domenica 28 febbraio 2021

Il concreto e il reale

Spesso, in presenza di esperienze interiori affatto piacevoli, ad esempio di ansietà continua o quando esposti alle bordate degli attacchi di panico, oppure quando tenuti sotto da un senso di sfiducia e di infelicità, da un senso di vuoto, ci si dice e ci si sente dire che non c'è motivo reale per simili stati interiori, che quei vissuti fanno sperimentare e coloriscono l'esperienza in modo abnorme, alterato da una patologia da curare. C'è un modo di pensare che al riguardo si irrigidisce e si fa forte di pensieri comuni, così come di teorie e di tesi, di studi definiti scientifici. C'è un equivoco circa ciò che sarebbe reale. Reale non equivale a concreto. Concreto è solo un ordine di ragioni e di cose visibili e ben riconosciute già e comunemente. Reale può essere ciò che ancora non si sa vedere e concepire, che casomai, per preconcetto e per difesa di convinzioni inveterate, non si sa e non si vuole ammettere e riconoscere. Lo stato delle cose riguardante se stessi, il proprio modo di vivere e di procedere, può ad esempio non essere felicemente rispondente a se stessi e soprattutto può essere mistificato, travisato, ritenuto normale e scontato, valido solo perché simile e copia di ciò che pare concepisca e faccia la maggioranza delle persone. Profondamente però siamo dotati di capacità di sguardo che non cede all'illusione e alla mistificazione, che sa vedere ad esempio quanto soffra la nostra identità vera e il nostro potenziale d'essere e di crescita originali quando rimaniamo incastrati nel pensiero e nello stile di vita suggeriti e impartiti dalla cosiddetta normalità. Se il nostro profondo volesse darci uno scossone e imporci la necessità e l'urgenza di riaprire tutto, di prendere visione della nostra lontananza da noi stessi, di intendere per tempo il rischio di fallire il nostro cammino di vita dove non cominciassimo a fare sul serio, impegnandoci a capire la nostra condizione vera senza veli e autoinganni, sarebbe così assurdo e anomalo se ci desse interiormente forte segnale di apprensione e di allarme, persino di panico? Se la parte profonda del nostro essere volesse indurci a vedere, al di là della superficie di adeguatezza ai criteri di normalità comuni, il vuoto di vera autorealizzazione, non per sconfortarci e basta, ma per indurci a formare senza rinvii ciò che ancora ci manca e che non abbiamo coltivato, il nostro pensiero originale e non modellato su altro preso in prestito, se volesse spingerci a compiere le conquiste di consapevolezza che, indispensabili per decidere di noi stessi e per procedere autonomamente, sinora non abbiamo né cercato, né realizzato, sarebbe così assurdo e incomprensibile se ci precipitasse a sperimentare nell'intimo e senza possibilità di evaderne un senso di disvalore e di vuoto? Sarebbe motivata questa presa di posizione o sarebbe senza reale motivo e senso? Concreto è una cosa, reale è un'altra.

giovedì 25 febbraio 2021

Il lavorio interiore e la ricerca del vero

Porsi domande per avere visione chiara e sincera di ciò che si sta facendo, della propria condizione, non limitarsi a difendere a spada tratta le ragioni solite a protezione e a convalida di ciò che si è sempre  pensato e portato avanti, può risultare molto scomodo e mettere in difficoltà, può dare un senso di insicurezza, di disorientamento, di rischio. Raramente si è inclini a porsi e a tenere aperte domande circa ciò che fa proseguire in una situazione, che fa stare dentro un legame, a interrogarne la vera natura e i veri perchè, senza occultamenti di comodo. Più spesso si è così preoccupati di dare continuità alle cose da non volerne sapere di accogliere dubbi e domande, da preferire di volgere lo sguardo altrove o di costruire spiegazioni utili solo a confermare o a blindare ciò che si teme di mettere in crisi. In quest'ultimo caso, può accadere, non di rado, che non tutto di se stessi sia concorde con questo atteggiamento, diciamo, conservativo e che interiormente il quadro permanga instabile e inquieto. Ci può essere infatti una parte di sè, intima e profonda, che non vuole ignorare e lasciar cadere le domande, che vuole aprire gli occhi e spingere a farlo, che privilegia la ricerca del vero su ogni altro interesse. La ricerca del vero può risultare scomoda e soprattutto all'inizio può essere fortemente temuta, ma sicuramente la scoperta del vero, che non può compiersi in un istante o magicamente, ma solo attraverso un ascolto e un dialogo approfondito con la propria interiorità, fornisce nuova linfa, apre nuovi scenari, forma nuove intese con se stessi, nuove basi di consapevolezza capaci di dare la forza, il convincimento e la passione di rinnovare le proprie scelte, di trasformarle in concordanza piena con se stessi, a volte di mutarle radicalmente. Tenersi vincolati all'esistente e al modo consueto di pensare (o non pensare), che appoggia e accompagna il corso solito dell'esperienza, solo per paura della crisi, del cambiamento, rischia di far aderire a scelte, malamente fondate, poco o nulla corrispondenti ai propri interessi più profondi, di consegnare se stessi a prospettive e a sviluppi nella propria vita tutt'altro che felici. E' forte e diffusa la convinzione che tutto vada cercato fuori, occasioni, presenze vive e interlocutori, ma dentro i confini del nostro essere non siamo affatto soli e senza risorse. Portiamo dentro di noi una presenza viva, interiore, profonda, che, per come si esprime e incide nella nostra esperienza, sembra talora procurare in apparenza soltanto fastidi, ma che, se compresa, si rivela essere parte importantissima di noi stessi, tutt'altro che debole, incapace o nociva. E' la parte del nostro essere che non cede al ricatto della paura del cambiamento, del rischio della messa in discussione del quieto vivere, del mantenimento dell'ordine mentale consueto. E' il nostro inconscio, che sa e che vuole offrirci una guida, dandoci, attraverso il sentire e in modo magistrale con i sogni, richiami, stimoli e dritte di riflessione preziosi e introvabili altrove, affidabili come nient'altro, capaci di condurci alla verità di noi stessi, al riconoscimento dei nodi decisivi da sciogliere, su cui lavorare, alla scoperta di nuovi possibili percorsi a noi congeniali, consentendoci di liberare e di esaltare le nostre potenzialità originali. L'inquietudine interiore risulta spesso sgradita, addirittura può essere liquidata come un modo difettoso di sentire e di vivere, come uno stato interiore negativo, convinti che idealmente si debba stare sempre liberi da tensioni, saldi nell'abituale, tranquilli. Dentro ciò che si sente c'è in realtà un fermento di ricerca, un lavorio interiore che non cede alla pretesa del quieto vivere, che contrasta la tendenza alla rinuncia, all'acquiescenza. C'è la spinta a promuovere e a dare sviluppo, senza paura dei costi di impegno, anche di sofferenza, di dispendio di sè, alla presa di coscienza, necessaria per non essere privi di punti di riferimento validi e fondati, per dotarsi di guide autonome e assolutamente necessarie, per non lasciare che a raccontarla, a colmare lo spazio del pensiero, siano altre fonti ritenute capaci e competenti, che a dare le dritte sia altro, che si trova già concepito fuori di sè, cui spesso si cede il passo, da cui si finisce per farsi dettare la lettura dell'esperienza, le attribuzioni di significato, i suggerimenti circa ciò che è possibile e realizzabile, valido e conveniente, normale. Tutto il discorso corrente, prevalente, sull'ansia e sulle diverse espressioni del disagio interiore, trattate come disturbi o patologie, come conseguenza d'altro che da fuori molesterebbe o non concederebbe il dovuto, rischia di travisare e di non riconoscere che siamo creature complesse, che c'è una parte intima di noi stessi che non rinuncia a farsi sentire, a agitare le acque, a darci segnali tutt'altro che privi di senso. E' una parte del nostro essere che può non concordare con i nostri atteggiamenti e intendimenti, che vuole comunque condurci a aprire gli occhi, a far prevalere l'interesse per la verità, la passione per la realizzazione autentica di noi stessi sulla pretesa, immediatamente più confortevole e rassicurante, di mantenere tutto fermo, stabile e intatto.

domenica 14 febbraio 2021

Cos'è disfunzionale?

Il termine “disfunzionale” è molto usato, particolarmente nell'ambito della psicoterapia cognitivo comportamentale. Sposa e asseconda perfettamente l'idea comune che ritiene che quando in ciò che si prova, nelle proprie risposte interiori e nei modi di vivere le diverse situazioni, c'è qualcosa che non asseconda le attese e che si scosta da ciò che è solitamente giudicato normale e valido, ci sia un difetto, un funzionamento e una reazione anomali e controproducenti, non utili, anzi dannosi per i propri interessi. Tutto concorda e converge nell'idea della bontà di un intervento curativo volto a ottenere un modo (ritenuto) favorevole e sensato di reagire e di procedere. Muovendo dalla persuasione che ci sia una anomalia nel sentire, ci si dispone a contrastarla, provando a contenerla con farmaci o con tecniche di rilassamento, proponendosi di correggerla, come nella psicoterapia cognitivo comportamentale, con interventi su (supposti) modi errati, disfunzionali di leggere e di pensare le diverse situazioni, che condizionerebbero la risposta emotiva, la reazione giudicata incongrua e limitante, nociva per i propri interessi. La correzione si propone pertanto di ottenere che i modi e le risposte date alle diverse situazioni siano finalmente corretti e validi, favorenti i propri interessi. Tutto sembra non fare una grinza. C'è però, a starci attenti, il rischio di rimanere imprigionati in un modo cieco di intendere le cose. In presenza di ciò che accade interiormente si tende a piegare all'arbitrio della ragione ciò che una parte di se stessi, intima e profonda, sta mettendo in campo nel sentire, bollato subito, se non piacevole e discordante con le aspettative, come anomalo e sbagliato, privo di senso e dannoso. Se ci si leva dalla posizione intransigente e rigida di chi vuole imporre la verità e la regola a ciò che non conosce, in questo caso a una parte di sè poco o nulla conosciuta, può aprirsi una riflessione e riconsiderazione davvero utile e “funzionale” a non rimanere intrappolati nel pregiudizio e in schemi rigidi. Tutto allora può mostrarsi sotto una luce ben diversa. Tenendo conto dello stato del rapporto con se stessi, spesso di lontananza e di non conoscenza del proprio intimo e profondo, disfunzionale, se proprio si vuole usare questo termine, è il proprio non riuscire, in presenza di un malessere interiore e di risposte interiori a prima vista strane e poco piacevoli (siano esse ansia, fobie o altro), a comunicare con se stessi, con ciò che si sente. Disfunzionale, cioè limitante e non idoneo a sostenere i propri veri interessi, è non saper fare proprio ciò che il proprio sentire vuole dire e far intendere, è non comprendere cosa la parte intima, profonda di se stessi vuole condurre a capire di sè, della propria condizione vera. Disfunzionale è insistere nel ripetersi le solite cose, nel volere che tutto giri e proceda a senso unico di marcia, nel concepire come difetto di funzionamento da correggere, per rilanciare il consueto, ciò che invece ha tutt’altro senso, importanza e valore e che origina da tutt’altro sguardo, non estraneo e alieno, ma profondamente proprio, insito nel profondo del proprio essere. Se l'esperienza interiore disagevole che si vive di fatto è stata così insistente e continua a incidere con forza, se ha intralciato e intralcia l’iniziativa verso l'esterno, se non  consente di aderire ai richiami della cosiddetta normalità, del cosiddetto normale funzionamento, con tutte le sue regole, tipo la necessità di provarsi che si è capaci come tutti (sarà poi vero proprio tutti?) di stare sereni e di godersi la vita, è per condurre quasi a forza a convergere su di sè, a portare tutta la propria attenzione su se stessi, perché ci sono in gioco necessità fondamentali di cui prendere consapevolezza e cui provvedere. Alla parte profonda non importa nulla di garantire e di perseguire la normalità, che si faccia come tutti, che si mantenga o si raggiunga quell'efficienza lì, al profondo interessa che si metta assieme ciò che manca e che sinora non si è cercato e costruito: intesa e unità con se stessi, un bagaglio di conoscenze di sè e di guide valide perché non ci si perda, perché, pur illusi di essere artefici delle proprie scelte, non ci si faccia guidare e persuadere da altro, perché invece, compreso cosa profondamente appartiene, si sappia far vivere con fiducia, con determinazione e con passione ciò che si è, che è autenticamente proprio. La lettura in termini disfunzionali di ciò che si  sente e di ciò che interiormente accade, anche se sembra sostenuto da buon senso, anche se sembra una lettura quasi ovvia, non coglie in realtà, non riconosce il significato vero di ciò che la propria interiorità  sta procurando: un forte richiamo, un invito pressante a occuparsi di se stessi, a riconoscere l’inconsistenza delle attuali basi di riferimento e di appoggio, la disunione con se stessi, la spinta a costruire ciò che manca, a comporre l'unità con se stessi di cui non si dispone. Il proprio sentire oggi è come un che di estraneo. La necessità vera non è di proseguire indisturbati, di uscire, fare, procedere come sempre, senza più impedimenti e paura che attanagli, la vera urgenza e priorità, che la parte profonda del proprio essere non ignora, è di costruire un nuovo rapporto con se stessi, di coltivare , in stretto rapporto e dialogo col  profondo (rapporto e dialogo che qualcuno dovrebbe aiutare a cercare e a sviluppare, questa la terapia) ciò che  serve per avere una identità davvero propria e un bagaglio di scoperte, di conoscenze, una nuova  condizione di unità e di sintonia con se stessi, di cui si è privi. Ci si dà come regola quella di ristabilire o di raggiungere la normalità, di riuscire a andare, a fare questo o quello come fan tutti, intendendo questa come la giusta e ovvia regola funzionale per se stessi, perciò ci si definisce e ci si lascia definire come disfunzionali, convinti che sia questo il bene da inseguire, convinti che sia verità evidente che saper vivere significhi ottenere le prestazioni che oggi sono non casualmente intralciate da una parte di se stessi. Questa parte di sè profonda ha giustamente e saggiamente in mente altro per se stessi come urgenza e come bene da cercare e da costruire per affrontare, poggiando saldamente su di sè, con piena aderenza e sintonia col proprio intimo, con capacità di scoprire e sapere cosa si vuole e come lo si vuole, il proprio futuro. Disfunzionale è rendersi uguali a altro, a un modello astratto di efficienza e di sicurezza, non dando retta ai richiami intimi e profondi, tutt’altro che stupidi e insensati, che con insistenza si fanno valere dentro di sè. Purtroppo le questioni interiori, ciò che c’è veramente in gioco in una crisi e in uno stato di sofferenza interiore sono spesso incompresi e fraintesi.

giovedì 11 febbraio 2021

L'intento dei sogni

Non è raro che un sogno tocchi particolarmente la sensibiltà dell'individuo e lasci in lui una traccia, un seguito, capace di influenzarne l'umore, la giornata. Che vogliano incidere è nelle intenzioni dei sogni, di tutti i sogni, anche di quelli che non hanno così forte impatto. C'è in ogni caso volontà di coinvolgere, di persistere, di ottenere ascolto. Incidere davvero richiederebbe però che i sogni siano compresi e acquisiti in ciò che intendono comunicare e dire, cosa non facile, poco probabile purtroppo per come vengono abitualmente intesi e letti. I sogni non sono fantasie, non sono desideri inappagati, sono pensiero, di cui l'inconscio è capace, acutissimo e calzante, ben adatto a descrivere la situazione interiore di chi sogna, a porgli questioni di capitale importanza. Se si leggono i sogni in chiave concreta non li si comprende affatto. I sogni usano il linguaggio simbolico. Ad esempio la presenza nel sogno di una persona vale a indicare ciò che caratterizza questa persona agli occhi del sognatore, una modalità, un atteggiamento, un'espressione della personalità, che in quella persona è più marcato e più facilmente riconoscibile. L'inconscio però non vuole parlare della persona là fuori, ma, inserendo la sua presenza nel sogno, vuole dare volto, illuminare una modalità, un aspetto della personalità del sognatore. Per intero in tutti i suoi componenti, siano persone, animali, luoghi o cose, il sogno descrive simbolicamente parti vive del sognatore. I sogni non sono affatto caotici, non sono un insieme sparso e casuale di frammenti di ricordi, di fatti della giornata che ritornano e che l'inconscio registra e rilancia  passivamente, non sono affatto fantasiosi, sono elaborazioni di pensiero estremamente attento, affatto vago e buttato lì in modo sparso e disordinato. Il pensiero che l'inconscio vuole comunicare e guidare a formare attraverso il sogno è lucidissimo e di estrema precisione, nulla è inserito nel sogno, fin nei più minuti particolari, per caso. Tutto organicamente all'interno di un sogno compone un pensiero, un significato, che certamente non è di immediata comprensione e riconoscibile con la presa razionale, perchè non è omogeneo e parte di ciò che il sognatore è abituato a pensare. Il sogno ha capacità, se inteso fedelmente e compreso, di aprirgli gli occhi in modo nuovo, non condizionato da preconcetti e da interessi che non siano di riconoscere il vero. Il sogno non arriva mai per caso, non arriva sotto la spinta e l'urgenza di un movente esterno, di un accadimento, di una causa capace dall’esterno di determinarlo. Il respiro e l'orizzonte del sogno vanno ben oltre l’incidenza dei fatti quotidiani, semmai l'inconscio sa valorizzare momenti dell'esperienza, che sa richiamare nel sogno, per ciò che sanno rivelare di se stessi, inserendoli dentro una trama di riflessione e di pensiero che vanno ben oltre. Non c'è sogno che non sia capace di dare risalto a ciò che è importante e decisivo da riconoscere per il sognatore, che non sappia porre al centro la riflessione su se stesso, l'individuazione dei nodi fondamentali da chiarire e da sciogliere. Non c'è nulla di più vero, reale e rispondente alle necessità di presa di coscienza e di crescita di un individuo, dei suoi sogni in ciò che vogliono rendergli riconoscibile di se stesso, nelle questioni che vanno a rischiarare. I sogni fatti di seguito nel tempo sono tutti interconnessi, non c'è un susseguirsi di sogni casuale, c'è un filo che li lega, c'è uno sviluppo di ricerca che li vede uniti e in consonanza tra loro. I sogni, in concordanza con tutto ciò che si svolge interiormente sul terreno del sentire, di entrambi è ispiratore l’inconscio, contribuiscono in modo decisivo a chiarire le ragioni e il senso del malessere interiore, della crisi che ha investito l’individuo, a farne comprendere e a promuoverne lo scopo. Il percorso di avvicinamento a se stessi, di scoperta e di conoscenza di se stessi, di presa di visione del vero, di profonda trasformazione che ne deriva, come accade nel corso dell'esperienza analitica, è indirizzato, alimentato con grande maestria e saggezza dai sogni, che esercitano un ruolo guida fondamentale e imprescindibile. Non ci sono sogni negativi o brutti, che, al di là dell’apparenza, se compresi, si rivelino tali, anzi incubi e sogni cosiddetti brutti hanno un alto potenziale comunicativo, racchiudono una capacità di illuminare, di dare consapevolezza, senza nulla tacere o addomesticare per comodo nella ricerca del vero, che non ha eguali, perciò, se intesi e fatti propri nel loro autentico significato, sono prezioso alimento per la propria crescita. 

martedì 2 febbraio 2021

La sofferenza interiore

Ripropongo oggi questo mio scritto di alcuni anni fa, con qualche integrazione.                                    Accade spesso che chi vive un'esperienza di malessere, di sofferenza interiore si rapporti a questa con allarme misto a fastidio e a insofferenza, dando per certo che ciò che sta vivendo gli sia soltanto sfavorevole o nemico. La richiesta e l'auspicio sono in genere di ripristinare al più presto la condizione precedente la crisi, di dissolvere quella realtà interna così difficile e temuta, di sostituirla con una giudicata più vivibile, affidabile e "positiva". L'esperienza interiore dolorosa viene di fatto allontanata da sè come peste e trattata come cosa, grossolanamente equiparata ad altre appartenenti e sperimentate da altri e come tale volentieri catalogata e infilata, con il suggerimento e con la benedizione di qualche terapeuta, in una categoria diagnostica o pseudo tale. Tutto diventa allora uguale (ansia, panico, depressione, fobia ecc. ecc.), un dato oggettivo amorfo e impersonale, che non significa e che non rivela più nulla di se stessi, che non dice, cui non si fa dire se non di essere un disturbo, un eccesso, una distorsione, una patologia. In realtà l'esperienza interiore disagevole e sofferta, che l'individuo teme e ripudia, cui cerca di opporre un antidoto o un rimedio, non importa quale (dal tentativo di non darle peso e di distrarsi fino a quello di provare a metterla a tacere con gli psicofarmaci) pur di ingabbiarla e di liberarsene, è parte viva del suo sentire, non assimilabile affatto a ciò che altri sperimenta, come ci fosse una cosa, ansia o depressione o altro, che come guasto o cosa rotta  si ripropone sempre uguale in tutti. Ben lungi dall'essere un'anomalia o un disturbo, la sofferenza interiore è una voce, è prima di tutto intima esperienza, tentativo di prendere, pur con fatica e con travaglio, visione e consapevolezza di qualcosa di importante e, se attentamente ascoltata, se ben intesa e compresa, si rivela essere tutt'altro che ostile e deleteria. E' viceversa guida affidabile e sicura per capire, per capirsi. Imparare ad ascoltare e a comprendere il proprio sentire, fin nelle sue pieghe più tormentate o "strane", essere aiutato a confrontarsi e a dialogare con la propria interiorità, a capirla nel suo linguaggio vivo, è conquista molto importante, anzi decisiva per l'individuo. Questa per lui la vera "cura". Solo questo incontro col proprio sentire, accolto senza preclusioni in tutte le sue espressioni e non l'opposizione preconcetta al dolore, può infatti avvicinarlo a sè e fargli superare la frattura che lo divide da se stesso, può sanare la dissociazione, il disaccordo tra il suo pensato e ciò che vive interiormente. Solo la conquista della capacità di ascolto e di dialogo con la propria interiorità può renderlo consapevole ed arricchirlo di qualcosa di intimamente vero, che urge, che la sua crisi interiore ha aperto e sta rilanciando con forza, che non può, che non vuole essere ignorato o trascurato. Se quel sentire disturba, forse disturba in primo luogo il quieto e programmato procedere, dove il conducente spesso è incurante, non senza rischi, di sapere cosa realmente sta facendo di se stesso, verso che cosa si sta spingendo. Prima di squalificare e di porsi in modo ostile contro il proprio sentire, sarebbe bene essere molto cauti. Non c'è nulla di ciò che sperimentiamo interiormente, che possa essere considerato sbagliato, che, se ascoltato e compreso si riveli davvero anomalo, eccessivo o più semplicemente assurdo o inopportuno e ancor meno che mostri di essere nemico o sfavorevole. Semmai può esserci dissonanza e disaccordo tra ciò che in superficie si vorrebbe credere di se stessi e ciò che nel proprio profondo è riconosciuto come vero, tra ciò che si vorrebbe, spesso ottusamente, confermare e mantenere uguale e ciò che si sente intima, profonda e vitale necessità di trasformare, di far nascere e vivere, di costruire. Per l'individuo investito dalla sofferenza interiore, il vero problema non sta in ciò che vissuto interiormente non andrebbe per il verso giusto e normale e che perciò andrebbe tolto di mezzo o risanato, ma è viceversa nella sua chiusura, nella diffidenza e nel pregiudizio negativo verso tutto ciò che interiormente gli risulta sofferto e scomodo. Questa risposta dell'individuo alla sofferenza interiore è omogenea e tutt'uno con l'atteggiamento più diffuso e con l'opinione prevalente tra le persone circa l'intollerabiltà e la nocività di ciò che è interiormente doloroso e disagevole, con l'idea che, in presenza di un sentire sofferto, prima di tutto vada cercato e in fretta il rimedio rispetto alla comprensione e alla presa di coscienza di ciò che l'esperienza interiore sta cercando di condurre a capire. E' l'idea incoraggiata e confermata anche dall'offerta curativa, che in non piccola parte punta proprio a trattare come anomalo e disfunzionale ciò che interiormente risulta doloroso, insolito e discorde con il quieto vivere e procedere abituale, con l'idea comune di normalità. La capacità di entrare in rapporto con le emozioni, col sentire, con le esperienze interiori è spesso mancante nell'individuo o è presente in una forma distorta. La distorsione è nell'approccio razionale, che vede la pretesa dell'individuo di chiarire dall'alto le esperienze, le vicende interiori con lo strumento del ragionamento che presume di essere lucido e affidabile, ma che, visto con occhio attento, non fa che rimescolare e riversare sul conto dell'esperienza e dei vissuti cose già pensate, che difendere, più di quanto l'individuo sia disposto ad ammettere, personali interessi e convinzioni di comodo, oltre che avvalersi di schemi e di attribuzioni di significato preconfezionate e di uso comune. Con questa modalità di pensiero l'individuo tratta ciò che gli accade interiormente come un oggetto da spiegare e da interpretare, anzichè come esperienza viva e voce da ascoltare, da cui farsi dire e guidare a aprire gli occhi, a capire. Il malessere interiore vuole indurre a soffermarsi su di sè, a prendere visione del proprio modo di procedere, a cogliere lo stato del rapporto, spesso della lontananza dal proprio intimo sentire, dalla propria vita interiore, senza il cui apporto non c'è possibilità di orientamento e di visione propria e fondata. L'approccio razionale intrecciato e ben stretto alla preoccupazione di portarsi velocemente fuori dal malessere interiore, spinge molti a sviluppare tesi circa l'origine della sofferenza interiore, da subito intesa come pena e danno di cui si sarebbe vittime, causata da qualcosa di sfavorevole in atto o accaduto nella propria vita. E' soluzione molto frequente e cara non solo a chi patisce sofferenza interiore, ma anche a chi se ne prende cura, far risalire il malessere a presunte cause, attuali o preferibilmente remote, di traumi patiti, di carenze o di condizionamenti sfavorevoli subiti, che avrebbero lasciato segno e alterato il personale modo di sentire e di reagire. Il sentire attuale, la sofferta esperienza interiore non sono di fatto accolti e ascoltati in ciò che intelligentemente e provvidenzialmente vogliono comunicare e condurre a capire di se stessi, non sono compresi nel loro intento di evidenziare nodi decisivi da affrontare, di mettere in primo piano la conoscenza di se stessi, del proprio modo di procedere, per promuoverne trasformazioni importanti, utili e necessarie, ma diventano oggetto di un discorso che li vuole vedere conseguenza negativa d'altro, sfavorevole e nocivo, traumatico e penoso, che da qualche parte, a conferma e a suggello della tesi precostituita del danno subito, si finirà pur per trovare nella biografia personale. L'esperienza interiore viva è resa in questo modo muta, al sentire attuale non è concessa parola, sul loro conto si impone un discorso e un'indagine utili solo a tentare di liberare il campo dalla loro presenza come disturbo indebito. Non è un caso che si compia una simile manipolazione e distorsione del significato dell'esperienza interiore, che di fatto, parlandole sopra e facendole dire quel che si presume, ci si mantenga sordi e incapaci di rispettare e di lasciar parlare l'intimo sentire. La mancanza di capacità vera di ascolto e di dialogo con l'esperienza interiore è legata al fatto che negli anni, nel processo di crescita dell'individuo,  è sempre stata in primo piano la ricerca dell'adattamento alle circostanze esterne e la vita interiore è stata considerata solo un'appendice subalterna, un seguito emotivo, una sorta di eco di vicende esterne, con l'attesa e la pretesa che non creasse intralci, che assecondasse la ricerca dell'intesa con gli altri, la capacità operativa e i propositi di riuscita così come intesa e celebrata dal senso comune. Condizionato dalla sua incapacità di ascoltarsi, di entrare in rapporto rispettoso con la sua esperienza interiore, di intendere e di capire il significato originale, intimo e vero, dei suoi stati d'animo e del suo sentire, nel frangente difficile l'individuo è disarmato di fronte alla crisi e al malessere interiore da cui è investito. Reagisce con sospetto e con paura, concepisce spesso come favorevole solo il ritorno allo stato abituale, la liberazione da inquietudini e da disagi interiori, visti come inutili e odiosi intralci. Privo della capacità di intendersi con se stesso, di entrare in sintonia con la sua interiorità, di cogliere utilmente il significato e lo scopo di ciò che il suo sentire gli sta comunicando con tanta forza e intensità, l'individuo si chiude difensivamente e si preclude la scoperta di ciò che affidabile, utile e prezioso la sua interiorità ha intenzione e capacità di proporgli. A molti, che vivono un'esperienza di sofferenza interiore, purtroppo non è suggerita e mostrata questa possibilità e opportunità, a molti non è offerto l'aiuto necessario, non per fuggire e contrastare, non per provare a liquidare il malessere interiore con spiegazioni di presunte cause che vorrebbero essere liberatorie e esaustive, ma per imparare ad andare incontro fiduciosamente, a capire intimamente e a far propria la proposta della propria interiorità. Le acque interiormente non si agitano mai per caso o inutilmente.