domenica 19 maggio 2019

Avere da dire

Capita che la parola sia in alcuni difficile, stentata o talmente impacciata in presenza d'altri da diventare un motivo di forte frustrazione, di avvilimento. La pretesa sarebbe di vincere questi impacci, per non essere da meno di altri, per non sentirsi insufficienti, per non apparire tali. La prestazione, saper dire scioltamente e senza timori e vuoti, pare dovuta, pare cosa desiderabile da ottenere per normalità e per propria buona riuscita. La questione però può essere ben più complessa, se saputa avvicinare con coraggio e con intelligenza, senza preconcetti, senza schierarsi subito sul fronte della riuscita e del combattimento contro ansietà e impacci interiori giudicati solo retaggi e ostacoli da superare. Avere da dire, non per riempire il discorso e per fare chiacchiera, non per accontentare le presunte o reali aspettative dell'altro, non per dare prova di intelligenza o di vitalità di pensiero e per darsene conferma, ma perchè realmente si ha qualcosa che merita di essere detto e opportunamente al proprio interlocutore e soprattutto sapendo cosa si sta dicendo, è condizione tutt'altro che frequente e garantita. Come esseri umani non siamo una macchina di produzione di parole a volontà, anche se così in molti, per essere ben considerati e al passo col gusto e con l'idea di normalità prevalente, si considerano e vorrebbero essere, ma siamo per nostra natura umana più complessi, c'è infatti una parte, profonda, di noi stessi, della nostra psiche, che non bada alla cosiddetta buona riuscita, all'efficienza della prestazione, ma che interroga la qualità e il senso di ciò che si vorrebbe ottenere da se stessi e mettere in atto e fuori, le parole ad esempio. Perciò la presenza costante e non casuale di tutte le manifestazioni della propria vita interiore, del proprio sentire, capaci non raramente di interferire in modo forte, creando situazioni, che sembrerebbero sfavorevoli, di impaccio, di blocco o di forte incertezza e apprensione, che paiono a prima vista inutili e esagerati grovigli, complicazioni spiacevoli, segni di malfunzionamento. Da qui a parlare di patologia, di segni di malattia il passo è breve. In realtà la componente profonda della nostra psiche, che una lettura tutta all'insegna del funzionalismo e della ricerca dell'efficienza, del cosiddetto buon funzionamento, nemmeno ammette e riconosce, è la parte di noi stessi che non si estranea mai dall'esperienza, che non si limita e costringe a assecondarla nei suoi andamenti abituali, che non si fa complice di confermarla nei significati che le si vuole attribuire o che i più le darebbero, significati che fanno comodo. La parte profonda è ben presente e vigile nella nostra esperienza, sa interrogare, ponendo in mezzo i segnali del sentire, il perchè, il senso, le ragioni e lo scopo di ciò che facciamo, a tutela dell'interesse di non raccontarcela e di non perderci nell'inconsapevolezza, di non fallire i nostri scopi, ciò di cui saremmo capaci se uscissimo da una visione di noi stessi e della nostra esperienza miope e gregaria. Fare e perseguire ciò che fanno e inseguono tutti, prendere per buone le attribuzioni di significato e di valore correnti e farsi portare nel pensiero e nell'azione è tendenza tutt'altro che rara. A salvaguardia del nostro non ridurci a essere passivi, gregari nel portare acqua all'andazzo prevalente, con l'illusione di avere idee e propositi nostri, di essere attivi e pensanti, in realtà facendo solo il verso a aspirazioni e a pensiero comune e corrente, c'è la parte profonda del nostro essere che lavora con insistenza dando segnali che se saputi intendere, vogliono mettere in discussione e sotto la lente di ingrandimento il nostro modo di procedere. La visione meccanicistica dell'individuo che vuole che tutto proceda nel verso solito, che vuole solo correggere e sistemare ciò che interiormente si fa di mezzo in modo discordante, come fosse malfunzionamento, è oggi assai presente. E' la visione che tratta come disturbi i segnali interiori di crisi, i richiami a guardare ben dentro le particolarità e le storture di un modo di procedere che non esalta di certo la capacità personale e autonoma di pensare, di capire, di trovare risposte a altezza di ciò che l'individuo potrebbe, se aprisse gli occhi, se conoscesse se stesso e ciò di cui sarebbe capace, se non inseguisse solo l'adeguamento a ciò che è comunemente inteso come valido e normale. Questa visione oggi assai diffusa nella psicologia comune trova nella stessa psicologia scientifica o che si accredita come tale, in non poche sue elaborazioni teoriche ciò che le fa il verso, che si muove nella stessa orbita. Mettere le cose a posto, raddrizzare, ridare efficienza, correggere ciò che interiormente è considerato disfunzionale è l'imperativo e il proposito di non poca psicoterapia oggi in voga e in uso. Il rischio è di lavorare contro la parte più profonda e attenta dell'individuo, di remarle contro, di far persistere un'incomprensione con se stessi, che peraltro non cesserà di far sentire i suoi effetti in termini di malessere perdurante. La parte profonda non si lascerà certo né incantare dalle promesse della rimessa in stato di efficienza, né mettere al guinzaglio dalle pretese e dalla foga di mettere tutto in ordine e in stato di preteso, presunto buon funzionamento e benessere. Insisterà viceversa, stonando col resto, per riaprire la strada della presa di coscienza, della formazione e dello sviluppo di un modo proprio di pensare, sincero, fondato sul vero e non sull'illusorio, di concepire la propria vita e il suo scopo con idee e progetti autonomi, con prospettive di reale benessere, non il benessere dell'essere liberi da richiami interiori, bensì il benessere di essere se stessi e non altro, di far vivere qualcosa di proprio e corrispondente a se stessi e non alla cosiddetta normalità.

domenica 12 maggio 2019

Le nostre paure

Le nostre paure prima di tutto vanno tenute e avvicinate nel loro spazio, nello spazio intimo, non vanno scaricate, non vanno a priori combattute e trattate come corpo estraneo, messe a distanza e giudicate, non vanno commentate senza dare loro ascolto. Le nostre paure ci prendono, ci stringono a noi stessi. Le nostre paure ci vogliono dire e la difficoltà è quella di ascoltarle, di raccoglierne il messaggio, la proposta. Non sono esperienza solita. Non è impiegando il senso comune o chiudendosi nei ragionamenti che si dialoga con le paure. Paure "irrazionali" si dice assai spesso e, dicendo questo, si pretende di ridimensionarle e di negare loro dignità e valore. Certamente sono fuori dal quadro, dal modo di esprimersi e di operare razionale. Non per questo le paure sono insensate, incapaci di dire, inespressive, anzi! Sono testimoni di qualcosa di intimamente valido e vero, non sono mai infondate, sono non solo testimoni e segno, ma anche luogo di esperienza, di incontro e di riconoscimento di qualcosa di ignorato e sviato nel modo di condursi abituale, sono luogo di elaborazione e di ricerca. Sono dunque tramite e occasione per avvicinarci al vero che ci riguarda, che ci compete, per dare volto chiaro, per ritrarre efficacemente ciò che abbiamo necessità di riconoscere, di fare nostro, di capire. Il problema è la difficoltà, spesso l'incapacità di esercitare la riflessione, la riflessione vera, mezzo e modo di porci in rapporto rispettoso, di aprirci cioè all'incontro, al dialogo con la parte di noi stessi intima, che vive, che sente, che accoglie, che elabora l'esperienza. Trattare in partenza come nemico, come molesto, come ospite indesiderato, perchè spiacevole, perchè inatteso e incoerente o dissonante con la visione e col programma razionali, ciò che invece è parte di noi più sensibile, viva, attenta e partecipe, può essere un grave errore. Ciò che sentiamo è ciò che ci è più vicino, più aderente a noi stessi. Spesso invece siamo tentati di trattarlo come un ostacolo, come un assurdo, come faccenda da regolare e da sanare al più presto, da soli o con l'aiuto di qualcuno che inventi o ci faccia applicare strategie per ricondurci nel solito rassicurante senso-andazzo comune. Se è comprensibile che ciò che è ignoto e inusuale faccia paura, assai meno comprensibile è che qualcosa di così intimo e proprio lo si tratti con pregiudizio, che lo si voglia liquidare e estromettere senza appello. E' parte viva di noi stessi, parte tutt'altro che superflua o nociva. Il nostro sentire in genere, quello che ci risulta molesto o che ci appare patologico ancora di più, punta dritto a noi, ci parla di noi, non ci dà chiacchiera e non ci incoraggia all'evasione, ci dà indicazioni molto vere, importanti. Le nostre paure segnano il percorso da seguire se vogliamo davvero conoscere, conoscerci. Se ci si cala sul terreno vivo segnato dalle paure, se si regge la tensione di un sentire non facile e non piacevole, se stando in rapporto e lasciandosi coinvolgere le si ascolta e comprende, ci si accorge che non sono limitanti, che non sottraggono possibilità, che non conducono alla deriva. Ci si può rendere conto che, a dispetto delle diffidenze iniziali, riescono a portare vicino alla consapevolezza che rende più vicini e in sintonia piena con se stessi, che rafforza. Ci si rende conto che, ben comprese e valorizzate, le paure non invalidano, non bloccano e non fanno smarrire la strada, ma ridanno orientamento e fanno trovare il proprio cammino, cammino di scoperte vitali e utili, cammino di ricerca, vivo, coerente con se stessi, sensato. E finalmente si arriva a vedere con i propri occhi, a scoprire, a pensare non astrattamente e, se su queste nuove basi si dice, si sa cosa si sta dicendo, perché si sta dicendo ciò di cui si è fatta intima esperienza e conoscenza.

venerdì 10 maggio 2019

L'ansia da dove origina?

L'ansia, come ogni espressione di disagio e di sofferenza interiore, origina da dentro di noi, è generata e modulata dal nostro profondo, non è certo un corpo estraneo o altro temibile che ci stia molestando, non è l'effetto o il seguito sgradito e sgradevole di cause, di traumi patiti, di situazioni esterne sfavorevoli, presenti o passate, come non è il sintomo di una patologia. Definire patologica un'espressione della propria vita interiore significa non comprendere che c'è una parte intima e profonda della propria psiche che, non concorde col proposito di rendere tutto scontato e di porre al primo posto come scopo la continuità del procedere abituale, interviene viceversa, interferendo anche vivacemente, agitando il quadro interiore, per indurre a calarsi nel vero, nella verifica del proprio modo di condursi, che casomai non è felicemente in accordo con se stessi, che è deficitario di scoperte di significato e di valore fatte in proprio, non prese da pensiero comune e ripetute o in qualche modo ricombinate col ragionamento, ma formate da sè e aprendo i propri occhi, lavorando su propria intima esperienza, scoperte che abbiano davvero capacità di fare da guida affidabile e da orientamento. Sono un bagaglio di conquiste essenziali di cui non si può essere privi se si vuole condurre autonomamente e in profonda sintonia con se stessi la propria vita, sono conquiste di cui spesso invece si è ancora totalmente privi. Tutto il nostro sentire, che certamente non si muove sul binario delle nostre previsioni e attese, ci informa di continuo di ciò che ci accade passo dopo passo e tende a portarci alla scoperta del vero, dei nodi e delle questioni importanti che ci riguardano, che sono ineludibili se vogliamo essere consapevoli e non affezionati solo alla continuità del solito e alla pretesa di una quiete che equivale a nasconderci a noi stessi. Se il quadro interiore è mosso un motivo c'è, si tratta di imparare a comunicare col nostro sentire, a ascoltarlo, a comprenderne il senso e l'intimo dire. Non serve ragionare sul conto di ciò che si sta provando costruendo spiegazioni che non tengono conto, che non si curano di ascoltare ciò che le emozioni e gli stati d'animo stanno dicendo, bensì è necessario imparare a riflettere, cioè a vedere cosa c'è nell'intimo del proprio sentire, cosa si muove, cosa dice, cosa rivela. Come mettendoci allo specchio possiamo, vedendo la nostra immagine riflessa, guardarci in volto e raccogliere dai nostri occhi quel che ci fanno capire di noi stessi, così con la riflessione possiamo vedere nei nostri vissuti, nei nostri stati d'animo, nelle nostre emozioni, anche le meno piacevoli e le più spigolose, cosa racchiudono, cosa svelano. Il nostro sentire è intelligente, è la forma più intelligente di cui disponiamo di capacità di entrare nel vivo della conoscenza di noi stessi. Come toccando percepiamo e riconosciamo le caratteristiche di un oggetto, così sentendo, provando emozioni tocchiamo nel vivo qualcosa di noi stessi che per intima viva esperienza possiamo cominciare a comprendere. Perciò dicevo all'inizio che l'ansia viene da dentro di noi e non è patologia, non è espressione di un guasto, di un meccanismo rotto, bensì voce della nostra parte profonda, di cui siamo dotati e di cui spesso siamo purtroppo ignari, è mezzo prezioso per avvicinarci a noi stessi, alla conoscenza di noi stessi. Zittire questa voce, combatterla come fosse nociva e patologica è una grossa svista e dispetto che si rischia di fare a se stessi. La psicoterapia potrebbe, anzi nel proprio vero interesse, dovrebbe essere il luogo in cui si impara, non già a correggere e a riparare presunti disturbi e  malfunzionamenti, ma a comunicare con se stessi, a comprendere ogni espressione del proprio sentire, nessuna esclusa, ansia compresa, nel suo significato originale, conquistando così non solo la consapevolezza che manca, ma anche l'unità piena con se stessi, con una parte intima di sè, sinora temuta e trattata con sospetto e diffidenza, tanto da giudicarne malate le espressioni che risultano spiacevoli e difficili, scoprendo che non è certo nemica o dannosa, anzi proprio il contrario.