domenica 25 ottobre 2020

Il presunto bene

Il malessere interiore è il terreno del conflitto tra la parte di sè profonda, che vuole spingere a aprire lo sguardo su ciò che si sta facendo di se stessi, sul proprio modo di procedere, a comprenderne il vero senza risparmio e senza omissioni o aggiustamenti di comodo e l'altra parte di sè, quella cosiddetta conscia, che sinora ha dettato la direzione da seguire, che ribadisce il già noto, che serra le fila e che si dispera alla sola idea di uscire dal seminato solito, che di fronte al malessere vuole solo il ritorno alla condizione precedente la crisi, che ripete con intransigenza che non c'è altra vita che si possa concepire che non sia nei confini e nella logica  del già conosciuto, elevato a assoluto, a realtà unica possibile. E' profondamente distorcente la verità dei fatti giudicare come espressione di malattia e di disturbo ciò che accade all'interno del malessere interiore, deducendo dal fatto che è arduo e non piacevole o doloroso che sia espressione di alterazione e motivo di danno. Questo atteggiamento e modo di sentenziare, non certo minoritario, è frutto della arbitrarietà e dell'ottusità di una concezione dell'uomo che vincola l'idea di salute psicologica alla cosiddetta normalità, all'essere conformi nei modi di sentire, di intendere e di procedere agli schemi e ai modelli abituali e prevalenti, consacrati come gli unici validi e a norma, normali appunto. Psicofarmaci, psicoterapie cognitivo comportamentali, solo per fare alcuni esempi, sono risposte e dispositivi pronti a intervenire per tentare di "raddrizzare" lo stato interiore e per far sì che tutto interiormente cessi di recare disturbo e si rimetta a funzionare nel verso di ciò che è considerato normale e efficiente. Grati a simili interventi volti a rimettersi in pista nel modo solito, ci si compiace di aver zittito o piegato la propria interiorità a disciplinarsi, almeno così ci si illude che sia e che perduri, perchè in realtà nulla riesce a piegare e a zittire il profondo, che non cessa e non cesserà mai di interferire, di far valere interiormente la sua iniziativa, di far sentire la sua voce, seppure fraintesa e inascoltata, seppure trattata e bistrattata come guasto, disfunzione e patologia. A fin di presunto bene ci si può fare molto male. Contrastare e trattare come nemica parte di sè che ha tutt'altra intenzione e scopo che di far danno, imbavagliare la voce interiore pensando che sia eccesso e debolezza, irrazionalità da cui proteggersi, senza capire che è guida affidabile per entrare nella scoperta del vero e nella occasione di rigenerare su basi proprie il proprio pensiero e la propria vita, ritrovando piena unità con se se stessi, è la peggior cattiva sorte cui ci si possa destinare. La cura spesso segna e consolida la disunione di se stessi, il ripudio come fosse uno sgorbio del proprio intimo, il rigetto come fosse malata e deleteria di una parte di sè e di una proposta interiore estremamente valida e salutare, capace, se accolta e compresa, se intelligentemente condivisa e saggiamente coltivata, di riportare la propria vita davvero nelle proprie mani. Troppi fraintendimenti e luoghi comuni offuscano lo sguardo e sono pronti a procurare a se stessi, in nome del proprio presunto bene, danni non da poco.

mercoledì 23 settembre 2020

L'inconscio, maestro di vita e di pensiero

Ciò che caratterizza l'esperienza analitica e che la differenzia da tutte le altre esperienze psicoterapeutiche è la funzione guida riconosciuta all'inconscio, cui è dato il compito di indirizzare, di condurre la ricerca. E' una scelta che ha fondamentali e solide ragioni. E' infatti dall'inconscio, dalla parte profonda di se stessi, che origina ed è modulata tutta quanta la propria esperienza interiore. Il malessere interiore nelle sue diverse espressioni origina dal profondo. Non è un guasto, uno stato di alterazione psichica, un disordine, è esperienza voluta, plasmata, per intero regolata dall'inconscio. Non è mai casuale ciò che l'intima esperienza, pur disagevole, pur strana e accidentata, propone. Attraverso le particolarità dell'esperienza interiore l'inconscio dà indicazioni molto precise e pertinenti per cominciare a vedere la propria condizione, per cominciare a capirsi. Smuovendo e caricando di intensità l'esperienza interiore l'inconscio attrae e sposta con forza l'attenzione dell'individuo, solitamente rivolta all'esterno, sul suo stato interiore, sui suoi vissuti, per avvicinarlo su quelle basi e tracce vive alla consapevolezza intima. Per non divergere e per assecondare la richiesta che arriva dal proprio profondo, per cogliere l'opportunità che l'inconscio con tanta decisione sollecita e propone, è necessario porsi in rapporto aperto e disponibile col proprio sentire, non rifuggirlo o contrastarlo, non trattarlo come disturbo, ma come voce, come esperienza da ascoltare, da comprendere. E' assolutamente necessario dotarsi di vera capacità riflessiva (che, lo dico spesso nei miei scritti, non ha nulla a che vedere con il modo corrente di intendere e di svolgere la riflessione come ragionamento, come costruzione di ipotesi e di spiegazioni sul conto di ciò che si prova, della propria esperienza) per raccogliere e riconoscere fedelmente ciò che il proprio sentire dice. Perchè l'inconscio possa spiegare per intero le ragioni e il fine della sua iniziativa, del malessere che sostiene e che muove con tanta incisività, è fondamentale comunque rivolgersi ai sogni. Nei sogni l'inconscio introduce e guida l'individuo in un percorso di riflessione e di ricerca, che gli fa via via  capire (i sogni vanno attentamente e pazientemente analizzati perchè possano dare tutto il loro originale contributo di pensiero) sia le ragioni del malessere, che lo scopo, ciò cui è necessario dare svolgimento e compimento per trovare se stesso, per uscire da una condizione di inconsapevolezza e di alienazione. Parlo di alienazione per dire di una condizione, non importa se ritenuta in genere normale, in cui l'individuo cerca di conformarsi, di soddisfare indicazioni e pretese più esterne che interne a se stesso, in cui, aderendo a qualcosa di altro da sè e prevalente, già modellato e detto, si illude di capire, di pensare autonomamente, in realtà finisce invece, pur inconsapevolmente, per ricalcare idee, per riprodurre definizioni e attribuzioni di significato comuni e convenzionali. Riproducendo e sostenendosi su altro già concepito, ordinato e promosso, l'individuo si illude di scegliere, di dare proprie risposte, di realizzarsi. Si esprime senza rapporto con se stesso, senza aver tratto da sè la conoscenza e le guide necessarie per capirsi, per fondare le sue scelte, per averne chiaro il significato, il motivo vero. L'inconscio vuole rimettere l'individuo piedi a terra e in piedi, vuole prima di tutto ricongiungerlo a se stesso, al suo sentire, all'interiorità con cui non ha rapporto. Solo il suo sentire ascoltato e intimamente compreso, solo il dialogo con la sua interiorità può dargli la base vera e affidabile per capirsi, per conoscersi, per accertare e concordare con se stesso scoperte di significato e di valore, per sfuggire, pur gradualmente, al governo d'altro, che lo orienta e regola. L'inconscio, dentro i sogni,  mostra all'individuo il suo modo di procedere attuale e abituale, cosa sta seguendo e inseguendo, spesso la sua lontananza da se stesso, la sua dipendenza dallo sguardo e dal giudizio esterno, la sua ignoranza di ciò che profondamente gli appartiene, di ciò che potrebbe vedere con i suoi occhi, sulla base e attraverso ciò che sente, che vive interiormente, che invece abitualmente mette tra parentesi o sottovaluta, che al più fa oggetto di commenti e di spiegazioni ragionate e non di rispettoso ascolto. E' l'inconscio e non la parte conscia a volere per l'individuo la sua piena libertà, la sua vera, non illusoria, autonomia, la sua capacità di autodeterminazione. L'inconscio "soffre" qualsiasi tradimento di se stessi e non lo tace. Non tace all'individuo l'ignoranza del proprio, lasciato inerte, incompreso, non cercato e non coltivato. L'inconscio non accetta la passività, l'incuria, la non preoccupazione per la propria reale sorte. Anche un'esistenza di apparente riuscita e normale può essere infatti soddisfacente per il senso comune, ma in realtà fallimentare per sè, tradite le proprie vere e intime ragioni e potenzialità, lasciate incomprese e incolte. Lo scopo della propria vita può essere dunque sviato, disatteso. Non è implicazione da poco. L'inconscio non agita mai le acque per questioni da poco. Lo fa con insistenza, lo fa per tempo, lo fa con l'intenzione e con la capacità, che dentro il percorso analitico si manifesta appieno, di sostenere, di alimentare soprattutto con i sogni, il processo di trasformazione che conduce via via l'individuo a sostituire il posticcio con l'autentico, il preso in prestito con l'originale creato da sè. Purtroppo raramente l'inconscio è capito, anzi il suo agitare interiormente le acque è spesso bollato come disturbo, come danno, come patologia. L'inconscio non desiste, non tace, è la parte profonda, attenta, intelligente di se stessi, che non rinuncia a sollevare i problemi, a tentare di guidare la presa di coscienza, contro la tendenza a permanere nel solito dei propri (illusori) convincimenti, a preoccuparsi più di stare al passo con altro e con altri che di trovare aderenza e accordo con se stessi, a non preoccuparsi di veder davvero chiaro. L'inconscio non tollera i bluff, gli autoinganni, la falsa coscienza, la rinuncia a vedere, ad aprire, costi quel che costi, gli occhi, l'incomprensione del senso vero di ciò che si fa, che si vive. L'inconscio è insopportazione per tutto ciò che è stasi, chiusura, fuga dal proprio sentire, non volontà di confrontarsi con se stessi. L'inconscio è risveglio dell'umano, chiamato prima di tutto alla consapevolezza, alla conoscenza del vero, stimolato a non essere presenza anonima e vana, ma a esistere, a scoprire, a formare e a mettere al mondo il proprio. L'inconscio è un interlocutore certamente impegnativo, persino scomodo, ma affidabile, come lo è l'amico che non manca di dirti il vero, anche se spiacevole, di stimolarti a prendere coscienza, per il tuo bene. L'inconscio è cura assidua e indomita volontà di perseguire il proprio bene, che non è conformarsi, incuranti di sapere, di vedere, ma è aprire gli occhi, trarre da sè l'originale con cui si è venuti al mondo, il potenziale cui si può dare forma e compimento. Nulla è più vitale e nel verso della vita dell'inconscio. Paradossalmente l'inconscio, la vita interiore, ciò che produce, sono spesso ritenuti ostacoli alla vita. E' davvero un paradosso, che sta in piedi solo in virtù di pregiudizi, di ignoranza. Quando si va a scoprire, come dentro una valida esperienza analitica, cos'è davvero l'inconscio, cosa propone, di cosa è capace, ci si può rendere conto di quanta magistrale sapienza e di quanta umanità e volontà d'umano ci sia  nel profondo. Ci si rende conto della distanza che purtroppo separa spesso gli individui dalla scoperta di ciò che, prezioso e enorme, il loro profondo potrebbe dare loro.

sabato 8 agosto 2020

Malessere e lamento

L’impronta prevalente del discorso sulla propria condizione di chi si confronta col malessere interiore è molto spesso il lamento, è la recriminazione contro ciò che ai suoi occhi fa solo danno. Se è comprensibile che una realtà nuova e non esterna, ma così pervasivamente interna, risulti gravosa e spiacevole, che soprattutto l’incapacità di capire, l’incomprensione del significato e del senso (il suo scopo) dell’esperienza interiore vissuta, mettano a dura prova e possano generare paura e scoramento, allarme e disorientamento, risalta e colpisce però il fatto che nella risposta al malessere interiore non ci sia traccia del sentore di un legame significativo con ciò che, pur difficile e sofferto, vive non fuori, ma nel proprio intimo, di un vincolo da tutelare, da difendere e valorizzare con se stessi, col proprio sentire, con la parte intima e profonda di se stessi. Questa lontananza dal proprio intimo, dal proprio sentire e corso interiore d’esperienza, ha radici lontane. Non è raro infatti che il modo di procedere e di pensarsi abituali comprendano da gran tempo solo operazioni di adattamento e rivolte al fare, accorgimenti per proseguire, commenti e spiegazioni su di sé e sul conto dell’esperienza che si vive, che spesso non cercano e non colgono nulla al di là della superficie e della crosta di senso immediato e comune. Anche quando l'intento di approfondire affida al ragionamento il compito di capire, il suo intervento spesso si risolve e chiude nel combinare in ordine logico significati preconcetti dedotti e messi sopra all'esperienza, oppure si perde nelle nebbie delle sue elucubrazioni, con un lavorio, che nulla ha a che vedere con la vera riflessione (che sa ascoltare e fedelmente raccogliere e riconoscere la proposta originale del sentire). Insomma, il proprio sentire non è stato nel tempo e da gran tempo vero compagno e interlocutore nella propria esperienza. Perciò, quando la parte intima prende il sopravvento e detta sensazioni e esperienze interiori, che con decisione passano il confine del marginale e dell’inascoltato,  dove sono relegate e mantenute dalla cosiddetta coscienza, dalla parte di sè dove l’individuo si rinserra abitualmente e che non ospita nulla del sentire a meno che non le paia conveniente, ecco che la reazione è di isterica paura e rivolta contro l’ospite indesiderato, presto squalificato e maledetto come fosse una disgrazia, un sabotatore, un maledetto nemico. “Voglio tornare come prima” è il grido di rivolta, la petizione di principio, la pretesa che pare sacrosanta, cui tanta offerta di cura, che vuole riparare e sanare, che dell’ascolto aperto del sentire, senza preconcetti, che della verifica approfondita non sa nemmeno concepire il senso, dà conferma e manforte. Non è compreso minimamente, questa sì è la vera anomalia, che trattare così, come disturbo, l’esperienza interiore, pur difficile e sofferta, sia un tirare calci, uno sparare contro se stessi, un demolire ciò che vuole aiutare e spingere a ritrovarsi, a riflettere, a guardare allo specchio il modo di pensare e di procedere abituali, a colmare la frattura che divide da se stessi, a mettere in piedi ciò che è essenziale: dialogo approfondito e accordo con se stessi, con la propria interiorità. Per capire, per trovare risposte e guide necessarie, per non essere più scissi da sé e semplicemente adesi ad altro, trainati da altro per imitazione, per senso del gregge (la cosiddetta normalità, ciò che sembra dover appartenere a tutti), per dipendenza dall’altrui giudizio, consenso, approvazione, serve un cambiamento personale profondo, di cui il malessere interiore è il primo atto, voluto dall'inconscio, come segnale chiaro e non sopprimibile, come potente richiamo a prendersi cura di se stessi. E’ un prendersi cura, non per ricacciarsi nel solito, casomai con più testardaggine, (casomai con qualche aggiustamento, spiegazione e apparente presa di coscienza, che non mutano la sostanza del modo consueto di pensare e di procedere, che viceversa la riconfermano), ma per cominciare a prendersi sul serio, a vedere chiaramente come si procede e lo stato del rapporto con se stessi, per cominciare a cercare finalmente vicinanza e ascolto del proprio intimo, della parte più vera e meno alienata di se stessi. E' un prendersi cura che potrebbe valersi dell'aiuto di chi sappia sostenere l'intento di andare verso se stessi e favorire lo sviluppo della capacità riflessiva, della capacità di incontro e di dialogo col proprio profondo. La crisi, il malessere vorrebbero nelle intenzioni dell'inconscio essere il primo atto, l’inizio di un impegno di ricerca per diventare se stessi, per calarsi finalmente nel proprio essere, per trovare il proprio sguardo, per cucire quella relazione stretta e salda tra sentire e pensare, che sola può garantire capacità di orientarsi e di capire, passione e volontà unite. Se non si comprende questo, persisterà il lamento e la lotta contro se stessi, la pretesa di mettere a tacere, di eliminare o di correggere e modificare ciò che interiormente, pur difficile o doloroso, non si sa rispettare, ascoltare e capire. In definitiva, casomai sotto forma di cura, si affermerà la spinta, tutt'altro che geniale e favorevole, a privarsi della vicinanza e del contributo originale e prezioso della propria interiorità, pur di essere normali e (più o meno) come prima.

venerdì 7 agosto 2020

Lo scambio

Lo chiamerei misero scambio. E’ ciò che avviene quando si affida allo sguardo e al giudizio altrui il compito di stabilire ciò che di sé vale, che può considerarsi degno e all’altezza, perlomeno accettabile. Segnalarsi agli occhi degli altri, distinguersi, farsi apprezzare e comunque ottenere il beneficio del consenso o patire sensazioni di inadeguatezza e di non conformità, temendo censure e declassamenti, figuracce o senso di inferiorità, è ciò che vincola molti individui agli altri, allo sguardo e al giudizio altrui e comune. Soprattutto è ciò che fa sì che sfuggano di mano e abbiano misera sorte il compito e la funzione, che sono prerogativa e responsabilità di ognuno, di far crescere, per davvero e su proprie basi, se stessi, di conoscersi e di capirsi prima di tutto, di scoprire dentro sè, per intima comprensione e verifica, ciò che vale, di trovar forza e persuasione di legittimarlo e passione di farlo vivere. Misera sorte e qualunque subisce questa fondamentale istanza, fondamento e cifra della autonomia personale, della capacità di pensare in proprio e di disporre di sè e del proprio destino in modo indipendente, quando risolta e scambiata col farsi indirizzare, sostenere e disciplinare dal senso comune, dallo sguardo e dal giudicare  altrui. Se forte è la tentazione di farsi condurre e di procedere in appoggio a modelli e a aspettative dominanti, se forte e seducente è la spinta a segnalare i propri meriti alla giuria del senso comune, assecondandone i gusti e gli inviti, se rassicurante è muoversi all'unisono con l'idea prevalente di ciò che è desiderabile, meritorio, sinonimo di crescita e di autorealizzazione, calcando percorsi segnati come fan tutti, camuffando il tutto con l'idea (con l'illusione) di compiere le proprie scelte e di affermare le proprie capacità, se il tutto rappresenta una comoda scorciatoia rispetto allo stare sulle proprie gambe e al tenere su di sè l'impegno, la fatica anche, della ricerca di risposte e di sviluppi propri, ciò che si va a ottenere è un surrogato, il surrogato di ciò che da sè con pazienza e con tenacia, casomai con tempi più lunghi, ci si preclude di comprendere, di formare, di coltivare e di far vivere. Basta farsi dare buona considerazione, recitando bene la parte, mostrando di possedere cose, titoli e di aver fatto esperienze considerate distinte e accreditanti, per persuadersi di essere sulla buona strada o di essere arrivati a qualcosa. Farsi regolare e dirigere dall‘esterno, farsi premiare e dire da senso comune e da giudizio altrui è modo passivo e a buon mercato di risolvere la questione del capire da sé cosa ha valore e perché, di affrontare il nodo cruciale del proprio realizzare e realizzarsi, che richiederebbe ben altro impegno, che in cambio avrebbe tutt’altro peso e spessore, se affidato alle proprie forze e alla propria ricerca, tutt‘altra libertà di definirsi, tutt'altra capacità di dare esiti e sviluppi originali e significativi. Se passivi, si finisce per star dentro piste e corsie segnate, per attenersi a codice di comportamento dato, per far proprie le scelte e i traguardi già stabiliti. Misero scambio, baratto perdente, che chiude alla scoperta e alla costruzione di autonomia vera, quello che spesso si compie, senza dargli peso, senza consapevolezza della rilevanza del problema. Una pacca sulla spalla, un plauso e il conforto d’essere nel normale (conformi a ciò che la maggioranza pare pensi e prediliga), finiscono per soddisfare e riempire, per procurare rassicurazione e illusione, invece e in sostituzione  di crescita sostanziosa e fedele a se stessi, convinta e convincente sè. Per fortuna, anche se i molti che vogliono solo la continuità del solito questa fortuna non la sanno riconoscere, c'è una parte di se stessi, quella profonda, che non è cieca, che è ben vigile e sveglia, che riconosce il problema come cruciale e che perciò anima e scuote la scena interiore. Il malessere prende vita da queste questioni fondamentali, è il pungolo a prendere visione dello stato delle cose, a non starsene quieti come se tutto andasse per il verso giusto. E' in gioco la propria autorealizzazione, il portare o meno a compimento il proprio progetto, che rischiano di naufragare, sostituiti dal passivo dare seguito e copia a qualcosa di già concepito e non al proprio per cui si è nati e di cui si ha potenzialità di realizzazione. Se una parte del proprio essere, che si crede grande e capace di chissà che con i suoi attrezzi di pensiero ragionato e di volontà,  dorme (pur agendo) e equivoca (pur dandosi la parvenza di chiarire le cose), non vuol vedere il vero della propria condizione e del proprio incompiuto, c'è una parte, che ha per protagonista l'inconscio, che, sapendo aprire gli occhi e vedere, non dà tregua, che interferisce, che intralcia il procedere, che l'azzoppa, che ad esempio con l'ansia, se serve con gli attacchi di panico, che presto qualcuno giudicherà eventi e manifestazioni patologiche e senza ragione, cercherà di interrompere la corsa solita e la spinta verso l'esterno, per dirigere tutta l'attenzione all'interno e lo sguardo su se stessi, che farà sentire, toccare con mano nel vissuto, la fragilità e inattendibilità di ciò che si sta portando avanti, che lo farà sentire precario e in pericolo, che farà sentire la estrema debolezza del proprio assetto personale, perchè costruito su disunione del proprio essere, su lontananza da sè,  dal proprio intimo, su modi e svolgimenti privi di unità e di coerenza col proprio profondo. L'interiorità non mente, vuole che emerga il vero, che finalmente lo sguardo si renda capace di vedere la propria condizione e di cominciare a intendere che si è ben lontani dalla propria vera realizzazione, che il castello messo su e strenuamente difeso è di carta. Se, altro esempio di ciò che l'inconscio può muovere e provocare sulla scena interiore, cade la fiducia sotto i tacchi, se si fa valere interiormente un senso di inutilità, di scoramento senza limiti, la perdita di stima verso se stessi, la mancanza di slancio e di desiderio verso tutto il conosciuto e abituale, non è per patologico sentire, ma per cominciare a vedere chiaro e senza autoinganni il vuoto di ciò che si è inseguito e tentato di afferrare e di sostenere, prendendolo in prestito da altro e prendendo in prestito la persuasione che valesse, con un nulla di compreso, concepito e formato davvero da sè, da propria ricerca e scoperta. Le scorciatoie finiscono per rivelarsi tali. Anche se l'individuo e chi gli sta attorno insisteranno nel dire che non c'è motivo al lasciarsi andare allo sconforto, perchè c'è già tutto ciò che serve e di cui essere soddisfatto, una parte di sè, non certo cinica o distruttiva, non certo stupida o malata, continuerà pervicacemente a far sentire il vuoto e lo svuoto. Il vuoto che smonta le illusioni e su cui potrebbe invece nascere finalmente il proposito di costruire, generato da sè, convalidato da propria lucida consapevolezza e non preso in prestito e per buono da idee e da convincimenti comuni, qualcosa che abbia un fondamento, che abbia la propria impronta..

giovedì 16 luglio 2020

La dipendenza: la vita presa in prestito e le illusioni dure a morire

E' conquista decisiva, non certo facile e frequente, affrancarsi dalla dipendenza da autorità esterna, che premia la riuscita e che rimarca le insufficienze (che dentro la sua logica giudica tali), che dà supporto e guida, offrendo subito le traiettorie da seguire, colmando prontamente il vuoto di ricerca propria, garantendo l'assistenza necessaria, il sostegno corale e le convalide per  tenere su la persuasione che le scelte fatte valgono, che le realizzazioni compiute o in compimento sono vere conquiste personali e proprie e non semplici attestati di merito e trofei da mettere in bacheca o più modeste, ma rassicuranti, conferme di normalità. Generosa e prodiga di consiglio è questa autorità esterna del senso comune, del già conformato e organizzato, ma nel contempo tiene chi le si affidi, non certo pochi (è la cosiddetta normalità), in stato di perenne illusione e dipendenza, esonerando sì dalla fatica, ma anche dalla libertà di aprire il proprio sguardo, di cercare il vero, di concepire da sè, di trovare nell'intimo e nel dialogo con la propria interiorità i propri perchè e la comprensione dei significati, senza suggeritori, la scoperta di ciò che vale, di ciò che si vuole far vivere e crescere, senza plausi e approvazioni, ma con ferma e fondata in se stessi convinzione, con passione sincera. Affrancarsi dalla dipendenza da altro, esterno a sè, che dà risposte e guide circa i modi per realizzarsi, da autorità esterna che si fa garante di tutto, è possibile, ma richiede impegno di fatica e volontà di non breve respiro di investire su di sè, di generare e di mettere al mondo pensiero e progettualità propri, concepiti e tratti da sè,  dall'ascolto e dal dialogo con la propria interiorità (che ha capacità di guidare la ricerca  attraverso il sentire e magistralmente con i sogni) e non modellati e sorretti da altro e da fuori. La persuasione che il preso in prestito e garantito da altro sia cosa valida e creatura propria è illusione che non cede facilmente alla verifica. Illusioni dure a morire, ma non impossibili da smontare per chi voglia sul serio conquistare autonomia vera, libertà di essere e di pensare. Non è questione irrilevante questa della confisca della propria vita in un legame di dipendenza da altro che la plasma e l'indirizza e come tale non è trattata dal profondo dell'individuo, da quella parte dell'essere, che seppure disconosciuta o tenuta in subordine, movimenta e governa il quadro interiore, il sentire, le emozioni, gli stati d'animo, il succederrsi degli svolgimenti interiori. Se all'individuo nella sua parte conscia e razionale tutto appare valido e convincente, se la questione del farsi portare e del plasmare pensieri e aspettative sul nucleo del modo comune e prevalente di intendere sfugge più o meno volutamente alla sua comprensione, se in lui l'equivoco di essere artefice pur assumendo una parte già segnata, pur rimasticando un pensiero nei suoi fondamenti e limiti già definito e forgiato,  non ha risalto, alla sua componente profonda non sfugge il vero. Se nel profondo di ogni individuo è fortemente sentito e insopprimibile  il vincolo a dare forma al proprio pensiero per non sacrificare e  per non tradire ciò che si ha potenzialità di far vivere e di realizzare, se normalizzare la propria vita, accasandola dentro forme già date e consuete, pur con qualche margine di stravaganza o di interpretazione ribelle o in apparenza innovativa, ma sempre agendo su pezzi di composizione, su grammatica di pensiero comunque già pronti e usuali, finisce per essere una trappola che ottunde la consapevolezza e che copre il vero di ciò che l'individuo sta facendo di se stesso, che lo chiude alla scoperta del senso della sua vita, non stupisce se la crisi, se il malessere interiore  nelle sue diverse forme prendono piede e  il sopravvento. La risposta alla crisi, mossa intenzionalmente e a ragion veduta dalla parte profonda, spesso e volentieri permane però rigida e ottusa, il malessere è giudicato con estrema frequenza un disturbo, un intralcio, una disfunzione, avendo di mira come interesse e scopo di far funzionare quel modo di procedere abituale, mai fatto oggetto di verifica e di riflessione attenta per capire cos'è e su cosa si regge. Dipendere da altro da sè, che conduce e dà implicite le risposte, aderire a tutto ciò che instrada la ricerca, che dice cosa fare per crescere, per realizzarsi, per formare e per ampliare la conoscenza, per stare bene, per essere felici e per considerarsi compiuti, conduce a smarrire la propria strada, induce a cancellare le tracce di ciò che interiormente spinge, pungola e richiama con vigore e con insistenza a  farla trovare, induce a travisare, a interpretare ogni sensazione e stato d'animo discordante col quieto o efficiente procedere, come difetto, come insufficienza, come cattivo funzionamento. C'è un contrasto, un conflitto interno all'individuo tra parte conscia e parte profonda, che nasce da una diversa visione di ciò che è di vitale importanza, c'è un conflitto  sul modo di interpretare la propria vita, una tutta aderente a un illuso senso di autorealizzazione stando in appoggio e replicando vita presa in prestito da modelli e da modalità comuni e prevalenti e l'altra che reclama la presa di coscienza del vero stato delle cose per invertire la tendenza, per scoprire il proprio senso della vita e per tradurlo in essere su basi di concezione e di pensiero originali e proprie. La dipendenza da altro, che riempie e che dà forma e contenuto all'esistenza, che l'orienta e plasma, che sostituisce come patrimonio vitale e contenuto ciò che da sè non si è saputo scoprire, generare e far vivere dentro se stessi è questione rilevante e centrale. Non c'è solo la dipendenza nelle forme conclamate dell'uso di sostanze per allontanare l'esperienza interiore a cui si è estranei e che se dolorosa o in apparenza (solo in apparenza) vuota, fa preferire cancellarla o rimodellarla e sostituirla con artifici e droghe a piacimento, non c'è solo la dipendenza da tutto ciò che sostituisce creazione propria con soluzioni e prodotti da usare e consumare, che siano lo stare attaccati a un'altra persona o a altri o utilizzare ogni diversivo possibile  per non entrare in contatto con se stessi, anche usando diversivi di reputazione nobile come letture o altro culturalmente considerato degno o degnissimo. La dipendenza da altro che rimpiazza l'incontro col proprio autentico e genuino, col proprio intimo sentire come luogo e occasione di avvicinamento a se stessi, di ascolto e di dialogo con la propria interiorità, di scoperta viva di verità e di significati con i propri occhi, la dipendenza da altro che sostituisce tutto ciò che, scaturito e improntato da sè potrebbe prendere forma e vita, se ben coltivato e alimentato con pazienza e cura, è questione fondamentale e non di certo riguardante pochi. L'illusione che l'andamento abituale sia valido e addirittura segno della propria capacità di condurre efficacemente la propria vita, quando invece tutto si svolge su basi altre da se stessi e tenute su da suffragio di modelli e di consenso comune, è dura a morire. Il profondo, l'inconscio ci prova con insistenza a logorare e a smontare simili illusioni per liberare l'individuo dalla dipendenza che lo tiene stretto e prima di tutto dalla falsa coscienza che la cementa. A volte i suoi richiami sono ascoltati e allora la riscoperta della vita e dei suoi significati apre all'individuo strade nuove e inaspettate.

domenica 10 maggio 2020

Un confronto impari

Il confronto che si svolge all'interno dell'individuo tra la sua parte conscia e il suo profondo è impari, a prima vista a tutto vantaggio e in gloria della parte conscia. Sotto il profilo della forza quest'ultima ce la mette tutta per affermare il suo predominio, spesso con arroganza, con la pretesa di sapere, di farsi arbitro e giudice di cosa nelle espressioni della vita interiore sia ammissibile, sensato, valido e cosa no. Dalla sua e a suo sostegno c'è la grancassa delle idee comuni e dei comuni preconcetti, trattati come verità inconfutabili. A suo conforto pure le opinioni degli esperti che, catalogando come anomalo questo e quello e dandogli patente di malattia, di disturbo da correggere e sanare, non fanno che rinsaldare la presunzione della parte dell'individuo, che si considera certa del suo primato e del suo giudizio, che riduce le espressioni della vita interiore a segnali di cattivo funzionamento quando scomode e discordanti con le sue attese di stabilità e di quieto vivere, che imporrebbero all'interiorità di non disturbare mai il manovratore, di assecondarlo e basta. Ridotta, nella considerazione che ha di lei la parte conscia, a appendice, che non deve dare disturbo, la componente interiore è del tutto incompresa nella sua dignità, nel suo valore, nell'intelligenza che la guida e di cui dispone, che nulla ha da invidiare a quella della parte conscia, capace spesso solo di ripetere cose mai verificate, mai autonomamente concepite e comprese alla radice, illusa che quello sia capire e conoscere. L'inconscio non è però debole e remissivo, non si lascia nè scoraggiare o intimidire, nè disarmare e persiste, per fortuna, nel suo intento. L'inconscio è la parte dell'individuo che non è svagata, che non è miope, che non fa suo l'intento di far quadrare le cose per mettere tutto a posto, di spiegare col paraocchi, in riga con idee e riferimenti già pronti e di comune uso, è la parte che viceversa vuole il risveglio dell'intelligenza vera, quella che sa cercare e riconoscere senza risparmio e senza paura i significati veri. La pretesa che ha l'inconscio è di aprire gli occhi, di mettere in risalto e in crisi un modo di pensare e di trattare l'esperienza incurante di capire, di conoscere davvero se stessi, paghi di spiegazioni e di argomentazioni in apparenza coerenti, che alimentano l'illusione e di pensare lucidamente, in realtà più spesso blindando coi ragionamenti ciò che fa comodo pensare che aprendo alla ricerca del vero anche se scomodo, e di pensare in proprio, in realtà poggiando e andando dietro a senso e a grammatica comuni. L'intento dell'inconscio è di stimolare e di aprire la strada allo sviluppo di un pensiero autonomo e intelligente, capace di rispecchiare fedelmente i significati intimi dell'esperienza. C'è un divario tra l'atteggiamento della componente conscia, che presume di sapere e di avere chiari scopi e interessi cui tenere dietro e ciò che invece anima l'inconscio e di cui è capace. Qui, sul terreno dell'intelligenza e della spinta a cercare il vero, il confronto è impari e non certo a sfavore della parte profonda. L'intelligenza dell'inconscio lo rende resistente a qualsiasi tentativo di metterlo in soggezione e in inferiorità, di considerarlo parte non lucida e irrazionale, che, come tale nel pregiudizio spesso presente nell'individuo, non sarebbe affidabile, da tenere a bada, capace, quando mette in campo nel sentire, negli stati d'animo, nelle emozioni, risposte e iniziative non rispondenti alle aspettative, solo di creare ritardi e ostacoli, inefficienze e disfunzioni sulla via e nel procedere che l'individuo nella sua parte conscia ostinatamente crede essere sano e proficuo, da proseguire senza discussione e senza indugi. L'inconscio non sottosta alle pressioni e alle attese della parte conscia, ma smuove e plasma la vicenda interiore, il susseguirsi dei vissuti, degli stati interiori con assoluta autonomia e non certo in modo casuale o insensato, ma finalizzato a far emergere il vero, così come non cede alle illusioni, ai giri e ai raggiri in cui cade la parte conscia, che, illusa di capire, con le sue costruzioni di ragionamento fa il verso a idee prese in prestito, rimastica cose già dette, ricombina tutto per mettersi al riparo da turbamenti nel suo credo solito, per stare ben in fila, in riga e al passo con ciò che è considerato comunemente reale, valido e normale. Quella della parte conscia è spesso una modalità di operare e di pensare che, paga della coerenza formale dei suoi ragionamenti, trascura di prendere visione riflessiva di ciò che fa, di come lo fa e a che scopo, tenendosi perciò al di qua della comprensione delle implicazioni e dei significati veri, di cui dicevo, dell'esperienza in cui è coinvolta e di cui è attrice. L'inconscio non ignora il costo, la distorsione cui va incontro un'esistenza che non riscatta l'intelligenza di veder chiaro, di comprendere su quali basi e come ci si sta muovendo. Passivi e inclini per abitudine e per educazione a istruirsi, a farsi dire, a prendere lezioni e soluzioni dall'esterno, a stare ben in corsa con gli andamenti stabiliti, a far coincidere la realizzazione di se stessi con i modi e le tappe da seguire come fan tutti, disconoscendo di se stessi tutto ciò che non è allineato a queste pretese, impegnati a fare il verso, a stare dietro ai temi alla ribalta e dai più considerati, pensando che quella sia la realtà unica e la vita, le questioni cruciali e imprescindibili, le cose da sapere, si ha però nell'intimo...si ha dentro se stessi una voce che dissona, si ha nel profondo una fibra forte e irriducibile di coraggio e di intelligenza che reclamano, costi quel che costi, di veder chiaro, di riprendersi la facoltà di vedere con i propri occhi, di porre al centro dell'attenzione e di capire cosa sta succedendo nella propria vita, cosa si sta facendo di se stessi, di vedere con chiarezza e in piena sintonia con se stessi cosa ha valore e perchè, di arrivarci prendendosi il tempo e il respiro necessari, coinvolgendo appieno se stessi e smettendo di preoccuparsi di stare ben in fila e al passo con i movimenti del gregge, dell'insieme. Il malessere interiore, in genere letto come espressione di un cattivo stato, vuoi per guasto interno o malattia, vuoi per conseguenza di malaugurate cause, di circostanze e di condizionamenti esterni sfavorevoli, è viceversa l'espressione dell'incalzare dell'iniziativa dell'inconscio che vuole condurre l'individuo alla presa di visione del vero della sua condizione e del suo modo di procedere, all'apertura di una stagione di cambiamento non di situazioni esterne ma prima di tutto interne, per cessare di essere altro da se stesso e da ciò che può generare, che dal profondo di se stesso è chiamato a coltivare e a generare. L'inconscio, che apre la crisi, attraverso ciò che sa far avvicinare, toccare con mano e comprendere nel sentire e guidare a conoscere nei sogni, è capace di dare, se compreso nel suo linguaggio e condiviso nei suoi propositi e proposte, un contributo formidabile al cambiamento, una guida essenziale per lo sviluppo del proprio pensiero, autonomo e fondato, un alimento insostituibile per il proprio arricchimento e completamento di individui, altrimenti dipendenti, nel tentativo di portare a sè ciò di cui si manca e che non si è scoperto e sviluppato dentro se stessi, da soluzioni e da surrogati esterni. L'inconscio è animo e intelligenza di qualità, di tempra e di statura umana, è senso dell'individualità che non va sprecata, perchè si riscopra la passione di portare alla luce il proprio, di arricchire la vita di contributo originale, perchè non si sia paghi di essere copia di ciò che è di generale apprezzamento, persuasi di persuasioni comuni e basta.

domenica 19 aprile 2020

"Depressione" e ricerca del filo interno

Cercare il filo, il nostro filo interno di scoperta del senso di ciò che si muove in noi e che nell'intimo ci accade, il filo di un discorso, il nostro, non inventato, non forzato e non manipolato per stare dentro quello comune e ritenuto ovvio...il filo che sottende i nostri passi, anche quelli più dolorosi e ardui. Questo e non altro la sofferta esperienza intima cerca e insegue, spesso incompresa. Intesa e trattata come malattia, come anomalo precipitare e oscurarsi di sana fiducia e di voglia di vivere, equiparata a tante altre descritte e incasellate come depressione nei trattati di patologia, ridotta a biochimica alterata, da riparare come un meccanismo guasto, vissuta come minaccia oscura da combattere senza discussione, per riportare tutto al consueto, un'esperienza interiore così unica, così intima e pervasiva, non trova ascolto, non è riconosciuta in ciò che vuole in modo così toccante, anche se doloroso e crudo, dire. Sembra soltanto uno sfacelo, un venir meno insano, distruttivo e minaccioso, ma... se fa il vuoto, se scava, se scolora e rende indifferente il mondo, se mutila il sentire, se non gli permette se non di testimoniare una mancanza e un'impotenza, un senso di inutilità e di fallimento, una pena infinita, è per far riconoscere  di ogni altra cosa, che non sia il ritrovamento del proprio filo, l'assenza di valore e l'impraticabilità. Se la propria interiorità costringe a mettersi allo specchio e mostra di se stessi, pur dolorosamente, l'inconsistenza e il vuoto, non è per insane disistima e assenza di calore, ma per fondata pretesa di "essere" e non di sembrare, di generare il proprio, senza più prese in giro, senza più compromessi perdenti, cercando e coltivando ciò che abbia dentro se stessi radice e fondamento vero, che non stia su solo per sostegno, per conferma e per approvazione esterni. Quanto del modo di procedere abituale e precedente le fasi di più acuto malessere e sofferenza, quelle di cui chi è interiormente sofferente è nostalgico e che vorrebbe ricreare, era in realtà così valido e saldo? Che vita era quella che oggi pare svanire? Quanto c’era di sfilacciato nella consapevolezza di se stesso, di disunito nel rapporto tra ciò che l'individuo si rappresentava e si proponeva e ciò che sentiva, quanto c'era di affidato solo a guida e a supporti esterni? Quanto c’era e quanto invece radicalmente mancava di ricerca di un filo interno, che unisse, che facesse vedere la continuità e il senso nella propria personale esperienza? Quanto a fine giornata si poteva dire d’aver raccolto, compreso o generato e quanto invece, casomai evitando di pensarci, volgendo lo sguardo sempre altrove, c’era di inutile, di banale, di impersonale, di raffazzonato, di valido solo per tirar avanti con espedienti, per inerzia? Il problema pareva non porsi e non esistere...e però è venuto il giorno in cui un’interiorità, non certo debole o malata, ha cominciato a rendere più acutamente sensibile e vistosa la questione dell’assenza...di un filo, di un costrutto proprio e allora è arrivato il tempo della consapevolezza, dolorosa e senza sconti e su queste basi il filo vero, non più illusorio, non più inventato, ha cominciato in realtà ad essere tracciato. Cercare il filo, il proprio filo interno... nulla è mostruoso, nulla è abnorme nell'intimo sentire, purchè non lo si squalifichi perchè doloroso, purchè non gli si contrapponga come regola una normalità cui aderire, purchè non gli si chieda soltanto di sparire...per far posto a che? A gioia fittizia, a calcolo e a compiacimento per qualcosa, che simile a quello che hanno tutti, potrebbe pur bastare?  L'impegno di cercarsi sul sentiero accidentato, di accettare di costruire finalmente e non di rivendicare, di ritrovare il proprio filo e di tesserlo con onestà e pazienza per farne tessuto vitale e di pensiero nuovo, proprio e resistente, che non svanisca...per una vita, la propria vita, che non sia riempita d'altro, ma finalmente del proprio...questo sì e con l’aiuto giusto è possibile e è risposta consona all'intimo sentire, a ciò che dice e chiede...e se lo si vuole chiamare cura e processo di guarigione lo si faccia pure...finalmente queste parole avranno senso e contenuto seri.

lunedì 13 aprile 2020

Cosa vive dentro di noi

Come potrebbe esserci tregua dove tutto, al di là delle apparenze, è irrisolto, dove la forma di vita cui si è attaccati è solo illusoriamente propria?  Paghiamo pegno a una parte di noi stessi, che insopprimibile ci è radicata dentro, intima e profonda, il cui "difetto" è di veder chiaro e di spingere tutto l'essere a vedere chiaro, bucando le illusioni, una parte che non collabora a chiudere il cerchio dell'inconsapevolezza. Se rischia di andare persa la comprensione del senso della nostra vita, prima di tutto la chiara visione di come procediamo, senza omissioni, oscuramenti e  travisamenti di comodo, se in cambio di avere una identità e un senso di valore e di scopo presi in prestito e sostenuti da idee, da modelli e sguardo comuni, c'è la rinuncia a trovare noi stessi, a formare una visione nostra, a coltivare e a concepire idee e progetto autonomi, la parte profonda di noi stessi non tace, non rimane inerte. E' una parte che è instancabile fautrice e anima del nostro essere individui veri e originali, dotati di intelligenza, non al seguito e ammaestrata, non raffazzonata e truccata per comodo, ma libera e esigente di sguardo proprio, di visione chiara e approfondita, senza equivoci e autoinganni. Non è al traino di nessun luogo comune, non cede all'illusione e alla voglia di considerare tutto composto e risolto, ma ha a cuore il vero senza sconti, la costruzione non fittizia, ma ben fondata e salda, di un proprio modo di intendere le cose, di far vivere con la personale impronta un'esistenza che non sia paga di essere sistemata in qualche casella già pronta, che non sia giustificata da nebbia di idee preconcette e arrangiate razionalmente, tenuta su e consolidata da principi incompresi e da pregiudizi. Ha i mezzi, del tutto inaspettati per chi, la maggiornza, non ha neppure sentore di ciò che sa generare e promuovere, per condurci a sviluppare pensiero vivo, nuovo, assolutamente veritiero, capace di farci uscire dal solito giro di pensieri spiantati, siano essi semplici o sofisticati. L'inconscio sa fare questo, sia attraverso il sentire, le emozioni e gli stati d'animo, che indirizza e plasma, sia attraverso i sogni, autentici capolavori di acume, di intelligenza. E' una presenza, che portiamo e che vive dentro di noi, che, non acquiescente o di conforto all'andazzo corrente,  spesso non convalida i pensieri d'abitudine e coniati dal ragionamento, perchè chiusi al vero, perchè spiantati, che complica la vita, ma per riaprire la consapevolezza, per indirizzarla sui punti davvero cruciali, da riconoscere e su cui lavorare. Con i sogni l'inconscio  ci offre il meglio del suo pensiero, che, se fedelmente inteso e fatto nostro, libera davvero la nostra mente, la rende finalmente capace di comprendere. E' comunque, proprio perchè va a sbattere contro la tendenza della nostra parte conscia a voler tutto stabile nella forma già conosciuta e senza intoppi, una presenza scomoda quella che nell'intimo e profondo portiamo dentro di noi e che non ci dà tregua. Possiamo cercare di ignorarla, di tenerla ai margini, possiamo con arbitrio e sufficienza svalutarla, salvo temerla inorriditi quando nell'intimo  batte duro e non dà tregua,  possiamo giudicarla e fraintenderla, provare a  zittirla, a tenerla lontana evadendo da ciò che, spiacevole e arduo, interiormente ci propone, possiamo tentare col supporto di luoghi comuni e di esperti di scienza, che si pretende tale, svuotare le sue proposte e invalidarle come non conformi e devianti da ciò che si considera sano e normale, possiamo travisarle, non comprendendone affatto l'intento originale e il senso, come segni di anomalia, come difettosi modi o disfunzionali, ma la parte profonda di noi stessi non cede e non recede. Le crisi interiormente si aprono e non chiedono permesso, le cosiddette ricadute, così definite da ottusi preconcetti, si susseguono, perchè la parte profonda non rinuncia, non si fa mettere in riga, perchè prova con insistenza a smuovere, perchè non accetta di essere soppressa. Se ben intesa ci ridarebbe il senso delle cose, la visione nitida e non truccata, non drogata da luoghi comuni, da ipotesi che ci mettono quieti e ben allineati. Risponderle e corrisponderle è, rispetto al comune e abituale modo di procedere e di intendere la vita, l'impresa più impegnativa e audace e nello stesso tempo per nulla oltre il possibile, perchè a misura dell'umano che vive in noi, capace di ridarci il seme dell'intelligenza, lo spirito critico che a nulla cede e da nulla si fa rimbambire, di restituirci spessore e statura di individui veri e originali in accordo, non con il comune e solito, applaudito e conveniente, ma con il progetto e la spinta a generare con cui  siamo venuti al mondo. La parte profonda di noi stessi è la nostra natura e il nostro potenziale più alto.

domenica 12 aprile 2020

Il tuo sentire

Vivi un'esperienza di forte disagio interiore e presto dai per scontato che ti sia nemica, che possa solo farti danno. Accade così che ti rapporti al tuo sentire come a una cosa estranea, a un oggetto da controllare, da mettere a tacere come se fosse un meccanismo malfunzionante, un "sintomo" strano, che forse vorresti catalogato e etichettato (le cosiddette diagnosi), eventualmente spiegato dal di fuori con qualche ragionamento, sicuramente debellato in fretta. Cerchi qua e là qualche accorgimento o stratagemma per riuscire a smontare, a liquidare il tuo sentire in ciò che di disagevole ti propone. Se il tuo sentire, che ti accompagna in ogni istante, ansie, tormenti e cadute di umore compresi e non esclusi, lo sapessi far tuo, se lo intendessi come parte di te preziosa e irrinunciabile, come cuore della tua esperienza, come tuo modo vivo di fare esperienza, di percepire, di addentrarti, di prendere rapporto vivo con verità che ti riguarda, come toccando con mano, come camminando a piedi nudi e "sentendo" il terreno, come esponendo la pelle al contatto...ecco che non potresti certo rifiutarti a nulla, nemmeno al dolore, a esperienza sofferta o nell'apparenza strana, perché la ricerca della verità, perché la conoscenza di te stesso, che voglia essere aperta e senza veli, non tollera che ci siano preclusioni, non può sottostare alla regola, alla precondizione che tutto sia agevole, rettilineo e roseo, che debba conformarsi a presunti svolgimenti normali dell’esperienza. Insensato non è ciò che accade interiormente, ma è bollare come abnorme e patologica la proposta del sentire quando non sta alla regola del presunto svolgimento normale. La cosiddetta normalità è una petizione di principio concepita da menti corte, che intendono la ripetizione e la conferma del già noto come regola e il conformismo come guida, che dell’interiorità e dell’essere individui sensibili e protesi a cercare il vero, a prenderne consapevolezza (questo è ciò che anima il profondo), non sanno vedere e concepire nemmeno l’ombra. Mi riferisco non solo al modo comune e diffuso di pensare le questioni e le vicende interiori, ma anche a quello di non pochi, di troppi presunti esperti e terapeuti della psiche. Qui torniamo alla questione di partenza: quante volte senti dire che l’ansia è immotivata, che toglie, che limita, che è eccessiva o patologica, che non dovrebbe esserci, che altro dovrebbe esserci!?  L’esperienza interiore, tutto ciò che accade nel sentire dice, rivela, disegna nel vivo, evidenzia sapientemente, con incisività e con precisione, le questioni da riconoscere, fondamentali e imprescindibili, ancora ignorate, rende tangibili e cocenti verità via via da raccogliere e vedere. Quel che serve non è combattere e pretendere di rimettere a norma ciò che succede interiormente quando difficile, insolito e doloroso, ma imparare a vedere dentro e attraverso l’esperienza interiore viva, serve dare fiducia alla propria interiorità in ciò che propone, senza opporle veti e sospetti, serve aprire gli occhi su ciò che porge, sempre e in ogni caso, imparando la riflessione, che è capacità di vedere dentro e attraverso il sentire, di ascoltare cosa dice nell’intimo un vissuto, un’emozione. Viceversa accade spesso che anziché imparare a congiungersi al proprio sentire, che come piede nudo messo a terra dice dove si è e cosa si sta percependo in quel dove della propria esperienza, si cominci a sparare contro presunti cattivi modi di sentire, a parlare di paure immotivate ed eccessive, oppure che si vada altrove dal luogo vivo dell’esperienza intima per cercare nel passato qualche triste, traumatica  o problematica esperienza, con l’attesa di trovare là l'origine di tutti i mali, come se ciò che si sta provando fosse la conseguenza di qualche pena nascosta o spina dolorosa che perdura. Sempre a credere che la normalità di presunti equilibri immobili sia e debba essere la regola, sempre a pensare che se c’è disagio si sia vittime di un fastidio o di un torto, che si patiscano gli effetti sfavorevoli di un danno, di una distorsione, casomai di origine remota! Quando inizia e prende piede un malessere, un disagio, una crisi, quando tutto interiormente si mobilita e si complica, è assai più probabile che in quel che sta accadendo ci sia la volontà ferma del proprio profondo di provocare un forte avvicinamento a se stessi, il superamento di uno stato di scollamento dal proprio intimo e dal proprio sentire, di spingere per un serio recupero di capacità di vedere e di capire, fondamento necessario di autonomia e di capacità di autogoverno della propria esistenza, piuttosto che si sia malcapitati in un brutto episodio e insano, in una parentesi negativa della propria vita da trattare e da curare come malattia, da superare. La volontà del proprio profondo, che plasma, che anima e che acuisce il sentire tutto, anche quello che risulta difficile o doloroso, è di spaccare il guscio vuoto di un modo di pensare e di procedere, pur in apparenza autonomi, in realtà più di quanto non si voglia credere forgiati e regolati da adattamento e da imitazione, con poco o nulla di proprio e di generato da sè, di spingere con fermezza a uscire da una condizione di inconsapevolezza o di coscienza accomodata e illusoria, a aprire gli occhi sul vero, a trovare, senza più rinviare, le proprie risposte e ragioni d'esistenza, a comprendere e a sciogliere i propri nodi, a coltivare e a veder nascere idee e aspirazioni proprie e profondamente sentite. Oggi, per te che soffri, l'apertura al tuo sentire, il recupero della tua capacità di avvicinarti a te, di non negarti a ciò che vive in te, imparando a vedere dentro e attraverso ciò che provi, senza esclusioni, includendo proprio tutto, anche se disagevole o in apparenza "strano", è questione importante e decisiva. E' questione attuale posta con forza dal tuo malessere. Nulla a che vedere con l'idea che il tuo malessere sia una pericolosa trappola, una anomalia da sanare e da mettere vittimisticamente  in conto a qualcosa o a qualcuno del tuo passato recente o remoto. E’ utile, anzi indispensabile che tu sia aiutato a renderti disponibile a ciò che senti, senza preclusioni, a dotarti di capacità riflessiva, che ti renda capace di  attingere alla tua esperienza interiore viva, comprendendone il significato, apprezzandone via via il valore, scoprendo che puoi fidarti di tutto ciò che accade dentro di te. Ciò che manca a te e a chi come te vive un'esperienza di malessere interiore e di crisi, l’ho detto in molti miei scritti, è proprio questo: capacità riflessiva. La capacità riflessiva, quella vera, di vedere, di saper riconoscere dentro il tuo sentire cosa prende forma, che non c'entra nulla col modo abituale di intendere la riflessione (confezionare sopra e sul conto dell' esperienza, di ciò che si prova, interpretazioni e spiegazioni col ragionamento), ti potrà permettere di dialogare con la tua esperienza viva, incluse quelle che finora hai chiamato o sentito chiamare e catalogare freddamente, come fossero oggetti, come ansie, attacchi di panico, fobie, depressione o altro. Trarre dalla tua esperienza interiore viva il suo intimo significato, ciò che vuole rivelarti e dirti, questo ti serve, ti può far crescere e darti unità con te stesso. Può farti uscire dalla paura di te stesso, di ciò che senti. Sparare contro il tuo sentire con farmaci o con altro, alimentando solo la tua insofferenza e la tua paura di ciò che, intimamente e profondamente tuo, vive dentro di te, oppure fare del tuo sentire solo il pretesto per fare lunghi giri di indagine e di ragionamento per trovare ipotetiche cause, con l'intento di smontare ciò che vivo dentro te ancora non sai ascoltare e comprendere, è ipotesi infelice, oltre che sterile. Demolire il tuo sentire, risorsa preziosa e mezzo validissimo, anche quando sofferto e disagevole, per avvicinarti a te, per riconoscere, facendone intima esperienza, il vero, per capirti, per arrivare per questa via, lavorando su di te, a dare volto tuo e spessore alla tua vita, non è certo il meglio che tu possa desiderare per te stesso.

domenica 5 aprile 2020

Illusi di essere e di sapere

La pretesa di passare oltre, di trattare il malessere interiore come il malaugurato ostacolo che impedirebbe di vivere, di esprimersi compiutamente  e di portare avanti validamente la propria vita, racchiude la convinzione che tutto della conoscenza di sè e della propria crescita sia già a buon punto, che non ci sia che da proseguire liberi da intralci interiori. Gli intralci in realtà non sono guasti o blocchi negativi, non sono espressione di insufficienze, di ritardi e di incapacità di procedere, non sono disfunzioni e malfunzionamenti di un insieme che va solo rimesso a punto perchè funzioni come potrebbe e dovrebbe, sono viceversa richiami e interferenze che la parte meno illusa e ingenua del proprio essere, che la parte profonda di se stessi, sta mettendo in campo per provocare una profonda e puntuale verifica e revisione di tutto il proprio modo di procedere, per portare a sostituire una visione illusoria di se stessi e della propria realtà con una fondata e vera, una realizzazione apparente di sè, fragile e tenuta su da conferme esterne,  con una generata da sè, da coltivare e sviluppare senza trucchi e vuoti, perchè sia autentica e salda. Si dà per scontato di aver già capito e trovato identità propria, di sapere chi si è, cosa sia meglio per sè, ci si attribuisce possesso degli strumenti e delle risposte che servono, si dà credito in realtà a ciò di cui sfugge qualsiasi attenta comprensione, che semplicemente si ripete per abitudine e per sentito dire, di cui non si sa e non si vuole vedere la reale natura e qualità, il grado vero, verificato e non presunto, di consistenza e di affidabilità. L'illusione di sapere e di possedere le risposte e le soluzioni valide è sostenuta, è tenuta su da modelli, da convincimenti e da principi comuni, da idee tanto diffuse da considerarsi credibili, valide e capaci di definire ciò che è reale e normale, inequivocabilmente. Nulla di scoperto e di compreso da sè e sulla stretta base di ciò che l'esperienza, non quella limitata dei fatti e colta con osservazioni di superficie, ma quella più intima, coinvolgente e vera, ha voluto, passo dopo passo, rendere riconoscibile. Con la propria esperienza intima, testimoniata e resa attuale e viva dal proprio sentire, dal corso dei vissuti, degli stati d'animo, delle proprie vicende interiori, gli individui non hanno spesso nessun legame e nessuna confidenza. Tutto l'intimo è guardato dall'alto in basso come corteo di sensazioni affatto significative e valide nel saper dire e far capire, snobbate come espressioni irrazionali, spesso fitrate e selezionate, contrapponendo come positive quelle piacevoli a quelle giudicate negative perchè dolorose e spiacevoli, con fuga da queste ultime, lette, interpretate, non certo ascoltate e riconosciute nel loro intento e nel loro dire, a piacimento per vederci ciò che fa comodo e marchiate come improprie se deludenti le personali aspettative, addirittura squalificate come anomale o malate se affatto in linea con i propri pregiudizi, di estrazione comune, circa ciò che è ammissibile e normale. Non c'è dialogo con l'interiorità, tenuta in subordine e guardata a vista, spesso resa oggetto di trascuratezza, di omesso ascolto o peggio tenuta a distanza e rinnegata se ritenuta ostile e fonte di danno perchè pressante e dolorosa. Evadere, svagarsi, fare appello al diritto di stare bene, esaltare la leggerezza come condizione ideale, buttando via gli "appesantimenti" che l'interiorità accortamente e mai per insensati motivi propone e dona perchè ci si fermi a guardare attentamente dentro la propria esperienza, dentro se stessi, sono modalità così diffuse, ricorrenti e persino esaltate come ideali da cultura e da convincimenti comuni, che ciò che può fare da fondamento a una consapevolezza e a una conoscenza vera di se stessi è continuamente sabotato e scassato. Quanto dunque è affidabile la persuasione di sapere già e di aver già chiaro chi si è e cosa va proseguito e perseguito, persuasione che induce molti a sparare contro il malessere e la crisi interiore di cui è portatore, come ostacolo da superare, come distorsione da correggere, come espressione di disfunzionalità da emendare e rimpiazzare con risposte più accordate con la pretesa di tornare a correre come e più di prima? L'deologia della riuscita come pronta capacità di funzionamento fa sì che l'unico modo di intendere  la propria realizzazione coincida indissolubilmente con i modi già intesi e applauditi, senza alternative. E' significativo che le stesse correnti di pensiero e le pratiche che sono oggi così diffuse sul terreno psicoterapeutico, che siano quelle di tipo cognitivo comportamentale o quelle ancora più sbrigative della cosiddetta terapia breve strategica, non casualmente di matrice e provenienza nordamericana (dove è molto consolidato e spinto il principio e l'imperativo del non rimanere indietro, del non perdere colpi nella corsa alla riuscita, al successo), nel loro cercare prima di tutto la soluzione e il superamento del disagio interiore inteso pregiudizialmente come modo disfunzionale e svantaggioso di intendere e di rapportarsi alle esperienze, vadano sostanzialmente dietro e siano coerenti con questa visione della realizzazione personale, così come presente nell'idea comune prevalente. Accade così che si fraintenda, che senza esitazione e senza dubbi si giudichi espressione di ritardo o di malfunzionamento, di impiccio dovuto a qualche errore di apprendimento o a qualche infausto condizionamento familiare o ambientale, ciò che interiormente ha ben altro significato e intento, ben altro valore, utile a riportare l'individuo a se stesso e a dotarlo di capacità di veder chiaro dentro se stesso, condizione indispensabile per non fare sciupio della propria vita rincorrendo la cosiddetta normalità, cioè l'idea comune e prevalente cui si consegna il compito di fare da guida e da orientamento. Perchè alla visione illusoria, trainata e regolata da fuori, si sostituisca la visione nitida e fondata, trovata col proprio sguardo dentro e attraverso se stessi, è necessario rivalutare la propria esperienza interiore, il contributo che la parte intima e profonda di se stessi sa dare, collocandola, come merita, al centro del proprio interesse. Sarebbe saggio smettere di tenere in posizione subordinata e ai margini o fuori dal proprio campo visivo la propria esperienza interiore, esaltando scioccamente come sana la pretesa di andare via dissociati da parte essenziale di sè, sarebbe provvidenziale per se stessi non insistere nella pretesa e nella  presunzione di risanare e di correggere la propria esperienza interiore, quando in realtà è l'unica che, ascoltata e correttamente intesa in tutte le sue espressioni, anche e soprattutto in quelle in apparenza, solo in apparenza, anomale o insensate, saprebbe ridare le basi della consapevolezza e della scoperta del senso della propria esistenza. Colpire ciò che di sè non si conosce nel suo autentico significato e valore, col solo intento di continuare a procedere a testa bassa, illusi di essere e di sapere, non è scelta così saggia e promettente.

domenica 26 gennaio 2020

Gestire e controllare o ascoltare e capire?

E' assai diffusa l'idea che sia importante e utile imparare a gestire e a controllare sensazioni come l'ansia o altre emozioni e stati d'animo difficili e sofferti. Sono espressioni della vita interiore verso cui in genere si ha più timore che fiducia, con cui non si concepisce di poter entrare in rapporto se non nella forma del controllo e della difesa. Si tratta di esperienze interiori, spesso insistite, pervasive, di cui colpisce il carattere insolito e nell'immediato assai poco gradevole, capaci di intaccare il corso che si vorrebbe il più possibile fluido e indisturbato dell'esperienza, di deludere  attese di buona riuscita. Succede che spesso si vanti come buon risultato della psicoterapia quello di acquisire la capacità di gestire e di controllare simili esperienze interiori disagevoli. Ci sono psicoterapie, ad esempio quelle di impronta cognitivo comportamentale, che si prefiggono di intervenire in modo diretto per snidare i meccanismi che le sosterrebbero e per contrastare le risposte interiori ritenute disfunzionali, giudicate non utili, insensate, fondamentalmente dannose per chi le vive, con l'intento di sostituirle con altre ritenute più valide e normali, vantaggiose e funzionali. Ci sono altre psicoterapie, che vorrebbero essere introspettive e di impronta analitica, che intendono le espressioni interiori di disagio come il segno di un patimento, che avrebbe all'origine delle cause da indagare, da cercarsi nel presente o più spesso nel passato della storia personale, familiare soprattutto. In entrambi i casi le espressioni della propria vita interiore come l'ansia e come altre che risultano ardue e non piacevoli, sono trattate come una fonte di preoccupazione e di danno, qualcosa da superare, vuoi intervenendo direttamente per modificare e riplasmare le risposte interiori, vuoi auspicando di spegnerle arrivando alla presunta causa, al suo chiarimento. A fronte dei propositi, di vario tipo, di togliere la spina nel fianco del malessere interiore, per ripristinare in ogni caso, per rilanciare e favorire il corso cosiddetto normale del procedere e dell'esperienza, a fronte della convinzione di aver capito cose nuove e importanti di se stessi e delle cause dei disagi patiti, dell'auspicio di aver imparato a controllare e a gestire, cioè a difendersi e a tenere a bada, le espressioni non agevoli della vita interiore, non è raro che l'interiorità non ci stia e non si disciplini. Sentendosi fraintesa e inascoltata, non è raro che l'interiorità, che la parte profonda dell'individuo torni a premere con forza per ottenere risposta valida e collaborativa per ciò che, attraverso i richiami e le guide del malessere, intende far capire, far condividere dall'intero individuo e per i cambiamenti che vuole promuovere. Non è un caso che la tendenza e che l'auspicio prevalenti, nel rapporto con la propria vita interiore, siano di procurarsi capacità di controllo e di gestione delle sue espressioni difficili e disagevoli, che rendono difficoltoso il procedere, che increspano o che intaccano con forza il quieto vivere. La visione della vita, assai diffusa e condivisa, che mette al centro dell'esistenza il rapporto col mondo esterno come unico tramite per avere contatto con il reale e occasione di dare di sé espressione vitale, rende esiguo e secondario il valore, l'importanza del rapporto con la propria interiorità. Tutti impegnati e protesi a tenere attiva la connessione col mondo esterno e con gli altri, non si considera rilevante cercare sintonia, coltivare dialogo e scambio con la propria interiorità, trovare di volta in volta accordo di visione e di intenti con il proprio sentire, con tutto ciò che si muove e che si propone interiormente. Ben presto nel corso del cammino di vita si perde il senso della centralità del proprio sentire, della propria vita interiore, come fondamento e guida, come cuore della comprensione dell'esperienza. Avanzando negli anni si diverge sempre più dal proprio intimo, da ciò che si vive interiormente, impegnati in primo luogo a imparare, a conoscere nei modi riconosciuti validi, a formare e a consolidare la capacità di stare e di muoversi nella dimensione cosiddetta reale, esterna e concreta, terreno e luogo dove accadrebbero le cose che contano, dove si ritiene sia importante e prioritario orientarsi e capire, crescere e migliorarsi, sapersi destreggiare, esprimere e intendere con gli altri. Gli accadimenti e gli svolgimenti interiori, il sentire in tutte le sue svariate espressioni, diventano agli occhi dell'individuo materia secondaria, accessoria, spesso intesi come poco affidabili, ritenuti carichi di ingenuità possibili, da filtrare e da vagliare col ragionamento, da salutare con soddisfazione se ben impostati secondo i propri e comuni criteri di normalità, di efficienza e di godibilità, da tenere a bada e eventualmente da rieducare se discordi dalle attese e dai calcoli di convenienza e di opportunità. Tutto si tende a sapere e a tenere in primo piano del mondo esterno, poco o nulla si pensa  sia necessario e di vitale importanza scoprire, conoscere e capire della propria vita interiore. Perché non disturbi e non renda difficoltoso il rapporto con l'esterno e con gli altri, il proprio mondo interno è tenuto sottotraccia e ai margini. Dal proprio sentire ci si aspetta e si pretende che sia funzionale a ottenere adattamento, intesa con gli altri e riuscita secondo i canoni vigenti. L'esperienza interiore è però voce e espressione della parte profonda di sé, non meno importante e capace di quella di superficie e conscia, anzi con un'ottica, con una capacità di sguardo e con una tensione di scopo ben diverse, ben più mature e favorevoli. La parte profonda, anche se questo è spesso totalmente ignorato dalla parte conscia, è portatrice di un intento decisamente più costruttivo di quello di cui la parte conscia è promotrice, lavora infatti, attraverso sentire e sogni, a sostegno non già della spinta all'autorealizzazione su piste già segnate, della corsa a non essere da meno degli altri, ma della scoperta delle proprie ragioni di individuo singolare, dello sviluppo di un pensiero autonomo non guidato e non addomesticato al comune e al già concepito, ma generato da riflessione, con scoperta di significati corrispondenti e fedeli alla propria intima esperienza. La parte profonda vuole nutrire l'altra parte di consapevolezza vera, vuole condurla a arricchirsi di strumenti e di maturità per aprire percorsi e per perseguire realizzazioni originali. Se la parte cosiddetta conscia, lasciata a se stessa, è incline a trovare soluzioni per procedere privilegiando il riferimento esterno e il confronto con lo sguardo altrui e comune, se rielabora l'esperienza stando dentro premesse e utilizzando attribuzioni di significato, tratte da pensiero convenzionale, assunte, riprodotte e combinate in automatico e fondamentalmente incomprese, se spesso è paga di trovare nei suoi tentativi di spiegazione la quadratura logica e se, anche quando pare innovare o rompere con lo schema abituale, non esce dal recinto del già concepito e scritto, se in genere opera, fa e disfa, senza mettersi allo specchio per vedere e per interrogare cosa sta facendo, mossa da che cosa e a che scopo, l'altra parte, quella profonda è ben lì, nella direzione della comprensione del senso, che invece guarda e osserva con attenzione l'esperienza, impegnandosi col sentire e con tutti gli svolgimenti interiori a mettere in evidenza i  modi di procedere, di pensare praticati, a mettere in luce e a renderne ben vive, cocenti e da capire tutte le implicazioni. Se la parte conscia si illude di essere vigile e attenta, ma in realtà pasticcia non poco e non di rado piuttosto che svelarlo nasconde il significato autentico dell'esperienza, l'altra parte, quella profonda e cosiddetta inconscia, viceversa lo traccia e lo rimarca attraverso il sentire, lo spiega bene, con impareggiabile acume e intelligenza, con i sogni (si tratta ovviamente di imparare a avvicinarli e a intenderli in ciò che vogliono e che sanno dire), cercando con ostinazione il vero, rendendolo questione cruciale da tenere in primo piano, da non ignorare. Tutto il sentire, ansia e tutte le esperienze e i vissuti interiori non piacevoli compresi, che presto e sbrigativamente rischiano di essere giudicati anomali o patologici, dice e svela, segnala con intelligenza e acume cosa sta accadendo nel proprio modo di procedere, richiama e conduce al vero, a riconoscere i nodi importanti su cui lavorare, in modo mirato, con le intensità e con i tempi sempre adeguati e giusti. Bisogna imparare, facendosi in questo aiutare, a ascoltare e a capire il linguaggio interiore, la voce del proprio sentire, scoprendone l'affidabilità, la capacità di offrire a se stessi viva e preziosa consapevolezza, toccandone con mano e verificandone la non assurdità, la non nocività. Gestire e controllare parte di sé come fosse di capacità inferiore, irrazionale e perciò poco affidabile e da disciplinare, da non rendere invadente e disturbante i propri calcoli e propositi, continuando a trattarla, quando preme con intensità, quando propone momenti e percorsi interiori disagevoli, come una minaccia da arginare, non è una gran trovata, non è un brillante risultato. La parte che sa meno sul conto di se stessi e che, promettendo meraviglie, non sa che andare dietro i modelli comuni e persistere nel solito, pur con nuova chiacchiera e nuove trovate in apparenza intelligenti, spesso tanto ingegnose quanto sterili, bene farebbe a aprire all'altra parte, quella profonda, che saprebbe ridarle una direzione valida e sensata di ricerca, che saprebbe nutrirla di nuova linfa e rigenerarla. Bisogna stare attenti e riflettere sulle risposte che si vanno a dare a situazioni di crisi, che spingono a cercare cura e aiuto. Il proposito di correggere le risposte interiori, pretendendo, su basi apparentemente certe e scientifiche, ma in realtà, assecondando la logica convenzionale, di giudicare, senza se e senza ma, ciò che valgono o che non valgono, così come il proposito di indagare su se stessi, pensando che il proprio malessere interiore sia segno di una alterazione per danno subito per cause altre, presenti o remote, da ricercare, voltando sbrigativamente le spalle al proprio sentire, non aprendo affatto, malgrado le apparenze, all'ascolto di ciò che sta dicendo e svelando, l'una e l'altra sono risposte sorde alla propria interiorità, incapaci di darle credito e spazio, preoccupate da subito di mettere le cose in ordine, nel solito ordine, con qualche rinforzo e aggiustamento. L'atteggiamento verso se stessi, verso la propria interiorità, ancora sminuita e misconosciuta nel suo valore e nel suo potenziale positivo, rimane quello di disporre e di pretendere, di gestire e di controllare. Altro che gestione e controllo! La prospettiva andrebbe completamente rovesciata, lo scopo della cosiddetta cura totalmente ridisegnato. Si tratta di farsi aiutare, da chi lo sappia fare, a prendere confidenza col proprio intimo e profondo, a formare e a sviluppare la capacità di comprendere il linguaggio della propria interiorità, per non escluderla da sé, per non continuare ostinatamente a fraintenderla, per non farsi danno, osteggiandola o pretendendo di dominarla, non capendola nella sua vera natura di interlocutrice e di guida affidabile, per non continuare, vivendola come un meccanismo strano da regolare e da tenere a bada, a privarsi di ciò che, prezioso, necessario e insostituibile per dare volto, contenuto e scopo propri alla propria vita, può donare, persistendo nell'averne timore come fosse un pericolo. Gestire e controllare le espressioni e le proposte della propria vita interiore non è la miglior conquista possibile, anzi equivale a persistere nella separazione, nella dissociazione da parte vitale e centrale di se stessi.