domenica 19 aprile 2020

"Depressione" e ricerca del filo interno

Cercare il filo, il nostro filo interno di scoperta del senso di ciò che si muove in noi e che nell'intimo ci accade, il filo di un discorso, il nostro, non inventato, non forzato e non manipolato per stare dentro quello comune e ritenuto ovvio...il filo che sottende i nostri passi, anche quelli più dolorosi e ardui. Questo e non altro la sofferta esperienza intima cerca e insegue, spesso incompresa. Intesa e trattata come malattia, come anomalo precipitare e oscurarsi di sana fiducia e di voglia di vivere, equiparata a tante altre descritte e incasellate come depressione nei trattati di patologia, ridotta a biochimica alterata, da riparare come un meccanismo guasto, vissuta come minaccia oscura da combattere senza discussione, per riportare tutto al consueto, un'esperienza interiore così unica, così intima e pervasiva, non trova ascolto, non è riconosciuta in ciò che vuole in modo così toccante, anche se doloroso e crudo, dire. Sembra soltanto uno sfacelo, un venir meno insano, distruttivo e minaccioso, ma... se fa il vuoto, se scava, se scolora e rende indifferente il mondo, se mutila il sentire, se non gli permette se non di testimoniare una mancanza e un'impotenza, un senso di inutilità e di fallimento, una pena infinita, è per far riconoscere  di ogni altra cosa, che non sia il ritrovamento del proprio filo, l'assenza di valore e l'impraticabilità. Se la propria interiorità costringe a mettersi allo specchio e mostra di se stessi, pur dolorosamente, l'inconsistenza e il vuoto, non è per insane disistima e assenza di calore, ma per fondata pretesa di "essere" e non di sembrare, di generare il proprio, senza più prese in giro, senza più compromessi perdenti, cercando e coltivando ciò che abbia dentro se stessi radice e fondamento vero, che non stia su solo per sostegno, per conferma e per approvazione esterni. Quanto del modo di procedere abituale e precedente le fasi di più acuto malessere e sofferenza, quelle di cui chi è interiormente sofferente è nostalgico e che vorrebbe ricreare, era in realtà così valido e saldo? Che vita era quella che oggi pare svanire? Quanto c’era di sfilacciato nella consapevolezza di se stesso, di disunito nel rapporto tra ciò che l'individuo si rappresentava e si proponeva e ciò che sentiva, quanto c'era di affidato solo a guida e a supporti esterni? Quanto c’era e quanto invece radicalmente mancava di ricerca di un filo interno, che unisse, che facesse vedere la continuità e il senso nella propria personale esperienza? Quanto a fine giornata si poteva dire d’aver raccolto, compreso o generato e quanto invece, casomai evitando di pensarci, volgendo lo sguardo sempre altrove, c’era di inutile, di banale, di impersonale, di raffazzonato, di valido solo per tirar avanti con espedienti, per inerzia? Il problema pareva non porsi e non esistere...e però è venuto il giorno in cui un’interiorità, non certo debole o malata, ha cominciato a rendere più acutamente sensibile e vistosa la questione dell’assenza...di un filo, di un costrutto proprio e allora è arrivato il tempo della consapevolezza, dolorosa e senza sconti e su queste basi il filo vero, non più illusorio, non più inventato, ha cominciato in realtà ad essere tracciato. Cercare il filo, il proprio filo interno... nulla è mostruoso, nulla è abnorme nell'intimo sentire, purchè non lo si squalifichi perchè doloroso, purchè non gli si contrapponga come regola una normalità cui aderire, purchè non gli si chieda soltanto di sparire...per far posto a che? A gioia fittizia, a calcolo e a compiacimento per qualcosa, che simile a quello che hanno tutti, potrebbe pur bastare?  L'impegno di cercarsi sul sentiero accidentato, di accettare di costruire finalmente e non di rivendicare, di ritrovare il proprio filo e di tesserlo con onestà e pazienza per farne tessuto vitale e di pensiero nuovo, proprio e resistente, che non svanisca...per una vita, la propria vita, che non sia riempita d'altro, ma finalmente del proprio...questo sì e con l’aiuto giusto è possibile e è risposta consona all'intimo sentire, a ciò che dice e chiede...e se lo si vuole chiamare cura e processo di guarigione lo si faccia pure...finalmente queste parole avranno senso e contenuto seri.

lunedì 13 aprile 2020

Cosa vive dentro di noi

Come potrebbe esserci tregua dove tutto, al di là delle apparenze, è irrisolto, dove la forma di vita cui si è attaccati è solo illusoriamente propria?  Paghiamo pegno a una parte di noi stessi, che insopprimibile ci è radicata dentro, intima e profonda, il cui "difetto" è di veder chiaro e di spingere tutto l'essere a vedere chiaro, bucando le illusioni, una parte che non collabora a chiudere il cerchio dell'inconsapevolezza. Se rischia di andare persa la comprensione del senso della nostra vita, prima di tutto la chiara visione di come procediamo, senza omissioni, oscuramenti e  travisamenti di comodo, se in cambio di avere una identità e un senso di valore e di scopo presi in prestito e sostenuti da idee, da modelli e sguardo comuni, c'è la rinuncia a trovare noi stessi, a formare una visione nostra, a coltivare e a concepire idee e progetto autonomi, la parte profonda di noi stessi non tace, non rimane inerte. E' una parte che è instancabile fautrice e anima del nostro essere individui veri e originali, dotati di intelligenza, non al seguito e ammaestrata, non raffazzonata e truccata per comodo, ma libera e esigente di sguardo proprio, di visione chiara e approfondita, senza equivoci e autoinganni. Non è al traino di nessun luogo comune, non cede all'illusione e alla voglia di considerare tutto composto e risolto, ma ha a cuore il vero senza sconti, la costruzione non fittizia, ma ben fondata e salda, di un proprio modo di intendere le cose, di far vivere con la personale impronta un'esistenza che non sia paga di essere sistemata in qualche casella già pronta, che non sia giustificata da nebbia di idee preconcette e arrangiate razionalmente, tenuta su e consolidata da principi incompresi e da pregiudizi. Ha i mezzi, del tutto inaspettati per chi, la maggiornza, non ha neppure sentore di ciò che sa generare e promuovere, per condurci a sviluppare pensiero vivo, nuovo, assolutamente veritiero, capace di farci uscire dal solito giro di pensieri spiantati, siano essi semplici o sofisticati. L'inconscio sa fare questo, sia attraverso il sentire, le emozioni e gli stati d'animo, che indirizza e plasma, sia attraverso i sogni, autentici capolavori di acume, di intelligenza. E' una presenza, che portiamo e che vive dentro di noi, che, non acquiescente o di conforto all'andazzo corrente,  spesso non convalida i pensieri d'abitudine e coniati dal ragionamento, perchè chiusi al vero, perchè spiantati, che complica la vita, ma per riaprire la consapevolezza, per indirizzarla sui punti davvero cruciali, da riconoscere e su cui lavorare. Con i sogni l'inconscio  ci offre il meglio del suo pensiero, che, se fedelmente inteso e fatto nostro, libera davvero la nostra mente, la rende finalmente capace di comprendere. E' comunque, proprio perchè va a sbattere contro la tendenza della nostra parte conscia a voler tutto stabile nella forma già conosciuta e senza intoppi, una presenza scomoda quella che nell'intimo e profondo portiamo dentro di noi e che non ci dà tregua. Possiamo cercare di ignorarla, di tenerla ai margini, possiamo con arbitrio e sufficienza svalutarla, salvo temerla inorriditi quando nell'intimo  batte duro e non dà tregua,  possiamo giudicarla e fraintenderla, provare a  zittirla, a tenerla lontana evadendo da ciò che, spiacevole e arduo, interiormente ci propone, possiamo tentare col supporto di luoghi comuni e di esperti di scienza, che si pretende tale, svuotare le sue proposte e invalidarle come non conformi e devianti da ciò che si considera sano e normale, possiamo travisarle, non comprendendone affatto l'intento originale e il senso, come segni di anomalia, come difettosi modi o disfunzionali, ma la parte profonda di noi stessi non cede e non recede. Le crisi interiormente si aprono e non chiedono permesso, le cosiddette ricadute, così definite da ottusi preconcetti, si susseguono, perchè la parte profonda non rinuncia, non si fa mettere in riga, perchè prova con insistenza a smuovere, perchè non accetta di essere soppressa. Se ben intesa ci ridarebbe il senso delle cose, la visione nitida e non truccata, non drogata da luoghi comuni, da ipotesi che ci mettono quieti e ben allineati. Risponderle e corrisponderle è, rispetto al comune e abituale modo di procedere e di intendere la vita, l'impresa più impegnativa e audace e nello stesso tempo per nulla oltre il possibile, perchè a misura dell'umano che vive in noi, capace di ridarci il seme dell'intelligenza, lo spirito critico che a nulla cede e da nulla si fa rimbambire, di restituirci spessore e statura di individui veri e originali in accordo, non con il comune e solito, applaudito e conveniente, ma con il progetto e la spinta a generare con cui  siamo venuti al mondo. La parte profonda di noi stessi è la nostra natura e il nostro potenziale più alto.

domenica 12 aprile 2020

Il tuo sentire

Vivi un'esperienza di forte disagio interiore e presto dai per scontato che ti sia nemica, che possa solo farti danno. Accade così che ti rapporti al tuo sentire come a una cosa estranea, a un oggetto da controllare, da mettere a tacere come se fosse un meccanismo malfunzionante, un "sintomo" strano, che forse vorresti catalogato e etichettato (le cosiddette diagnosi), eventualmente spiegato dal di fuori con qualche ragionamento, sicuramente debellato in fretta. Cerchi qua e là qualche accorgimento o stratagemma per riuscire a smontare, a liquidare il tuo sentire in ciò che di disagevole ti propone. Se il tuo sentire, che ti accompagna in ogni istante, ansie, tormenti e cadute di umore compresi e non esclusi, lo sapessi far tuo, se lo intendessi come parte di te preziosa e irrinunciabile, come cuore della tua esperienza, come tuo modo vivo di fare esperienza, di percepire, di addentrarti, di prendere rapporto vivo con verità che ti riguarda, come toccando con mano, come camminando a piedi nudi e "sentendo" il terreno, come esponendo la pelle al contatto...ecco che non potresti certo rifiutarti a nulla, nemmeno al dolore, a esperienza sofferta o nell'apparenza strana, perché la ricerca della verità, perché la conoscenza di te stesso, che voglia essere aperta e senza veli, non tollera che ci siano preclusioni, non può sottostare alla regola, alla precondizione che tutto sia agevole, rettilineo e roseo, che debba conformarsi a presunti svolgimenti normali dell’esperienza. Insensato non è ciò che accade interiormente, ma è bollare come abnorme e patologica la proposta del sentire quando non sta alla regola del presunto svolgimento normale. La cosiddetta normalità è una petizione di principio concepita da menti corte, che intendono la ripetizione e la conferma del già noto come regola e il conformismo come guida, che dell’interiorità e dell’essere individui sensibili e protesi a cercare il vero, a prenderne consapevolezza (questo è ciò che anima il profondo), non sanno vedere e concepire nemmeno l’ombra. Mi riferisco non solo al modo comune e diffuso di pensare le questioni e le vicende interiori, ma anche a quello di non pochi, di troppi presunti esperti e terapeuti della psiche. Qui torniamo alla questione di partenza: quante volte senti dire che l’ansia è immotivata, che toglie, che limita, che è eccessiva o patologica, che non dovrebbe esserci, che altro dovrebbe esserci!?  L’esperienza interiore, tutto ciò che accade nel sentire dice, rivela, disegna nel vivo, evidenzia sapientemente, con incisività e con precisione, le questioni da riconoscere, fondamentali e imprescindibili, ancora ignorate, rende tangibili e cocenti verità via via da raccogliere e vedere. Quel che serve non è combattere e pretendere di rimettere a norma ciò che succede interiormente quando difficile, insolito e doloroso, ma imparare a vedere dentro e attraverso l’esperienza interiore viva, serve dare fiducia alla propria interiorità in ciò che propone, senza opporle veti e sospetti, serve aprire gli occhi su ciò che porge, sempre e in ogni caso, imparando la riflessione, che è capacità di vedere dentro e attraverso il sentire, di ascoltare cosa dice nell’intimo un vissuto, un’emozione. Viceversa accade spesso che anziché imparare a congiungersi al proprio sentire, che come piede nudo messo a terra dice dove si è e cosa si sta percependo in quel dove della propria esperienza, si cominci a sparare contro presunti cattivi modi di sentire, a parlare di paure immotivate ed eccessive, oppure che si vada altrove dal luogo vivo dell’esperienza intima per cercare nel passato qualche triste, traumatica  o problematica esperienza, con l’attesa di trovare là l'origine di tutti i mali, come se ciò che si sta provando fosse la conseguenza di qualche pena nascosta o spina dolorosa che perdura. Sempre a credere che la normalità di presunti equilibri immobili sia e debba essere la regola, sempre a pensare che se c’è disagio si sia vittime di un fastidio o di un torto, che si patiscano gli effetti sfavorevoli di un danno, di una distorsione, casomai di origine remota! Quando inizia e prende piede un malessere, un disagio, una crisi, quando tutto interiormente si mobilita e si complica, è assai più probabile che in quel che sta accadendo ci sia la volontà ferma del proprio profondo di provocare un forte avvicinamento a se stessi, il superamento di uno stato di scollamento dal proprio intimo e dal proprio sentire, di spingere per un serio recupero di capacità di vedere e di capire, fondamento necessario di autonomia e di capacità di autogoverno della propria esistenza, piuttosto che si sia malcapitati in un brutto episodio e insano, in una parentesi negativa della propria vita da trattare e da curare come malattia, da superare. La volontà del proprio profondo, che plasma, che anima e che acuisce il sentire tutto, anche quello che risulta difficile o doloroso, è di spaccare il guscio vuoto di un modo di pensare e di procedere, pur in apparenza autonomi, in realtà più di quanto non si voglia credere forgiati e regolati da adattamento e da imitazione, con poco o nulla di proprio e di generato da sè, di spingere con fermezza a uscire da una condizione di inconsapevolezza o di coscienza accomodata e illusoria, a aprire gli occhi sul vero, a trovare, senza più rinviare, le proprie risposte e ragioni d'esistenza, a comprendere e a sciogliere i propri nodi, a coltivare e a veder nascere idee e aspirazioni proprie e profondamente sentite. Oggi, per te che soffri, l'apertura al tuo sentire, il recupero della tua capacità di avvicinarti a te, di non negarti a ciò che vive in te, imparando a vedere dentro e attraverso ciò che provi, senza esclusioni, includendo proprio tutto, anche se disagevole o in apparenza "strano", è questione importante e decisiva. E' questione attuale posta con forza dal tuo malessere. Nulla a che vedere con l'idea che il tuo malessere sia una pericolosa trappola, una anomalia da sanare e da mettere vittimisticamente  in conto a qualcosa o a qualcuno del tuo passato recente o remoto. E’ utile, anzi indispensabile che tu sia aiutato a renderti disponibile a ciò che senti, senza preclusioni, a dotarti di capacità riflessiva, che ti renda capace di  attingere alla tua esperienza interiore viva, comprendendone il significato, apprezzandone via via il valore, scoprendo che puoi fidarti di tutto ciò che accade dentro di te. Ciò che manca a te e a chi come te vive un'esperienza di malessere interiore e di crisi, l’ho detto in molti miei scritti, è proprio questo: capacità riflessiva. La capacità riflessiva, quella vera, di vedere, di saper riconoscere dentro il tuo sentire cosa prende forma, che non c'entra nulla col modo abituale di intendere la riflessione (confezionare sopra e sul conto dell' esperienza, di ciò che si prova, interpretazioni e spiegazioni col ragionamento), ti potrà permettere di dialogare con la tua esperienza viva, incluse quelle che finora hai chiamato o sentito chiamare e catalogare freddamente, come fossero oggetti, come ansie, attacchi di panico, fobie, depressione o altro. Trarre dalla tua esperienza interiore viva il suo intimo significato, ciò che vuole rivelarti e dirti, questo ti serve, ti può far crescere e darti unità con te stesso. Può farti uscire dalla paura di te stesso, di ciò che senti. Sparare contro il tuo sentire con farmaci o con altro, alimentando solo la tua insofferenza e la tua paura di ciò che, intimamente e profondamente tuo, vive dentro di te, oppure fare del tuo sentire solo il pretesto per fare lunghi giri di indagine e di ragionamento per trovare ipotetiche cause, con l'intento di smontare ciò che vivo dentro te ancora non sai ascoltare e comprendere, è ipotesi infelice, oltre che sterile. Demolire il tuo sentire, risorsa preziosa e mezzo validissimo, anche quando sofferto e disagevole, per avvicinarti a te, per riconoscere, facendone intima esperienza, il vero, per capirti, per arrivare per questa via, lavorando su di te, a dare volto tuo e spessore alla tua vita, non è certo il meglio che tu possa desiderare per te stesso.

domenica 5 aprile 2020

Illusi di essere e di sapere

La pretesa di passare oltre, di trattare il malessere interiore come il malaugurato ostacolo che impedirebbe di vivere, di esprimersi compiutamente  e di portare avanti validamente la propria vita, racchiude la convinzione che tutto della conoscenza di sè e della propria crescita sia già a buon punto, che non ci sia che da proseguire liberi da intralci interiori. Gli intralci in realtà non sono guasti o blocchi negativi, non sono espressione di insufficienze, di ritardi e di incapacità di procedere, non sono disfunzioni e malfunzionamenti di un insieme che va solo rimesso a punto perchè funzioni come potrebbe e dovrebbe, sono viceversa richiami e interferenze che la parte meno illusa e ingenua del proprio essere, che la parte profonda di se stessi, sta mettendo in campo per provocare una profonda e puntuale verifica e revisione di tutto il proprio modo di procedere, per portare a sostituire una visione illusoria di se stessi e della propria realtà con una fondata e vera, una realizzazione apparente di sè, fragile e tenuta su da conferme esterne,  con una generata da sè, da coltivare e sviluppare senza trucchi e vuoti, perchè sia autentica e salda. Si dà per scontato di aver già capito e trovato identità propria, di sapere chi si è, cosa sia meglio per sè, ci si attribuisce possesso degli strumenti e delle risposte che servono, si dà credito in realtà a ciò di cui sfugge qualsiasi attenta comprensione, che semplicemente si ripete per abitudine e per sentito dire, di cui non si sa e non si vuole vedere la reale natura e qualità, il grado vero, verificato e non presunto, di consistenza e di affidabilità. L'illusione di sapere e di possedere le risposte e le soluzioni valide è sostenuta, è tenuta su da modelli, da convincimenti e da principi comuni, da idee tanto diffuse da considerarsi credibili, valide e capaci di definire ciò che è reale e normale, inequivocabilmente. Nulla di scoperto e di compreso da sè e sulla stretta base di ciò che l'esperienza, non quella limitata dei fatti e colta con osservazioni di superficie, ma quella più intima, coinvolgente e vera, ha voluto, passo dopo passo, rendere riconoscibile. Con la propria esperienza intima, testimoniata e resa attuale e viva dal proprio sentire, dal corso dei vissuti, degli stati d'animo, delle proprie vicende interiori, gli individui non hanno spesso nessun legame e nessuna confidenza. Tutto l'intimo è guardato dall'alto in basso come corteo di sensazioni affatto significative e valide nel saper dire e far capire, snobbate come espressioni irrazionali, spesso fitrate e selezionate, contrapponendo come positive quelle piacevoli a quelle giudicate negative perchè dolorose e spiacevoli, con fuga da queste ultime, lette, interpretate, non certo ascoltate e riconosciute nel loro intento e nel loro dire, a piacimento per vederci ciò che fa comodo e marchiate come improprie se deludenti le personali aspettative, addirittura squalificate come anomale o malate se affatto in linea con i propri pregiudizi, di estrazione comune, circa ciò che è ammissibile e normale. Non c'è dialogo con l'interiorità, tenuta in subordine e guardata a vista, spesso resa oggetto di trascuratezza, di omesso ascolto o peggio tenuta a distanza e rinnegata se ritenuta ostile e fonte di danno perchè pressante e dolorosa. Evadere, svagarsi, fare appello al diritto di stare bene, esaltare la leggerezza come condizione ideale, buttando via gli "appesantimenti" che l'interiorità accortamente e mai per insensati motivi propone e dona perchè ci si fermi a guardare attentamente dentro la propria esperienza, dentro se stessi, sono modalità così diffuse, ricorrenti e persino esaltate come ideali da cultura e da convincimenti comuni, che ciò che può fare da fondamento a una consapevolezza e a una conoscenza vera di se stessi è continuamente sabotato e scassato. Quanto dunque è affidabile la persuasione di sapere già e di aver già chiaro chi si è e cosa va proseguito e perseguito, persuasione che induce molti a sparare contro il malessere e la crisi interiore di cui è portatore, come ostacolo da superare, come distorsione da correggere, come espressione di disfunzionalità da emendare e rimpiazzare con risposte più accordate con la pretesa di tornare a correre come e più di prima? L'deologia della riuscita come pronta capacità di funzionamento fa sì che l'unico modo di intendere  la propria realizzazione coincida indissolubilmente con i modi già intesi e applauditi, senza alternative. E' significativo che le stesse correnti di pensiero e le pratiche che sono oggi così diffuse sul terreno psicoterapeutico, che siano quelle di tipo cognitivo comportamentale o quelle ancora più sbrigative della cosiddetta terapia breve strategica, non casualmente di matrice e provenienza nordamericana (dove è molto consolidato e spinto il principio e l'imperativo del non rimanere indietro, del non perdere colpi nella corsa alla riuscita, al successo), nel loro cercare prima di tutto la soluzione e il superamento del disagio interiore inteso pregiudizialmente come modo disfunzionale e svantaggioso di intendere e di rapportarsi alle esperienze, vadano sostanzialmente dietro e siano coerenti con questa visione della realizzazione personale, così come presente nell'idea comune prevalente. Accade così che si fraintenda, che senza esitazione e senza dubbi si giudichi espressione di ritardo o di malfunzionamento, di impiccio dovuto a qualche errore di apprendimento o a qualche infausto condizionamento familiare o ambientale, ciò che interiormente ha ben altro significato e intento, ben altro valore, utile a riportare l'individuo a se stesso e a dotarlo di capacità di veder chiaro dentro se stesso, condizione indispensabile per non fare sciupio della propria vita rincorrendo la cosiddetta normalità, cioè l'idea comune e prevalente cui si consegna il compito di fare da guida e da orientamento. Perchè alla visione illusoria, trainata e regolata da fuori, si sostituisca la visione nitida e fondata, trovata col proprio sguardo dentro e attraverso se stessi, è necessario rivalutare la propria esperienza interiore, il contributo che la parte intima e profonda di se stessi sa dare, collocandola, come merita, al centro del proprio interesse. Sarebbe saggio smettere di tenere in posizione subordinata e ai margini o fuori dal proprio campo visivo la propria esperienza interiore, esaltando scioccamente come sana la pretesa di andare via dissociati da parte essenziale di sè, sarebbe provvidenziale per se stessi non insistere nella pretesa e nella  presunzione di risanare e di correggere la propria esperienza interiore, quando in realtà è l'unica che, ascoltata e correttamente intesa in tutte le sue espressioni, anche e soprattutto in quelle in apparenza, solo in apparenza, anomale o insensate, saprebbe ridare le basi della consapevolezza e della scoperta del senso della propria esistenza. Colpire ciò che di sè non si conosce nel suo autentico significato e valore, col solo intento di continuare a procedere a testa bassa, illusi di essere e di sapere, non è scelta così saggia e promettente.