martedì 2 gennaio 2024

La ricerca delle cause per non cambiare nulla

Ripropongo con qualche integrazione questo mio scritto di qualche tempo fa, perché la questione della ricerca delle cause del malessere è un nodo importante da capire e da sciogliere. E' ormai un luogo comune pensare che il modo più aperto e approfondito di affrontare il malessere interiore consista nel cercare le cause che l'avrebbero provocato. In realtà c'è il rischio di costruire teoremi che non aiutano l'incontro e il dialogo con la propria interiorità, che chiudono alla comprensione di ciò che il proprio profondo, dentro e attraverso il malessere e la crisi, sta cercando di proporre e di promuovere nel proprio interesse. La ricerca delle cause e le premesse da cui parte, rischiano di confermare la separazione e l'incapacità di comunicare con la propria interiorità.                                            La reazione più comune all'emergere del disagio interiore è di considerare il malessere come un guasto, come un'anomalia, che si ritiene debba avere la sua causa in qualcosa di sfavorevole e di nocivo che avrebbe fatto danno, che avrebbe compromesso un equilibrio psicologico altrimenti normale e fisiologico. Una simile risposta al malessere interiore trova in non pochi casi sostegno e perfezionamento in percorsi psicoterapeutici che, indagando nel presente e soprattutto nel passato dell'individuo, particolarmente nelle relazioni familiari, vanno alla ricerca di condizionamenti sfavorevoli, di carenze o di distorsioni affettive, di traumi patiti, per rinvenire lì le ipotetiche cause del disagio perdurante e attuale. In realtà il malessere interiore non è conseguenza di cause e di condizioni esterne, di condizionamenti sfavorevoli, ma è espressione di iniziativa interiore. Le ragioni, intelligenti, profonde, del malessere, affatto destinate a rimanere incomprese, purché ci si voglia impegnare a capire se stessi, a dare voce e a confrontarsi con la propria interiorità, originano interiormente, sono espressione di lucida consapevolezza e di ferma presa di posizione della parte profonda di se stessi. La lettura che il profondo, che l'inconscio dà della propria condizione personale e del proprio modo di procedere non è affatto in linea col modo convenzionale e abituale di pensarli, di leggerli, modo per il quale basta veder quadrare alcune cose per dedurre che tutto va bene, che le cose sono normali, sostanzialmente a posto. Se alla parte profonda di se stessi, dove il proprio sguardo è molto più attento ed esigente, assai meno incline ad andar dietro alla logica comune e a soddisfare il bisogno di auto conferma di quanto non sia la propria parte conscia col suo modo di pensare e con i suoi ragionamenti, risultasse ad esempio chiaro che nel modo d'essere attuale manca qualcosa di fondamentale e di decisivo, questa parte non tacerebbe il problema. Se le fosse chiaro che nel modo abituale di procedere e di dare forma a ipotesi, a scelte o a impegni attuali e futuri della propria vita c'è un che di non corrispondente a se stessi, di avventato e di inconsapevole, di insoddisfacente e di pericolosamente sfavorevole, non solo per l'oggi, ma soprattutto in prospettiva per il futuro, perché non guidato da conoscenza approfondita di ciò che si è e di ciò che per sé ha senso e valore, cosa di cui sinora non ci si è più di tanto preoccupati, la parte profonda non passerebbe sotto silenzio il problema. Ecco che, tenendo presenti simili rischi e implicazioni, di cui il profondo dell'individuo, diversamente e ben prima della sua parte conscia, è consapevole, il malessere come intralcio e come freno tirato sull'andar via e avanti scioltamente, il senso di fragilità e di insicurezza, l'ansietà continua, l'allarme sulle proprie condizioni e sul proprio stato, con picchi di paura come negli attacchi di panico, lo scoramento e il senso di sfiducia  nel proprio valore e nelle proprie capacità, spesso considerati semplicemente sintomi di malattia e trattati come disturbi, come stati anomali e nocivi da correggere e da superare, cominciano viceversa a svelare il loro significato, a mostrarsi carichi di senso e di valore. Sentire intralciato il procedere solito da ansietà e insicurezza che non danno tregua, affinchè lo sguardo, abitualmente tutto rivolto all'esterno, si porti all'interno, per prendere consapevolezza del proprio stato vero, per adoperarsi a generare ciò che, a dispetto delle apparenze, non c'è e che è essenziale per dare volto proprio alla propria vita, per essere individui davvero autonomi, è una risposta interiore che ha un senso o va considerata come una anomalia, come uno stato interiore da medicare o come un disturbo cui cercare remote cause, augurandosi in questo modo di levarselo dai piedi? Sentire, fuori dalle illusioni a lungo coltivate sul valore delle proprie scelte e conquiste, il vuoto, la fragilità e l'inconsistenza della propria condizione, perché affidata più a conferme e a sostegni esterni che a fondamenti intimi e propri, perchè col proprio intimo e profondo non si è cercato e non si ha rapporto, sentire caduta di interesse verso la vita e infelice senso di sfiducia in se stessi, è un sentire, certamente doloroso, ma malato e da correggere o è specchio di verità e punto di partenza per invertire la rotta e per costruire finalmente, senza scorciatoie, qualcosa di originalmente proprio e consono, coerente col proprio intimo, ben aderente a ciò che in unità col proprio profondo va cercato e compreso? Patire il senso di minaccia e di precarietà, di paura crescente rivolto a ciò che vive dentro se stessi, da cui si è sconnessi e lontani, fino all’acme dell’attacco di panico, del terrore che la propria vita cessi, che le proprie funzioni vitali non siano più garantite, che il cuore cessi di battere, che la vita se ne vada, anche questo, che il malessere interiore può smuovere e  rendere acutamente tangibile, è segno di anomalo stato e di patologia, oppure è pungolo fortissimo a riconoscere il vero di un modo d'essere dissociato, sconnesso da sè, dal proprio intimo e tutto artificialmente adeso e in connessione con altro, un ammonimento e un richiamo potente a occuparsi di sè seriamente, a impegnarsi prima di tutto a cambiare profondamente il rapporto con la parte intima e profonda di se stessi? Tutte le risposte interiori, tutte dettate e regolate dal profondo, tutt'altro che sintomi di un meccanismo guasto, dicono, svelano, spingono a capire, a prendere consapevolezza. Non si tratta di trovare cause esterne al malessere, partendo dall'assunto che stare male significa guasto e stato anomalo provocato da qualche fattore molesto e disturbante, ma di intendere che il malessere può essere un forte richiamo, lo specchio per vedere la propria condizione in profondità e non nella ingannevole superficie, la spia di una necessità cui finora non si è saputo provvedere. E' la necessità, irrinunciabile secondo la parte profonda di se stessi, di promuovere la propria crescita, la formazione di un proprio pensiero attorno a se stessi, lo sviluppo di una capacità di capirsi non dissociata nel ragionamento, ma costruita in unità con se stessi, fondata e guidata dal proprio sentire. E' fondamentale e non certo superfluo trovare ciò che affidabile e coerente con se stessi possa guidare, autonomamente e consapevolmente, il proprio cammino, le proprie scelte, pena il rischio diversamente di affidarsi pericolosamente solo a guide e a conferme esterne. Lo stato di separazione in casa, nello spazio del proprio essere, tra ciò che si pensa da un lato e ciò che si sente e che si vive interiormente dall'altro, va superata e messa ben al centro del proprio sguardo e preoccupazione. L'inconscio spesso sottolinea proprio questo stato di separazione e di dissociazione, lo fa parlandone con grande acume nei sogni, lo fa rendendo tangibile, acutamente vissuta la situazione di contrasto e di non incontro tra vicenda intima e parte conscia e ragionante, che mal tollera e vive come estranea e ostile, minacciosa e sgradita l'esperienza interiore sofferta e disagevole, a cui fa muro chiedendo e rivendicando altro. Le vicende interiori spesso non sono comprese, sono ampiamente fraintese dalla logica corrente, secondo cui tutto dovrebbe funzionare "normalmente" e l'ansia e ogni segnale interiore che crei impaccio nel procedere solito, che impegni ad andare verso se stessi, a mettere al centro dell'attenzione e della preoccupazione se stessi e non il fare e il proseguire come se niente fosse e come se tutto fosse a posto, sarebbe soltanto una anomalia, un disturbo, un maledetto ostacolo. Dandoci dentro con farmaci e con rimedi vari, con psicoterapie intese come correzione di comportamenti o, come dicevo all'inizio, come ricerca di cause funeste fuori di sè in qualcosa di presente o di passato, pur di togliersi di dosso un che di sofferto e di interiormente difficile, non si comprende che il proprio malessere è frutto e segno di iniziativa propria e profonda per trarsi in salvo e non per far danno. Quanta miopia e ottusità purtroppo nel pensare che tutto debba funzionare "normalmente", senza mai chiedersi come davvero le cose stanno andando, non all'apparenza, ma nella sostanza, senza mai concedere ascolto a se stessi, al proprio sentire, senza mai concepire che ci si debba capire seriamente e in profondità, che ci si debba confrontare e intendere con ciò che dentro se stessi dà segnali insistiti, che nessun rimedio farmacologico o di altro tipo può mettere a tacere! E' significativo che chi si è adoperato, casomai attraverso una psicoterapia, a cercare le cause di ciò che difficile e sofferto sperimenta interiormente in vicende passate e in condizionamenti sfavorevoli, in traumi pregressi, si ritrovi spesso a dire a se stesso che finalmente oggi conosce le cause del suo malessere e contemporaneamente a percepire la propria estraneità e lontananza perdurante dal proprio intimo, l'incapacità di entrare in rapporto vero e aperto con ciò che sente, che non smette di insistere e di battere duro, di chiedere vera udienza, accoglienza e ascolto. La parte profonda non desiste, non sa che farsene di spiegazioni ragionate, spesso viziate da vittimismo, come se soffrire fosse sempre l'equivalente e la conseguenza dell'aver subito o del subire un che di ostile e di ingiusto, spiegazioni che non colgono il senso della sua proposta e iniziativa. La parte profonda non agita le acque insensatamente, per deficit di ragionevolezza, non le agita puerilmente dando respiro solo a paura, a irresponsabilità e a incapacità di procedere e di fare, non le agita perché ancora disturbata o traumatizzata da accadimenti passati o con l'intento di riportarli in qualche modo in superficie. Si abusa di questi che ormai sono diventati dei luoghi comuni, ben presenti nel pensato comune, nei discorsi correnti, nei film, nelle teorie e spiegazioni portate da non pochi presunti esperti della psiche, luoghi comuni e ricorrenti che intervengono a suffragio di un atteggiamento di fondo verso se stessi conservativo e vittimistico. La parte profonda agita le acque con lucidità e determinazione, sorretta da capacità di visione che la parte conscia non possiede, troppo passiva e assuefatta al pensare convenzionale, troppo incline a darsi ragione e a rincorrere la normalità, le agita per "inquietare" a ragion veduta, perché in gioco c'è il rischio di condurre la propria vita in modo banale e inconsapevole, secondo guide prese in prestito e non trovate in se stessi, con la conseguenza di andare a sbattere nel tempo nell'inutilità o nel fallimento. Che insorga malessere è segno più spesso di quanto non si creda di vitalità interiore, di presenza vigile della propria parte profonda, di potente richiamo a far le cose per tempo, a provvedere a coltivare e a formare ciò che non c'è e che l'età anagrafica da sola non garantisce: prima di tutto l'unità con se stessi, perché solo l'incontro e il dialogo con la propria interiorità può dare e sviluppare la forza di un pensiero proprio, la conoscenza senza veli e distorsioni di chi si è, la scoperta di ciò che ha valore per sé, che profondamente si ama e cui si aspira, per non destinare a altro la propria vita, per non infilarla sui binari delle idee e dei modelli imperanti, delle soluzioni già pronte. Quando, come accade in una buona esperienza analitica, si dà voce al proprio profondo, quando, anziché parlargli sopra e cercargli delle cause, si impara a ascoltare il proprio sentire in ciò che dice, quando si segue il percorso conoscitivo tracciato dai sogni, si ha modo di scoprire quali siano le vere intenzioni dell’inconscio, si ha occasione di comprendere il senso e di apprezzare il valore della propria esperienza interiore in tutte le sue espressioni, anche in quelle che sembravano negative e fortemente sfavorevoli. L'inconscio sa dare e nutrire la propria crescita personale come nient'altro saprebbe fare. E' necessario allora scegliere se imparare, facendosi aiutare a questo scopo, ad ascoltare il proprio sentire, a comprendere e a assecondare la proposta interiore, accettando un serio lavoro su se stessi e nutrendosi dei frutti di questo lavoro di cui il proprio inconscio sa e vuole essere promotore e guida o insistere nei tentativi di contrastare in vario modo il malessere, anche confezionandogli sopra spiegazioni di cause che vorrebbero, ingenuamente, metterlo a tacere, spiegazioni sterili, utili solo a uno scopo: tirare avanti dritto nel solito modo scisso da sé, dalla propria interiorità e aderente ad altro, senza cambiare nulla.

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