancanza di legame e di capacità di ascolto e di dialogo con la propria interiorità, sostituiti da ricerca di legame e di intesa con altro, cui è stato dato il compito di essere il fulcro della propria esistenza. La lontananza dalla parte intima e profonda di sè ha nel tempo reso decisivi e forti i vincoli di dipendenza da modelli e da guide esterne, da giudizi altrui e da autorità esterna, vincoli che, pur risultando in alcuni momenti opprimenti e limitanti, non semplicemente si sono subiti e si subiscono, ma, per responsabilità e iniziativa proprie, si sono riprodotti e consolidati per trarne sostegno, per farsi dire e indirizzare, per farsi riconoscere e convalidare come capaci e dotati di valore. Il riferimento e l’appoggio dipendente all’autorità esterna è presente anche quando, per darsi illusorio senso di libertà e di capacità critica, la si contesta, sempre ricacciando tutta la responsabilità su altro, su altri. In simili condizioni, quando non si apra sguardo riflessivo su di sé, sguardo capace di non oscurare nessuna responsabilità propria, di sostenere ricerca e presa di visione attenta e corrispondente in modo fedele ai dati della propria esperienza, come l’inconscio sa spingere e aiutare a fare, ogni elaborazione di pensiero e ogni iniziativa,  volte a affermare la propria libertà e capacità di cambiamento, che lascino intoccata e inesplorata la verità di se stessi, non possono che risultare illusorie. L'inconscio sa dare attraverso il sentire e attraverso tutto ciò che muove sul piano interiore (tutte le espressioni della vita interiore sono animate e regolate dall'inconscio), oltre che attraverso il faro dei sogni, tutte le tracce, le guide, i punti vivi e saldi su cui lavorare per aprire gli occhi su se stessi e sulla propria realtà vera. Senza l'unità dialogica con l'inconscio, senza fare proprio il suo contributo non si può che restare intrappolati dentro una trama di pensieri che, in automatico e irriflessivamente, cioè senza che se ne prenda visione e consapevolezza, riproducono passivamente il senso e il pensato comune e prevalente, che pretendono di dire e di chiarire senza aver cognizione di cosa davvero significhi e dia fondamento a ciò che si sta affermando. Sono percorsi e combinazioni di pensieri, che spesso servono più a eludere o mistificare la conoscenza di se stessi, a formare alibi e spiegazioni di comodo, che a darle cristallina forma. Senza i sogni, autentico laboratorio di pensiero proprio e strettamente aderente al proprio, fonte di conoscenza non inventata o congegnata con i ragionamenti, ma illuminante il vero insito nella propria esperienza, non si esce dal labirinto delle idee solite e ricorrenti, senza fondamento. Senza i sogni, motore e alimento di pensiero riflessivo, che sa vedere dentro il vivo dell'esperienza, non si può che mettere in piedi spiegazioni artificiali e che fanno sempre il verso a schemi, a attribuzioni di significato, a modelli e a idee prese da fuori, prese per buone e riprodotte, spiantate, senza relazione col vivo di se stessi, spiegazioni che paiono coerenti, che danno l'illusione di essere attivi e attori di conoscenza, ma che non hanno radice viva, che non portano certo alla conoscenza di se stessi. Non portano a generare scoperte di significato e di valore capaci di fornire l'orientamento, la bussola per comprendere ciò che davvero è importante per sè e che è possibile far vivere e perseguire, di far nascere persuasione e di accendere dentro di sè passione che rendono capaci di aprire percorsi propri, di perseguire traguardi in cui si crede davvero e autonomamente, senza supporto e convalida di altro e di altri che li declamano e li esaltano come desiderabili e importanti. Separati in casa, scissi e lontani, pur se così vicina, dalla propria componente viva interiore, che è essenziale per formare visione propria, per costruire la propria autonoma visione e pensiero, è fatale che tutto giri attorno all'esterno, a ciò che la cosiddetta realtà esterna dice, mostra, regola e propone. Una cosa è imparare a vedere con i propri occhi, pensare di pensiero proprio e fondato su intima esperienza e presa di coscienza, altra cosa è l'illusione di vedere stando però dentro la matrice di un pensiero e di una visione data e presa in prestito. Non faccio mai citazioni, per non inibire il pensiero originale, per non incoraggiare la tendenza a metterlo in appoggio e al seguito di altro, che rischia di sostituirlo, ma mi viene da ricordare quanto proposto dal film matrix, capace di ritrarre l'illusorietà di vedere da sè, inseriti invece nel circuito chiuso di una visione data. Fallendo la ricerca e la scoperta del vero e la capacità di dare vita e seguito al proprio pensiero originale, come stimolato dall'inconscio, si finirà fatalmente per far persistere la divergenza dal proprio profondo, che non cesserà di premere interiormente e di far sentire il suo disaccordo. E' in gioco il riscatto della propria vita, che se risolta nell'andare dietro passivamente a ciò che preso a guida da fuori la dirige, chiude all'intelligenza propria, alla libertà di mettere al mondo il proprio. Non certo bazzecole. L'inconscio è la parte profonda di noi stessi che difende le ragioni della nostra esistenza, che non vuole restino sepolte e sostituite da pseudo vita, che non accetta l'inconsapevolezza del vero. Di qui il fatto che l'inconscio non desiste dal tenere vivo il problema, anche quando ci si sia convinti di aver provveduto a darsi risposta e rimedio valido. E' la storia frequente delle crisi che nel tempo, pur dopo cure e psicoterapie varie, si ripetono. L'inconscio non cessa certo di sollevare il problema, riapre la crisi e non certo per fare danno. In questi casi si parlerà facilmente di ricadute di malattia, non capendo ormai nulla di ciò che accade nel rapporto con la propria interiorità, cui ancora non si saprà dare riconoscimento di valore, di cui ancora non si comprenderà la funzione guida e essenziale. Senza il contributo e la guida dell'inconscio, senza l'accordo di visione e di intenti con la parte profonda di se stessi, non si va da nessuna parte, si rimane invischiati nel giro di ciò che è considerato normale, che altro non è che un supporto e un programma a pronto uso da seguire e riprodurre per chi abbia rinunciato a far nascere e crescere, in piena unità con la propria interiorità, visione e pensiero propri.