Cercare se stessi attraverso gli altri,
cercare la propria identità attraverso lo sguardo altrui, fondandola su ciò che
gli altri possono o potrebbero riconoscere e apprezzare, è esperienza e
modalità tutt'altro che rara. Cercare appoggio e fare riferimento agli altri
per misurare quanto si vale, per fare verifiche attorno alla propria capacità
di riuscita, per stabilire quanto si sa stare al mondo, per fare palestra di
progressi, cercando nuove prove e allineamenti a quella che è considerata dai
più la normalità o il successo, la miglior realizzazione, cercare negli altri
l’essere ben voluti, per trovare alimento di fiducia e di incoraggiamento, di
una parvenza di calore interno, è modalità la più diffusa, è ormai la regola.
Mancando di un interlocutore interno, mai cercato, di una scoperta di
significati fatta attraverso sè e il proprio sentire, mancando della capacità
di riflettere, di mettersi allo specchio, di condividere la ricerca del vero
con se stessi, mancando di capacità e di interesse a avvicinarsi a se stessi,
di ascoltare e di dialogare con la propria interiorità, per capire e per veder
scaturire e riconoscere fondato convincimento e vera passione, senso di
vicinanza e di calore vero nella apertura sincera, nello scambio fecondo, nel
senso di profonda unità e intesa col proprio intimo, diventa fatale cercare
tutto là fuori negli altri. Diventa fatale aspettarsi che arrivino da loro, da
fonte esterna spunti e occasioni per capire e per capirsi, conferme e
approvazioni per mettere su autostima, per vedersi capaci di qualcosa, per
considerarsi protagonisti, si fa per dire, di qualcosa, affetto e attaccamento
per riceverne una sorta di calore interno di cui, per lontananza da se stessi,
dal proprio intimo, ci si sente privi. C'è il fatale rovescio della
medaglia. La dipendenza dagli altri e dall'esterno può diventare
opprimente e tirannica, insidiosa e minacciosa, con la paura di sbagliare, di
fare brutta figura, di essere mal giudicati, di essere colti in fallo, devianti
dal retto o ideale, secondo sguardo e concezione comune e prevalente,
procedere. C'è la paura nei legami di cosiddetto affetto, amicizia o amore, di
perdere l'attenzione, la predilezione e il ben volere dell'altro, col rischio
di precipitare nell'ombra del rifiuto e del disvalore, nel gelo del senso di
abbandono. E' il risvolto negativo della dipendenza, del cercare di farsi
portare e dare sostegno e conferma, apporto vitale di incoraggiamento, calore e
ben volere, da altro nella ricerca della propria identità, dei propri perchè,
nella lettura dei significati della propria vita, nella definizione e nella
scelta dei propri scopi, nella ricerca di fiducia in se stessi e nel proprio
valore, nella ricerca di un senso di calda unità, inseguita fuori e non dentro
e con se stessi. Si ignora quanto sarebbe possibile, fondandosi su di sé,
avvalendosi del rapporto con la parte di se stessi intima e profonda, del
contributo prezioso di ciò che ci accade nell'intimo, dell’esperienza, sempre
attiva e presente ad ogni passo, di vissuti e di emozioni. E’ esperienza quella
interiore, che spesso è tenuta in subordine, che è distorta e fraintesa,
particolarmente quando ardua e sofferta nelle sue espressioni, da modi di
trattarla e di intenderla, anche questi di derivazione comune, che, anziché
ascoltarla e farle dire il suo originale, le sovrappongono giudizi e
spiegazioni scontate. E’ esperienza che merita tutt’altro, perché non è affatto
insignificante e priva di valore, perché è viceversa la potenziale fonte
primaria e essenziale, sempre e in ogni sua espressione, di ricerca di senso e
di verità, guida insostituibile e terreno elettivo per capire, per capirsi, per
trovare terreno caldo di unità e di intesa e di fiducioso affidamento.
Certamente, se verso ciò che si sente si comincia a fare solo opera di selezione
e si ha pretesa di fare pulizia, distinguendo quel che sarebbe normale e
sensato da quel che invece sarebbe eccesso, stranezza o patologia, con l'aiuto
di un catalogo di collezioni di sintomi e di etichette di patologie, allora
tutto va a quel paese. Se l'esperienza interiore, con tutto quello che
spontaneamente propone nel sentire, anzichè guida affidabile per orientarsi e
per capire, diventa appendice trascurabile, se, quando difficile e sofferta,
diventa ai propri occhi roba buona solo per essere cacciata nello stampino di
una sindrome, di un quadro di patologia, allora la ricerca muore e il prezioso
di sè, che cerca di farsi capire e vivere, che vorrebbe e che saprebbe dare
dono di pensiero, di profonda intesa e vicinanza, finisce miseramente in discarica
come il peggio di cui disfarsi. La dipendenza, la modalità del farsi dire e
portare, di farsi compensare nelle proprie esigenze vitali, da altro non
cesserà finchè non ci si renderà capaci di valorizzare e di coltivare la
risorsa interiore del sentire, di quella parte del proprio essere che sola può
svolgere il compito di guidare e di dare alimento alla formazione di un
pensiero proprio, alla costruzione della propria autonomia. E’ in gioco la
ricerca e la costruzione della propria pienezza di individui, capaci di
generare pensiero, di aprire nuove strade e non di consumare e di prendere
tutto l’essenziale da fuori, capaci di proporsi agli altri come soggetti e,
dove lo si voglia, dove lo si senta possibile e condivisibile, come gli
interlocutori di un dialogo attento e sincero, di uno scambio profondo e
fecondo e non come le parti complici di legami di dipendenza sterile e
impotente.
lunedì 27 dicembre 2021
La dipendenza
domenica 26 dicembre 2021
Lo sbilanciamento
Ora sei sbilanciato verso l'esterno. A reggere le tue sorti sinora è stata la parte di te operativo razionale, che, facendo tutto da sè, senza relazione con la parte intima e profonda di te stesso, non ha potuto che cercare di garantirti di stare su e di produrre risposte e soluzioni (che hai considerato) valide, facendo conto e trovando appoggio in una visione della vita e delle tue possibilità realizzative già pronte e definite da ciò che hai trovato organizzato all'esterno e sostenuto dal senso comune. C'è una sorta di funzione regolatrice e di controllo che opera in te e che, ben accordata con la visione comune, ti governa e dirige per farti stare dentro il programma designato, per non violare i limiti della cosiddetta normalità, per riportarti dentro quel recinto. E' gioco forza che tu subisca questa giurisdizione, perchè originalmente e coerentemente con te ancora non hai generato risposte tue. Per realizzare questo, essenziale e imprescindibile è l'incontro e il rapporto con la tua interiorità, che sola può darti le guide e il nutrimento per conoscere te stesso, per trovare, per generare il tuo pensiero, la scoperta di significati veri e originali e la passione per ciò che riconoscessi tuo e coerente con te. Non è per caso che la tua parte profonda ti investe di vissuti di ansia, per farti capire la sconnessione da te, dal tuo intimo, per farti comprendere che, senza radice e senza legame e dialogo col tuo profondo, sei senza stabilità, senza base salda e affidabile, senza bussola e senza orientamento autonomi, col rischio di diventare solo l'esecutore di un disegno non tuo, preso da fuori, costretto a seguire percorsi già segnati. Ora, illudendoti di trarti in salvo e di afferrare il meglio per te, stai cercando di contrastare le paure e le ansietà, che intimamente non ti danno tregua, per riuscire a stare dentro i percorsi già segnati, per ottenere efficienza e validità di funzionamento dove ti vedi intralciato e vacillante. Se l'ansia ti fa vacillare, se l'attacco sferrato dal tuo profondo diventa più veemente, come con gli attacchi di panico, è per farti intendere, in modo quasi imperativo, che hai una priorità da rispettare, quella di rivolgere finalmente lo sguardo a te, al dentro, per fondare sull'incontro con la tua interiorità la riscoperta di te stesso e di tutto ciò che ti serve per essere individuo autonomo e pensante di pensiero tuo e aderente a te. La risposta tua è stata sinora invece di cercare di combattere l'ansia e quant'altro che interiormente ti ha fatto e che ti fa da intralcio e che non asseconda i tuoi propositi, per riuscire invece a tirare dritto, per ottenere di essere efficiente nel tuo procedere avulso da te. La visione comune ti dà conferma e conforto in questa scelta di provare a sconfiggere l'ansia e i richiami interiori, è comune l'idea che l'ansia sia un disturbo o una disfunzione da correggere, perchè è comune l'idea che tutto sia già a posto nel verso di ciò che è abituale, normale, già concepito, a pronto uso. Dentro di te c'è il richiamo a convergere con te stesso, a cercare nel dialogo con la tua interiorità tutto ciò che ti serve per rimediare allo sbilanciamento di cui ti parlavo all'inizio, per trovare il centro e il fulcro dentro di te, formando, in accordo e con la guida del tuo profondo, il tuo originale di pensiero e di visione di te e della tua vita, di scoperta di ciò che ha significato e valore vero, per diventare artefice della tua vita, del tuo progetto. Imparare, con l'aiuto necessario, a comprendere la proposta interiore, scoprendo che nulla che vive in te, ansia compresa, è privo di senso, imparare a ascoltare e a dialogare con la tua interiorità è ciò che ti serve se vuoi perseguire lo scopo non di tornare, con l'illusione di essere libero, nel recinto solito, ma di renderti davvero libero, trovando finalmente accordo e unità di intenti con te, con tutto il tuo essere.
domenica 31 ottobre 2021
La ricerca del vero
La ricerca del vero di se stessi è pratica e
aspirazione rara, in genere prevalgono la ricerca dell'adattamento, del
rimedio, della soluzione che garantiscano la continuità dell'abituale, l’uniformità
col comune, supportate dal lavorio della parte razionale, che, gira e rigira,
dà solo conferme a ciò che si vuole e che si gradisce credere di se stessi e
della propria condizione. Dettate queste condizioni di stabilità e di
continuità, come fossero regole di normalità, al proprio modo di essere e di
procedere, ne consegue che sconfiggere l’ansia e rendersi liberi da tutto ciò
che risulta interiormente scomodo siano la petizione e la pretesa più diffusa e
ricorrente. Simili risposte e richieste se sembrano a chi le sostiene scontate
e a sè favorevoli, in realtà rivelano che dell’esperienza interiore che si vive
e di ciò che realmente significa e vale ben poco si conosce e spesso tutto si
fraintende. Se dentro di sè c'è inquietudine, se questa non dà tregua, il
motivo non è un cattivo stato interiore conseguente a pressioni esterne nocive
o a traumi pregressi. La ragione e il senso di quell’esperienza viva interiore,
certamente poco gradita, perché poco piacevole oltre che insolita, è che lì
dentro c'è il richiamo e la forte presa su tutto il proprio essere della parte
profonda di sè, ben più attenta a non perdersi nell'illusorio della parte
conscia di superficie, a fare chiarezza su se stessi. In quel sentire, pur così
disagevole, c'è il possibile specchio per guardarsi in volto e per riconoscere
il vero, senza impazienza e pretesa di mettere sopra quanto provato
interiormente spiegazioni costruite razionalmente, disponendosi viceversa a
farsi dire e condurre dal proprio intimo vissuto, fino a vedere e a
riconoscere, mettendo in campo capacità di ascolto e sguardo riflessivo,
l’intima traccia di verità che il sentire sta offrendo e rimarcando in modo
così intenso. Un incontro e non uno scontro con la propria interiorità, che va
svolto con pazienza e con gradualità, perchè le falsità di comodo, anche le più
sofisticate costruite con la destrezza dei ragionamenti, ce le si racconta in
fretta, mentre il vero, in accordo e con la guida del proprio profondo, è
scoperta più impegnativa e con tempi di maturazione che non si possono
limitare. Accade però spesso che l'invocazione di eliminare prontamente ogni
intima tensione, squalificata come disturbo e anomalia, come peso
insopportabile e come malattia, si alzi forte e perentoria come una condanna
senza appello rivolta alla parte di se stessi, intima e profonda, che non tace,
che non vuole tacere, che incalza senza posa. Dunque bisogna decidersi, se fare
gli gnorri e continuare a sparare impunemente contro ciò che interiormente
vuole spingere con forza verso verifiche e scoperte all'insegna del vero di se
stessi, della propria condizione, del proprio modo di procedere o se cominciare
a rispettare la parte di sè, intima, che col sentire risulta sì scomoda,
intralciando e disturbando il quieto vivere e procedere, ma che accortamente e
saggiamente interviene e non dà tregua per far aprire gli occhi. Se il quadro
interiore è così mosso significa che tutto a posto non è, che tutto o tanto è
finalmente da capire di se stessi, senza veli. Se si squalifica e si scarica tutto
ciò che è sofferto e disagevole del proprio intimo, trattandolo come assurdo e
malato, ci si può fare solo danno. Non fa danno l'ansia e quanto interiormente
non concede tregua. Racchiude una proposta importante, che non vuole essere
ignorata, che produrrebbe un gran bene se fosse ascoltata e compresa. A fare
male e serio danno è solo l'ignoranza, il passare oltre, l'ottusa e cocciuta
pretesa che tutto interiormente debba soltanto raddrizzarsi, funzionare a senso
unico di marcia, disciplinarsi a dare sostegno e a accordarsi con l'abituale,
consueto e normale procedere, come si pensa facciano tutti, buttando via il
richiamo interiore alla ricerca del vero di se stessi, che, se corrisposto,
renderebbe capaci di dare finalmente alla propria vita il proprio contenuto e
volto.
mercoledì 25 agosto 2021
La riscoperta di ciò che siamo
martedì 3 agosto 2021
I percorsi della paura
E' comprensibilmente difficile confrontarsi con vissuti, con emozioni come la paura, l'ansia e con tutto ciò che interiormente non concede quiete. La risposta di chi vive simili esperienze è molto spesso di insofferenza per qualcosa che è inteso come un intralcio, un difettoso modo di sentire, un disturbo che pare solo togliere opportunità e benessere, arrecare soltanto danno. La cosiddetta scienza è pronta a assecondare questa idea della nocività e della natura irregolare di simili esperienze, già presente e diffusa nell'opinione comune, provvedendo a dare definizione e a fornire etichetta a ciò che, collocato in qualche categoria diagnostica e casella dell'anomalo e del patologico, sembra trovare finalmente un volto e predisporsi a essere trattato come disturbo da contenere, da contrastare e eliminare. Così facendo si compie una operazione che, a prima vista benevola e assennata, ha in realtà rilevanti implicazioni e notevoli conseguenze tutt'altro che favorevoli. Da un lato un'esperienza interiore singolare e unica, così intima e vicina, è pregiudizialmente misconosciuta nel suo valore, non rispettata nella sua unicità e non valorizzata nella sua capacità di dire e di svelare, ripudiata e cacciata come corpo estraneo nel cestino di qualcosa di anomalo e alterato, tipico e comune, dall'altro l'aspettativa, confermata e incoraggiata nell'individuo dalla "scienza", diventa contenere e chiudere, risolvere e tenere lontano da sè ciò che, se compreso, si rivelerebbe essere tutt'altro che nemico e deleterio. La paura, dentro questo movimento di rifiuto, quando è resa oggetto di spiegazioni, è fatta prontamente risalire a condizionamenti e a cause esterne, remote o attuali. Ciò che non è colto e inteso è che la paura è un richiamo interno, che origina dalla parte profonda del proprio essere, che lancia con acutezza e imprime nell'intimo del proprio sentire il segnale di un insostenibile stato nel proprio modo di procedere e di stare in rapporto con se stessi. Non c'è nulla di anomalo e di insensato in uno stato interiore, che perchè doloroso e spiacevole, non per questo è sinonimo di disturbo e di patologia. Semmai, nella parte profonda del proprio essere c'è grande accortezza e capacità di leggere lo stato vero delle cose, di non tacerlo, di aprire una crisi interiore su punti decisivi e su necessità irrinunciabili e inderogabili cui provvedere finalmente, c'è volontà insopprimibile di esercitare forte richiamo di attenzione e d'allarme per mobilitare tutto l'essere dell'individuo, per spingerlo a confrontarsi con se stesso e a cercare chiarimento e risposte. La paura, l'ansietà che non dà tregua, dà un segnale congruo e valido, intelligente e opportuno se, a dispetto di ciò che la parte conscia vuole farsi credere, ci si trova nella sostanza in una condizione delicata e critica, pericolosa, perchè insoddisfacente la necessità di avere visione chiara, veritiera e non truccata (tenuta su principalmente da appoggi e da convalide esterne) di se stessi e del proprio modo di condursi e poi di attrezzarsi per coltivare e sviluppare autonomia di pensiero e di governo della propria vita, di cui si è, malgrado le illusioni, mancanti. Sotto pressione interna di ansietà e di inquietudine, di paura, non si è dunque malauguratamente vittime di minacce o di condizioni sfavorevoli dettate dall'esterno, non si è malati di un cattivo funzionamento interno, ma si è investiti dal richiamo molto forte e intelligente, che proviene dal proprio profondo, a prendere visione di una condizione che è insostenibile, che, se anche difesa sino a oggi come normale e valida, fa paura. E' una condizione che non può fare stare tranquilli per la sua inadeguatezza rispetto all'esigenza di essere non passivi e a rimorchio (anche se convinti del contrario) di modelli e di modalità di pensiero prevalenti e date, ma dotati di autonomia, di capacità prima di tutto di capirsi e di vedere la verità del proprio stato, di capacità di ascoltarsi e di intendersi con se stessi, con la propria interiorità, condizione essenziale per trarre da sè le proprie risposte, il proprio pensiero, fondamento necessario della conquista della capacità di autogoverno, di governo della propria vita. L'esterno ha il suo peso, di cui bisogna certamente tenere conto, su cui è importante impegnare il proprio sguardo attento e critico, evitando di farsi portare e dirigere come gregari da un pensiero comune o impartito da presunti esperti, ma per fare questo, senza cadere nell'ideologia, nelle automatiche deduzioni e nel dare addosso solo al fuori, che rischierebbe di annebbiare tutto, è fondamentale avvalersi delle proprie risorse e guide interiori che sono il sentire, i vissuti, che puntualmente e senza imbrogli sanno dare il terreno vivo e affidabile su cui fondare il proprio pensiero, la ricerca che non ometta mai di riconoscere non solo le responsabilità altrui ma anche le proprie, condizione necessaria per produrre a partire da sè i veri cambiamenti. I vissuti sono l'espressione di intelligenza interna, tesi a fare luce prima di tutto su ciò che dentro e con se stessi è critico e problematico, che è fondamentale e prioritario capire, mettere finalmente sotto il proprio sguardo e all'ordine del giorno. Ciò che si sente non è la semplice e lineare conseguenza di situazioni e dell'agire di fattori esterni, che ne condizionerebbero l'insorgenza e che ne fisserebbero i limiti e il significato; i propri vissuti, che insorgono anche indipendentemente da circostanze esterne, hanno comunque, pur in presenza di stimoli e di condizionamenti esterni, autonomia e capacità propositiva, che va ben oltre l'idea e l'orizzonte convenzionale. L'anima e l'intelligenza che plasma il sentire, le emozioni e gli stati d'animo, è nel proprio profondo, ciò che si sente ha spessore e intenzionalità, capacità di dire e di svelare, di portare a prendere consapevolezza di aspetti decisivi e di nodi importanti della propria vita, di cui si è in genere ignari. La possibilità e il rischio di fraintendere il significato della paura, di farle prendere e di alimentare direzioni altre rispetto al suo senso, a ciò che vuole far capire e allo scopo che vuole perseguire, sono sempre presenti. Che sia il prendersela con i genitori o con altri considerati responsabili di aver minato e compromesso o di guastare nel presente la propria esistenza e il presunto diritto al quieto vivere e sereno, che sia la paura di malattie, che, non intesa nel suo significato più profondo, presa alla lettera (cioè nell'accezione più concreta) si fossilizza come tale, traducendosi e risolvendosi in visite e in richieste di esami medici ripetuti, paura, che così trattata, la minaccia del virus di turno e l'uso che se ne fa, giusto per stare alla attualità, spingono alle stelle, tante sono le possibilità di rendere la paura qualcosa che, deviato dal suo scopo e incanalato su percorsi anomali, non va a fare certamente il proprio interesse, semmai va a accordarsi con interessi altri, che delle paure sanno fare uso per trarne benefici e tornaconti. La paura, che esercita pressione interiormente, ha un senso e persegue uno scopo, è spiacevole mal interpretarla, farne cattivo uso, un impiego che allontana ancora di più da se stessi, che rende passivi e deboli, che rende ottusi e poco vigili, spenti di intelligenza propria, di volontà e di capacità di capirsi e di capire su tutti i fronti. Quando la paura involve e degenera e si incista nel terrore di perdere la continuità e la permanenza dello stare nella dimensione solita, nella modalità del tirare avanti, del continuare in un procedere dove quel che più conta è proseguire sine die senza domande di fondo, ignorando, non aprendo gli occhi per cercare il senso di ciò che si è fatto e che si sta facendo di se stessi e della propria vita, ecco che si è solo impietriti e chiusi, restii al pensiero vero e fondato, al coraggio della verità, assuefatti e attaccati al mero sopravvivere e alla simulazione del vivere sostenuta e incoraggiata da gradimento e da convalida comuni, piuttosto che animati da desiderio di vivere davvero. Vivere cioè da individui veri, umanamente compiuti non nell'apparenza, ma nella sostanza, vivere per far vivere ciò che, trovato il coraggio di cercare dentro se stessi e di vedere con i propri occhi, passando attraverso esperienza intima e riflessione proprie, si è scoperto avere davvero significato e valore e non vivere per possedere ciò che è comunemente considerato normale e desiderabile, per ottenere e difendere con i denti stabilità e sicurezza. La ricerca del vero, la messa in crisi di ogni autoinganno e di ogni mistificazione attorno alle ragioni vere di ciò che si è fatto nella propria vita e che si sta facendo, spesso per adeguarsi a ciò che è comune, spesso per assicurarsi qualche vantaggio e comodo, contrabbandandolo per altro di più gradito, onorevole e ben accetto ai propri occhi, la scoperta, non indolore, del vero della propria storia e della propria condizione, è il passo fondamentale per riscattarsi, per risvegliare la consapevolezza del significato e del valore della propria vita. Per bene intendere e per dare risposta congrua alla paura, all'ansità, all'inquietudine interiore, non fraintese, non deviate dal loro scopo di far aprire gli occhi e di far riconoscere il limite di una esistenza scollata da se stessi e senza fondamento personale vero, costruita non su coscienza e conoscenza proprie, ma su imitazione e sullo stare al sicuro nell'adattamento, deviata e incistata nella paura di finire, di morire materialmente, è necessario il coraggio della verità. La paura preme a lungo interiormente e scuote per far intendere il rischio di morire, pur da vivi, come esseri umani, come pensiero e passione, come individui capaci di aprire strade e percorsi unici di conoscenza e di realizzazione a modo proprio, per consapevolezza propria, di creare con la propria vita e presenza nel mondo qualcosa di originale, capaci di gioire di vivere per questo e non della garanzia di essere normali e del compiacimento di possedere ciò che hanno tutti. Oggi la corsa senza fine, divenuta motivo e tema unico esistenziale, a proteggersi da rischi di malattia trova sostegno e rinforzo e è figlia di una paura degenerata nell'assillo, che supera e oscura ogni altra passione e preoccupazione, di mettersi al sicuro e di mettere al sicuro la continuità elementare, la persistenza materiale del proprio stare al mondo, prendendo per buona e assecondando ogni prescrizione, senza chiedersi nulla, andando a rimorchio del pensiero più propagandato e celebrato, consumando e rimasticando idee già pronte, ingollando spiegazioni, raccomandazioni, che troppi presunti scienziati e pretesi protettori del bene comune sanno, non certo disinteressatamente, propinare, bene che ognuno potrebbe cercare, con qualche sforzo di riflessione e impegno personale di ricerca, di capire e di definire da sè.
domenica 11 luglio 2021
Il pensiero in affitto, la vita in affitto
Il possesso di pensiero proprio purtroppo non è bene diffuso. Poco o nulla sentita e riconosciuta come tale dall'individuo, per la sua parte profonda è viceversa una questione di capitale importanza, la questione delle questioni, cuore e anima di ogni crisi e sofferenza interiore. Il profondo ha la vista lunga, non cede all'inganno e alla seduzione di un pensiero, che vorrebbe essere riconosciuto come creatura propria, quando invece trova cardine e guida nel pensato dato e comune, che comunque, anche quando in apparenza elaborato originalmente, è di altra genitura, non della propria. Se il pensiero, se la visione non sono scaturiti da sè, se non si fondano su intima esperienza, che sola è capace di calare nel vero, non saranno certo le teorie rimasticate col ragionamento e prese da libri e dal pensato di pretesi studiosi e esperti di questo e di quello, a garantire che la vita in tutte le sue espressione non diventi e non si consolidi come vita presa in prestito, tenuta stretta come fosse propria, in realtà modellata e modulata secondo copione già scritto. Nella vita in affitto, presa e riprodotta da modello già pronto, conoscere diventa istruirsi e apprendere, gioire equivale a fare proprio ciò che, già confezionato e esaltato nel pensiero e nell'agire comune, sembra promettere il meglio e dare la soddisfazione più attesa, approfondire e ampliare la conoscenza diventa leggere o viaggiare, essere liberi si traduce nel fare vacanza da se stessi, nello staccare da vincoli sempre visti come esterni e a sè estranei e avversi, mai riconosciuti come vincoli interni, legati a modalità proprie, che è responsabilità e libertà propria, se non rifuggiti e ignorati, se visti da vicino e compresi, trasformare profondamente e radicalmente. Soltanto l'avvicinamento a se stessi e l'incontro e il dialogo con la propria interiorità, possibiltà tanto disconosciuta quanto disertata, perchè staccati dal resto che sta fuori si teme solo di perdersi e di languire, può portare alla scoperta del vero, alla comprensione di ciò che vale e del suo perchè, alla capacità di generare il proprio pensiero, di fondare così e di liberare la propria capacità di governare le proprie scelte e di decidere la direzione della propria vita. Ci si educa a essere bisognosi di risposte e di soluzioni pronte, a pronto uso, da consumare e da mettere rapidamente in atto, si rende credibile solo questo, il resto, se non ci si precipita a dare prova della validità dai più considerata, se non ci si dà soddisfazione e riempimento secondo ciò che offre il mercato, è giudicato solo incapacità e inadeguatezza, autoesclusione e perdita, disgrazia e condizione sfigata. Se non stai dentro il flusso comune, del consumo di vita organizzata e comune, se non dai prova di ciò che il coro dice e riconosce valido e normale, sei solo in ritardo o incapace. Consumare e riprodurre è la regola, reale e realistico diventa solo ciò che è organizzato e concepito, riconoscibile dai più. Generare richiede mentalità e animo tutt'altri da quelli del consumatore di vita presa in affitto, richiede i modi e i tempi del coltivare e del far crescere, non certo quelli del velocista della risposta pronta, richiede passione autentica di scoprire, di vedere con i propri occhi, sviluppo di intelligenza vera, ben altra dall'intelligenza illusoria di chi, come bravo scolaretto, si ingegna a dare prova di sapere la lezione che piace e che stupisce, che cattura il bel voto e la lode. La vita presa in affitto detta legge e squalifica ogni diversa aspirazione, giudicata velleitaria nel migliore dei casi, perdente e risibile nella maggioranza dei casi. Costruire da sè il proprio pensiero, cercando visione del vero, preferendolo alla consapevolezza venduta e ubriaca che considera credibile e affidabile solo ciò che corre dietro e che fa il verso all'idea diffusa e prevalente, che trae forza dall'essere confermato e considerato da platea e gusto comune, sono impresa e proposito nuovi e inediti, impegnativi, che però il profondo di ognuno non rinuncia a porre all'ordine del giorno, a sobillare interiormente, non dando tregua, rendendo il quadro interiore inquieto e sofferto. La vita vera, autenticamente propria, è la conquista che il profondo reclama, è la questione delle questioni che sottende ogni malessere interiore. Per la cosiddetta scienza ufficiale nel malessere interiore ci sono solo da riconoscere anomalie, segni di cattivo e infelice adattamento e cattivi funzionamenti, da spiegare con questo e con quello, da correggere con l'intento di rimettere tutto in corsa come sempre e per il verso solito. Se ci si affranca dal pensiero in affitto, si comprende che il malessere interiore dice tutt'altro che di essere un guasto da sanare, dice che il guasto è la vita presa in affitto e la rinuncia a cercare vita propria, a generare e a sviluppare pensiero proprio, che ne è l'anima e il perno.
domenica 16 maggio 2021
La leggerezza
Quante volte capita di sentire esaltato il valore della
leggerezza con riferimento a una condizione interiore che, libera da
appesantimenti, permetta di transitare e stare nell'esperienza con animo
leggero e sereno! Qualche valido motivo può averlo il desiderio di leggerezza
quando si è in presenza di modi di trattare l'esperienza, che, facendo leva sul
pensiero razionale, non fanno che mettere assieme combinazioni e incastri di
idee, tanto complicate quanto sterili, in nulla fondate sul vivo e lontanissime
da una relazione stretta col sentire. In altri casi un modo lagnoso e
vittimistico di trattare le proprie vicissitudini fa sì che tutto all'esterno
diventi bersaglio e oggetto di critica e di commento acre, cacciando il
negativo sempre fuori, caricando ogni responsabilità su altro e su altri. Il
fardello per un interlocutore, che sia chiamato a ascoltare simili lagne e
elaborazioni, è allora davvero pesante e diventa di assai dubbio interesse
ascoltare un pensiero così compattato e chiuso a ogni presa di coscienza che
coinvolga chi si considera solo vittima. Lo stesso soggetto e artefice di un
simile modo di trattare la propria esperienza all'insegna della recriminazione
continua, può avvertire lo stato asfittico e il clima pesante in cui si
costringe a respirare. Togliere e liberarsi del peso del ragionare
spiantato, che complica sterilmente il pensiero e la visione, del recriminare,
che rigira all'esterno ogni critica e pretesa e che inibisce e cristallizza
ogni possibile nuova scoperta e processo di crescita personale, è certamente
auspicabile. Per fare posto a che? A assenza di pensieri e di lavoro di
ricerca? Se tutto muove con spontaneità da dentro, dall'intimo di se stessi, se
la consegna è interiore, scaricarla per ottenere, in nome della leggerezza,
animo sgombro, significa compiere una forzatura, evadere da se stessi. Una cosa
è alleggerirsi degli inutili arzigogoli del ragionamento, dei crucci lagnosi,
altra cosa è rendersi leggeri e svincolati da consegne interiori che chiedono
di avvicinare ciò che è necessario per non rimanere ignari e sospesi per aria,
senza le risposte che è importante trovare, privi, digiuni della consapevolezza
necessaria, alleggeriti del bagaglio utile e delle guide valide per procedere a
modo proprio, per dire la propria. Se c'è impegno e lavoro da assumere e da
svolgere per ascoltarsi e per capirsi, per trovare sintonia con la propria
interiorità, per ascoltare e per fare proprio ciò che il proprio sentire sta
proponendo, ben vengano questi “pesi”, possono fornire gli strumenti necessari
per non ritrovarsi, sì alleggeriti di preoccupazioni e di pensieri, ma anche in
balia di un procedere senza guida e senza rotta, anonimo e inconcludente. La
leggerezza, che, promettendo per sè lo stato ideale, esige di essere
sgombri da carichi di ricerca e liberi dal vincolo a trovare accordo con se
stessi e risposte sintone col proprio sentire, non può che consegnare se stessi
alla passiva adesione a modelli già pronti, al procedere accodati e accordati
con ciò che è prevalente e ben assestato nel pensato e nell'esempio
comune. Ciò che non si crea, che non si genera da sè non può che essere
fatalmente e malamente compensato e sostituito da pensiero, da idee, da
attribuzioni di significato e di valore presi in prestito, assorbiti dall'ambiente,
rimasticati soltanto, anche se con l'illusione di essere pensati in proprio. La
leggerezza che, togliendo giustamente ogni inutile zavorra, non sia ricerca di
accordo e di fecondo scambio con se stessi, con la propria interiorità, col
proprio sentire, che viceversa rivendichi solo uno stato di spensieratezza e di
svincolo da richiami interiori, rischia di produrre solo un vuoto di crescita e
di autonomia.
sabato 1 maggio 2021
La responsabilità della cura
C’è un rischio di incuranza nella cura.
L’incomprensione del significato dell’esperienza interiore, particolarmente
quando questa assume caratteristiche ostiche, difficili, dolorose, complicate e
inaspettate, il ricorso immediato all’impiego di categorie come normale o no,
sano o malato, per sentenziarne e deciderne subito, senza ombra di dubbi, la
qualità, il significato e il destino, può gettare le basi di una cura, che, pur
con le dichiarate migliori intenzioni, rischia di tradursi nel suo contrario. Il
nostro essere non è un insieme omogeneo. Nelle parti della nostra psiche che
non sono regolate da controllo, da intenzionalità e guida razionale, nelle
nostre emozioni, stati d’animo, spinte interiori, trova espressione e segnala
la sua presenza una componente di noi affatto insignificante. Ciò che spesso
crea problema è la dissonanza tra quanto pensiamo, giudichiamo utile, valido e
desiderabile e quanto intimamente sentiamo, che casomai contrasta, non
asseconda, non dà manforte e anzi sembra indebolire, intralciare la compattezza
dell’agire, la sua linearità ed efficacia. L’idea che ci sia una parte,
definita irrazionale, del proprio essere, che non sa stare nei ranghi, che non
sa capire l’utilità o la necessità del proposito, sembra spiegare e chiudere il
discorso su questa discordanza tra pensiero e volontà da una parte e sentire
dall'altra. La componente del sentire e di quanto si muove nello spazio
interiore è definita irrazionale con un particolare accento, intendendo spesso
con questo, non già che abbia (sempre e comunque) capacità di dire con un
linguaggio e con modalità diverse da quelle del pensiero razionale, ma non per
questo non valide, non sensate, non affidabili, bensì che sia un'espressione
(particolarmente se dissona e non accontenta le attese e le previsioni della
parte cosiddetta conscia e razionale) poco o affatto lucida e attenta,
capricciosa, debole, scomposta, dettata da ragioni un po’ infantili, in balia
di paure di troppo, di tentazioni di fuga o di ricerca d’altro, indisciplinata
alla regola del puntare sullo scopo utile e vantaggioso, conveniente e dovuto. In
una simile impostazione, tutt’altro che rara, sono date per certe e
indiscutibili la supremazia e miglior affidabilità della guida e del controllo
razionale. Con un atteggiamento di superiorità della parte razionale così
marcato e con una sua predisposizione negativa così intransigente e in apparenza
motivata e convincente verso tutto ciò che non le è docile e omogeneo, la sorte
che spetta alla componente interiore, quando avanza, non casualmente e non
senza fondamento, una proposta disagevole e dolorosa, è di essere combattuta e
resa oggetto, nel nome della cura, di pretese di normalizzazione, vuoi con i
farmaci, chiamati possibilmente a togliere, zittire e rovesciare il quadro
interiore, rendendolo non disturbante e conciliante, vuoi con psicoterapie
direttive, in cui qualcuno detta il come del raddrizzamento e della
normalizzazione, cercando di correggere, di abbattere paure o altro giudicato
spazzatura, impedimento o distorto (disfunzionale nel gergo tecnico) modo di
reagire e di pensare. Manipolazioni tutte suggerite come fossero valido e
scontato prendersi cura di sé, ovvio andare verso il benessere. Nel sentire,
nelle paure, nella complessa e difficile esperienza interiore, da subito
distanziata da sé come minaccia, da subito trattata con sospetto e pregiudizio,
c’è in realtà la guida fedele e saggia per ritrovarsi, per cominciare a calarsi
con sguardo attento e intelligente, profondo e onesto dentro la propria vita,
dentro i propri nodi da chiarire e sciogliere. L’interiorità non semplifica e
non chiude gli occhi, dice e svela, dà il supporto per vedere e per
comprendere, per compiere l’operazione nuova e inedita del capire se stessi,
senza omissioni. I vincoli e i supporti su cui poggia la propria vita, il
proprio modo di esistere trovano nel sentire complicato, penoso, pungente o
afflittivo, modo di evidenziarsi. Sarebbe segno di maturità dell’individuo, che
voglia rendersi consapevole, libero e responsabile verso se stesso, guardare
dentro il proprio modo di procedere, ciò che sta facendo di sé. L’interiorità
vuole questo, vuole dare stimolo e supporto a una visione consapevole. La
crisi, il disagio interiore sono e racchiudono questa intenzione, non altro. Se
l'individuo non ha dimestichezza con l'esperienza interiore, l'aiuto che gli
serve è di essere sostenuto e accompagnato nell'avvicinamento a sè, imparando,
anzichè a fuggire o a scaricare, a reggere la tensione di esperienze interiori
sofferte per capire cosa gli stanno comunicando. Ciò che gli serve è di essere
aiutato ad acquisire e a sviluppare capacità di ascolto, di sguardo riflessivo
per vedere ciò che la sua interiorità gli sta svelando nel sentire, per
comprendere ciò dentro cui, anche nei percorsi interiori più accidentati,
l'intima esperienza lo sta calando, per comprenderne il senso, per farne sue
tutte le occasioni di crescita. Il fatto che la richiesta iniziale di chi cerca
aiuto sia di superare, di venir fuori dall'esperienza interiore dolorosa, non
implica che assecondare, che provare a soddisfare la pretesa di metterla a
tacere e di ricondurla a norma sia sensato e favorevole all'interesse di chi è
coinvolto da intima sofferenza. L’interiorità peraltro, malgrado si tenti di
manipolarla e di metterla in riga, non si fa zittire, non cede alla pretesa di
togliere di mezzo ogni intralcio al tirar dritto, consapevole com'è che tirare
dritto con un bagaglio zero di conoscenza vera di se stessi e dei propri vuoti
di crescita, autentica e non di facciata, da colmare non è certo buona sorte e
accettabile. E’ irresponsabile rivolgersi all’interiorità come fosse deficiente,
come fosse un meccanismo da raddrizzare e da correggere, senza capire ciò di
cui, intelligentemente e saggiamente, è promotrice e portatrice. E’
irresponsabile da parte del diretto interessato e non è certo espressione di
buona cura di se stesso, agirle contro e ancor di più è una scelta carica di
responsabilità per chi si proponga come curante l'assecondare e promuovere un
simile atteggiamento e intervento sull'interiorità, senza capire nulla del
linguaggio interiore e di ciò che la sofferenza interiore vuole aprire e
favorire. Nel tempo tutto ciò che si è fatto per zittire o per tenere sotto
controllo l’esperienza interiore, si tradurrà per l'individuo nell'aver perso
l’occasione del proprio ritrovarsi e crescere, del mettersi in mano la vita, la
propria vita. Ci sono storie di individui che per anni e anni si impasticcano
di ansiolitici o di antidepressivi pur di mettere a tacere e combattere ciò che
ai loro occhi e con complicità di non pochi curanti è intesa e fatta vivere
come una minaccia, un disturbo, una patologia. Triste destino di combattere
come nemica e di amputarsi della parte di sè, che, se compresa e resa anima e
veicolo di presa di coscienza, saprebbe liberare se stessi e la propria vita
dall’inutilità e dal fallimento. Parlo, senza mezzi termini, di fallimento
pensando a una vita che non ha visto l’individuo ritrovarsi unito e in sintonia
con se stesso, carico finalmente di consapevolezza dei propri veri mezzi e
scopi. Se si mette mano al mondo interiore, parte preziosa e fondamentale della
vita di un individuo, è necessario sapere cosa si sta facendo. Ci sono ad
esempio oggi molti giovani, anche se la riflessione svolta sin qui non è certo
limitata a loro, che da dentro se stessi ricevono, attraverso segnali di crisi
e di sofferenza interiore, sollecitazioni a avvicinarsi a sé, per prepararsi a
compiere il cammino della vita non in modo passivo e sprovvisti di guida
interna. Con questo intento il disagio interiore bussa presto alla loro porta.
E’ in gioco qualcosa di importante, il destino di questi giovani, la loro
possibile intesa e unità con se stessi, la crescita interiore, personale di cui
hanno necessità e che non è certo già risolta. Spesso soli in ciò che
internamente vivono e lontani ancora da sé, trovano nel loro malessere interiore
la spia e la richiesta di calarsi in intimità con se stessi, di conoscersi, di
capirsi, per non essere, anche in vista di scelte future decisive, in balia di
un procedere a rimorchio dei più e di ciò che è prevalente, che rischia di
essere tale. Se la risposta non è l'aiuto ad avvicinarsi a se stessi e ad
ascoltarsi, a scoprire e a valorizzare la loro interiorità, a trovare dentro e
attraverso il loro sentire chiarimenti fondamentali e necessari, ma sono
farmaci spazza via o tentativi di aggiustamento e di normalizzazione, come se
le loro paure fossero insensate oppure frutto di cattivi adattamenti o
conseguenza automatica di sfavorevoli condizionamenti esterni, il rischio di
lasciarli di nuovo soli e privi di guida interna è forte oltre che grave, anzi
è fatale.
mercoledì 28 aprile 2021
Non fa danno
La vita interiore, il suo linguaggio, ciò che propone, lo
scopo che persegue sono ben altro e si collocano in tutt'altra prospettiva
rispetto al modo abituale e comune di considerare e di trattare l'esperienza
interiore. Frequentemente chi è investito da malessere interiore da un lato non
ha strumenti per capire ciò che la sua interiorità sta cercando di dirgli e di
condurlo a conoscere, dall'altro non si astiene dal sovrapporre e dall'imporre
a ciò che sente rapide spiegazioni e sbrigativi giudizi, che, riportando e
forzando tutto dentro schemi già noti, non sanno rispettare e comprendere il
significato originale e lo scopo di ciò che sta vivendo interiormente. Accade
così che da una parte l'individuo cerchi spesso in primo luogo di stare al sicuro
e nella conferma del suo modo di condursi e di pensarsi, ritenendo che tutto
interiormente debba svolgersi concordemente con le sue attese, senza sorprese e
"normalmente", mentre dall'altra la sua interiorità, la parte intima
e profonda di se stesso (che, pur non essendo affatto irrilevante, è in genere
misconosciuta nel suo valore e nella sua affidabilità) spinge invece per fargli
fare, attraverso tutto ciò che nel sentire mette in movimento all'interno del
suo spazio interiore, esperienza significativa che lo porti a aprire gli occhi
su se stesso, a conoscersi davvero, al di là delle apparenze. L'attività del
profondo, i segni della sua presenza sono incessanti. Se durante la notte,
quando non c'è nulla che distrae e che porta via, quando nel sonno la parte
conscia si ritrae, la parte profonda ha l'incontrastato prevalere e nei sogni
fa sentire la sua voce, offrendo perle di ingegno e stimoli a guardare dentro
se stessi, di giorno non cessa di far sentire la sua presenza, regolando stati
d'animo e emozioni e tutto ciò che il sentire propone. Il proprio sentire,
l'insieme degli svolgimenti interiori, tutto guidato dal profondo, vuole
indirizzare la consapevolezza, dare base e terreno valido su cui poggiare per
capire, per entrare nel vivo e nel vero della propria esperienza, per
riconoscere il proprio stato e modo d'essere. Anche se contrastante con le
proprie attese e preferenze, il sentire non dice cose assurde, anche se
spiacevole e fastidioso, non mostra segni di anomalia, parla con un linguaggio
che non è quello concreto e convenzionale. E' necessario imparare a conoscere
le particolarità di questa parte di se stessi, a comprenderne lo specifico
linguaggio, ben diverso da quello razionale, se si vuole far proprio ciò che
sta dicendo e che vuole far capire, se si vuole evitare di liquidare come
malfunzionante o disfunzionale ciò che non si ha capacità di comprendere nel
suo vero significato e valore. Per potersi avvicinare a se stessi e per non
rimanere sulla difensiva nei confronti della propria interiorità, per scoprire
che l'esperienza interiore difficile e sofferta non è una minaccia da
contrastare, una fonte di danno, bensì un contributo e una guida fondamentale
per capirsi e per crescere, si ha necessità di essere aiutati a comunicare con
se stessi. Ci vuole una mentalità diversa rispetto a quella solita e comune per
capire le vicende interiori, per non fraintenderle, per non correre il rischio
di ridurre tutto a questione di mancato funzionamento normale, etichettando ciò
che non rispecchia i canoni di presunta normalità semplicemente come
espressione di un guasto, come malato. Ciò che si spaccia per evidenza, l'idea
che ciò che è sofferto e spiacevole interiormente sia dannoso e contrario ai
propri interessi, svela solo l'incapacità di capire l'esperienza interiore.
Siamo individui complessi, fatti non solo di superficie razionale, ma anche di
vita e di intelligenza profonde. La parte profonda di noi stessi bussa, a volte
con molto vigore e insistenza, vuole farsi ascoltare, vuole coinvolgere tutto il
nostro essere, lo fa coi sogni, lo fa con vissuti e con esperienze interiori,
anche ben poco agevoli, come l'ansia, a volte con richiami potentissimi e
estremi come gli attacchi di panico, si tratta di imparare a ascoltarla e a
intenderla, a dialogare con essa. La parte profonda del proprio essere,
tutt'altro che primitiva, sprovveduta o cieca come si pensa sia tutto ciò che
non è di matrice razionale, non è curante di mantenere la corsa, di inseguire
l'adattamento, l'efficienza nel condursi avanti secondo i criteri resi scontati
solo perchè abituali e ricorrenti. Il profondo è curante di capire cosa si sta
facendo di se stessi e perchè, di aprire a tutto l'essere una simile
riflessione, di comprendere le proprie vere potenzialità, di rompere il legame di
dipendenza da altro che sembra dare le guide e i limiti, ma di fondare su basi
proprie di consapevolezza il proprio modo di procedere e i propri scopi.
Invocare come condizione positiva e ideale l'assenza di tensione interiore,
cercare di evadere da ciò che si sente giudicandolo anomalo e nocivo quando
doloroso e difficile, affidarsi a rimedi che allontanino e che mettano a tacere
ciò che si prova è come dissociarsi da se stessi, è come erigere un muro contro
parte viva di sè, che ha tutt'altra intenzione che di recare confusione e
danno, che ha ben altra e forte potenzialità e capacità di dare rispetto a ciò
che comunemente si pensa. Un percorso, quando ben fatto, di analisi serve
proprio a questo, non a rimettere tutto in riga per insistere nel solito modo
di concepire il proprio bene e il proprio procedere a senso unico, ma a trovare
capacità di incontro e di dialogo col proprio profondo, a intendere ciò che il
proprio sentire e i propri sogni sanno dire e guidare a conoscere in modo
aperto e senza veli di se stessi, a trasformare per non essere ciechi
ripetitori di senso comune e prevalente, ma creatori del proprio pensiero e del
proprio destino. E' un percorso che consente di scoprire, di toccare con mano
che, quando si impara a ascoltarlo e a comprenderlo fedelmente, non c'è fonte
di danno in tutto ciò che vive e si propone interiormente. Solo l'ignoranza, la
non conoscenza e la lontananza da se stessi, spesso sostenuta da presunzione di
sapere cosa interiormente sia ammissibile e non, normale e non, può fare danno,
serio danno.
domenica 18 aprile 2021
La vita interiore, capire senza preconcetti
E’
molto diffusa la tendenza a fare uso disinvolto e sicuro di diagnosi e di
autodiagnosi, unito all’idea di malattia, della sofferenza interiore come
disturbo e intralcio. Supporre malattia, dell'anima o del cervello, nei confronti di parte di sè con cui, volendo, procurandosi l’aiuto necessario e
utile, si potrebbe cercare incontro e dialogo, impegnativo, ma
possibile, credo sia l'equivalente della pretesa di capire un altro individuo,
di dirne, senza entrarci in rapporto e in ascolto. Voglio però ora considerare
non tanto ciò che accade a chi si ferma subito e confida solo nella chimica
come arma e correttivo del proprio sentire, che ormai tratta come presenza
nemica, come patologia da scacciare, salvo ritrovarselo cocciuto e ribelle
dietro ogni angolo e piè sospinto, non perché perfido, ma semplicemente perché
non ci sta a farsi imbavagliare e bistrattare. Voglio ora considerare quel che
può accadere a chi cerchi di avvicinare le cose in altro modo, a chi decida di
impegnarsi a capire. Anche qui accade non di rado che la scelta di capire
discenda e sia tutt’uno con la pretesa di scovare l’inghippo, la causa del
"male", il perché del patimento, che dovrebbe avere alle spalle
qualche esperienza e fattore avverso, qualche spina mai tolta. Si torna anche
in questo caso a supporre, a definire a priori, a pensare l’esperienza
interiore e lo stato ideale con preconcetto. L’approccio stesso all’esperienza
interiore, ai propri vissuti, al proprio sentire, risentono di un simile
preconcetto. Capita che l’esperienza interna e vissuta venga guardata
sbrigativamente, per andar presto a spiegare, a cercare ipotetici perché.
Questo è un modo assai frequente di procedere e di pensare, significativo di una
difficoltà, spesso di un vuoto d'esperienza di rapporto con le vicende
interiori e di ricerca. Seguire il percorso interiore, impegnarsi, accettando
il coinvolgimento pieno nell'esperienza interna, ad avvicinare senza
pregiudizio, ad ascoltare e a fare proprio quello sguardo intimo, è cosa
certamente inusuale, come lo è la capacità di riflessione vera. Spesso si
intende la riflessione semplicemente come rielaborazione e riordino di
pensieri; è già più raro che si intenda la riflessione come il sostare con più
attenzione sull'esperienza in corso, sull'esperienza vissuta. Anche in
quest'ultimo caso di fatto la riflessione spesso si traduce nel lavorio del
ragionamento, che, in separata sede rispetto al vissuto, al sentire, costruisce
ipotesi e spiegazioni sul suo conto, confeziona un vestito cui fare stare
dentro, adattare cio' che si sente, che interiormente si sperimenta. La
quadratura del ragionamento, unico appiglio per non ritrovarsi persi o in balia
dell'incertezza, spesso tanto offre momentanea quiete e dà apparente
soddisfazione quanto coincide, a starci ben attenti, con la sensazione di non
aver trovato vero incontro col sentire, di cui, malgrado il tentativo di
spianarlo o di metterlo in gabbia, si continua a percepire l'estraneità,
l'essere altro e potenzialmente ribelle rispetto al marchingegno della
spiegazione e del chiarimento costruiti, escogitati. Persino la psicoterapia e
il chiarimento o la presunta presa di coscienza che in essa si cerca e si
sviluppa, rischia non di rado, se affidata allo sforzo di spiegare facendo leva
su teorie già fatte e pronte e su sforzi o acrobazie del ragionamento, di
cadere nella stessa trappola. Purtroppo succede che rispetto a cio' che accade
interiormente si sia pronti e inclini in partenza ad applicare mezzi e strategie
per accomodare, per riportare le cose al dritto, supponendo di aver già chiaro
quale debba essere il verso giusto, normale delle cose. Frequentissima la
ricerca, attraverso lo scandaglio di esperienze del proprio passato, di
qualcosa che finalmente faccia trovare la presunta causa di tutto, del
"distorto" modo d’essere e di percepire, dello stato d’afflizione
interno che non dà quiete. Non appena all’orizzonte compare qualcosa che
verosimilmente potrebbe spiegare, giustificare, essere la chiave di volta, ecco
che finalmente pare d’aver trovato il perché liberatorio. Peccato che tutto
questo lavorio nasca e sia conseguenza di un preconcetto circa il significato
dell’esperienza e della sofferenza interiore, che tutto il lavorio di ricerca
si muova stando dentro riferimenti e pregiudizi soliti, che il chiarimento sia
più un ragionato, pur sottilmente, teorema, che una vera scoperta. La
sofferenza interiore non è affatto scontato, come invece pare ai più, che sia
sintomo, segnale di un danno patito, di cui, rintracciate l’origine e le cause,
ci si possa liberare, riportando così dentro se stessi quiete e equilibrio,
benessere. Spesso la sofferenza interiore è frutto e espressione di iniziativa
del proprio profondo, è rottura di equilibri, per generare qualcosa che non
c’è: prima di tutto avvicinamento a se stessi, capacità di capirsi, costruzione
di un proprio modo di vedere e di conoscere, che non ci sono, capacità, che non
c’è, di autogoverno, di farsi interpreti di sé, di avere pensiero e capacità di
condursi autonomi, che rompano con il sostanziale fare leva e rimasticare idee
e modalità comuni, con la dipendenza da convalida e da considerazione altrui,
con la dipendenza dall’offerta di soluzioni preconfezionate e percorsi segnati.
La sofferenza interiore è soprattutto proposta, specchio di verità per
conoscere se stessi e il proprio stato e modo di procedere, è pungolo e guida
di ricerca, inizio di ricerca e di trasformazione. Comprenderla non è facile,
ma offrendole ascolto e non pregiudizio è possibile. Purtroppo la ricerca e la
concezione della cura in ambito psicologico coincidono non di rado con
l'elaborazione di un'ingegneria di risposte e di soluzioni volte, protese dal
principio a mettere in ordine, a sistemare, a manipolare, a contrastare, correggere,
piuttosto che ad ascoltare e a capire veramente la vita e l’esperienza
interiore. In partenza e a priori l’idea che questo modo d’essere e di sentire
o corso d’esperienza interna sia anomalo, che quell’altro sia inopportuno, che
quest’altro ancora sia il più conveniente e giusto. Che presunzione! La psiche
pero' è fatta di espressioni continue che sfuggono, che non stanno dentro lo
schema, è fatta di ostinata intraprendenza e pressione profonde che non si
fanno zittire. L'interiorità che si presume di spiegare e all’occorrenza di
mettere in riga, dice, sollecita, produce, anche in modo disturbante o
dissonante rispetto a gusti o attese, torna a premere anche se inascoltata,
anche se, quando torna decisa a bussare, si parla di “ricaduta” di malattia. E’
raro che le si dia retta, che ci si impegni in un incontro disponibile e
attento con la propria interiorità, nel suo ascolto vero. Purtroppo è persino
possibile che ci siano esperti della psiche e della sua "riparazione"
che hanno avuto accesso più a libri e a insegnamenti, ad apprendimento di
tecniche, che, prima di tutto, al rapporto con la propria interiorità, con cui
non hanno avuto e non hanno esposizione, contatto, apertura vere. L'interiorità
apre percorsi, non casualmente, non disordinatamente o insensatamente, traccia
solchi che, se seguiti e compresi, se riconosciuti in cio' che dicono, che
mostrano, che rivelano, offrono la possibiltà preziosissima di avvicinarsi a se
stessi, di lavorare su se stessi, di vedere con i propri occhi cose importantissime
e di vitale importanza per sè . Se si impara a cercare l'intimo di cio' che si
sente, se si impara a lasciarsi prendere e segnare dal sentire e nello stesso
tempo a cercare di prendere visione di cio' che lì dentro, in cio' che si sta
provando, sta prendendo forma e si sta rivelando di se stessi, ecco che si fa
riflessione vera (come guardandosi dentro uno specchio), ecco che il dialogo
con sè, con la propria interiorità, con cio' che dice anche di sofferto,
comincia a ricomporsi. Non è facile, ma è possibile. Non accade in un attimo,
bisogna lavorarci tanto e a lungo, con pazienza e coraggio, con estrema cura.
Può diventare necessario e utile farsi aiutare a formare e a sviluppare questa
capacità di incontro e di dialogo con se stessi da chi sappia farlo. Se si fa
questo si ha occasione di scoprire che l'interiorità, che la propria
interiorità dice, anima, rivela, crea, anche passando per percorsi insoliti o
accidentati, ma necessari, illuminanti, veri, opportuni, intelligenti. Si puo'
smetterla di fare ipotesi da fuori o congetture circa cio' che è o che vale la
sofferenza o le sue ipotetiche cause e se ne comprende la proposta, il
messaggio vero. Si puo' fare. Non c'è cosa che ho scritto che non venga da
rapporto con l'esperienza interiore, mia prima di tutto e d'altri con cui da
molti anni mi confronto, nel tentativo di sostenerne lo sforzo di aprirsi a se
stessi, di prendersi cura di se stessi.
domenica 11 aprile 2021
Accade che il tuo profondo scelga in modo diverso dalla tua volontà
Accade che il tuo profondo scelga in modo diverso dalla
tua volontà, che non concordi con il perseguimento di ciò che la parte di te
cosiddetta conscia vorrebbe ottenere, persuasa che l’ideale, che lo scopo da raggiungere
sia, ad esempio, quello di vivere libero da tensioni, da inquietudini giudicate
anomale e non dovute, insieme al possesso immediato della sicurezza, della
capacità di reazione pronta, di perseguimento dell'obiettivo che pare, per idea
tua e comune, valido e desiderabile, favorevole. Capita che alla parte di te
profonda non sfugga la necessità di un diverso modo, non apparente, non affidato
a guide e a conferme esterne, ma ben fondato su conoscenza profonda di te, di realizzare
te stesso. Capita che il tuo profondo non ignori del tuo stato presente e del
tuo modo di condurti i vuoti, la mancanza di scoperte di significato e di
valore tue, di un tessuto vivo di pensiero non dissociato dall’intima
esperienza, ma fondato su vissuti, su sentire, la necessità e la priorità di formarlo, di svilupparlo, perché essenziale,
non per dare prova, non per dimostrarti all'altezza delle comuni e abituali
pretese, ma per avere del tuo che ti guidi e sostenga, un tuo in cui tu creda e
in cui ti riconosca, che diventi modo di procedere, scelte e progetto che vuoi
realizzare. Oggi avere fiducia in te è quasi una pretesa, lo vivi come un
diritto, come se si trattasse di un'ovvietà, come se i giochi fossero già
fatti, come se un pò d'anagrafe e di esperienze fatte di per sè dovessero già
darti forza e maturità di risposta nelle diverse situazioni. Al tuo profondo
preme la sostanza, non cade vittima delle illusioni, se la fiducia in te va
fondata su reale possesso di risposte tue, guadagnate da incontro e da
confronto con te, da scoperta con i tuoi occhi di significati che abbiano
radice in ciò che vivi dentro l’esperienza, che senti, che non siano quelli
presi in prestito, già codificati e comuni, subito disponibili per essere usati
e rimasticati, ridetti senza capire alla radice nulla, ecco che il tuo profondo
non ci sta e vuole per te e con te un percorso, casomai più lungo e graduale,
più impegnativo, ma certamente più appassionante, oltre che promettente, per
conquistare capacità tua autonoma di pensiero e di scelta. Non è uno sfizio
questa autonomia, è la base per esistere, per non essere gregario rispetto a
principi e a idee comuni, per essere pensante e capace di concepire il tuo,
coerentemente con te stesso, è la base per sentirti appassionatamente
consapevole di ciò che dici e che ti proponi e libero di non infilarti nel
percorso segnato da altri e da altro, ma di intraprendere e seguire percorso
tuo originale e verso scopo tuo, da te compreso e concepito. Capita che il tuo inconscio,
che il tuo profondo ti neghi percezione di sicurezza e di fiducia, per
rifondarle su basi nuove, per non insistere nell'andare avanti con fiducia
fittizia e immeritata, non agli occhi altrui, ma ai tuoi. Capita che il tuo profondo
ti spunti l'arma della replica pronta, della parola e dell'affermazione
efficaci, per far sì che, tacendo, incassando la tensione, tu ti chieda cosa
quella domanda ha mosso in te, cosa significa dare risposta e alla ricerca di
che cosa, di tradurre qualcosa in cui credi davvero e che davvero comprendi e
puoi sostenere o sforzandoti solo di convincere altri, sventando cattivo
giudizio, meritando buona considerazione. Al tuo profondo preme la tua crescita
vera e sostanziale, non gliene frega di vittorie di pirro, di buone riuscite in
pubblico, di successi del cavolo, che non hanno sotto davvero la capacità di
concepire idee fondate e appropriate all’esperienza vissuta, di pensare
autonomamente e non di rimasticare roba incompresa. E’ una capacità che va
formata e sviluppata gradualmente, è la capacità di capire e di capirti, che si
fonda sul non tacerti nulla, anche se scomodo, è la capacità di formare
qualcosa di tuo, di tessere filo di pensiero tuo. La visione del profondo è
straordinariamente più saggia e lungimirante di quella della parte cosiddetta
conscia, che spesso, pretendendo di fare da sola, si fa bastare illusioni e che
è così incline al cieco aderire a modelli prevalenti, all'impazienza. L'ansia e
quant'altro che interiormente crea instabilità, che segnala crisi e che non dà
quieto vivere, vogliono proprio rilanciare la tensione del cambiamento,
mostrare crepe, invitare con forza, talora con prepotenza, come con gli
attacchi di panico, alla priorità dell'avvicinamento a se stessi, del lavoro su
se stessi, rispetto al cieco andare avanti con pretesa che tutto sia già a
posto. Quando coinvolti da disagio e da malessere interiore, è
frequentissima, come fosse reazione ovvia, la risposta vittimistica, fatta di
tutto un susseguirsi di lagne, di recriminazioni, di attacchi ostili all'ansia
e a quant'altro interiormente di disagevole vissuto, liquidato come
disturbo e squalificato come patologia, fraintendendone e ignorandone il vero
significato e valore di forte richiamo al compito di guardare dentro se stessi
e di formare quel che ancora non c'è: consapevolezza e tessuto umano e di
pensiero propri, unità con se stessi. Hai la responsabilità verso te stesso di
fare una scelta. Puoi continuare a metterti al riparo da dubbi, cercando
conforto nell'idea di malattia e di cura che tolga di mezzo, come fosse un
disturbo, ciò che interiormente ti coinvolge e non ti dà tregua o viceversa
puoi scegliere, raccogliendo l’invito e la proposta che origina dal tuo
profondo di prenderti davvero cura di te e delle tue necessità di crescita e di
trasformazione profonda. Puoi scegliere se impegnarti a costruire, col
contributo di chi sappia aiutarti a metterti in sintonia e in ascolto del tuo
profondo, a comprenderne il linguaggio e la proposta, le basi della tua vera
realizzazione, della tua, non apparente e illusoria, capacità di dire la tua
alla vita, di generare e di mettere al mondo il tuo o rivendicare, in nome di
un malinteso benessere, il rapido ritorno alla normalità e alla continuità
solita, a quello di cui disponevi e che eri prima che la crisi e il malessere,
che l'iniziativa del tuo profondo ti coinvolgessero.
martedì 6 aprile 2021
Le emozioni
Le emozioni chiedono di essere prima di tutto
avvicinate e comprese da chi le vive. Spesso prevale invece la pretesa e
l'attesa di dare loro espressione, come se non ci fosse altro scopo utile e
interessante che mettere fuori ciò che si prova, come se non ci fosse da
chiedere a se stessi, da perseguire altro che di avere coraggio o meno,
disinvoltura o meno di farlo. E’ ricorrente l’invito a non tenersi tutto dentro
di emozioni e stati d’animo, come se questo portasse solo danno o come se
andasse sprecato, se non espresso e messo fuori, il valore e il potenziale di
ciò che si prova. Le emozioni, gli stati d'animo, ogni moto interiore non ha
contenuto e significato banale, non è di evidente e immediata comprensibilità,
non è la copia e la ripetizione di altro analogo, di cui si presume di
conoscere già il significato. Ogni emozione, moto interiore, ogni vissuto ha un
significato e un intento originali e unici, ha un senso, vuole rendere
tangibile e riconoscibile qualcosa di vero di se stessi, mai scontato o
presumibile. Ogni momento e espressione della propria vita interiore, ogni
emozione interviene non casualmente, racchiude una proposta e un suggerimento
che ogni volta vanno intesi nel loro originale e unico, perciò ogni emozione va
avvicinata e partecipata intimamente da chi la vive e non prontamente liquidata
e messa fuori, va ascoltata con attenzione e senza impazienza perché sia
compresa. E' intelligenza assai fine quella del sentire, che vuole guidare alla
consapevolezza, nulla di vago e di aleatorio, di freddo e di meccanico, come
accade con i pensieri costruiti col ragionamento. Ciò che il sentire, ciò che
le emozioni e i moti interiori sanno svelare è molto vicino e corrispondente a
se stessi, è fondato, è vero. Scaricare, mettere fuori, liberarsi di emozioni a
volte difficili e non piacevoli è come sbarazzarsi di un che di prezioso, farne
solo uno scarto. Le emozioni possono essere usate, per compiacere, per attrarre
consenso, per ottenere vantaggi, possono essere enfatizzate o addirittura
manipolate o recitate per simulare ciò che piace, che stupisce, per coprire e
mistificare ciò che è più autentico. Sia che ci si voglia sfogare, che ci si voglia
liberare, scaricando ciò che interiormente pare sgradito, che malamente si
giudica a sè dannoso e insopportabile solo perchè risulta poco piacevole, sia
che si dia priorità all'istanza di manifestare e di esprimere il proprio
sentire rispetto a quella di custodirlo nell'intimo per ascoltarlo con
attenzione, per capire ciò che le proprie emozioni vogliono davvero condurre a
capire, si rischia di fare sciupio, di scaricare nei rifiuti, di banalizzare e
di fraintendere, di manipolare e di strumentalizzare qualcosa che viceversa va
saputo salvaguardare, rispettare e acquisire nelle sue autentiche forme e
intenzioni, valorizzare nella sua capacità di dire e far capire, riservandogli
la miglior cura e il più degno destino.
domenica 28 marzo 2021
Sentire e pensare
Nel confronto con l'esperienza interiore si
tende spesso a separare presto vissuto e pensato, a trattare quanto provato
interiormente solo come vago indizio o pretesto per passare in fretta a
sovrapporgli significati, tanto in apparenza plausibili e convincenti, quanto
arbitrari. Perché arbitrari? Quando ciò che si sente non è raccolto fedelmente
nel suo proporsi, ogni volta rispettandone l’originalità e non considerandolo
copia o ripetizione di altro già sperimentato o sperimentato da altri, quando
non è ascoltato con attenzione nel suo dire, ma reso solo espressione tipica di
qualcosa che si presume di sapere, che già si ha in testa, che spesso si trae
da idee abituali e comuni, ogni spiegazione messa sopra alla propria esperienza
interiore, al proprio sentire è arbitraria, incongrua, come accade nel rapporto
con l'altro quando già si commenta e si parla sopra ciò che l’altro sta
dicendo, senza, stando prima di tutto zitti e col desiderio di farsi portare a
comprendere, stare ad ascoltarlo. Nel rapporto col proprio sentire, quando
sofferto, difficile, è operazione assai frequente cercare di spiegare il perchè
e il percome, facendo ricorso a giri di ragionamento, cercando in cause
ipotetiche e plausibili le ragioni del disagio, riconducendo e incastrando in
soliti schemi già noti tutto il senso. Accade dunque che il sentire non sia
ascoltato in ciò che dice e rivela, in ciò che vuole condurre a riconoscere. Si
pensa che ciò che si sente nasca sempre da una causa esterna e che ne sia
risposta condizionata, una sorta di effetto, di automatica reazione. Il sentire
non è conseguenza di una causa, una sorta di risposta riflessa, il sentire è
ben altro e di più, è luogo d'esperienza e di ricerca, è via e guida di
conoscenza. Col ragionamento viaggiamo liberi in lungo e in largo e costruiamo
ipotesi tanto ben disegnate e sagomate quanto spesso sterili e lontane da ogni
relazione con l'esperienza intima, quanto spiantate e perciò senza alcuna
corrispondenza con noi. Il sentire ci permette invece in una forma sensibile di
entrare in rapporto con ciò che abbiamo occasione e necessità di avvicinare, di
capire di noi stessi, un pò come conoscere una cosa toccandola, sentendola, un
pò come camminare a piedi nudi e sentire il terreno, apprezzando tutte le
caratteristiche vere del percorso che stiamo facendo passo dopo passo. Vale
dunque la pena di dare retta al sentire, di imparare ad ascoltarlo sempre,
senza rifiuti, senza separazioni di comodo tra bel sentire o brutto, di
imparare a cogliere ciò che sta rivelando. Per intima esperienza e imparando a
raccogliere ciò che il sentire produce si può davvero capire, solo così e non
invece separando il pensiero dal sentire e consentendogli di tenere in pugno la
conoscenza come ragionamento. Solo facendo esperienza col sentire e mettendoci,
attraverso riflessione, come allo specchio per vedere cosa succede dentro le
nostre sensazioni e stati d’animo possiamo fare conoscenza fondata e vera,
utile e feconda. Solo imparando da un lato a concederci al nostro sentire
spontaneo e vero, perchè ci formi e guidi, anche se a volte per percorsi
difficili o dolorosi, solo imparando a riflettere, perciò a pensare/raccogliere
ciò che il sentire dice possiamo tenere ben unito pensare e sentire, evitando
pensiero (raziocinante) fuorviante e inconcludente. Va detto poi che il nostro
profondo, che genera il nostro sentire, che ci propone percorsi a volte non
facili, ma sensati, attraverso cui capire, non fuggendo, ma standoci
all’interno e dall’interno prendendo visione e consapevolezza, è anche assai
generoso di indicazioni e di suggerimenti per capire, con lucidità e ampiezza
di orizzonte, noi stessi e quanto sta accadendo, attraverso i sogni. Certo i
sogni non vanno letti in chiave concreta o interpretati frettolosamente e con
disinvoltura, esercitando nei loro confronti lo stesso arbitrio del dare
spiegazioni impiegato col sentire, come ho detto all'inizio. I sogni vanno
analizzati con cura fin nei dettagli e scoperti nella loro originale proposta,
perché possano dire e dare ciò che racchiudono. Sono una risorsa preziosissima,
nei sogni c'è capacità, come in nient’altro, di leggere dentro di noi, di
sviluppare pensiero fondato e non spiantato. La strada per capire noi stessi e
il senso di ciò che ci accade interiormente, accettato e accolto nella sua integrità
e interezza, non è certo facile e immediata, ma possibile, comunque possibile,
purchè con ciò che vive dentro di noi sappiamo aprire un rapporto vero, un
dialogo rispettoso e capace di attingere a ciò che la nostra interiorità sa
offrirci e proporci. Se si tratta ciò che si prova, anche se insolito o
sofferto, come cosa, come sintomo da consegnare a qualche esperto, che,
emettendo una diagnosi e applicando un trattamento, metta se stessi nella
condizione di oggetto di cura, volta a correggere e a contrastare ciò che si
sta vivendo interiormente, si sceglie una soluzione relativamente comoda, anche
se destinata a non produrre nulla di nuovo, anzi a dare conferma alla
diffidenza e al timore verso se stessi, verso parte ed espressione viva di sé,
relegata nell'anomalo, nel patologico, augurandosi solo che passi, che, chissà
come, si riaggiusti, che non si ripresenti. Nulla interiormente accade senza
uno scopo. Lo si comprende cominciando a lavorarci sul serio, dando voce a
quella parte di sé che genera malessere e crisi (e non per fare danno, ma
casomai per indurre a prendersi sul serio) , iniziando a cucire quel contatto
col dentro, a tessere quel dialogo con se stessi che manca, imparando a
raccogliere e a ascoltare e comprendere l'intimo significato di ogni momento
del proprio sentire, dando occasione ai propri sogni di introdurre alla
conoscenza di se stessi e di fare da guida nel mettere assieme il
proprio, ciò che davvero appartiene e che corrisponde a sé. Un lavoro
impegnativo, ma necessario, scegliendo chi sappia aiutare a farlo, a meno di
non voler passare una vita nel lamento, nella paura e nell'ostilità verso parte
di se stessi, casomai cercando consolazione nel pensiero che cosa
analoga accade a altri, nel mal comune cercando mezzo gaudio.
domenica 7 marzo 2021
L'unità con se stessi
E’ molto spiacevole e, a pensarci bene, inaccettabile e
tristissimo convivere con la parte intima e profonda di se stessi, che non è certo
insignificante, senza trovare con lei intesa e comprensione, vivendola anzi
come parte nemica, come oscura minaccia, da cui guardarsi. Le espressioni della
propria vita interiore sono a volte difficili da capire, sembrano solo togliere,
sconvolgere, fare danno e minare la propria sicurezza, in una parola sembrano
essere nocive e basta. Non è vero. Nulla di ciò che si sperimenta interiormente
è casuale e insensato, solo negativo e inaffidabile, nulla soprattutto lavora
contro se stessi. Il punto decisivo, se si vuole comprendere il significato
vero della propria esperienza interiore, è un altro, è che si ha dentro e nel proprio
profondo capacità di visione lucida, non condizionata da illusioni e da
interessi di autoconferma, di ciò che si è e che è importante capire,
riconoscere, di ciò che è necessario costruire e mutare, per non perdersi, per
non proseguire il proprio cammino di vita in modo in apparenza stabile e
quieto, ma, casomai nella sostanza, sterile e fallimentare, infelice. Accade
allora che dentro di sè questa parte, che è parte viva di se stessi (non va mai
dimenticato!), prenda iniziativa, a volte forte, interiormente vistosa e
sensibile, per spingere con decisione a entrare in contatto con qualcosa di
meno evidente e scontato di quel che si vede e che si concepisce col
ragionamento, ma che certamente ha più peso e rilevanza per sè di ogni altra
cosa, di ogni ricerca della semplice continuità o del beneficio del quieto
vivere. Insomma, il malessere non è mai un accidente negativo, una disgrazia,
la semplice espressione di una debolezza o di un eccesso di vulnerabilità
personali, non è un agitarsi scomposto, un meccanismo che impazza, è semmai il
contrario, l’espressione di una ferma e lucida iniziativa interiore, per indurre
a dare priorità alla riflessione su se
stessi, a portare lo sguardo su di sè, per guidare a scoprire e a costruire
qualcosa di nuovo e che è profondamente riconosciuto necessario, anzi
essenziale. Dal punto di vista di questa parte viva e profonda di se stessi non
è prioritario stare bene in apparenza e procedere indisturbati, ma vedere con
occhio attento, riflessivo la propria condizione e il proprio modo di
procedere, per raggiungere consapevolezza vera, fondamento del cambiamento e
della crescita personali, non di facciata, ma di sostanza, della conquista
della capacità di fare propria la propria vita, di conoscere prima e poi di esprimere
il meglio e il vero di se stessi. Questa parte profonda del proprio essere, non
ha paura di mettere le cose in discussione e sottosopra, di creare a volte
anche forte intralcio al consueto procedere, ma a fin di bene, del bene vero
del conquistare qualcosa di più consapevole, di più autenticamente proprio,
corrispondente a se stessi, e di più maturo. Certo la via tracciata dalla propria
interiorità risulta scomoda e non
indolore, restituire a se stessi la
responsabilità, riconoscere la verità di ciò che si è, che si è fatto e
che si sta facendo, non eluderla o non ricoprirla di spiegazioni e di significati
di comodo, costa e non poco. Va preso atto che, soprattutto all’inizio, fino alla
scelta di avviare un serio lavoro su se stesso, c’è dissidio, forte contrapposizione
tra la parte più conosciuta e frequentata del suo essere, cui nel tempo l’individuo
si è sempre più legato e affidato, quella dove svolge i ragionamenti e dove prende
decisioni, che è spesso affidata e prigioniera di un pensiero che si
rigira su se stesso e che ricalca il convenzionalmente e comunemente concepito,
e la sua parte profonda (quella che si esprime nelle emozioni, negli stati
d’animo e nei sogni) che vede le cose, certamente con più disincanto e
lucidità, con profondità di sguardo e con radicamento nella esperienza vissuta, con consapevolezza
dell’originale patrimonio personale e del percorso interiore e di presa di
coscienza necessari per portare a compimento il proprio potenziale umano. La parte
profonda, non assoggettata a vincoli di difesa e di mantenimento del già
raggiunto e ottenuto e di aderenza al convenzionale, con più lungimiranza,
scuote gli equilibri soliti, esercita pressioni utili a mettere in moto il
cambiamento di cui conosce fondata e irrinunciabile necessità e utilità. Come
fare per passare da uno stato di disunione, di paura di se stessi e di ciò
che si vive interiormente, a una
condizione invece di dialogo, di comprensione del senso di tutto ciò che
succede nel proprio spazio intimo, di lavoro unitario e solidale con la propria
interiorità, accolta e ascoltata per intero? Questo è ciò che può consentire
una buona psicoterapia, nel segno del promuovere nell’individuo l’ascolto, la capacità
di avvicinarsi e di aprirsi a se stesso, imparando a rispettare e a valorizzare
le proposte e a capire il linguaggio della propria interiorità, sia nei
vissuti, nelle emozioni, pur intense e “tremende“ o in apparenza assurde, sia
nei sogni. I sogni sono il pensiero elaborato ed espresso nel miglior modo
possibile dalla parte profonda del proprio essere, che, se è intransigente e
ferma nello smuovere le acque, nel creare clima di crisi e d’urgenza, è anche
pronta e capace nel dare guide e indicazioni su come procedere nella
riflessione e nella riscoperta di se stessi. Trovare unità con tutto il proprio
essere, unità che restituisca all’individuo la sua vita, le sue vere ragioni e
tutto il suo potenziale, è possibile.
giovedì 4 marzo 2021
La corsa
Se rincorrendo e afferrando questo e quello, che parevano
pezzi pregiati e capaci di darti valore, ti sei perso, se ciò che hai cercato
di non farti sfuggire nei tempi e nelle cadenze già scritte del “così fanno o
farebbero tutti”, ora senti non essere nulla, se il senso di adeguatezza,
l'apprezzamento e la buona considerazione altrui e quant'altro preso da fuori non
sono più efficaci nel tenerti su, se sono benefici che non durano dentro di te,
perché ora, nella presa del tuo intimo sentire, che toglie ogni maschera e
svuota ogni illusione, sai che simili pregi e conquiste non sono sostanza tua
vera, ora sei nel disagio di avvicinarti al vero, ora sei. Non eri tu in quel
che agli altri piaceva, l'apparentemente tuo stava su per gradimento altrui.
Ora la buona prestazione, se anche la pretesa di tornare a produrla non è
finita, è logora e compromessa, è logoro il tuo sforzo, ora tocchi il vuoto,
non ti sono più nascosti gli errori. Ora potresti cominciare a esistere nel tuo
disagio e in ciò che vuole svelarti, a patto che non lo usi, che non lo
strumentalizzi per prenderti benefici da fuori, per darti una parvenza di
dignità, un merito di circostanza, perchè anche il dolore può essere usato,
recitato, esibito, anche se alla radice ora scopri che in te c'è vero dolore,
che non è richiamo e cattura dell'attenzione altrui, un abbellimento, una buona
prestazione residua. Hai in te, nella parte di te più profonda e sincera,
capacità di vedere e non abilità di illuderti o di inebetirti di pseudo
consapevolezza. Ora puoi fermare la corsa, per stare con coraggio nella verità
che ti vuole avvicinare a te stesso, rinunciando a raccontartela come ti pare e
piace, a mettere al primo posto la rassicurazione e la conferma, supporti per
proseguire indenne e per stare su come sempre, per non mollare la presa, che
pure si è rivelata una presa sul nulla. E’ arrivato il tempo di non fuggire,
ora non hai più protezione che ti isoli dal vero, è questa la lezione del
disagio che non ti dà tregua. Ogni espediente per rifuggire la verifica e il
confronto sincero con te stesso ora si rivela fragile, hai scoperto che non c'è
sostegno esterno che possa reggere all'infinito, che si riveli capace di
evitarti di sentirti perso, non c'è autoinganno che possa durare, di cui prima
o poi non ti sia chiesto il conto. La tua interiorità non vuole tenere su la
recita, è stanca, è davvero stanca, vuole spirito nuovo, vuole che tu le creda
in ciò che ti dice, che ti dà schiettamente, senza addolcimenti, vuole che tu
cominci a ritrovarti e a costruire sul vero, sull'avventura umana di un
individuo che non sa solo cercare plauso esterno e conferma prima di ogni cosa,
che vuole confronto e incontro aperto e trasparente con se stesso, fondamento e
alimento di stima interna, di vera autostima e di calore, di calore sincero.
E' arrivato il tempo, stavolta non dettato da fuori, dell'incontro con te
stesso, con la tua interiorità su cui puoi contare.
domenica 28 febbraio 2021
Il concreto e il reale
Spesso, in presenza di esperienze interiori
affatto piacevoli, ad esempio di ansietà continua o quando esposti alle bordate
degli attacchi di panico, oppure quando tenuti sotto da un senso di sfiducia e
di infelicità, da un senso di vuoto, ci si dice e ci si sente dire che non c'è
motivo reale per simili stati interiori, che quei vissuti fanno sperimentare e
coloriscono l'esperienza in modo abnorme, alterato da una patologia da curare.
C'è un modo di pensare che al riguardo si irrigidisce e si fa forte di pensieri
comuni, così come di teorie e di tesi, di studi definiti scientifici. C'è un
equivoco circa ciò che sarebbe reale. Reale non equivale a concreto. Concreto è
solo un ordine di ragioni e di cose visibili e ben riconosciute già e
comunemente. Reale può essere ciò che ancora non si sa vedere e concepire, che
casomai, per preconcetto e per difesa di convinzioni inveterate, non si sa e
non si vuole ammettere e riconoscere. Lo stato delle cose riguardante se
stessi, il proprio modo di vivere e di procedere, può ad esempio non essere
felicemente rispondente a se stessi e soprattutto può essere mistificato,
travisato, ritenuto normale e scontato, valido solo perché simile e copia di
ciò che pare concepisca e faccia la maggioranza delle persone. Profondamente
però siamo dotati di capacità di sguardo che non cede all'illusione e alla
mistificazione, che sa vedere ad esempio quanto soffra la nostra identità vera
e il nostro potenziale d'essere e di crescita originali quando rimaniamo
incastrati nel pensiero e nello stile di vita suggeriti e impartiti dalla
cosiddetta normalità. Se il nostro profondo volesse darci uno scossone e
imporci la necessità e l'urgenza di riaprire tutto, di prendere visione della
nostra lontananza da noi stessi, di intendere per tempo il rischio di fallire
il nostro cammino di vita dove non cominciassimo a fare sul serio, impegnandoci
a capire la nostra condizione vera senza veli e autoinganni, sarebbe così
assurdo e anomalo se ci desse interiormente forte segnale di apprensione e di
allarme, persino di panico? Se la parte profonda del nostro essere volesse
indurci a vedere, al di là della superficie di adeguatezza ai criteri di
normalità comuni, il vuoto di vera autorealizzazione, non per sconfortarci e
basta, ma per indurci a formare senza rinvii ciò che ancora ci manca e che non
abbiamo coltivato, il nostro pensiero originale e non modellato su altro preso
in prestito, se volesse spingerci a compiere le conquiste di consapevolezza
che, indispensabili per decidere di noi stessi e per procedere autonomamente,
sinora non abbiamo né cercato, né realizzato, sarebbe così assurdo e
incomprensibile se ci precipitasse a sperimentare nell'intimo e senza
possibilità di evaderne un senso di disvalore e di vuoto? Sarebbe motivata
questa presa di posizione o sarebbe senza reale motivo e senso? Concreto è
una cosa, reale è un'altra.
giovedì 25 febbraio 2021
Il lavorio interiore e la ricerca del vero
Porsi domande per avere visione chiara e sincera di ciò che si sta facendo, della propria condizione, non limitarsi a difendere a spada tratta le ragioni solite a protezione e a convalida di ciò che si è sempre pensato e portato avanti, può risultare molto scomodo e mettere in difficoltà, può dare un senso di insicurezza, di disorientamento, di rischio. Raramente si è inclini a porsi e a tenere aperte domande circa ciò che fa proseguire in una situazione, che fa stare dentro un legame, a interrogarne la vera natura e i veri perchè, senza occultamenti di comodo. Più spesso si è così preoccupati di dare continuità alle cose da non volerne sapere di accogliere dubbi e domande, da preferire di volgere lo sguardo altrove o di costruire spiegazioni utili solo a confermare o a blindare ciò che si teme di mettere in crisi. In quest'ultimo caso, può accadere, non di rado, che non tutto di se stessi sia concorde con questo atteggiamento, diciamo, conservativo e che interiormente il quadro permanga instabile e inquieto. Ci può essere infatti una parte di sè, intima e profonda, che non vuole ignorare e lasciar cadere le domande, che vuole aprire gli occhi e spingere a farlo, che privilegia la ricerca del vero su ogni altro interesse. La ricerca del vero può risultare scomoda e soprattutto all'inizio può essere fortemente temuta, ma sicuramente la scoperta del vero, che non può compiersi in un istante o magicamente, ma solo attraverso un ascolto e un dialogo approfondito con la propria interiorità, fornisce nuova linfa, apre nuovi scenari, forma nuove intese con se stessi, nuove basi di consapevolezza capaci di dare la forza, il convincimento e la passione di rinnovare le proprie scelte, di trasformarle in concordanza piena con se stessi, a volte di mutarle radicalmente. Tenersi vincolati all'esistente e al modo consueto di pensare (o non pensare), che appoggia e accompagna il corso solito dell'esperienza, solo per paura della crisi, del cambiamento, rischia di far aderire a scelte, malamente fondate, poco o nulla corrispondenti ai propri interessi più profondi, di consegnare se stessi a prospettive e a sviluppi nella propria vita tutt'altro che felici. E' forte e diffusa la convinzione che tutto vada cercato fuori, occasioni, presenze vive e interlocutori, ma dentro i confini del nostro essere non siamo affatto soli e senza risorse. Portiamo dentro di noi una presenza viva, interiore, profonda, che, per come si esprime e incide nella nostra esperienza, sembra talora procurare in apparenza soltanto fastidi, ma che, se compresa, si rivela essere parte importantissima di noi stessi, tutt'altro che debole, incapace o nociva. E' la parte del nostro essere che non cede al ricatto della paura del cambiamento, del rischio della messa in discussione del quieto vivere, del mantenimento dell'ordine mentale consueto. E' il nostro inconscio, che sa e che vuole offrirci una guida, dandoci, attraverso il sentire e in modo magistrale con i sogni, richiami, stimoli e dritte di riflessione preziosi e introvabili altrove, affidabili come nient'altro, capaci di condurci alla verità di noi stessi, al riconoscimento dei nodi decisivi da sciogliere, su cui lavorare, alla scoperta di nuovi possibili percorsi a noi congeniali, consentendoci di liberare e di esaltare le nostre potenzialità originali. L'inquietudine interiore risulta spesso sgradita, addirittura può essere liquidata come un modo difettoso di sentire e di vivere, come uno stato interiore negativo, convinti che idealmente si debba stare sempre liberi da tensioni, saldi nell'abituale, tranquilli. Dentro ciò che si sente c'è in realtà un fermento di ricerca, un lavorio interiore che non cede alla pretesa del quieto vivere, che contrasta la tendenza alla rinuncia, all'acquiescenza. C'è la spinta a promuovere e a dare sviluppo, senza paura dei costi di impegno, anche di sofferenza, di dispendio di sè, alla presa di coscienza, necessaria per non essere privi di punti di riferimento validi e fondati, per dotarsi di guide autonome e assolutamente necessarie, per non lasciare che a raccontarla, a colmare lo spazio del pensiero, siano altre fonti ritenute capaci e competenti, che a dare le dritte sia altro, che si trova già concepito fuori di sè, cui spesso si cede il passo, da cui si finisce per farsi dettare la lettura dell'esperienza, le attribuzioni di significato, i suggerimenti circa ciò che è possibile e realizzabile, valido e conveniente, normale. Tutto il discorso corrente, prevalente, sull'ansia e sulle diverse espressioni del disagio interiore, trattate come disturbi o patologie, come conseguenza d'altro che da fuori molesterebbe o non concederebbe il dovuto, rischia di travisare e di non riconoscere che siamo creature complesse, che c'è una parte intima di noi stessi che non rinuncia a farsi sentire, a agitare le acque, a darci segnali tutt'altro che privi di senso. E' una parte del nostro essere che può non concordare con i nostri atteggiamenti e intendimenti, che vuole comunque condurci a aprire gli occhi, a far prevalere l'interesse per la verità, la passione per la realizzazione autentica di noi stessi sulla pretesa, immediatamente più confortevole e rassicurante, di mantenere tutto fermo, stabile e intatto.
domenica 14 febbraio 2021
Cos'è disfunzionale?
Il termine “disfunzionale” è molto usato,
particolarmente nell'ambito della psicoterapia cognitivo comportamentale. Sposa
e asseconda perfettamente l'idea comune che ritiene che quando in ciò che si
prova, nelle proprie risposte interiori e nei modi di vivere le diverse
situazioni, c'è qualcosa che non asseconda le attese e che si scosta da
ciò che è solitamente giudicato normale e valido, ci sia un difetto, un
funzionamento e una reazione anomali e controproducenti, non utili, anzi
dannosi per i propri interessi. Tutto concorda e converge nell'idea della bontà
di un intervento curativo volto a ottenere un modo (ritenuto) favorevole e
sensato di reagire e di procedere. Muovendo dalla persuasione che ci sia una
anomalia nel sentire, ci si dispone a contrastarla, provando a contenerla con
farmaci o con tecniche di rilassamento, proponendosi di correggerla, come nella
psicoterapia cognitivo comportamentale, con interventi su (supposti) modi
errati, disfunzionali di leggere e di pensare le diverse situazioni, che
condizionerebbero la risposta emotiva, la reazione giudicata incongrua e
limitante, nociva per i propri interessi. La correzione si propone pertanto di ottenere
che i modi e le risposte date alle diverse situazioni siano finalmente corretti
e validi, favorenti i propri interessi. Tutto sembra non fare una grinza. C'è
però, a starci attenti, il rischio di rimanere imprigionati in un modo cieco di
intendere le cose. In presenza di ciò che accade interiormente si tende a
piegare all'arbitrio della ragione ciò che una parte di se stessi, intima e
profonda, sta mettendo in campo nel sentire, bollato subito, se non piacevole e
discordante con le aspettative, come anomalo e sbagliato, privo di senso e
dannoso. Se ci si leva dalla posizione intransigente e rigida di chi vuole
imporre la verità e la regola a ciò che non conosce, in questo caso a una parte
di sè poco o nulla conosciuta, può aprirsi una riflessione e riconsiderazione
davvero utile e “funzionale” a non rimanere intrappolati nel pregiudizio e in
schemi rigidi. Tutto allora può mostrarsi sotto una luce ben diversa. Tenendo
conto dello stato del rapporto con se stessi, spesso di lontananza e di non
conoscenza del proprio intimo e profondo, disfunzionale, se proprio si vuole
usare questo termine, è il proprio non riuscire, in presenza di un malessere
interiore e di risposte interiori a prima vista strane e poco piacevoli (siano
esse ansia, fobie o altro), a comunicare con se stessi, con ciò che si sente.
Disfunzionale, cioè limitante e non idoneo a sostenere i propri veri interessi,
è non saper fare proprio ciò che il proprio sentire vuole dire e far intendere,
è non comprendere cosa la parte intima, profonda di se stessi vuole condurre a
capire di sè, della propria condizione vera. Disfunzionale è insistere nel
ripetersi le solite cose, nel volere che tutto giri e proceda a senso unico di
marcia, nel concepire come difetto di funzionamento da correggere, per
rilanciare il consueto, ciò che invece ha tutt’altro senso, importanza e valore
e che origina da tutt’altro sguardo, non estraneo e alieno, ma profondamente
proprio, insito nel profondo del proprio essere. Se l'esperienza interiore
disagevole che si vive di fatto è stata così insistente e continua a incidere
con forza, se ha intralciato e intralcia l’iniziativa verso l'esterno, se
non consente di aderire ai richiami della cosiddetta normalità, del
cosiddetto normale funzionamento, con tutte le sue regole, tipo la necessità di
provarsi che si è capaci come tutti (sarà poi vero proprio tutti?) di stare
sereni e di godersi la vita, è per condurre quasi a forza a convergere su di
sè, a portare tutta la propria attenzione su se stessi, perché ci sono in gioco
necessità fondamentali di cui prendere consapevolezza e cui provvedere.
Alla parte profonda non importa nulla di garantire e di perseguire la
normalità, che si faccia come tutti, che si mantenga o si raggiunga quell'efficienza
lì, al profondo interessa che si metta assieme ciò che manca e che sinora non
si è cercato e costruito: intesa e unità con se stessi, un bagaglio di
conoscenze di sè e di guide valide perché non ci si perda, perché, pur illusi
di essere artefici delle proprie scelte, non ci si faccia guidare e persuadere
da altro, perché invece, compreso cosa profondamente appartiene, si sappia
far vivere con fiducia, con determinazione e con passione ciò che si è, che è
autenticamente proprio. La lettura in termini disfunzionali di ciò che si
sente e di ciò che interiormente accade, anche se sembra sostenuto da buon
senso, anche se sembra una lettura quasi ovvia, non coglie in realtà, non
riconosce il significato vero di ciò che la propria interiorità sta
procurando: un forte richiamo, un invito pressante a occuparsi di se stessi, a
riconoscere l’inconsistenza delle attuali basi di riferimento e di appoggio, la
disunione con se stessi, la spinta a costruire ciò che manca, a comporre
l'unità con se stessi di cui non si dispone. Il proprio sentire oggi è come un
che di estraneo. La necessità vera non è di proseguire indisturbati, di uscire,
fare, procedere come sempre, senza più impedimenti e paura che attanagli, la
vera urgenza e priorità, che la parte profonda del proprio essere non ignora, è
di costruire un nuovo rapporto con se stessi, di coltivare , in stretto
rapporto e dialogo col profondo (rapporto e dialogo che qualcuno dovrebbe
aiutare a cercare e a sviluppare, questa la terapia) ciò che serve per
avere una identità davvero propria e un bagaglio di scoperte, di conoscenze,
una nuova condizione di unità e di sintonia con se stessi, di cui si
è privi. Ci si dà come regola quella di ristabilire o di raggiungere la
normalità, di riuscire a andare, a fare questo o quello come fan tutti,
intendendo questa come la giusta e ovvia regola funzionale per se stessi,
perciò ci si definisce e ci si lascia definire come disfunzionali, convinti che
sia questo il bene da inseguire, convinti che sia verità evidente che saper
vivere significhi ottenere le prestazioni che oggi sono non
casualmente intralciate da una parte di se stessi. Questa parte di sè profonda
ha giustamente e saggiamente in mente altro per se stessi come urgenza e
come bene da cercare e da costruire per affrontare, poggiando saldamente su di
sè, con piena aderenza e sintonia col proprio intimo, con capacità di scoprire
e sapere cosa si vuole e come lo si vuole, il proprio futuro.
Disfunzionale è rendersi uguali a altro, a un modello astratto di efficienza e
di sicurezza, non dando retta ai richiami intimi e profondi, tutt’altro che
stupidi e insensati, che con insistenza si fanno valere dentro di sè. Purtroppo
le questioni interiori, ciò che c’è veramente in gioco in una crisi e in uno
stato di sofferenza interiore sono spesso incompresi e fraintesi.