sabato 8 agosto 2020

Malessere e lamento

L’impronta prevalente del discorso sulla propria condizione di chi si confronta col malessere interiore è molto spesso il lamento, è la recriminazione contro ciò che ai suoi occhi fa solo danno. Se è comprensibile che una realtà nuova e non esterna, ma così pervasivamente interna, risulti gravosa e spiacevole, che soprattutto l’incapacità di capire, l’incomprensione del significato e del senso (il suo scopo) dell’esperienza interiore vissuta, mettano a dura prova e possano generare paura e scoramento, allarme e disorientamento, risalta e colpisce però il fatto che nella risposta al malessere interiore non ci sia traccia del sentore di un legame significativo con ciò che, pur difficile e sofferto, vive non fuori, ma nel proprio intimo, di un vincolo da tutelare, da difendere e valorizzare con se stessi, col proprio sentire, con la parte intima e profonda di se stessi. Questa lontananza dal proprio intimo, dal proprio sentire e corso interiore d’esperienza, ha radici lontane. Non è raro infatti che il modo di procedere e di pensarsi abituali comprendano da gran tempo solo operazioni di adattamento e rivolte al fare, accorgimenti per proseguire, commenti e spiegazioni su di sé e sul conto dell’esperienza che si vive, che spesso non cercano e non colgono nulla al di là della superficie e della crosta di senso immediato e comune. Anche quando l'intento di approfondire affida al ragionamento il compito di capire, il suo intervento spesso si risolve e chiude nel combinare in ordine logico significati preconcetti dedotti e messi sopra all'esperienza, oppure si perde nelle nebbie delle sue elucubrazioni, con un lavorio, che nulla ha a che vedere con la vera riflessione (che sa ascoltare e fedelmente raccogliere e riconoscere la proposta originale del sentire). Insomma, il proprio sentire non è stato nel tempo e da gran tempo vero compagno e interlocutore nella propria esperienza. Perciò, quando la parte intima prende il sopravvento e detta sensazioni e esperienze interiori, che con decisione passano il confine del marginale e dell’inascoltato,  dove sono relegate e mantenute dalla cosiddetta coscienza, dalla parte di sè dove l’individuo si rinserra abitualmente e che non ospita nulla del sentire a meno che non le paia conveniente, ecco che la reazione è di isterica paura e rivolta contro l’ospite indesiderato, presto squalificato e maledetto come fosse una disgrazia, un sabotatore, un maledetto nemico. “Voglio tornare come prima” è il grido di rivolta, la petizione di principio, la pretesa che pare sacrosanta, cui tanta offerta di cura, che vuole riparare e sanare, che dell’ascolto aperto del sentire, senza preconcetti, che della verifica approfondita non sa nemmeno concepire il senso, dà conferma e manforte. Non è compreso minimamente, questa sì è la vera anomalia, che trattare così, come disturbo, l’esperienza interiore, pur difficile e sofferta, sia un tirare calci, uno sparare contro se stessi, un demolire ciò che vuole aiutare e spingere a ritrovarsi, a riflettere, a guardare allo specchio il modo di pensare e di procedere abituali, a colmare la frattura che divide da se stessi, a mettere in piedi ciò che è essenziale: dialogo approfondito e accordo con se stessi, con la propria interiorità. Per capire, per trovare risposte e guide necessarie, per non essere più scissi da sé e semplicemente adesi ad altro, trainati da altro per imitazione, per senso del gregge (la cosiddetta normalità, ciò che sembra dover appartenere a tutti), per dipendenza dall’altrui giudizio, consenso, approvazione, serve un cambiamento personale profondo, di cui il malessere interiore è il primo atto, voluto dall'inconscio, come segnale chiaro e non sopprimibile, come potente richiamo a prendersi cura di se stessi. E’ un prendersi cura, non per ricacciarsi nel solito, casomai con più testardaggine, (casomai con qualche aggiustamento, spiegazione e apparente presa di coscienza, che non mutano la sostanza del modo consueto di pensare e di procedere, che viceversa la riconfermano), ma per cominciare a prendersi sul serio, a vedere chiaramente come si procede e lo stato del rapporto con se stessi, per cominciare a cercare finalmente vicinanza e ascolto del proprio intimo, della parte più vera e meno alienata di se stessi. E' un prendersi cura che potrebbe valersi dell'aiuto di chi sappia sostenere l'intento di andare verso se stessi e favorire lo sviluppo della capacità riflessiva, della capacità di incontro e di dialogo col proprio profondo. La crisi, il malessere vorrebbero nelle intenzioni dell'inconscio essere il primo atto, l’inizio di un impegno di ricerca per diventare se stessi, per calarsi finalmente nel proprio essere, per trovare il proprio sguardo, per cucire quella relazione stretta e salda tra sentire e pensare, che sola può garantire capacità di orientarsi e di capire, passione e volontà unite. Se non si comprende questo, persisterà il lamento e la lotta contro se stessi, la pretesa di mettere a tacere, di eliminare o di correggere e modificare ciò che interiormente, pur difficile o doloroso, non si sa rispettare, ascoltare e capire. In definitiva, casomai sotto forma di cura, si affermerà la spinta, tutt'altro che geniale e favorevole, a privarsi della vicinanza e del contributo originale e prezioso della propria interiorità, pur di essere normali e (più o meno) come prima.

venerdì 7 agosto 2020

Lo scambio

Lo chiamerei misero scambio. E’ ciò che avviene quando si affida allo sguardo e al giudizio altrui il compito di stabilire ciò che di sé vale, che può considerarsi degno e all’altezza, perlomeno accettabile. Segnalarsi agli occhi degli altri, distinguersi, farsi apprezzare e comunque ottenere il beneficio del consenso o patire sensazioni di inadeguatezza e di non conformità, temendo censure e declassamenti, figuracce o senso di inferiorità, è ciò che vincola molti individui agli altri, allo sguardo e al giudizio altrui e comune. Soprattutto è ciò che fa sì che sfuggano di mano e abbiano misera sorte il compito e la funzione, che sono prerogativa e responsabilità di ognuno, di far crescere, per davvero e su proprie basi, se stessi, di conoscersi e di capirsi prima di tutto, di scoprire dentro sè, per intima comprensione e verifica, ciò che vale, di trovar forza e persuasione di legittimarlo e passione di farlo vivere. Misera sorte e qualunque subisce questa fondamentale istanza, fondamento e cifra della autonomia personale, della capacità di pensare in proprio e di disporre di sè e del proprio destino in modo indipendente, quando risolta e scambiata col farsi indirizzare, sostenere e disciplinare dal senso comune, dallo sguardo e dal giudicare  altrui. Se forte è la tentazione di farsi condurre e di procedere in appoggio a modelli e a aspettative dominanti, se forte e seducente è la spinta a segnalare i propri meriti alla giuria del senso comune, assecondandone i gusti e gli inviti, se rassicurante è muoversi all'unisono con l'idea prevalente di ciò che è desiderabile, meritorio, sinonimo di crescita e di autorealizzazione, calcando percorsi segnati come fan tutti, camuffando il tutto con l'idea (con l'illusione) di compiere le proprie scelte e di affermare le proprie capacità, se il tutto rappresenta una comoda scorciatoia rispetto allo stare sulle proprie gambe e al tenere su di sè l'impegno, la fatica anche, della ricerca di risposte e di sviluppi propri, ciò che si va a ottenere è un surrogato, il surrogato di ciò che da sè con pazienza e con tenacia, casomai con tempi più lunghi, ci si preclude di comprendere, di formare, di coltivare e di far vivere. Basta farsi dare buona considerazione, recitando bene la parte, mostrando di possedere cose, titoli e di aver fatto esperienze considerate distinte e accreditanti, per persuadersi di essere sulla buona strada o di essere arrivati a qualcosa. Farsi regolare e dirigere dall‘esterno, farsi premiare e dire da senso comune e da giudizio altrui è modo passivo e a buon mercato di risolvere la questione del capire da sé cosa ha valore e perché, di affrontare il nodo cruciale del proprio realizzare e realizzarsi, che richiederebbe ben altro impegno, che in cambio avrebbe tutt’altro peso e spessore, se affidato alle proprie forze e alla propria ricerca, tutt‘altra libertà di definirsi, tutt'altra capacità di dare esiti e sviluppi originali e significativi. Se passivi, si finisce per star dentro piste e corsie segnate, per attenersi a codice di comportamento dato, per far proprie le scelte e i traguardi già stabiliti. Misero scambio, baratto perdente, che chiude alla scoperta e alla costruzione di autonomia vera, quello che spesso si compie, senza dargli peso, senza consapevolezza della rilevanza del problema. Una pacca sulla spalla, un plauso e il conforto d’essere nel normale (conformi a ciò che la maggioranza pare pensi e prediliga), finiscono per soddisfare e riempire, per procurare rassicurazione e illusione, invece e in sostituzione  di crescita sostanziosa e fedele a se stessi, convinta e convincente sè. Per fortuna, anche se i molti che vogliono solo la continuità del solito questa fortuna non la sanno riconoscere, c'è una parte di se stessi, quella profonda, che non è cieca, che è ben vigile e sveglia, che riconosce il problema come cruciale e che perciò anima e scuote la scena interiore. Il malessere prende vita da queste questioni fondamentali, è il pungolo a prendere visione dello stato delle cose, a non starsene quieti come se tutto andasse per il verso giusto. E' in gioco la propria autorealizzazione, il portare o meno a compimento il proprio progetto, che rischiano di naufragare, sostituiti dal passivo dare seguito e copia a qualcosa di già concepito e non al proprio per cui si è nati e di cui si ha potenzialità di realizzazione. Se una parte del proprio essere, che si crede grande e capace di chissà che con i suoi attrezzi di pensiero ragionato e di volontà,  dorme (pur agendo) e equivoca (pur dandosi la parvenza di chiarire le cose), non vuol vedere il vero della propria condizione e del proprio incompiuto, c'è una parte, che ha per protagonista l'inconscio, che, sapendo aprire gli occhi e vedere, non dà tregua, che interferisce, che intralcia il procedere, che l'azzoppa, che ad esempio con l'ansia, se serve con gli attacchi di panico, che presto qualcuno giudicherà eventi e manifestazioni patologiche e senza ragione, cercherà di interrompere la corsa solita e la spinta verso l'esterno, per dirigere tutta l'attenzione all'interno e lo sguardo su se stessi, che farà sentire, toccare con mano nel vissuto, la fragilità e inattendibilità di ciò che si sta portando avanti, che lo farà sentire precario e in pericolo, che farà sentire la estrema debolezza del proprio assetto personale, perchè costruito su disunione del proprio essere, su lontananza da sè,  dal proprio intimo, su modi e svolgimenti privi di unità e di coerenza col proprio profondo. L'interiorità non mente, vuole che emerga il vero, che finalmente lo sguardo si renda capace di vedere la propria condizione e di cominciare a intendere che si è ben lontani dalla propria vera realizzazione, che il castello messo su e strenuamente difeso è di carta. Se, altro esempio di ciò che l'inconscio può muovere e provocare sulla scena interiore, cade la fiducia sotto i tacchi, se si fa valere interiormente un senso di inutilità, di scoramento senza limiti, la perdita di stima verso se stessi, la mancanza di slancio e di desiderio verso tutto il conosciuto e abituale, non è per patologico sentire, ma per cominciare a vedere chiaro e senza autoinganni il vuoto di ciò che si è inseguito e tentato di afferrare e di sostenere, prendendolo in prestito da altro e prendendo in prestito la persuasione che valesse, con un nulla di compreso, concepito e formato davvero da sè, da propria ricerca e scoperta. Le scorciatoie finiscono per rivelarsi tali. Anche se l'individuo e chi gli sta attorno insisteranno nel dire che non c'è motivo al lasciarsi andare allo sconforto, perchè c'è già tutto ciò che serve e di cui essere soddisfatto, una parte di sè, non certo cinica o distruttiva, non certo stupida o malata, continuerà pervicacemente a far sentire il vuoto e lo svuoto. Il vuoto che smonta le illusioni e su cui potrebbe invece nascere finalmente il proposito di costruire, generato da sè, convalidato da propria lucida consapevolezza e non preso in prestito e per buono da idee e da convincimenti comuni, qualcosa che abbia un fondamento, che abbia la propria impronta..