venerdì 26 aprile 2024

L'originale e l'artefatto

L'impianto naturale o viceversa l'innesto artificiale di una vita ne rendono profondamente diversi gli svolgimenti, gli sviluppi e gli esiti. Tenersi uniti alla propria matrice vera, al proprio intimo e profondo e da lì sperimentare cos'è scoprire, conoscere, orientarsi, procedere per guida interna, coltivare, far maturare e nascere, decidere e realizzare in unità e in accordo con la propria capacità di vedere e di comprendere è una cosa, affidarsi a altro per formarsi, che significa fatalmente uniformarsi a questa nuova matrice, per formare capacità di pensiero, per crescere e per dare compimento non più al proprio frutto e progetto, ma a un disegno, a una realizzazione già e diversamente da sè concepita, è tutt'altra storia e destino. Imboccata la strada del farsi portare e formare, ben istruiti a credere che quella soltanto sia la via per dare crescita e realizzazione a se stessi, il senso dell'artificioso va via via smorzandosi fino al compimento di quella mutazione per cui, pur vestendo e riproducendo altro da sè, ci si convince che lì dentro ci si è, si dice la propria, si dà espressione alla propria volontà, si mettono in luce le proprie capacità, si vive di propria sensibilità. E' il capolavoro della alienazione, di un processo di estraniazione da sè, che non sembra tale. E' il matrix perfetto, che una volta avviato si auto alimenta, è il ritrovarsi non nel legame con la propria originale matrice, è il trovare (seconda) natura dentro un'altra matrice, dentro un altro stampo, fino a considerarla propria, fino a difenderla con le unghie e con i denti. Ci si ritrova così a difendere il valore di una vita dove si è riposto tutto, dove si vale per la buona prova offerta che trova apprezzamento, dove l'intelligenza prende la forma del sapere che ottiene abbraccio e lode, dove i sentimenti, i più graditi e voluti sono quelli che sanno di buono, che sono ben considerati, che nel catalogo sono i più virtuosi. L'accordo con altro che dà conferma e plauso sostituisce l'accordo con se stessi, con ciò che da dentro il proprio intimo e profondo sarebbe capace di dare indirizzo e alimento alla scoperta fatta con i propri occhi, alla comprensione dei significati non per suggerimento, ma per intima esperienza, verificata, toccata con mano, dove la passione, quella vera e secondo natura, non è di essere applauditi, ma di generare, di creare, di far vivere e realizzare qualcosa di autentico, di originale, fedele a sè, che origina da sè, dal legame con la propria matrice vera, con il proprio intimo e profondo. Fatta propria la seconda natura, quella assistita e tenuta in piedi da altro che la forma e sostiene, è fatale che si diffidi della propria, che non si dia credito alla possibilità che dal rapporto con se stessi, con la propria matrice autentica, con la propria interiorità, possa nascere ciò che conta e vale, che si sminuisca ciò che l'interiorità può dare, che lo si riduca, che le si voglia assegnare solo il ruolo di coda, di ombra, di seguito gregario. Cos'altro è riconosciuto al proprio sentire e a tutta la risorsa interiore se non di accodarsi e di accordarsi con le pretese della parte conscia ormai venduta, affiliata all'altra matrice, affittata al compito di sostenere e di riconoscersi soltanto nelle capacità realizzative impiantate nella matrice della mentalità, dei modi di concepire comuni e organizzati a cui ci si è rifatti per trovare tutto? Da se stessi, dal legame, dal rapporto con la propria interiorità ci si convince che non è pensabile che possa nascere e formarsi il fondamento e il necessario per essere individui pensanti in proprio, capaci di mettere la propria vita su guide e su impianto proprio, in modo valido e credibile. La seconda natura oscura e rende improbabile ogni alternativa, anzi è pronta a denigrarla, a screditarla dove si provasse a darle credito. La scelta di staccarsi dall'insieme per dare spazio e occasione all'incontro e al dialogo interiore, sempre ammesso che lo si sappia rispettare prima di tutto come ascolto dell'interiorità e non come monologo della parte conscia, se non hanno corso limitato nel verso del ricaricarsi e in tempi rapidi  per ripartire nei modi consueti, sono visti e giudicati come segnali preoccupanti e insani di isolamento, di distacco dal reale, di vizio capitale di egoismo, di egocentrismo e chi più ne ha più ne metta. In ogni caso è considerato velleitario staccare dalla fonte esterna, dalla matrice che alimenta la seconda natura, spacciata per vera natura. La tesi dominante è che dal rapporto con se stessi, se preso sul serio, se investito di attese, non si può che trarre illusioni e ingenue persuasioni, non certo qualcosa di credibile, non certo il fondamento di una crescita autentica, forte e valida, di ampio e valido respiro e affidabilità. Se però si dà credito a ciò che è bollato come l'impossibile, se lo si coltiva, come accade dentro una valida esperienza analitica, si scopre che dal rapporto col proprio profondo, che rimettendo assieme, ritrovando le radici del proprio essere, ritrovando la vera autentica matrice, è possibile generare ben altro che la solita lezioncina, i soliti collaudati incastri di ragionamento a cui si è affidato l'esercizio del proprio pensiero, che gira e rigira tornano sempre all'ovile della visione della vita solita e già orchestrata e impartita. Può compiersi così e non certo magicamente e in un attimo, perchè è un vero parto con i suoi tempi di gestazione, la mutazione inversa, quella che riporta l'essere a trovare le sue vere radici, la sua capacità vitale, il suo respiro, la sua consapevolezza e capacità di visione, le sue originali qualità e potenzialità. E' una vera profonda trasformazione quella che si compie, stavolta per il verso giusto, del rientro a casa, al proprio da cui si rinasce con le proprie forme e sostanza, abbandonando via via, non senza difficoltà e contrasti interni (la seconda natura, con i suoi apparenti agi di aver già le risposte e le soluzioni pronte e apparecchiate, con la sua presa e capacità di inglobare in sè orgoglio personale e senso di riuscita, non ci sta facilmente a farsi mettere in discussione e da parte), quella parvenza di essere, artificialmente formata su altro impianto e matrice, cui ci si era consegnati. E' proprio la parte viva e profonda di se stessi, è proprio l'inconscio a pilotare, a alimentare, principalmente con i sogni, questo processo di trasformazione nel verso del ritorno a se stessi, del nuovo radicamento e della rinascita da se stessi. Dando spazio e credito al dialogo interiore, alla capacità che ha di far ritrovare il contatto e lo scambio vivo con la propria matrice autentica, con la propria interiorità, ciò che si può vedere nascere e formarsi è davvero unico e sorprendente. La natura, quella vera, sa dare il meglio, che è l'originale, l'autentico di sè che ha capacità vera e autonoma di vivere, di crescere e di dare frutto. La seconda natura, a cui ci si è aggrappati e legati come se non fosse tale, può solo produrre l'artefatto, che senza sostegno esterno di plauso e di conferma non può esistere e stare su, che altro non può fare che riprodurre ciò da cui artificialmente è scaturita.

giovedì 25 aprile 2024

Ancora sugli attacchi di panico

Riprendo il discorso sugli attacchi di panico, tenendo conto della frequenza con cui simili esperienze si propongono, anche e non casualmente in individui giovani. Proverò a dare, tratto da lunga pratica analitica, qualche ulteriore spunto di riflessione. Chi subisce un attacco di panico auspica soltanto che non si ripeta, vuole tornare al più presto alla normalità, al consueto, anche se si sente molto segnato da un'esperienza così estrema, anzi continuamente si sente in apprensione, sul chi va là per la possibile ripetizione dell'attacco, eventualità tutt’altro che rara. In realtà all'attacco di panico non vuole dare retta, non ha come primo interesse quello di capire cosa significhi, a che scopo si sia prodotta dentro di sè una simile esperienza. Il fatto che abbia avuto un carattere così sconvolgente, che abbia investito il corpo in modo così forte e significativo, favorisce l'idea che sia stato un guasto, un evento anomalo assai temibile, una pericolosa minaccia da scongiurare e da debellare. Dopo l'attacco o i ripetuti attacchi le indagini cercate con insistenza sul terreno medico, con esami clinici innumerevoli, con visite specialistiche varie, con test diagnostici ripetuti, alla ricerca di disfunzioni e di patologie possibili nel corpo, vorrebbero da un lato scongiurare l'esistenza di gravi problemi organici e dall'altro soddisfare l'attesa di scovare cause ben definite e circoscrivibili, utili per riuscire a ridurre a problema fisico e a dominare in qualche modo, a porre sotto controllo un'esperienza così inquietante e misteriosa. La lontananza perdurante, anche se poco o nulla riconosciuta, ancora meno considerata questione importante, dal proprio intimo e l'incomprensione abituale della propria esperienza interiore, non aiutano certo chi lo vive a intendere l'attacco di panico non come espressione di un disordine e di una anomalia, come potrebbe apparire, ma come esperienza significativa, non nefasta e capace solo di fare danno, ma propositiva e con un senso e una finalità utile nelle intenzioni del profondo che la scatena. Va subito detto che chi subisce l’attacco di panico ha di se stesso l’immagine di un individuo sostanzialmente, per ciò che più vale e su cui far conto, definito nei confini della sua parte cosiddetta conscia, pensando il resto che vive, che sperimenta dentro se stesso di emozioni e di stati d’animo, di sensazioni e di pulsioni come un corteo di svolgimenti interni, visti in gran parte come risposta automatica e reattiva a stimoli e a circostanze esterne, considerato nell’insieme come una sorta di realtà inferiore, fatta di meccanismi, di espressioni involontarie che vanno possibilmente regolate e tenute a bada, della cui intelligenza e validità come guida di pensiero e di conoscenza non c’è idea e considerazione. Anzi, assecondando l’idea comune, facendo rientrare il sentire e l’esperienza intima nelle espressioni cosiddette irrazionali, assegna loro il limite della scarsa o nulla affidabilità. Dunque che ci sia nell'intimo, fuori dai confini della propria  parte conscia razionale, una parte del proprio essere, niente affatto irrilevante, anzi decisiva, che ha capacità di offrire, come fa continuamente nel corso dell'esperienza, attraverso il sentire e tutti gli svolgimenti interiori, stimoli e proposte  su cui  (imparando a ascoltare e a intendere il linguaggio della propria interiorità, del proprio sentire, anzichè avere presunzione e impazienza di dargli spiegazioni e soluzioni,  anzichè parlargli sopra e bistrattarlo con i ragionamenti) si può fare conto, cui non si può rinunciare per ritrovarsi, per avere terreno valido e fecondo  per orientarsi, per capirsi, è scoperta di là da venire. Accade così che se qualcosa dentro di sé fa la voce grossa e ricorre alle maniere forti per far sì che si porti l'attenzione e la preoccupazione su di sé e sul proprio stato, non lo stato fisico, ma ben altro attinente il proprio modo di procedere e la sostanza di ciò che si sta facendo di se stessi, questo non venga inteso, che invece si pensi solo a un meccanismo in avaria, a qualcosa di rotto, di anomalo, di cui diffidare, da cui cercare di proteggersi, che ci si convince rapidamente arrecare solo danni. Il grosso turbamento, le limitazioni imposte al quieto procedere, all’andare fuori, all’intrattenere le solite attività di relazione con l’esterno, con gli altri, preoccupa, angustia, sono il motivo di preoccupazione principale, unito alla nube oscura di disagio e di paura crescente nello stare in contatto con se stessi.  Chi subisce l'attacco di panico tende abitualmente, come già accennavo, per orientarsi e per capire a affidarsi a altro che non siano i suoi vissuti, le sue sensazioni vere, a accontentarsi di ipotesi e di tesi costruite col  ragionamento, in apparenza coerenti e verosimili, a cercare sponda in idee e comportamenti comuni, vuoi aderendo e conformandosi ad essi, vuoi provando a differenziarsi, trovando comunque sempre supporto, anche se in contrapposizione, in altro da sè già concepito, cercando confronto e intesa con altri piuttosto che con se stesso, con la propria interiorità. Si muove seguendo un'idea di vita e di autorealizzazione date per acquisite, prese comunque da fuori e non cercate e maturate dentro se stesso. Segue e asseconda più l'interesse e l'istanza di stare al passo con altri, di tenere a bada e di rendersi favorevole lo sguardo altrui, che di cercare il proprio, di non perdere terreno piuttosto che di fermarsi a capire, ascoltando e coinvolgendo tutto il proprio essere. Non mette al primo posto, non concepisce come essenziali e necessarie, né la vicinanza e l'intesa con se stesso, con la parte intima, profonda di sé, niente affatto riconosciuta come presenza e parte viva e affidabile di se stesso, né di conseguenza la ricerca del proprio sguardo fondato sull'ascolto e sulla comprensione attenta del proprio sentire. Chi subisce l'attacco di panico crede che basti ciò che racconta a se stesso di sapere di sé e della propria vita, in apparenza credibile e pertinente, in realtà più raffazzonato e fatto di supposizioni che compreso in profondità e con rispondenza piena con ciò che sente, che vive dentro se stesso. Non per tutto il suo essere però conta e basta ciò che l'individuo vuole continuare a illudersi di sapere, ciò che continua imperterrito a inseguire, a fare, a ripetersi in testa. Per una parte di se stesso, quella intima e profonda, questa maschera di sapere e questa parvenza di vita propria, altra e lontana da ciò che di vero potrebbe conoscere e da ciò che potrebbe far nascere da sè, non è certo un bene da difendere a denti stretti. Per il profondo è rilevante e inaccettabile la condizione di lontananza dell'individuo da se stesso, di separazione e di sconnessione dal proprio intimo, di rinuncia a cercare risposte vere e fondate su di sé, a conoscere prima e a far vivere poi il proprio. Insomma, proseguire come d'abitudine ritenendolo sufficiente e normale è una cosa, capire e vedere nitidamente come si sta procedendo, cosa c'è o non c'è di proprio, di scoperto e generato da sé in ciò che si fa, verificare cosa realmente si conosce di se stessi, cosa si sta facendo della propria vita, è un'altra. Individui giovani, che non di rado, come dicevo all'inizio, patiscono attacchi di panico, hanno il problema di quanto sono equipaggiati o meno di consapevolezza e di sguardo proprio, di comprensione di ciò che vogliono tradurre e realizzare nel loro futuro. Il rischio, privi ancora di capacità di incontro e di dialogo con la loro interiorità, facendo leva per capire, per capirsi solo sul ragionamento, che lavorando da solo, senza stretto legame e guida del sentire, non dà capacità di vedere dentro sé, ma solo di ripetere e di rimasticare il già detto e comunemente concepito, è di farsi portare e di andar dietro a guide esterne, di uniformarsi a idee e a modelli prevalenti. Il rischio, ignari di ciò che da se stessi potrebbero trarre e far vivere di originale e di sentito, digiuni di conoscenza propria, fondata e vera, è di mal intendere e di fallire gli scopi della loro vita, pur con l'illusione di essere attivi e autonomi nel formare e nel governare le loro idee e scelte. E' un rischio di non trascurabile importanza, è un rischio non certo trascurato dal loro profondo. Perciò il loro inconscio interviene, interferisce, dando segnali forti, perentori, capaci di bloccare e di rendere insostenibile l’abituale corso e modo di procedere che punta tutto all’esterno, segnali che, per la loro potenza e invasività, non vogliono essere assolutamente ignorati e messi da parte. Nulla di ciò che accade interiormente avviene per caso. In presenza di malessere interiore, seppure nella forma drammatica e sconquassante degli attacchi di panico, leggere e spiegare tutto in termini di disturbo, di anomalia di funzionamento, di meccanica conseguenza di sovraccarico di tensione da cause esterne aiuta solo a non capire nulla, a stravolgere il senso delle cose. Cercare e ricevere come aiuto sul piano psicologico quello di attrezzarsi nella difesa dalla paura montante fino al panico e perseguire come scopo il superamento dell’attacco o degli attacchi per tornare, come fosse il traguardo più ovvio e desiderabile, allo stato solito e al consueto modo di procedere, significa non intendere il significato e la finalità di ciò che drammaticamente è accaduto, che peraltro spesso ha un seguito e che lascia una scia che non si dissolve. Dentro di noi c'è una parte profonda, ben più interessata, piuttosto che alla difesa e alla prosecuzione dell'abituale, a cosa di noi stessi stiamo e sapremo realizzare o meno, a quanto siamo vicini e coerenti con noi stessi, a quanto di idee nostre abbiamo coltivato e generato davvero e non semplicemente finto di possedere, in realtà ripetendo modi e atteggiamenti, risposte e valori comuni. Se l'attacco di panico alimenta in modo improvviso e impetuoso l'allarme sulla prosecuzione della vita, del regolare battito cardiaco, del respiro, se catapulta nella paura di ciò che imprevedibile potrebbe accadere, è per far capire che non c'è solidarietà interna, della propria parte profonda verso l'andare avanti nel solito modo, è per fare toccare con mano lo stato di non unità con se stessi. L'attacco di panico non è una sciagura o una patologia da vincere, è un potentissimo richiamo da ascoltare e da capire, da prendere sul serio per il proprio vero bene.

mercoledì 24 aprile 2024

Capire i sogni

Ho già scritto sui sogni, ma voglio tornare sull'argomento, perchè i sogni sono ciò di cui è impossibile fare a meno per conoscere se stessi, a meno di consegnare la conoscenza a ipotesi ragionate e a spiegazioni, che, pur se in apparenza coerenti e verosimili, raccontano di se stessi ciò che sembra, ma che non è. Nei sogni c'è la più stretta aderenza a noi stessi, nulla è taciuto. I sogni sono diario di bordo e bussola di un ininterrotto viaggio di scoperta, sono il prodotto di un lavorio di ricerca di consapevolezza, di un'attività di pensiero della parte profonda di noi stessi, che non sta ferma, che non rimbambisce nell'adattamento e nel far proprio ciò che non ci corrisponde, che ci dà solo illusoria convinzione di esistere e di capire. Si pensa a volte che nei sogni confluisca, quasi in automatico e meccanicamente, l'esperienza diurna, rimasugli, pezzi, un che di disaggregato senza nesso e senza senso, oppure che rimangano le tracce di ciò che più ci ha colpito, che ha turbato la nostra mente. Altri pensa che nei sogni ci siano desideri inconfessati. Altri ancora pensa che i sogni facciano previsioni e sappiano dare indizi sul futuro. Soprattutto si pensa che i sogni parlino di noi unicamente in relazione e in rapporto con altro, con altri. I sogni parlano di noi e svelano, configurano uno scenario inaspettato, danno corpo e consistenza, rendono visibile e mettono in primo piano qualcosa che per molti non esiste, che non è concepito, cioè il rapporto che abbiamo con noi stessi, quanto accade nella relazione col nostro intimo. Tutto il dire dei sogni è un dire di noi, di come siamo, di come ci rapportiamo a ciò che sentiamo e che continuamente vive dentro di noi, di come procediamo nell'esperienza, mossi da che cosa, affidati o vincolati a che cosa. Lo sguardo dell'inconscio è riflessivo, guarda all'interno, coglie e riconosce il vero dell'esperienza, non è appiattito sulla sua superficie, non è tenuto imbrigliato dal comune modo di pensarla. Nei sogni c'è la rappresentazione attenta non dei fatti, non la ripresa e la conferma delle costruzioni di pensiero che si è abituati a mettere sopra i fatti, sopra gli accadimenti dell'esperienza per spiegarla, ma l'attenzione è rivolta  a come si conduce l'esperienza, osservando e chiarendo, dando volto a ciò da cui si è mossi, da quali istanze, in che modo, a che scopo, con quali eventuali contrasti interni, in definitiva nei sogni è ritratto il cuore dell'esperienza, ciò che rivela più in profondità di noi stessi, il vero, non l'apparenza e ciò che fa comodo vedere. Tutte le presenze e le figure che compaiono nei sogni, siano essi persone, animali o cose, danno simbolicamente volto a parti di noi, a modalità, a espressioni, a istanze e a potenzialità che ci appartengono. I sogni dicono del nostro modo di procedere, della strada che stiamo seguendo. I sogni segnalano non di rado lo stacco dalla "terra", la lontananza cioè dell'individuo dal terreno vivo del suo intimo sentire e dell'esperienza interiore che in ogni istante lo accompagna,  parlano perciò non di rado  di esperienze di volo, di vertigine e di sensazioni improvvise di precipitare. Per descrivere l'iniziativa del profondo, che cerca di raggiungerlo e la percezione timore che l'individuo  ha di ciò che vive profondamente dentro  se stesso, parlano di assalti e di inseguimenti di figure che paiono "malintenzionati" o ladri (per cominciare a capirsi è necessario essere privati, derubati di convinzioni e di certezze tanto rassicuranti quanto ingenue e improprie), parlano di acqua che incute timore, di acqua che avanza minacciosa, che dilaga...sono solo esempi di una rappresentazione del rapporto/non rapporto dell'individuo con se stesso, con la propria interiorità, di come sia viva e presente la questione del confronto col proprio profondo, di come il proprio profondo non rinunci alla propria iniziativa, a farsi avanti. Il respiro e l'orizzonte di ricerca e di sguardo dei sogni è ampio a comprendere e a farci comprendere cosa stiamo abitualmente nei modi del nostro procedere facendo di noi stessi, che l'inconscio vuole spingerci a chiarire, a vedere senza veli, nello stesso tempo, aprendo la strada a ciò che potremmo, onorando il nostro essere individui potenzialmente capaci di pensiero autonomo, di sviluppo di qualcosa di originale e consono a noi stessi. L'inconscio nei sogni è guida ispiratrice e motivante un profondo cambiamento, da individui passivamente al seguito e consumatori di moduli di pensiero già pronti e in uso, non importa se con qualche parvenza di originalità, sostenuti e guidati da tutto ciò che già pronto e concepito può dare supporto e indirizzare scelte e modi di vivere e di realizzarsi, a individui, a esseri umani invece capaci, non in un batter di ciglia, ma lavorando con pazienza e cura il proprio terreno, in stretta unità col proprio profondo, di generare proprio pensiero, scoperte di significato e di valore e, su queste basi, di dare compimento a percorsi e a realizzazioni proprie e davvero originali, autentiche e coerenti con se stessi, non dettate da imitazione, da paragone o competizione con altri. I sogni, lo si vede, lo si vive e constata nel cammino dell'analisi, di un'analisi ben fatta, sono capaci di indirizzare la ricerca e la trasformazione nel verso di passare da essere copia d'altro (può sembrare drastica e impietosa questa affermazione, ma di se stessi cos'è possibile mettere e ritrovare, agendo dentro uno stampo di idee e di riferimenti, di attribuzioni di significato, di grammatica di pensiero, di guide alla espressione e realizzazione di sè ben apprese, assimilate e nel tempo esercitate, se non qualcosa che comunque riempie quello stampo e ne riproduce i limiti e la forma?) a divenire pienamente se stessi, con tutti gli attributi umani originali e autentici che si posseggono e che si ignorava che risiedessero dentro se stessi, con tutta la ricchezza di una visione e di un pensiero proprio che si ignorava di poter generare. Ridurre i sogni a desideri irrealizzati o a ricettacolo di esperienze quotidiane più o meno incisive significa non capire la portata dell'iniziativa e del pensiero profondo. L'inconscio è intelligenza pura, nel senso che non ricalca stancamente il già detto e concepito, ma viceversa dà volto e riscatto al pensiero riflessivo, autonomo e fondato, che vuole vedere cosa la propria esperienza dice e rivela di se stessi, che non rinuncia mai a cogliere il vero, a cercare il senso in profondità, costi quel che costi, che combatte l'eclissi dell'intelligenza, unica leva della autonomia e della libertà dell'individuo. Capire un sogno significa intenderlo nel suo verso, nelle sue intenzioni, nei suoi modi di formare e di tradurre il pensiero. Se lo si incanala e costringe dentro i soliti riferimenti, dati per scontati, se lo si incastra nel già pensato e nella logica abituale, gli si fa dire ciò che piace e che si suppone, in sostanza lo si travisa e lo si mortifica. Purtroppo lo si spreca. L'inconscio non cesserà certo di dire ciò che pensa, non si assoggetterà alla rigidità, alla presunzione e all'inerzia del pensiero conscio ragionato, ma non capire i suoi messaggi peserà come una grande occasione persa per ritrovarsi e per cominciare a vedere chiaro dentro se stessi.

domenica 21 aprile 2024

La scienza e la pseudoscienza

La scienza nel suo significato più autentico si nutre di pensiero critico, del rigore della ricerca, che, non imbrigliata nel già concepito e consolidato, libera da preconcetti, da impazienza e da bisogno di trovare risposte pronte e di comodo, vuole vedere chiaro e verificare ogni cosa, senza limitazioni e riduzioni, senza approssimazioni, senza semplificazioni, senza concedere all'idea dell'ovvio e dell'inconfutabile mai. Tutto questo senza posa. La ricerca di verità e di conoscenza non è una prerogativa e una esclusiva di nessuno, per ognuno la possibilità e il compito di esercitare pensiero critico e attento, impegnato nella ricerca del vero, la facoltà di sviluppare conoscenza. Non è accettabile, è in totale contrasto con ciò che è e che persegue, sacralizzare la scienza, chiudendola nel santuario delle verità definitive e che non ammettono dubbi, rese tali dalla supposta autorevolezza e dall’ossequio a loro concesso di esperti, che pretendano e cui sia attribuita l’autorità di dettare cosa sia l'indiscutibile della conoscenza. Sul terreno psicologico non sono poche le insidie della scienza, sarebbe meglio dire della pseudoscienza, che si auto consacra come autorevole fonte di teorie, di spiegazioni e di soluzioni, che si pretendono scientificamente provate, pronte da applicare a questo individuo e a quello. E' in gioco per ognuno la sorte della propria vita, la conoscenza di se stesso e la scoperta del senso e del potenziale della propria vita sono il fulcro, la bussola e sono il patrimonio vero di una vita, su cui fare conto per non lasciarsi portare da altro, sono qualcosa di singolare non equiparabile a altro, sono scoperte da coltivare con cura, col massimo di apertura  a se stessi, di disponibilità all’ascolto della propria interiorità, sono scoperte originali e inedite, non riportabili, se non attraverso forzature e manipolazioni, nello stampo di questa teoria o di quell’altra. Le esperienze interiori, le verità da scoprire, i modi e i percorsi per raggiungerle sono unici, diversi per ognuno, non rientrano in niente di già detto e spiegato e concepito. Non ci si può permettere di essere passivi e al traino di pensieri altrui, anche dei presunti accreditati esperti, di essere illusi o creduloni, ne va della propria sorte e del valore compiuto e soprattutto ancora incompiuto della propria vita. Nulla va dato per scontato. L'esperienza interiore di ognuno è patrimonio e risorsa di straordinario valore, unica e originale, merita perciò attenta considerazione e verifica il modo in cui è considerata e trattata. L'esperienza interiore è esposta infatti troppo spesso al rischio di essere oggetto di spiegazioni e di trattamenti a dir poco inappropriati. Lo è nel modo comune di pensare e di trattare l'esperienza e il disagio interiore, lo è non di meno e non raramente nel modo professionale dei cosiddetti esperti e delle scuole di pensiero a cui si affidano. La sofferenza interiore è specchio di se stessi, è lievito di verità e pungolo alla presa di coscienza, senza più rimandi e fughe, senza rifugio nell'abitudinaria lontananza da se stessi. L'esperienza interiore sofferta e che non concede agio e distensione, quieto vivere e andamento indisturbato e sciolto al passo con l'insieme, è crogiolo di verità da riconoscere, è presa decisa sull'individuo esercitata dal suo intimo e profondo, che non gli  concede più rinvii, che non vuole stare in ombra e alla periferia del suo essere, che vuole consegnargli e mettergli in primo piano sotto gli occhi non la cronaca e le invenzioni del ragionamento, ma il suo stato e modo di procedere, i nodi veri e insoluti della sua vita. Il profondo, che con decisione smuove la situazione interiore, che la orienta e plasma, vuole sostenere e promuovere, non la corsa per dare buona prova, non la tenacia del rimanere incollati agli eventi esterni, pronti a rimasticare i discorsi in auge, a non farsi sfuggire ciò che in genere si giudica importante e irrinunciabile, ma la necessità della personale crescita, non di immagine, ma di sostanza, del cambiamento per non essere solo un ruolo, una parte ben svolta e una parvenza d'essere, ma un'identità definita e originale, vera. Ebbene, se la tribolazione interiore è espressione dell'iniziativa di una componente intima e profonda dell'individuo che vuole, senza se e senza ma, dargli occasione di vedere chiaro in se stesso, per non proseguire incurante di verifiche attente e serie, accontentandosi del corso dell’esistenza secondo cosiddetta normalità, perdendo di vista la necessità di aprire gli occhi, di formare pensiero proprio e ben piantato sull'intima esperienza, di realizzare davvero se stesso per non fare sciupio della propria vita, pago soltanto di essere ben conforme all'insieme e confermato da sguardo e da giudizio comune, è sconfortante vedere come una simile esperienza interiore, così carica per chi la vive di significati e di potenzialità importanti e decisive, è spiegata e trattata abitualmente. La difficile e sofferta esperienza interiore è spesso letta come segno di malfunzionamento da correggere, come disturbo che nuoce da mettere a tacere, come patologia da sanare, come malaugurata conseguenza di questo o di quello che nel passato o nel presente avrebbe fatto danno. Ogni espressione della vita interiore, tutt'altro che secondaria a un danno patito, ben altro che espressione di malfunzionamento, sa e vuole dire e rendere tangibile una questione vera, rendere riconoscibile il modo d'essere e di procedere, di condurre la propria vita, di cui si è attori e responsabili verso se stessi, rendere più che fondata e comprensibile la necessità di adoperarsi per un profondo cambiamento. Nulla di ciò che si prova e si patisce interiormente, anche se difficile, doloroso e spiacevole, è privo di senso, anzi è carico di capacità di svelare, di far capire, non in modo freddo come con i ragionamenti, ma tangibile e toccante, acuto, qualcosa di centrale di se stessi, che riguarda il proprio stato e modo di procedere. Sia che, per fare qualche esempio, con l'ansia, dove si abbia la pretesa di procedere, anche se totalmente privi di conoscenza vera e fondata di se stessi e delle vere ragioni e implicazioni per sé del proprio modo di condurre la propria vita, segnali la verità di un traballante equilibrio, di un terreno fragilissimo e per nulla affidabile su cui si sta poggiando e muovendo i propri passi, sia che col vissuto depressivo spinga alla percezione cruda e dolorosissima del vuoto e dell'inconsistente, dell'anonimo e incolore, del volto spoglio di una vita, ora quasi insopportabile e opprimente, costruita solo sulla dipendenza da altri, sul far proprio ciò che altro da fuori, nell’esempio e nel pensato comune, ha indicato come strada da seguire e come realizzazione da cercare, senza nulla di generato e tratto da sè capace di dare alla propria vita volto, ricchezza e luce proprie, sia che con l'incastro ossessivo dei mille e disparati ragionamenti e dei controlli minuziosi, delle azioni preventive per tenere tutto in ordine e sotto controllo sveli impietosa che l'istanza di stare ben al sicuro e al riparo dalle proprie incognite e da se stessi ha fatto da fulcro dell'intera vita, tutto ciò che l'esperienza e la sofferenza interiore dice è significativo. Dare addosso al disagio, al malessere interiore per metterlo sotto cura e trattamento, affinché taccia e si normalizzi, facendo proprio il contributo di una pseudoscienza pronta a dare sostegno, credito e  manforte a simili propositi, anziché imparare, casomai con l’aiuto di chi sia capace di dare valido contributo in tal senso, a ascoltarlo, a farne tesoro, a riconoscerlo come terreno fertile seppur impegnativo per coltivare conoscenza di se stessi e nascita di qualcosa di proprio e di autentico, svela solo l'ignoranza di cui si è vittime, l'ottuso e pervicace attaccamento a far girare le cose nell'unico verso conosciuto e ritenuto normale e dovuto, reso scioccamente indiscutibile e assoluto.

sabato 20 aprile 2024

Gli attacchi di panico, qualche spunto di riflessione

L'attacco di panico è la soluzione estrema, l'arma più potente e incisiva che l'inconscio sa impiegare. Non per fare danno, non sconsideratamente, non per dissestare e basta, l’inconscio interviene per perseguire uno scopo, per dare forma, pur drammaticamente, a uno scenario nuovo, per far intendere subito, per intima e sconvolgente esperienza, qualcosa di importante, anzi di fondamentale. Le iniziative dell'inconscio sono sempre profondamente pensate e concepite, sensatamente e intelligentemente finalizzate. Capita infatti che la lontananza da sé, che il mancato riconoscimento di ciò che l’intimo di sé sa e vuole dire, essenziale per la conoscenza del vero e dell’autentico di se stessi, interiormente non passino inosservate e che non vengano accettate nel proprio profondo. Ciò che si dava per scontato, che l'interiorità seguisse e assecondasse, che fosse garantito il sostegno vitale e la continuità al procedere abituale tutto proteso all’esterno, a seguirne i tempi, le attese e le pretese, a coglierne le apparenti opportunità, è improvvisamente messo in forse. Capita che l'inconscio prenda decisa iniziativa e sopravvento, che dia modo con l’attacco di panico di sperimentare nella forma della vertigine emotiva, del senso di totale smarrimento e di angosciosa fragilità, fino alla paura che tutto si spezzi, che gli organi e le funzioni vitali cessino di funzionare, fino all'angoscia di morire, che la vita, in quella forma abituale e conosciuta, data per scontata e così tenacemente difesa dalla parte conscia, non è affatto dalla parte più intima e vitale concordemente sostenuta, fino a essere drammaticamente percepita come a rischio di non esserne garantita. Non solo, ma in quel momento di stacco, via via più drastico e impetuoso, dalla continuità del fare e del procedere abituale, l'inconscio fa sperimentare cosa significhi, per chi non abbia cercato legame con se stesso, con la propria interiorità, essere improvvisamente strappati via e distolti da tutto, soli, in presenza di sé soltanto, legati al proprio intimo soltanto. Abituati a stare attaccati ad altro e a farsi tutt'uno con altro, quasi a negare la percezione di sé, abituati a disperdersi nel fare, a rinviare sine die la sosta, il momento del fermarsi in aderenza e in ascolto sincero e attento della propria interiorità, ecco che nel momento dell'improvviso e inaspettato stacco dal fuori e dell'affaccio sul dentro, si è colti da allarme e da sorpresa, totalmente smarriti, sgomenti. La vita, l’incontro con la vita, questo è il potente richiamo dell’inconscio, è dentro, nel legame e nello scambio col proprio intimo, lì la radice, lì la scoperta del senso, lì la matrice del pensiero e dell’esistenza, lì la base, la radice viva e vitale del proprio essere, lì e non nel fare e nel ragionare disgiunti dal sentire e dal corso della propria esperienza interiore, non nel tenersi in simbiosi con altro, come se ci fosse in quel legame e in quella presa sul fuori l’unica possibilità di tenersi legati alla vita, a ciò che si considera reale, come se, senza la continuità di quel legame e di quella presa, ci fosse solo il rischio di perdere terreno e senso di presenza, di perdere le opportunità che contano, di perdere e di perdersi. Questo dell'essere catapultati improvvisamente nell'intimo delle proprie sensazioni, del veder costretto il proprio sguardo verso il dentro di sé, del sentire bruscamente incatenate la preoccupazione e l'apprensione a sé e al proprio stare in vita, è l'esperienza, lo scenario nuovo che si spalanca nell'attacco di panico. La propria interiorità, da gran tempo trascinata nel fare, nell'inseguire, nel pensare senza aderenza al proprio sentire vero, da gran tempo sottovalutata, resa nelle intenzioni docile e conciliante, muta all'occorrenza, dà all'improvviso (ma non tanto, perché precedenti segnali a starci attenti ce ne sono stati a bizzeffe) segnali vigorosi, impone i tempi, detta i contenuti dell'esperienza. Sensazioni sconquassanti di smarrimento, di pericolo, di insicurezza totali, impetuose. Parrebbero maligne, così oscure, terribili, travolgenti. Anche se la presa dell'inconscio è così decisa e quasi brutale, tutte queste improvvise e impetuose sensazioni e tutto il drammatico inaspettato corso d'esperienza vogliono spingere a vedere, a prendere coscienza di ciò che si è nell'incontro con se stessi: smarriti, perché mai abituati a cercarsi, sempre inclini a evadere, a stare fuori e "assenti". I temutissimi attacchi di panico vogliono, nelle intenzioni dell'inconscio, marcare con forza una frattura, una discontinuità decisa nel corso dell’esperienza, nella modalità consueta di procedere, che non le consenta di proseguire intatta, sia attraverso il cataclisma dell'attacco, sia con la scia di fortissima insicurezza e di non facilmente cancellabile turbamento che in seguito permane. Potrebbero, se raccolto e ben inteso il potente richiamo, essere gli attacchi di panico davvero l'inizio di una svolta nella direzione della riscoperta di sé, partendo dal proposito nuovo di avvicinarsi a sé, dalla presa di coscienza dell'importanza di non essere stranieri dentro se stessi, altro da se stessi, coinquilini di un essere, il proprio essere, che non si conosce, con cui si rischia di convivere fino alla fine senza incontro, senza ascolto e senza scoperta, senza trarne, della propria esistenza, le ragioni vere, i quesiti e le potenzialità. Un inizio quello voluto dal profondo, una spinta potente rivolta all'individuo, perché riconosca la necessità e l'urgenza di imprimere una svolta decisa alla propria esistenza, mettendo al centro la ricerca e la costruzione di un rapporto con se stesso, con quella parte di sé finora ignorata e trattata da appendice subalterna. Ci si potrebbe chiedere se il modo, che pare così terribile e devastante, di intervenire dell’inconscio non sia eccessivo, sconsiderato. In realtà non c’è nulla di esagerato e fuori misura. Se l'inconscio non agisse all'occorrenza con tale fermezza, durezza e asprezza nel dire all'individuo della sua lontananza e non familiarità con se stesso, della sua mancanza di contatto e di radice dentro sé, della sua sostanziale inconsistenza, così estraneo a ciò che solamente può dargli la scoperta del vero e dell’autentico di se stesso, avrebbe qualche possibilità di interromperne la marcia solita e l'inerzia del pensiero, di coinvolgerlo e di farsi ascoltare? Intendiamoci, la risposta più comune all'attacco di panico è di considerarlo un evento abnorme, anomalo, uno sciagurato impedimento alla prosecuzione solita, un turbamento così forte da essere sciaguratamente capace di compromette il procedere e la fiducia che si riteneva di possedere, una iattura che pare intralciare la possibilità di insistere nel modo di vivere solito, nell'attaccamento a abitudini, a cose, al fare. Tanta offerta di cura è proprio rivolta a trattare simili esperienze come disturbo e patologia da sanare e correggere, con farmaci o con consigli, prescrizioni, esercizi volti a superare paure considerate irrazionali. Se c’è un tentativo di spiegazione del perché dell’attacco di panico lo sguardo si dirige subito all’esterno a cercare possibili cause in sovraccarichi di tensione, in cosiddetto stress, parolina magica che tutto pare dire e che non svela nulla. L'ignoranza del significato degli eventi interiori non ha limiti e confini. Capita però che ci siano individui che riconoscono nell'esperienza degli attacchi di panico e nel seguito interno di turbamento e di insicurezza che lasciano, un segnale importante, che avvertono la necessità di una riflessione approfondita, di una ricerca finalmente di avvicinamento a sé e di conoscenza di se stessi. Ho visto iniziare esperienze analitiche su queste basi e premesse. In questi casi  l'inconscio, come era stato perentorio e drastico nel segnare, attraverso gli attacchi di panico, una frattura drammatica rispetto al solito procedere (frattura segnata dagli attacchi e dal seguito di forte allarme e apprensione che avevano lasciato), così e con altrettanta forza di partecipazione e di presenza è stato pronto a dare, fin dall'inizio del cammino analitico, attraverso i sogni, indicazioni lucidissime e guida sicura sul percorso da seguire, sulle scoperte da fare, sul lavoro necessario per ridare all'individuo finalmente consapevolezza vera, vicinanza e unità con se stesso, conoscenza di ciò che gli apparteneva. Se prima c'era solo la rincorsa di un che di normale e di paragonabile ad altri, di concepito e di tenuto in ordine col ragionamento, che spesso e in genere non sa vedere, ma solo organizzare e imitare, dopo la brusca interferenza del profondo, che ha costretto l'individuo a prendersi cura di sé, a spostare l'attenzione su di sé, è potuto iniziare un nuovo cammino e un divenire, del tutto inattesi e inconcepibili prima, ma possibili. Se all'inizio all'individuo, sotto le bordate del profondo, era parso che la sua salvezza stesse unicamente nel far cessare quell'assalto, nella libertà di proseguire indisturbato nei modi soliti e verso le mete conosciute, dopo, a confronto aperto e approfondito, gli è risultato via via sempre più chiaro che ciò che aveva a disposizione prima della crisi e che tanto aveva cercato di difendere era poca cosa e impropria, che tanto e tutto di sé gli mancava, che un cambiamento radicale, a partire dal capire ciò che di sé stava facendo, si era reso non solo utile, ma necessario, pena il rischio di non vivere, di non far vivere se stesso. Posso solo aggiungere che chi, dando risposta al forte richiamo dell’inconscio, ha messo in atto il percorso di avvicinamento a se stesso, ha visto cessare gli attacchi di panico, essendo venuta meno la loro ragione d’essere, avendo raggiunto il loro scopo.

giovedì 18 aprile 2024

Cos'è l'inconscio? Entità impalpabile e misteriosa o presenza viva e vicina?

Accade spesso che l'interiorità non sia compresa in ciò che vuole dire e proporre. L'errore nasce prima di tutto dal rimanere prigionieri della visione comune e prevalente, che afferma che tutto interiormente dovrebbe svolgersi secondo una presunta normalità, il che predispone a trattare come sospette anomalie le esperienze interiori complesse e difficoltate di disagio. Non solo, ma in presenza di una condizione di malessere interiore, succede spessissimo che il malessere sia riferito e principalmente letto come un problema di rapporto con l'esterno, che la ricerca si indirizzi subito in questa direzione. Il malessere interiore in realtà, per quanto metta nella condizione di sentire un legame stentato e critico con l'esterno, con gli altri, forza il coinvolgimento e spinge l'attenzione dell'individuo verso l'interno, verso l'intimo di se stesso, produce una sorta di ripiegamento, di introversione forzata, di caricamento e di polarizzazione di sensazioni e di stati d'animo (ad esempio di paura, smarrimento, apprensione, di scoramento e sfiducia), che collocano comunque dentro se stesso il cuore pulsante della sua esperienza. Cosa vuole questo malessere, cosa dice, cosa intende proporre? Questo è il punto. Lasciare dire alla parte profonda cosa dentro e attraverso il malessere sta sollevando e proponendo, imparare ad ascoltarla e a comprenderla nel sentire che anima e nei sogni, è la scelta da fare, ma già riconoscere che c'è nel proprio intimo una parte profonda capace di dire, di proporre è una novità senza precedenti. Solitamente infatti si tende a circoscriversi nella percezione e nel riconoscimento del proprio essere nella parte conscia, abituata a tenere in pugno tutto, parte che ragiona e che decide, il resto, l'intimo, il sentire, gli svolgimenti interiori, i sogni, sono intesi e trattati come appendice più o meno trascurabile, da cui non ci si aspetta di poter ricevere granché di utile e di sostanziale per capirsi, per orientarsi. Si pretenderebbe viceversa che la componente interiore si accodi e si accordi, giudicando che, dove non si accordi con gli orientamenti e con i propositi razionali, ciò accada per qualche sua bizzarria o, dove acuisca i toni, per un suo anomalo stato. Gli stessi terapeuti in non pochi casi hanno un'idea dell'essere umano che poco si discosta da questa visione comune, al più pensano che l'inconscio, ammesso che ne tengano conto, sia (oltre che origine di pulsioni e di risposte immediate, emotive, che se a volte paiono rivelatrici, spesso invece sono considerate inaffidabili perché "irrazionali") un ricettacolo o serbatoio di ricordi, di esperienze più o meno spiacevoli. C'è un'idea ricorrente per spiegare le origini e le ragioni del malessere attuale, che piace sia a chi vive malessere interiore che a non pochi curanti, che ritiene che la vita interiore possa essere stata turbata e segnata da episodi traumatici del passato, da esperienze e da condizionamenti subiti, sfavorevoli e con effetti distorcenti il normale sviluppo atteso, che di conseguenza l'esperienza interiore attuale ancora ne risenta, ripetendo anche nel presente, come un disco rotto, errori e segni di alterato funzionamento. L'inconscio riproporrebbe come un automa simili distorsioni e resterebbe ancorato a quei precedenti storici. Si ritiene insomma che la vita interiore sia rimasta nel tempo, fino al presente, come congelata, inchiodata a quei passati episodi traumatici e condizionamenti sfavorevoli. E' un teorema, che non appartiene solo a chi soffre interiormente, che gli vale una spiegazione vittimistica del proprio disagio e malessere interiori (la sofferenza attuale come conseguenza di remoti accidenti sfavorevoli subiti e di colpe altrui), ma spesso anche a chi gli si mette a fianco per aiutarlo. Il malessere, considerato senza esitazioni un'espressione di malfunzionamento, di alterazione della normalità, è consegnato subito a cause e a ipotetici condizionamenti esterni, così come a possibili soluzioni esterne, senza intendere che sia espressione di intervento e di presa di posizione, di richiamo e di iniziativa del profondo e che dunque col proprio profondo sia da cercare finalmente un incontro e da coltivare un dialogo. E' così abituale pensarsi solo e unicamente in relazione ad altro e ad altri, che tutta l'attenzione e la ricerca si concentrano in questa direzione, saltando a pie pari, ignorando l'esigenza di un rapporto con se stessi, come necessità prioritaria, come punto saldo, decisivo per cominciare a ritrovarsi. Per comprendere la voce del malessere interiore, il suo richiamo, è necessario non sovrapporgli congetture e spiegazioni circa la sua causa cercandole a destra e a sinistra, in questo o in quello esterni a sé, ma è necessario sintonizzarsi con l'intimo, imparare ad ascoltarlo, scoprirne la voce nel sentire e nei sogni, che tanto sanno dire e far comprendere, che tanto sanno avvicinare a se stessi. Non si è certo dotati di capacità di ascolto e di dialogo col proprio intimo, non se ne conoscono il linguaggio, il modo di comunicare, l'intenzione e la capacità di pensiero che sa animare, la tensione a vedere, a entrare, al di là delle apparenze, nel profondo, a cercare il senso vero, essenziale da far propria, per non continuare a dire senza intendere, a pensare senza comprendere. Prezioso e necessario si renderebbe un aiuto per imparare a trovare rapporto e intesa col proprio intimo. Accade però che oltre all'individuo, abituato a assorbire e a chiudersi nella concezione comune e prevalente dell'esistenza, intesa prima di tutto come legame con altro e con altri e come ricerca rivolta al fuori, gli stessi terapeuti, in non pochi casi, pensino che il centro dell'esistenza dell'individuo sia il rapporto con l'esterno, con gli altri, con quella che volentieri chiamano, come fosse un'entità univoca e assoluta, la "realtà". Puntano subito l'attenzione in quella direzione, per indagare la presenza nell'individuo, portatore di malessere interiore, di insufficienti o errati ( li chiamano disfunzionali) modi di intendere e di affrontare il rapporto con gli altri e con l'esterno, cercano di stimolare, incoraggiare e portare a nuove, ritenute più normali e felici, soluzioni per interpretare e gestire il rapporto con l'esterno, come fosse lì l'essenza dell'individuo e il punto d'origine e il fulcro del suo conoscersi e realizzarsi. Spesso manca completamente, non è acquisizione presente nel pensiero non solo di chi soffre disagio, ma sovente anche di chi se ne prende cura, che esista una parte del proprio essere, quella profonda, non solo influente e decisiva nel muovere e nel plasmare l'esperienza interiore (non sono fattori esterni ma è il profondo a plasmare e a "qualificare" la risposta, anzi la proposta del sentire), ma anche fortemente propositiva e creativa, capace già nelle espressioni della sofferenza interiore, tutt'altro che casuali e disordinate, di sollevare in modo acuto e puntuale questioni decisive e fondamentali riguardanti il proprio modo di procedere, di stare in rapporto (spesso in non rapporto) con se stessi, col proprio intimo. Non si comprende che il malessere interiore, che la crisi è espressione di un intervento del profondo, che vuole risvegliare la presa di coscienza, che vuole interrompere il procedere cieco, un modo di pensarsi e di vedere la propria esperienza, che non vede su quali basi e in che modo si sta impegnando se stessi, la propria vita. Non si comprende che è con se stessi, con la propria interiorità che è in atto un confronto, che è con la propria interiorità, che muove il malessere e gli dà forza e ne dirige i modi e l’andamento, che va trovato un rapporto e va aperto un dialogo, cercato un approfondito chiarimento, una nuova intesa.  Tutto il malessere interiore infatti, visto abitualmente come guasto, vuoi provocato da cattive interferenze e condizionamenti esterni, vuoi legato a un modo scorretto o inadeguato di procedere, non regolare, non secondo normalità, che come tale non procurerebbe benefici e benessere, un procedere che nella sostanza e nei suoi fondamenti e presupposti non è in discussione, è in realtà segno e espressione della presa di posizione della parte profonda dell’essere, che non può e non vuole tacere la propria visione dello stato delle cose, la propria consapevolezza, che vuole “contagiare“ di questa l‘individuo nel suo insieme, nei suoi pensieri, nei suoi umori, nei suoi propositi. Non è una presenza dentro di noi estranea e aliena quella del profondo, l’inconscio siamo noi nel nostro tenere lo sguardo, al di là delle apparenze e senza sviste, su di noi, nel riconoscere il vero della nostra condizione e del nostro modo di procedere, che vede spesso il disaccordo e il mancato incontro tra sentire e pensare, tra esperienza intima e coscienza di noi stessi. L'inconscio siamo noi nel nostro non rinunciare a noi stessi, nel nostro voler essere non copia d’altro, passivi (per inerzia e per comodo, per adesione e soggezione al modo appreso e dominante) nel consumare ciò che c'è, ipotesi, soluzioni e scelte che la cosiddetta realtà offre confezionate e pronte, passivi nel pensare secondo idee e parametri comuni, guidati e regolati più di quanto non si voglia ammettere dall'esterno, dalla conferma esterna dipendenti, ma soggetti, portatori e artefici di un originale pensiero e progetto, certamente non già fruibili e pronti, ma da generare e scoprire, come possibile con la guida del profondo. L'inconscio siamo noi nella volontà di non procedere incuranti di capire, di sapere, di affrontare il vero, pur difficile o doloroso, senza omissioni, equivoci e contraffazioni, concentrandoci sulla nostra esperienza, affidandoci non alle spiegazioni solite e comuni, ma al nostro sguardo, cercando risposte non costruite col ragionamento, ma fondate sul vissuto, sul confronto aperto e sull'ascolto fedele del nostro sentire senza tagli, senza fughe. L'inconscio è la parte di noi che vuole questo impegno e sforzo di ricerca e di costruzione, che non asseconda le illusioni di avere già autonomia e originalità di pensiero, se formati su basi inconsistenti o facendo il verso ad altro da noi stessi che lo ispira e lo sostiene. L’inconscio è la parte di noi stessi che ci vuole instradare e sostenere nella nostra ricerca di consapevolezza vera, senza veli, senza semplificazioni, salda, affidabile e capace. L’inconscio non cerca la normalizzazione, ma la verità e la realizzazione autentica, perché diversamente non c’è vita. L’inconscio è vita. Tutto lo sforzo per cercare di stare nelle guide di un modo di vivere e di intendere la vita dato per scontato, conforme al già concepito e comunemente inteso, modellandosi nella cosiddetta normalità, facendosi bastare e dando credito a soluzioni fragili, a illusorie rappresentazioni di se stessi, tutta la strategia curativa che vuole ricondurre il malessere se non a semplice patologia, a insufficiente o infelice adattamento, che vuole ricucire e che di fatto incoraggia e forza a stare dentro il già dato e conosciuto, urta contro la scelta del profondo, non la considera e non la comprende. Anzi, l’idea che il malessere sia un disturbo, un ostacolo da superare, al più da spiegare come conseguenza di qualche infelice precedente e influenza negativa di un genitore piuttosto che di qualcun altro o di qualcos’altro, è un enorme travisamento e incomprensione delle espressioni della vita interiore, del profondo, delle sue intenzioni. Per il profondo vivere è far vivere se stessi, è formare visione, pensiero propri, base e leva della libertà e della capacità di mettere al mondo la propria idea e realizzazione, di compiere il proprio originale cammino. La posta in gioco è essere adattati, passivi e silenti (non importa se, illusoriamente, convinti di avere personalità spiccata e cose da dire, però senza radice, fondamento e sostegno in se stessi) oppure presenza consapevole e feconda, capace davvero di autonoma visione e di autonomo progetto, questo l’inconscio vuole porre e tenere viva come questione, purtroppo non compresa, spesso misconosciuta, oltre i confini della testa ragionante, del modo di pensare consueto e prevalente. Quando l’inconscio ha occasione di essere ascoltato e rispettato, seriamente valorizzato, fedelmente compreso (sia nel sentire, che anima e che plasma, che nei sogni, dove dà il meglio di sé), come accade in una valida esperienza analitica, il contributo che sa dare di pensiero, di risveglio di umanità, di gioia e di passione di conoscere e di far vivere se stessi, è enorme. 

mercoledì 17 aprile 2024

I sogni formano il pensiero autonomo

I sogni hanno un ruolo fondamentale nella conoscenza di se stessi, sono decisivi nel rovesciare la tendenza a rimanere sulle tracce e sui binari del pensare abituale, dentro una modalità di pensiero che non permette di vedere, che, pur argomentando e ragionando, non consente di capire. E' una forma di pensiero, quella solita affidata all'uso dello strumento razionale, che fa rimanere adesi a modalità e a schemi soliti, senza stacco riflessivo che permetta di capire il senso di ciò che si sta dicendo, di interrogare quale sia il suo scopo vero, di verificare su cosa poggino le proprie affermazioni, se ci sia fondamento valido e compreso ai propri pensieri. I sogni, creature di intelligenza rara e sublime, sanno educare al pensiero riflessivo. Non è affatto immediato entrare in sintonia e in accordo di sguardo e di visione con l'inconscio, con ciò che propone dentro e attraverso i sogni. La tendenza più comune è di leggere il sogno come se fosse uno sguardo sul fuori, su ciò che accade nella relazione con situazioni e soggetti esterni. Se nel sogno compaiono una o più persone si pensa che il sogno parli di loro e di quanto c'è in atto o potrebbe esserci nel rapporto con loro, nei loro confronti e viceversa. In realtà questi altri danno volto e espressione a propri modi di essere e di procedere. L'inconscio vuole aprire proprio lo scenario interno, stimolare e favorire la scoperta e conoscenza di se stessi, di tutto ciò che risalente a sè è stato sinora ignorato, omesso, vista la tendenza a aver cura e attenzione tutte rivolte agli svolgimenti esterni, al rapporto con gli altri e con tutto ciò che sta fuori. Se nel sogno ci sono svolgimenti difficili, inquietanti la prima idea è che l'inconscio voglia mettere l'accento o segnalare l'imminenza o la presenza di condizioni difficili legate a pressioni, a minacce esterne, questo perchè l'atteggiamento di fondo è spesso quello vittimistico e deresponsabilizzante, di ricondurre ad altro e a altri la responsabilità del proprio disagio, delle difficoltà, delle insoddisfazioni, di quanto è vissuto come irrisolto o negativo. L'inconscio fa recuperare tutto ciò che risale a se stessi, indirizza lo sguardo su di sè, rende visibile lo scenario interiore e lì dentro cosa accade nel rapporto con se stessi, nel modo di trattare ciò che vive e che si propone nel proprio intimo, nei propri stati d'animo e vissuti. Nella vita interiore, resa spesso marginale e ampiamente trascurata, quindi ignorata e misconosciuta, resa subalterna a altro, vista la centralità riconosciuta al legame e a quanto agito nel rapporto con l'esterno, trovano riconoscimento vivo i punti focali dell’esperienza, è questo che i sogni vogliono rendere visibile. Lì dentro c'è lo specchio per vedere di se stessi cosa realmente dentro l’esperienza e il proprio procedere si cerca, in che modo, condizionati da quali pretese, indirizzati da quali aspettative, in quale tipo di vincoli. E' abituale ad esempio non vedere quanto nel proprio agire e spendersi risale a esigenze di ben figurare, di dare allo sguardo comune prove di adeguatezza e di capacità, come è abituale non riconoscere il ricorso a quanto già formato e concepito e che finisce per fare da base e da confine a un pensiero che si illude di essere di costruzione propria e capace di portare a nuovi sviluppi di conoscenza. La dipendenza, la mancanza di guida e di elaborazione autonoma passa inosservata, nemmeno è questione. Ciò che interiormente dà stimoli e basi vive per capire in che modo ci si sta muovendo, si sta pensando e ci si sta dirigendo, ciò che nel sentire offre proprio questi spunti e guide per soffermarsi a capire, a capirsi, non è messo al centro del proprio sguardo, tutta la macchina razionale, cui è affidata la propria attività di pensiero e la guida del proprio procedere,  se la racconta senza stare al vincolo stretto col sentire, senza farlo parlare, senza impegnarsi a ascoltarlo, a intenderlo attentamente e fedelmente. I sogni recuperano tutto questo lavorio inutilizzato o travisato dall'attività di pensiero consueta per ridare le coordinate di un pensiero autenticamente riflessivo, che mette al centro l'esigenza di capire i propri modi di essere e di procedere, senza appiattirsi a dare invece contributo al pensato abituale, senza dare implicita conferma e sostegno al tirare avanti dritto sulle solite basi e con la solita inconsapevolezza. Ciò che si muove nell'intimo di emozioni, di stati d'animo, di sensazioni e di spinte ha la stessa matrice dei sogni, non è un susseguirsi di risposte meccaniche, di reazioni banalmente e automaticamente sollecitate e condizionate da questo e da quello che accade fuori, è ben altro, è risposta e iniziativa intelligente, è terreno vivo di presa di visione di se stessi e di quanto ha capacità di condurre a conoscere se stessi. Nei sogni l'inconscio perfeziona lo sguardo, crea le basi per prendere la migliore visione possibile di se stessi e di quanto sta accadendo nel proprio modo di condursi, di condurre la propria vita. La componente intima è resa finalmente riconoscibile, ampliando la percezione dei confini del proprio essere, rompendo lo schema abituale, che vede il proprio essere a una sola dimensione del pensare e dell’agire razionale e volitivo. Se in un sogno si creano situazioni difficili o inquietanti, se si viene alle prese con figure che appaiono minacciose, con pericoli anche estremi, non è per ribadire o per segnalare che si è sotto pressione di minacce esterne, casomai invece per rendere riconoscibile che è dentro se stessi che si aprono tensioni, che è da dentro se stessi che si fanno avanti pressioni e pretese diverse rispetto alla prassi abituale, che ignora qualsiasi relazione con l'intimo e il profondo del proprio essere. La parte profonda non sta ferma e zitta, si fa avanti e vuole introdurre qualcosa di nuovo, di radicalmente diverso, non per fare danno o sconquassare malamente, ma semmai per sollecitare mutamenti e trasformazioni, prima di tutto di sguardo e di pensiero, valide e necessarie, per rompere tendenze che chiudono e impediscono di aprire gli occhi, di conquistare nuova consapevolezza, che liberi nuova vita, nuove e ben diverse prospettive. Se, per fare un esempio, in un sogno compaiono ladri, che minacciano di derubare cose proprie o in casa propria o che lo fanno, può questo dire delle iniziative di una parte intima e profonda di se stessi, niente affatto altra da se stessi, che vuole togliere false credenze e possesso di idee e convinzioni che non hanno attendibilità e che chiudono piuttosto che garantire la propria crescita e realizzazione umana personale.  Ciò di cui parlano i sogni non è sulla lunghezza d'onda del pensato abituale, ma è un pensiero, quello cui danno forma, che sa entrare nel cuore della verità, che sa animare e rianimare un individuo troppo adagiato su una visione di se stesso inautentica e niente affatto favorevole ai suoi interessi di crescita vera. I sogni non sono di immediata comprensione, non parlano il linguaggio abituale, non puntano lo sguardo e l'attenzione nella stessa direzione dello sguardo convenzionale e consueto, i sogni parlano di se stessi e aprono a una visione della vita centrata su di sé, non a rimorchio di altro che fa da modello e guida, non confinata in abitudini e interessi soliti. I sogni accendono una visione, guidano alla formazione di un pensiero autonomo fondato su esperienza e ricerca proprie, che, se compreso e condiviso dall'individuo, sa renderlo libero e capace di concepire a modo proprio il senso e lo scopo della sua vita, di riconoscere, apprezzare e utilizzare le sue autentiche e complete risorse umane.

domenica 14 aprile 2024

Il rapporto col sentire: luoghi comuni, manipolazioni e trucchi sottili

Per capire se stessi è decisivo il rapporto con le emozioni e con tutto ciò che si muove interiormente. Se si vuole prendere contatto col vero, se si vuole conoscere se stessi e ciò che, al di là delle apparenze, accade nella propria esperienza, è necessario rendersi capaci di rapporto aperto e dialogico col proprio sentire, imparando a ascoltarlo in ciò che dice. E' tendenza frequente porre in secondo piano e sotto tutela ciò che l'esperienza interiore propone, dando prevalenza e consegnando funzione guida al pensiero razionale, riconoscendogli il compito e il diritto di  giudicare l'opportunità e di stabilire la congruità del sentire. In non poche circostanze, credendo nella superiorità e nella affidabilità dello sguardo razionale, si ritiene utile, anzi necessaria, come condizione per capire le cose al meglio, la messa in disparte delle emozioni, viste come fattore perturbante la visione lucida e obiettiva. Viceversa capita che in alcune circostanze si invochi la messa in pausa del ragionamento e dell'istanza di capire per liberare le emozioni, per quel "lasciarsi andare" liberatorio e libero da intralci, che colori e permei al meglio e piacevolmente la propria esperienza, convinti che ci sia solo da vivere le emozioni e non da capirle. Si conferma la tendenza a tenere separati il sentire e il pensare, come fossero antagonisti e inconciliabili, come dovessero operare in campi separati. Se da un lato la preoccupazione di salvaguardare il sentire dall'intervento del capire è comprensibile, considerato il carattere non dialogante, l'atteggiamento di fondo non rispettoso verso il sentire, l'attitudine a porre regole e condizioni e a stabilire dall'alto ragioni e spiegazioni, in sostanza la mancanza di capacità d'ascolto e riflessiva del modo usuale di esercitare il pensiero nella forma razionale, dall'altra, ritenere in assoluto inopportuno l'intervento del pensiero nel rapporto col sentire, significa fraintendere il potenziale e lo scopo del sentire. Il sentire evidenzia e detta i contenuti su cui portare l'attenzione, apre in modo sensibile la strada alla conoscenza, il sentire non disdegna affatto di essere compreso, di veder raccolto fedelmente e attentamente ciò che vuole dire, suggerire, evidenziare, anzi negargli ascolto e impegno di comprensione significa vanificarne la proposta e l'intenzione. La questione fondamentale è la forma di pensiero messa a disposizione e rivolta al proprio sentire. Al sentire, alle emozioni, agli stati d'animo, ai moti interiori, non va riservato un pensiero che si senta in diritto di commentarlo, di giudicarlo, in chiave negativa o positiva poco cambia, è sempre un pregiudizio, come abitualmente fa il pensiero razionale, con la sua pretesa di far valere la sua intelligenza sopra emozioni e vissuti, di fatto applicando loro le sue categorie e i suoi codici di significato già pronti, senza dare loro voce, senza raccoglierne il messaggio. Al proprio sentire va viceversa garantito un pensiero autenticamente riflessivo, capace di riconoscerne l'intimo volto, come quando, guardando la propria immagine riflessa dallo specchio, si può vedere nei propri occhi e nel proprio volto ciò che svelano, che comunicano. Le emozioni, i moti interiori, ciò che prende forma nel sentire va saputo cogliere e riconoscere nelle sue specificità e sfumature, perchè diversamente si spreca questa risorsa interiore, il suo potenziale propositivo. Facciamo un esempio per capire meglio. Un moto di invidia rivolto a qualcuno può essere facilmente trattato da chi lo vive o come un segno ovvio di desiderio di avere per sè ciò che l'altro possiede o manifesta come qualità, ovvio perchè pare possedere il meglio, o come espressione di sè disdicevole e sconveniente, perchè l'invidia ha caratteri in sè poco piacevoli, disagevoli, un pò amari, ma anche facilmente considerati da idea e etica comune indegni e riprovevoli. Ebbene quel moto si è pronunciato non per caso per dare l'occasione di prendere visione di qualcosa di importante, di cruciale di se stessi su cui portare l'attenzione. Ciò che mostra di sè, lo dicono proprio le particolarità e le sfumature del sentire, è un senso di insufficienza, di inadeguatezza, di mancanza di un proprio su cui contare e di cui sentirsi soddisfatti. A dirlo quella sottile pena disagio, imbarazzo riservato a sè che accompagna il moto di invidia. Dunque lo sguardo su se stessi comincia a rivelare che ci si sente carenti e che dalla propria non c'è qualcosa che si consideri davvero valido, qualcosa che si sia generato e che si senta e riconosca davvero caro a se stessi e valido ai propri occhi. Se scatta il paragone e se da altri ci si fa dire cosa vale e andrebbe perseguito ecco rendersi visibile attraverso quel sentire che si è al traino, che altro da sè ha già deciso cosa vale e cosa va perseguito per concedere stima a se stessi e per raggiungere un senso di capacità, di riuscita. Il proprio sentire disegna lo stato delle cose e crea il terreno di ricerca su cui riflettere, dove lo sguardo, l'attenzione sono portati e centrati su di sè, un terreno estremamente preciso, attendibile, capace di portare alla verità di se stessi, capace di permettere ricerca utile per non rimanere schiacciati nell'inconsapevolezza e costretti negli automatismi del pensiero e delle scelte. Il sentire è intelligente e intelligentemente delinea, evidenzia ciò che serve per entrare in rapporto più approfondito con se stessi, per lavorare su questioni vere e toccanti. Ma torniamo a riflettere su quanta corrispondenza e rispetto sono concessi al proprio sentire. Circa la libera espressione del sentire, va osservato che, a dispetto della loro presunta genuinità e spontaneità, sulle emozioni e sulle spinte interiori cala non di rado da parte di chi le vive una presa sottile, che le vuole comunque pilotare, in qualche modo selezionare e riplasmare. Sul conto delle emozioni, del sentire, si tende infatti non poche volte, anche se in modo non appariscente, a svolgere un controllo e una regia che vuole che si esprimano e si declinino accontentando canoni di normalità, di buona resa e di buon gradimento: commuoversi, stupirsi, piangere, gioire e entusiasmarsi, come fosse positiva o dovuta quella particolare espressione, "normale" in determinate circostanze e condizioni, come fosse sinonimo di sana sensibilità e vitalità, come se in caso contrario ci fosse sospetto di freddezza, di mancanza di sensibilità, di qualcosa che non va. Per alcuni può anche vigere regola diversa, ritenendo espressione di debolezza provare turbamento, paura, inquietudine, come se forza d'animo e maturità consistessero nel rimanere saldi e sicuri. Non è raro comunque che ci si ponga, in subalternità a regole condivise, il dubbio circa la propria idoneità, circa se stessi, quando non risulti a se stessi naturale e spontaneo provare ciò che culturalmente è ritenuto ovvio, valido e normale. Fare delle proprie emozioni, del proprio sentire il mezzo per risultare adeguati e ben accetti, per ben figurare e in modo più esplicito farne l'arma per sedurre, per stupire favorevolmente, non è cosa così rara. Il sentire autentico, che sinceramente, senza filtri, correzioni e manipolazioni, possiamo riconoscere dentro di noi, in realtà è autonomo rispetto a ogni pressione, non rispetta nessun convenevole, non si subordina a nessuna azione regolatrice, a nessuna disciplina e pretesa, è imprevedibile, mai scontato, mai docile alle attese. Il nostro sentire vero, non oscurato, non filtrato e non rifatto a nostro e altrui uso e piacimento, è la voce del nostro profondo, che, incurante delle convenienze, sfuggendo a qualsiasi tentativo di addomesticamento, con precisione e con intelligenza vuole a ogni passo guidarci a entrare nelle pieghe della verità che ci riguarda. Il sentire non è una bella decorazione, un fiore da portare all'occhiello e neppure è risposta  automatica a questo stimolo o a quello. Il nostro sentire è funzione intelligente, è traccia e guida per entrare in rapporto con la verità di noi stessi, il sentire spontaneo e naturale è ogni volta spunto intelligente, spunto, evidenziatore, scintilla di conoscenza. C'è chi, più spiccata questa convinzione nel sesso femminile, ritiene di avere apertura naturale e più spiccata confidenza con le emozioni, col sentire, coi sentimenti e con tutto ciò che non è nel governo di volontà e ragione. Se è vero che l'uomo è spesso più lontano della donna dalla vita intima e più avvezzo all'azione e al pensare razionale che viaggia disinvolto in alta quota ben staccato dal suolo degli svolgimenti interiori, non è detto che quest'ultima abbia davvero capacità di rispettosa apertura e rapporto con la vita interiore, col sentire. La presunta e apparente apertura e vicinanza al sentire, se esposta a uno sguardo più attento può infatti lasciar vedere che su emozioni e sentimenti può esercitarsi, come dicevo, niente affatto raramente, una sottile manipolazione. Senza che si renda visibile smaccatamente l'artefatto, pur senza teatralità o più scoperta ambiguità o ipocrisia dei sentimenti, si può in una forma più lieve e sottile caricare, enfatizzare, si può fare selezione, filtro sul sentire, dando riconoscimento all'interno delle proprie sensazioni e stati d'animo, a ciò che più è gradito e piace, rendendo così l'accesso e il rapporto col proprio sentire più controllato e conveniente, assai meno aperto, fedele e spontaneo di quanto non appaia e non si voglia credere e far credere. C'è poi l'istanza, di cui già dicevo, che vuole, per il proprio sentire o presunto tale, per ciò che muove le proprie scelte e espressioni, libertà da interrogativi stringenti, da necessità di verifica attenta, che chiede di non insistere con le domande di chiarimento, invocando quella leggerezza, che oggi nel pensato e nel linguaggio comune gode di buon credito. In questi casi il significato dichiarato, che spesso si rifà al più in uso e condiviso, è considerato sufficiente per la conoscenza di sé e della propria esperienza, anzi esaustivo. Succede allora che espressioni esaltanti come innamoramento, passione, attrazione o altre, meno esaltanti, come avversione, disagio, dolore, siano trattate come affermazioni che non necessitano di chiarimento ulteriore e di approfondimento rispetto a ciò che pare già implicito e scontato,  perché considerate in sé sufficienti per dire il bello e il brutto, per colorire e qualificare il significato e il valore, la bontà o il negativo di un'esperienza. Quante volte, per fare un esempio, per chi vive il cosiddetto innamoramento, questo è, senza dubbi e esitazioni,  sinonimo di un trasporto e di un forte sentimento amoroso verso l'altro, non curandosi di mettere in luce che quel cosiddetto innamoramento può essere espressione e collante di un legame dipendente (con reciprocità interdipendente), dove l'altro è mezzo e occasione per portare a sé, prontamente, qualcosa, il sostituto di qualcosa di essenziale e necessario non ancora cercato dentro se stessi, non ancora coltivato, generato e fatto vivere da sé, quante volte  pare via di completamento (trovare la propria cosiddetta metà) e di realizzazione, quando invece è rinuncia a cercare vera completezza di individuo e vera auto realizzazione, quante volte è illusoria rinascita e risalita di autostima, perché l'altro o l'altra riempie di attenzioni e sembra porre se stessi al centro del suo interesse! Vedere chiaro cosa ci si spinge a cercare e a fare proprio, riconoscere dentro le proprie spinte i significati veri, aprendo confronto attento e trasparente con se stessi, è scelta frequentemente omessa e evitata, perché, assumendo per vero il significato apparente, perché affidandosi alla retorica dei sentimenti, tutto sembra girare al meglio e favorevolmente, salvo nel tempo, come nell'esempio di prima,  patire, non di rado, la stretta del legame dipendente e ritrovarsi a corto di autonomia e di crescita personale vera, salvo giungere, in non pochi casi, a disillusioni cocenti. La retorica, rivestire di qualità e di significati che piacciono e che fanno comodo, ricorrendo e andando dietro a modi di intendere di largo uso e ben considerati, è nel rapporto col proprio sentire un espediente che torna assai gradito, in apparenza vantaggioso. La manipolazione del sentire e l'utilizzo sul suo conto di attribuzioni di significato e di valore più comuni e imperanti, offre vantaggi di immagine, copre responsabilità, aiuta a trovare scorciatoie, a darsi un'identità che piace, persuade e trova facile consenso negli altri, appoggio, complicità. Se trucca le carte, lo fa in modo così sottile da passare inosservato. Non del tutto però, perché la parte profonda di se stessi non si fa né incantare, né persuadere dalle apparenze, perché di tutto ciò che si muove sullo scenario dell'esperienza sa riconoscere  e vuole far risaltare il senso vero. E' tutt'altro che infrequente cadere nella trappola del sentire che si pretende genuino, delle spiegazioni e delle rappresentazioni sul suo conto che vorrebbero essere appropriate e consone, in realtà sovrapposte, arrangiate, a proprio uso e beneficio, per diletto, per convenienza, per quieto vivere. Per fortuna l'inconscio è presenza vigile e può, se gli si dà ascolto nel sentire autentico e nei sogni, aiutare a districare, a svelare i trucchi, a trovare il vero, per non farsi irretire da ciò che, pur piacendo e dando immediato agio, pur trovando appoggio e conferma in altri e nel comune modo di pensare, non dà occasione di conoscere se stessi e di crescere.

sabato 13 aprile 2024

A quale porta bussare?

Non è infrequente che, se coinvolti in esperienze interiori di malessere e sofferenza interiore, si cerchi negli altri, che siano vicini come amici, conoscenti o parenti o cercati in rete come dentro forum e spulciando in lungo e in largo opinioni, chi possa aiutare a capire e soprattutto a trattare ciò che si sta vivendo. C’è poi la tendenza a cercare sollievo nella constatazione che anche altri sperimenti o abbia sperimentato qualcosa di simile e a questi, alle loro opinioni si presta più ascolto e credito. Sembra di trarre utilità da questi apporti esterni, disarmati come si è nel mettersi autonomamente in rapporto con quanto si vive, inclini come si è prima di tutto a difendersi e a contrastare ciò che si sta provando. Va perciò aperta una riflessione su quanto possa offrire e riservare a sé cercare fuori opinioni e apporti. Raccogliere le opinioni di altri rischia di non essere una gran soluzione, perché ognuno nel trattare l’esperienza personale che gli si espone ci mette del suo di preconcetti, di modi, che gli sono abituali, di trattare la propria esperienza, tipo delegare subito la comprensione dei propri stati d'animo, questioni scottanti e esperienze alle valutazioni e teorie dell’esperto di turno o, già prima di ascoltare e di provare a capirsi, avere cura e premura anche da sé di appiccicare etichette diagnostiche alle proprie e altrui esperienze , tanto arbitrarie quando si avvicina un'esperienza interiore, complessa e unica, quanto sterili. Etichettare non significa conoscere. Se oggi si è entrati in una spirale dell'allarme per le proprie condizioni di salute, se mille dubbi si aprono sul proprio reale stato, in tutto questo un senso e uno scopo c'è di certo. E' importante saperlo cercare e riconoscere. Per far questo è necessario imparare a non ridursi a agire e a metter sopra l'esperienza ragionamenti che non hanno guida e fondamento in ciò che si sta provando, è importante smetterla di affannarsi nel fare e nel cercare soluzioni e cominciare invece a esercitare uno sguardo diverso volto a riconoscere il senso di ciò che si sta vivendo. Se sinora ci si è ignorati, se nel proprio procedere solito si è cercato tutto fuori di sè, diventando estranei o semplici ospiti abitudinari e disattenti in casa propria, per casa intendo il proprio spazio intimo, se di se stessi più profondamente non si è frequentato e conosciuto nulla, se non si è riflettuto, guardandosi come dentro uno specchio, ignorando il vero stato della propria vita, del modo di condurla, se da una parte si fa, si agisce, si confezionano ragionamenti e dall'altra si sente e non ci si cura di entrare in sintonia e di ascoltare e comprendere ciò che si sente, se si tira avanti in una modalità di vita senza apertura e confronto con se stessi, non è forse vero, non risalta che, seppur nella forma dell'allarme e del temere le più disparate incognite e sorprese sul proprio stato, qualcosa sta costringendo a occuparsi di sè, che sta segnalando con forza e con insistenza la propria lontananza da se stessi, la propria mancanza di attenzione per la conoscenza, non superficiale e distratta, ma vera e approfondita, di se stessi, di cura del rapporto con se stessi? Nulla sulla scena interiore accade mai per caso e senza un senso, senza uno scopo. La porta a cui bussare è dunque quella altrui, che non può dare se non apporti comunque impropri e fuorvianti, offrire consolazioni che aumentano la diffidenza e la distanza da ciò che si vive nel proprio intimo o la propria porta, imparando, casomai con l'aiuto di chi sappia dare contributo utile a questo scopo, a entrare in relazione aperta e capace di ascoltare la propria interiorità in ciò, che anche nella forma, che può risultare difficile e sofferta, sta cercando di dire?

venerdì 12 aprile 2024

Il circuito della seduzione

La seduzione è il motore e è il vincolo su cui si avvita l'esistenza che ha preso forma e ha svolgimento dentro il legame di dipendenza da fonte e da guida esterne, un'esistenza e un modo di procedere in cui tutto è stato preso a modello e continua a essere preso e appreso da fuori. Non c'è vincolo allora  più potente e decisivo, per stare dentro questa forma di esistenza, di quello di dare traduzione alla propria vita che onori e rispecchi quanto preso da fuori. Il vincolo fondamentale nel segno della seduzione, del portare a sè convalida e plauso a condizione di compiacere, è di dare prova e dimostrazione di adeguatezza e di possesso di attributi di valore ben codificati e ampiamente condivisi per ricevere conferma e sostegno di considerazione e di approvazione e nello stesso tempo ribadire e dare assenso e prova di fedeltà a ciò che da fuori può fornire quei sostegni e benefici. E' un circuito chiuso di compiacenza che costringe l'esistenza a declinarsi e a muoversi su questo binario, che non offre altra possibilità, a meno che dall'adesione cieca e supportata da illusorie attribuzioni di significato, che vogliono travestire di espressione di volontà, di intelligenza e di capacità proprie ciò che invece è espressione e conseguenza di docile passività nel seguire e interpretare un copione già scritto, non si passi alla riflessione per vedere cosa c'è in realtà in gioco nel proprio modo di procedere, cosa lo muove e cosa implica davvero per se stessi. E' questa la spinta che arriva dal profondo. L'inconscio infatti è pronto a mettere in luce cosa si sta facendo di se stessi, dentro quali vincoli e a che prezzo si sta impegnando se stessi in quella forma d'esistenza, in quel modo di procedere. L'inconscio è difesa delle proprie ragioni autonome d'esistenza, del proprio potenziale che in quella modalità di procedere rimane incolto, non riconosciuto e dunque sacrificato. L'inconscio è portatore e stimolo all'intelligenza vera, che è volontà e sviluppo di capacità di cercare e di leggere il vero, per non rimanere intrappolati nella nebulosa della falsa coscienza, dell'ingenuo stare al passo con l'illusione. Rendersi compiacenti, assecondare le attese di buona resa, per averne in cambio la  gratificazione di essere ben considerati, prestarsi a questo e continuare a rendere omaggio a criteri guida e di valore che sono fedelmente onorati e serviti, questo circuito chiuso della seduzione comporta bilancio zero di scoperta autonoma e di costruzione di qualcosa di originale, compreso da sè, ben coltivato nella ricerca e nel dialogo con se stessi, bilancio zero di gioia autentica di scoperta con i propri occhi del vero e corrispondente a sè, di gioia di farlo vivere e crescere con passione. Questo non lascia indifferente l'inconscio, la parte profonda di se stessi, che non per caso smuove le acque interiormente, provoca crisi, alimenta malessere per toccare questi punti, questi nodi della propria esistenza. Il bilancio zero di costruzione crescita vera non lascia indifferente la parte che non accetta simile esito, che prima di tutto lo vuole segnalare, rendere riconoscibile. Bilancio zero perchè il presunto patrimonio realizzato, le presunte mete raggiunte altro non sono che prove date e ben inscritte nell'ideale e nella logica comune e data, di cui sono debitrici le presunte conquiste, che, senza quel supporto e quelle convalide da fuori, svanirebbero, non starebbero su. L'inconscio è l'unica parte viva di se stessi che non sta al gioco, che viceversa lo vuole smontare pezzo su pezzo, che vuole coinvolgere per intero l'individuo in questa ricerca del vero, guidandolo attraverso i vissuti e con i sogni, a prendere visione passo dopo passo, dei veri fondamenti del modo di procedere in cui si è coinvolto e di quanto ci sia di implicato di perdente per sè anche dove c'è apparente riuscita. La seduzione non è a misura e degno dell'essere, dell'individuo, che abbia desiderio e volontà di condurre avanti delle scelte di vita non per averne il contentino di essere apprezzato, ma per credo proprio e per passione sincera, avendo cura non di dare dimostrazione, ma di creare, di dare vita, di far di tutto per far esistere ciò che da sè abbia saputo trarre.

mercoledì 10 aprile 2024

E' possibile cambiare?

Si è quello che si è e nella sostanza è difficile cambiare o c'è possibilità di cambiare veramente e profondamente? Portiamo dentro di noi le possibilità del cambiamento, anzi di un cambiamento radicale nel nostro modo di essere e di pensare, portiamo nel nostro profondo tutta la volontà oltre che la capacità di alimentarlo, di condurci a produrlo. Il problema è che molto spesso non c'è intesa e convergenza tra il volere del profondo, la strada che propone e la mentalità e le pretese della parte conscia. Quest'ultima si illude che i cambiamenti siano ottenibili con l'inventiva del ragionamento, assumendo e professando nuovi credi, abbracciando nuovi principi di valore e di comportamento, oppure consegnando l’attesa del cambiamento a cambi di situazioni, prendendo da fuori, utilizzando il corredo di risorse esterne già pronte e confezionate, mutando abitudini e luoghi, frequentazioni o partners, come se da lì possa sgorgare nuova vita. La proposta interiore, che traduce la volontà del profondo di coinvolgere l'individuo e di condurlo al cambiamento vero, è viceversa del tutto ignorata e incompresa nel suo significato e valore. La vicenda interiore, ciò che l'interiorità propone nel sentire, nei vissuti, che in avvio di processo di cambiamento e proprio allo scopo di aprirlo assume frequentemente carattere di crisi, di esperienze interiori, di vissuti che possono risultare disagevoli e sofferti, non è riconosciuta dall'individuo che la vive come forte richiamo e come primo segnale valido di avvicinamento a se stesso e spinta al cambiamento vero, anzi è guardata con preoccupazione, con timore e diffidenza. Sembra ai suoi occhi minacciosa e avversa ai suoi interessi e con i suoi parametri di giudizio, presi da senso comune, prontamente la parte conscia dell'individuo giudica la proposta interiore, ciò che interiormente si fa così acutamente vivo dentro di lui nel sentire, un che di inaffidabile, volto più a fargli danno, a togliergli potenzialità, a debilitarlo e a invalidarlo che a dargli opportunità. Come credere da parte di chi è abituato alla regola del presto sistemato e soddisfatto, di chi ha come faro ciò che per i più è valido e desiderabile, che ad esempio ansia, senso di fragilità, caduta di interesse e di fiducia in se stessi, possano racchiudere delle opportunità, possano valere come terreno di presa di coscienza e come primo passo sulla via del cambiamento? Tutto lo sforzo della parte conscia è di tenere da subito alto il tono dell'umore, la sicurezza, convinta di alimentare così lo "star bene", la capacità di non perdere terreno, di non privare se stessi di ciò che pare normale e naturale possedere. Se tutto del proprio modo di pensare e di concepire la vita si è formato andando a rimorchio, seguendo l'educazione del così fan tutti, facendosi dire e spiegare, facendosi bastare nei propri ragionamenti di ripetere nella sostanza la lezioncina appresa, pur con qualche pretesa di originalità, badando solo a stare al passo con gli altri, la reazione a ciò che interiormente in realtà, se fedelmente e ben compreso, segnala con forza non i sintomi di una poco valida capacità di procedere e di essere adeguati, bensì la mancanza di aderenza a se stessi, l'assenza di radice nel proprio procedere e pensare, la sostanziale mancanza di visione propria e di autonoma guida e capacità di condursi, è di giudicare tutto questo che si muove interiormente come guasto e pericolosa deriva, come disturbo da combattere, come patologia da aggiustare. Ciò che interiormente, in modo assolutamente sensato e intelligente, coinvolge e investe senza tregua con i vissuti d'ansia di un senso di  fragilità, di precarietà, di apprensione e di smarrimento, di allarme e di pericolo, chi procede incautamente senza aderenza e intesa profonda con se stesso, ciò che interiormente avvilisce e disarma con i vissuti di scoramento e di mancanza di fiducia e di stima di se stesso, chi, al di là delle apparenze (che possono convincere l'opinione comune, ma non la parte profonda se stessi), non si è provvisto dell'essenziale, di un bagaglio di conquiste proprie e di autonome scoperte, è tutt'altro che l'espressione di un disturbo e il segno di un guasto, di un anomalo modo di sentire. La proposta interiore, anche se difficile e dolorosa, contro ogni facile pregiudizio che la considera nociva e malata, segno evidente di cedimento, è viceversa guida provvida e intelligente per prendere contatto col vero, con se stessi. Se ci si lavora con cura e seriamente, se ci si fa aiutare a farlo, come accade dentro un percorso di analisi ben fatta, lo si scopre, lo si verifica, lo si comprende. L'iniziativa interiore, pungolando nel vivo, non concedendo tregua, persegue uno scopo assolutamente positivo, vuole spingere a vedere senza trucchi e senza veli il significato e il fondamento del proprio modo abituale di procedere e di pensare, spesso sostenuti e confermati più da fuori che da dentro se stessi, a riconoscere lo stato del rapporto con se stessi, spesso segnato da lontananza e da estraneità al proprio mondo interiore, per muovere da lì alla costruzione di qualcosa di autentico, allo sviluppo di un pensiero e alla scoperta di una progettualità che abbiano origine e radice dentro se stessi. L'incomprensione del senso, del significato di ciò che interiormente si svolge e preme, non è casuale, è conseguenza della mancata formazione e crescita della capacità di relazione col dentro, visto che tutto l'impegno nel proprio corso di vita fino al presente è stato destinato a prendere da fuori, a istruirsi, a interagire con l'esterno e con gli altri, a prendere da lì le opportunità, a apprendere dalla fonte esterna contenuti, guide e capacità di orientamento. L'esperienza interiore, il rapporto con sensazioni, emozioni, stati d'animo non è stato oggetto di cura, non ha preso forma, non è stata coltivata e sviluppata la capacità di ascolto e di dialogo con la propria interiorità, anzi via via si è creata lontananza, distanza e distrazione, disaffezione verso il dentro, sminuito, visto solo come eco banale e piatto delle vicende esterne e come un seguito che doveva armonizzarsi e seguire docilmente le petizioni di principio e i calcoli e le attese della parte conscia razionale, chiamata a essere il motore trainante, la guida. Partendo da queste premesse, rimasta incolta la parte che riguarda il rapporto con se stessi, col proprio intimo, capaci solo di forte connessione col fuori e scollegati e estranei alle vicende interiori, sottovalutate e messe semmai sotto tutela della parte conscia, ecco l'incapacità di intendere cosa la proposta interiore vuole e sa offrire. Il cambiamento di cui proprio la parte profonda può essere promotrice e guida capace e che ha nel profondo di ognuno, nell'inconscio il suo promotore, non è certo considerato possibile dalla parte conscia, non è nell'ordine delle sue idee e aspettative, che la rendono più incline e pronta a bloccarne l'avvio e lo sviluppo, invalidando come anomalo e da correggere ciò che la proposta interiore avanza, che di riconoscerlo come guida valida su cui fare conto. L'inerzia e la chiusura della parte conscia, la sua incapacità di intendere le vicende interiori e di comprenderne il valore, la sua ottusa salvaguardia del solito a cui affida tutta se stessa, il suo dirsi persuasa di avere e di sapere già, il suo dar credito solo alle risorse esterne e già pronte, il suo affezionarsi solo alle conquiste spendibili per dare buona prova di sè agli altri, per riscuoterne l'apprezzamento, finisce per stroncare e far cadere i richiami interiori, la proposta e l'opportunità del cambiamento vero mosso dall'intimo, dal profondo. E’ dato invece credito a ipotesi ingenue e sterili di cambiamento fondate sul niente, su soluzioni esterne e mal concepite, che non possono che riportare sempre all'uguale. Non si cambia per procura, affidando il cambiamento di sé a altro, non si cambia con un cambio di abitudini e di pratiche esterne, non si cambia per petizioni di principio. L'unica possibilità di cambiamento è legata al profondo di sè, che non intende certo offrire un cambio d'abito. Cambiare significa seguire la traccia viva segnata dalla propria interiorità, facendo un lavoro di presa di coscienza, di verifica senza risparmio, lucida e onesta, imparando a coltivare con la guida del profondo scoperte e idee fondate. La parte profonda di se stessi, l'inconscio ha talento e capacità di indirizzare la ricerca, di guidare il processo vivo di trasformazione mettendo in campo il sentire e tutta la trama dei vissuti, che vogliono far fare esperienza viva per conoscere nell'intimo la verità delle cose, mettendo a disposizione i sogni, insostituibili fari per vedere dentro se stessi, per formare nuova visione, non artefatta ma aderente, strettamente aderente al vero. Se i cambiamenti fatti di invenzioni e di acrobazie della mente conscia e razionale, affidati a cambi di ingredienti esterni sono solo ingenui diversivi e illusori, cambiare veramente si può. Si può, cambiando profondamente se stessi, diventando se stessi, assecondando la spinta profonda a aprire gli occhi, a generare il proprio pensiero, a trovare le proprie risposte e la propria visione della vita, a comprendere le proprie ragioni d'esistenza. Il cambiamento vero e radicale non è un frutto già maturo e pronto da cogliere e da consumare come si è abituati a fare, è un cambiamento da coltivare, è una trasformazione graduale da condividere col proprio profondo, è una nuova vita da generare e da cui essere rigenerati.

sabato 6 aprile 2024

L'analisi: chi conduce chi?

Premetto che si impiega il termine analisi per definire una varietà disparata di approcci e di esperienze assai diverse tra loro. Nel mio scritto parlo dell’analisi e del percorso analitico, come da tanti anni da analista propongo e pratico, che mette al centro il rapporto col profondo, che riconosce a questa parte del proprio essere un ruolo essenziale e decisivo nella conoscenza di se stessi e nel promuovere la propria autentica realizzazione. E’ motivo di sorpresa per chi inizia questo percorso analitico ritrovarsi non già nella posizione di chi col ragionamento cerca di condurre il discorso, di dirigere l’attenzione verso ciò che considera importante e centrale per capire se stesso, ma nella posizione di chi è guidato nel percorso di conoscenza da una parte di se stesso, parte intima e profonda, fino ad allora trattata e pensata più come oggetto di indagine che come soggetto di discorso. Compiere questa inversione è fondamentale e apre uno scenario totalmente nuovo. Chi arriva in analisi è convinto di poter definire già il campo di ricerca, i punti cruciali, le questioni che lo riguardano. L’aspettativa è di indagare più attentamente e in profondità, preferibilmente nel passato remoto, per arrivare a mettere in luce i fattori condizionanti e le presunte cause, fatte risalire a responsabilità di altri preferibilmente, del proprio malessere. L’idea, se presente, circa l’inconscio è che possa attraverso l'analisi rendere finalmente riconoscibili episodi critici e verità della propria biografia nascoste, rimosse e tenute dentro questa sorta di contenitore, di strato profondo della psiche, perché troppo dolorose o inammissibili alla coscienza, che dove finalmente emerse e riportate alla consapevolezza segnerebbero una svolta, la liberazione da blocchi e da trappole interiori limitanti e distorcenti il proprio sviluppo e benessere. Sottesa all'impiego di questa teorizzazione, al favore per questa rappresentazione dell'inconscio, la posizione vittimistica, la tesi, del tutto conservativa e deresponsabilizzante verso se stessi che dice: se non ci fossero state condizioni avverse e sfavorevoli, se non avessi subito questo o quell'altro per traumi o accidenti, per negligenze o per negativa opera e influenza d'altri e d'altro, non mi sarebbe toccato di patire sino a oggi disagi, di rimanere invischiato nel malessere e tutto di me e del mio procedere (che non è in discussione) sarebbe filato liscio e con garanzie per il mio benessere e la mia libertà di espressione. L’inconscio, chiamato dentro una simile tesi a dare sostegno coerente a questa posizione vittimistica verso se stessi, in realtà è ben altro e di ben altro è portatore e capace. Nel percorso analitico di cui parlo lo si può nitidamente vedere, toccare con mano e apprezzare. L’inconscio è prima di tutto laboratorio e genesi di pensiero, non spiantato e aggregato al pensato comune, ma riflessivo e capace di vedere nell’esperienza i significati veri, il senso. L’inconscio è la risorsa interiore di cui si dispone e del cui valore e potenziale si è in genere ignari, in grado di indirizzare in modo del tutto nuovo e inatteso la conoscenza di se stessi, portandola fuori dal labirinto dei soliti convincimenti e ragionamenti, per condurla sul terreno fecondo della scoperta del vero. Se gli si dà spazio e parola l’inconscio sa dire e orientare la ricerca con sapienza incomparabile. Lo fa magistralmente con i sogni. Esercita inoltre la sua funzione guida regolando tutto il corso del sentire, della vicenda interiore. Nulla di ciò che viviamo interiormente è casuale, è accidentale, dettato e condizionato, in una meccanica relazione di causa e effetto, da eventi e da stimoli esterni e basta. In ciò che proviamo, in ciò che prende forma nel sentire c’è sempre un intento e una capacità di segnalare, di dire.  Se si porta attento sguardo sul sentire, si può vedere ciò che il vissuto, lo stato d’animo, l’emozione scrive e descrive, delinea, sa portare a riconoscere, toccandolo con mano, sensibilmente. Fare intima esperienza, sentire è il modo più efficace di conoscere, se una cosa la si vive la si può comprendere. A far la differenza quando, con l'intento di capirsi, ci si mette in rapporto col sentire è la capacità di osservazione, di tenere a freno il commento e la spiegazione, per arrivare viceversa e gradualmente, proprio con la guida del sentire, alla scoperta, alla comprensione. L’inconscio modula il sentire, lo plasma, lo indirizza offrendo così basi e terreno vivo e efficace di scoperta di verità, compensando le insufficienze, spesso le distorsioni del pensiero e dello sguardo cosciente, non raramente parziale e astratto, incline alla ripetizione e al preconcetto, catturato dalla superficie degli accadimenti, in difficoltà nella messa a fuoco dei significati più intimi e profondi dell'esperienza. L'inconscio, spingendo avanti le emozioni, il sentire, che se ascoltato sa rendere visibili le implicazioni più vere dell'esperienza, sa aprire nuove trame e sviluppi di conoscenza, corregge i fraintendimenti, spesso di comodo, funzionali a dare a se stessi rassicurazione e conferma nelle proprie convinzioni e tesi, messi in campo dalla parte razionale, che pure si illude di essere molto affidabile, in contrapposizione con la presunta cecità e irrazionalità delle emozioni, nel chiarire le cose, nel garantire obiettività. L'inconscio non solo interviene nel sentire, nella regolazione di tutto il succedersi degli eventi interiori, delle emozioni, degli stati d'animo, delle pulsioni, per dare base e terreno sicuro di ricerca e di scoperta del vero, ma offre per la conoscenza di se stessi un contributo eccellente nei sogni, dove esalta la sua funzione guida. Lì mostra capacità mirabile di condurre a vedere dentro se stessi, lì trova espressione tutta la sua autonomia, maturità e profondità di sguardo e di pensiero. L’inconscio non è appiattito sulle cose, sulla visione preconcetta, è autonomo da vincoli, dalle aspettative della parte razionale, non è intrappolato dentro i circuiti di pensiero soliti e automatici. L’inconscio ha saputo e sa compiere lo stacco riflessivo, vedere ciò che è coinvolto nella nostra esperienza e nel nostro procedere, i modi, i perché, ciò che ci spinge, anche in ciò che tentiamo di eclissare o camuffare. L’inconscio non è interessato a risolvere, a far procedere le cose senza intoppi, a far venir a capo in fretta di eventuali difficoltà pur di procurarsi beneficio immediato, vuole la visione nitida di quel che c’è in gioco, il senso, vuole che non ci nascondiamo a noi stessi. C’è nell’inconscio una tempra e una forza di iniziativa che possono davvero sorprendere chi non lo conosce, chi non si conosce in questa parte profonda di se stesso. Posso dire che l’inconscio, che da tanti anni ascolto in svariate vicende interiori e percorsi analitici, mostra una sorta di proprietà e di tratto che ricorre, pur nella diversità dei cammini, sempre unici da individuo a individuo. L’inconscio non accetta la fatalità del diventare passivi, dell’andar dietro, del modellarsi secondo altro, dell’insistere nella simbiosi con l’esterno come unica idea di vita. Si parla infatti spesso di realtà, di senso di realtà, riconoscendo come tale solo ciò che è esterno, concreto, già concepito, in qualche modo già sistemato, ordinato, fruibile, percorribile e dato. Reale è però qualsiasi movimento di presa di coscienza, di nuova conoscenza che partorisca qualcosa di nuovo, che faccia vivere qualcosa di inatteso. Siamo realtà noi stessi, se non ci mortifichiamo nella ripetizione d’altro, siamo realtà in ciò che possiamo generare nella presa di coscienza, far vivere dentro di noi e che da lì possiamo progettare, sviluppare. L’inconscio, che è la nostra stessa matrice, ciò che siamo e che abbiamo potenziale di comprendere, di tradurre, di percorrere, di far vivere, di mettere al mondo, non compie la rinuncia, non accetta un’esistenza che non tenga conto di questa capacità di pensiero originale e di questa tensione creativa propria, un'esistenza che si riduca a fare il verso ad altro già detto, concepito e organizzato, a venerarlo come la Realtà cui aderire e su cui plasmarsi. Tanto malessere interiore che in varie forme scuote, disturba il quieto vivere di non pochi, nasce da questa tensione profonda a non rinunciare mai a guardare dentro se stessi, a non dare nulla per ovvio, a non rinunciare a riconoscersi come soggetti, come artefici della propria vita. L’inconscio non dà comunque ricette pronte e ingenue di cambiamento. L’inconscio non induce a compiere salti, non asseconda affatto la tendenza ad aggirare la difficoltà, l'interrogativo, a semplificare o a omettere. Il processo conoscitivo deve essere completo, maturo, responsabile, davvero capace di aprire gli occhi, di non ignorare, di trovare risposte valide e complete, per non fare illusori passi avanti o semplici fughe. L’inconscio non promuove cambiamenti fragili e contradditori, ambigui o insostenibili, nulli nella sostanza. L’inconscio è maestro e, sogno dopo sogno, svolge un’analisi completa, guida in un percorso conoscitivo originalissimo e nello stesso tempo di straordinaria lucidità, veridicità e profondità. Nulla, come l’inconscio nei sogni, sa essere altrettanto libero da ripetitività e da preconcetto, nulla sa coniugare in pari modo acume di sguardo, libertà e forza. L’inconscio esalta la vita, perchè esalta il pensiero, che sa cercare e riconoscere l'intimo significato vero, senza posa. L’inconscio è infaticabile e non cessa mai di dare spinta alla conoscenza, alla conoscenza che fa ritrovare il senso, che avvicina a se stessi, che rende capaci di incontro col respiro e con la complessità ricca della vita. Non ho mai incontrato tanta indomabile voglia di aprire e di conoscere come nell’inconscio. L’inconscio non fa sconti, non culla illusioni e autoinganni, la verità è sempre al centro delle sue cure, la verifica attenta passo dopo passo, combinata a eccezionale lungimiranza. Chi si affida al proprio inconscio ha la più affidabile delle guide e il miglior maestro per conoscersi, per conoscere, per arricchirsi. Una fonte interna, propria e straordinaria. Ignorarlo, vuoi per ignoranza del suo potenziale, vuoi per diffidenza, senza avere l’occasione di conoscerlo come può accadere in una buona esperienza analitica, è davvero una occasione persa, l’occasione di arricchirsi di sé. Nel percorso analitico tutto, proprio tutto si scopre e si genera a partire dalla proposta e dall’iniziativa della parte profonda di se stessi. Qual'è il compito dell'analista? L’analista svolge bene la sua funzione quando, consapevole di cosa può offrire all'altro aprendolo al rapporto col suo profondo, lo sa accompagnare nella ricerca, incoraggiando e favorendo in lui il formarsi e la crescita della capacità di ascolto e di dialogo con la sua interiorità, mettendo al centro sempre la proposta che viene dall’inconscio, cui prima di tutto spetta parola e guida. E’ una funzione delicata quella svolta dall’analista, vista l’importanza della posta in gioco, che è far sì che l’altro si congiunga alla sua interiorità e ne rispetti la proposta, ne comprenda e ne traduca fedelmente gli intenti, senza favorire invece costruzioni di pensiero e travisamenti utili solo a riportare tutto nel giro abituale dei convincimenti soliti e opachi al vero, nella presa della pratica dipendente, della adesione e rincorsa cioè di ciò che è dato comunemente per scontato, nell’imbuto del dare prova in cambio del sostegno esterno e del premio di considerazione e approvazione degli altri. Il lavoro dell’analista, se ben svolto nel rispetto e a garanzia dell’altro, non si avvale del ricorso a spiegazioni e a interpretazioni già pronte, facili da usare, ma improprie e fuorvianti. Per l'analista c’è un lavoro artigianale da fare, che certamente richiede non poco impegno di tempo e di energie e che nello stesso tempo ripaga di scoperte uniche e feconde, un lavoro consono a una ricerca che rispetti e rispecchi l’originale della proposta interiore di ognuno, che sappia accompagnare l’altro a stabilire un rapporto sempre più aperto e intimo, un ascolto e un dialogo sempre più sintono con la sua parte profonda. L’inconscio traccia, guida con mano ferma e capace, il percorso di scoperta e di trasformazione, che conduce l’individuo a diventare se stesso, non una immagine da mostrare, non una copia d’altro. L’analista ha il compito, passo dopo passo, di dare all’altro spunti di ricerca consoni a ciò che il suo profondo intende proporgli sia nei sogni che nei vissuti, coinvolgendo l’altro nella ricerca, facendo sì che via via se ne renda sempre più partecipe attivo e capace.  Coltivare con cura con la guida del proprio inconscio e portare a maturazione, lungo un percorso unico, la scoperta della verità di se stesso, diverrà per l’individuo il fondamento della sua personale autonomia, della capacità e della passione di mettere al mondo e di far vivere il proprio, originale e autentico.