mercoledì 25 agosto 2021

La riscoperta di ciò che siamo

La lontananza da se stessi, l'estraneità alla propria vita interiore, relegata in uno spazio marginale, trattata come appendice affatto essenziale e degna di considerazione, vigilata e temuta quando non confacente le proprie istanze di riuscita e di quieto vivere, disegnano il quadro triste di una condizione umana, immiserita del suo potenziale e della sua risorsa più valida, quella interiore e profonda. E' una condizione, non certo rara, che, malgrado le velleità, è di fatto più subumana che compiutamente umana, dove l'individuo è fondamentalmente affidato e appiattito sul binomio volontà e ragione, che, senza vincolo e rapporto col sentire e con la vicenda interiore, pretende di strafare e di tenere il resto in soggezione. Tutto l'impegno e l'aspettativa dell'individuo si concentrano sulla pretesa della riuscita, del dare prova, del farsi valere, del trovare soluzioni e capacità di rendimento dentro le guide e le regole della cosiddetta normalità, assecondando e traendo conferma dal giudizio altrui e dall'essere in linea con l'insieme, senza cura dell'ascolto delle proprie risposte intime e del confronto con la propria interiorità. La visione di se stessi insita in un simile modo di stare al mondo e di procedere concepisce il proprio essere come un meccanismo da tenere efficiente e regolare, da mettere in manutenzione quando dà segnali di crisi e di sofferenza. La vita interiore è però tutt'altro che una meccanica da tenere a bada e in buon esercizio. Nella vita interiore c'è il meglio di sè, del proprio patrimonio e potenziale di intelligenza, di capacità di rimettere in piedi la consapevolezza e la visione attenta, veritiera e critica del proprio stato e dello stato delle cose, altrimenti totalmente alienata, falsata, distorta. Quando non fondati su di sè, non alimentati dalla propria interiorità, quando non generati da riflessione e da ricerca personali in stretta unità e scambio col proprio profondo, il pensiero e la visione delle cose sono fatalmente forgiati da altro, regolati e istruiti da mentalità, da cultura e senso comune, da idee correnti e prevalenti. Non siamo meccanismi da regolare, portiamo dentro di noi sia a livello fisico biologico che psichico intelligenza e capacità di tenere conto di complesse esigenze, di tradurle nel modo più sensato e valido, di rendere riconoscibili e di segnalare acutamente  condizioni di crisi e di sofferenza, che tendono comunque a uno scopo di salvaguardia e di ricerca di equilibri più vitali e corrispondenti alle necessità personali. Tutto questo in un modo accorto e intelligente, attraverso risposte interiori e processi vitali che vogliono far capire e che, se ben compresi e corrisposti, sono capaci di indirizzare e promuovere  trasformazioni utili e necessarie. La medicina nei suoi orientamenti prevalenti, vincolati e frutto di una visione meccanicistica dell'uomo e della pretesa di dirigere, manipolare, strumentalizzare, regolare e dominare i processi biologici, spesso poco attenta e curante delle potenzialità, delle regole interne della vita biologica e delle sue capacità di porre e segnalare problemi e di dare risposte a esigenze complesse, interviene purtroppo non di rado con l'arbitrio e la supponenza di una presunta scienza che vuole mettere le cose in ordine e a posto, introducendo correttivi, che, ignorando e non rispettando gli equilibri e le risposte interne, rischiano di produrre più forzature, rotture di equilibri interni che vero aiuto. Sul terreno psicologico accade la stessa cosa quando si pretende di normalizzare, di correggere e di sanare situazioni e esperienze interiori, che nello schema di rendimento e presunta normalità, sono giudicate anomale e disfunzionali, misconoscendone il valore e il senso, ignorandone la finalità cui tendono. Si vede debolezza, disturbo, anomalia e cattivo funzionamento dove c'è ben altro, dove c'è viceversa tutt'altra storia in ballo, tutt'altra sapienza e progettualità. L'intelligenza dei processi interni all'individuo, i confini del cui essere sono ben più ampi di volontà e ragione e di meccanica efficienza, rischia di essere completamente misconosciuta. Si interviene con psicofarmaci, con tecniche psicologiche manipolative e correttive per rimettere le cose in riga dove invece c'è ben altro. Come la medicina che, in non poche sue espressioni, in nome della cura, vuole dominare e risolvere con interventi volti a spazzare via, a mettere a norma, a introdurre rimedi che vorrebbero sistemare il disturbo, come se non ci fosse altro da comprendere e da favorire, da assecondare in modo più rispettoso delle capacità e dell'intelligenza biologica insite nell'organismo di ognuno, così sul terreno psicologico, sempre in nome della cura, si compiono, non raramente, analoghe manipolazioni, che finiscono per stravolgere tutto, per trattare come crisi da domare e da riportare al dritto del consueto e del normale corso conforme ciò che invece interiormente vuole portare in tutt'altra direzione e che ha tutt'altro scopo, niente affatto insani, infelici o sfavorevoli o malati. L'ottusità della pretesa di rimettere le cose a norma di funzionamento, che, al di là delle buone intenzioni dichiarate, anzichè fare bene come propugnato, in realtà scombina e reca danno, limita e compromette le possibilità di crescita personale e di salute autentica, risalta agli occhi e diventa ben consapevole in chi sceglie di rispettare, di capire senza preconcetti, di conoscere e di valorizzare le espressioni del proprio essere, della propria vita interiore, di chi si mette in guardia dal pericolo e non accetta di rendersi oggetto di manipolazioni fatte in proprio o suggerite e sobillate da fuori, da idee comuni, così come da pareri di presunti esperti. E' tempo di recuperare una visione di se stessi più ampia, più rispettosa delle qualità e delle potenzialità del proprio essere, non riducibile a un meccanismo da regolare e da tenere sotto controllo.  

martedì 3 agosto 2021

I percorsi della paura

E' comprensibilmente difficile confrontarsi con vissuti, con emozioni come la paura, l'ansia e con tutto ciò che interiormente non concede quiete. La risposta di chi vive simili esperienze è molto spesso di insofferenza per qualcosa che è inteso come un intralcio, un difettoso modo di sentire, un disturbo che pare solo togliere opportunità e benessere, arrecare soltanto danno. La cosiddetta scienza è pronta a assecondare questa idea della nocività e della natura irregolare di simili esperienze, già presente e diffusa nell'opinione comune, provvedendo a dare definizione e a fornire etichetta a ciò che, collocato in qualche categoria diagnostica e casella dell'anomalo e del patologico, sembra trovare finalmente un volto e predisporsi a essere trattato come disturbo da contenere, da contrastare e eliminare. Così facendo si compie una operazione che, a prima vista benevola e assennata, ha in realtà  rilevanti implicazioni e notevoli conseguenze tutt'altro che favorevoli. Da un lato un'esperienza interiore  singolare e unica, così intima e vicina, è pregiudizialmente misconosciuta nel suo valore, non rispettata nella sua unicità e non valorizzata nella sua capacità di dire e di svelare, ripudiata e cacciata come corpo estraneo nel cestino di qualcosa di anomalo e alterato, tipico e comune, dall'altro l'aspettativa, confermata e incoraggiata nell'individuo dalla "scienza", diventa contenere e chiudere, risolvere e tenere lontano da sè ciò che, se compreso, si rivelerebbe essere tutt'altro che nemico e deleterio. La paura, dentro questo movimento di rifiuto, quando è resa oggetto di spiegazioni, è fatta prontamente risalire a condizionamenti e a cause esterne, remote o attuali. Ciò che non è colto e inteso è che la paura è un richiamo interno, che origina dalla parte profonda del proprio essere, che lancia con acutezza e imprime nell'intimo del proprio sentire il segnale di un insostenibile stato nel proprio modo di procedere e di stare in rapporto con se stessi. Non c'è nulla di anomalo e di insensato in uno stato interiore, che perchè doloroso e spiacevole, non per questo è sinonimo di disturbo e di patologia. Semmai, nella parte profonda del proprio essere c'è grande accortezza e capacità di leggere lo stato vero delle cose, di non tacerlo, di aprire una crisi interiore su punti decisivi e su necessità irrinunciabili e inderogabili cui provvedere finalmente, c'è volontà insopprimibile di esercitare forte richiamo di attenzione e d'allarme per mobilitare tutto l'essere dell'individuo, per spingerlo a confrontarsi con se stesso e a cercare chiarimento e risposte. La paura, l'ansietà che non dà tregua, dà un segnale congruo e valido, intelligente e opportuno se, a dispetto di ciò che la parte conscia vuole farsi credere, ci si trova nella sostanza in una condizione delicata e critica, pericolosa, perchè insoddisfacente la necessità di avere visione chiara, veritiera e non truccata (tenuta su principalmente da appoggi e da convalide esterne) di se stessi e del proprio modo di condursi e poi di attrezzarsi per coltivare e sviluppare autonomia di pensiero e di governo della propria vita, di cui si è, malgrado le illusioni, mancanti. Sotto pressione interna di ansietà e di inquietudine, di paura, non si è dunque malauguratamente vittime di minacce o di condizioni sfavorevoli dettate dall'esterno, non si è malati di un cattivo funzionamento interno, ma si è investiti dal richiamo molto forte e intelligente, che proviene dal proprio profondo, a prendere visione di una condizione che è insostenibile, che, se anche  difesa sino a oggi come normale e valida, fa paura. E' una condizione che non può fare stare tranquilli per la sua inadeguatezza rispetto all'esigenza di essere non passivi e a rimorchio (anche se convinti del contrario) di modelli e di modalità di pensiero prevalenti e date, ma dotati di autonomia, di capacità prima di tutto di capirsi e di vedere la verità del proprio stato, di capacità di ascoltarsi e di intendersi con se stessi, con la propria interiorità, condizione essenziale per trarre da sè le proprie risposte, il proprio pensiero, fondamento necessario della conquista della capacità di autogoverno, di governo della propria vita. L'esterno ha il suo peso, di cui bisogna certamente tenere conto, su cui è importante impegnare il proprio sguardo attento e critico, evitando di farsi portare e dirigere come gregari da un pensiero comune o impartito da presunti esperti, ma per fare questo, senza cadere nell'ideologia, nelle automatiche deduzioni e nel dare addosso solo al fuori, che rischierebbe di annebbiare tutto, è fondamentale avvalersi delle proprie risorse e guide interiori che sono il sentire, i vissuti, che puntualmente e senza imbrogli sanno dare il terreno vivo e affidabile su cui fondare il proprio pensiero, la ricerca che non ometta mai di riconoscere non solo le responsabilità altrui ma anche le proprie, condizione necessaria per produrre a partire da sè i veri cambiamenti. I vissuti sono l'espressione di intelligenza interna, tesi a fare luce prima di tutto su ciò che dentro e con se stessi è critico e problematico, che è fondamentale e prioritario capire, mettere finalmente sotto il proprio sguardo e all'ordine del giorno. Ciò che si sente non è la semplice e lineare conseguenza di situazioni e dell'agire di fattori esterni, che ne condizionerebbero l'insorgenza e che ne fisserebbero i limiti e il significato; i propri vissuti, che insorgono anche indipendentemente da circostanze esterne, hanno comunque, pur in presenza di stimoli e di condizionamenti esterni, autonomia e capacità propositiva, che va ben oltre l'idea e l'orizzonte convenzionale. L'anima e l'intelligenza che plasma il sentire, le emozioni e gli stati d'animo, è nel proprio profondo, ciò che si sente ha spessore e intenzionalità, capacità di dire e di svelare, di portare a prendere consapevolezza di aspetti decisivi e di nodi importanti della propria vita, di cui si è in genere ignari. La possibilità e il rischio di fraintendere il significato della paura, di farle prendere e di alimentare direzioni altre rispetto al suo senso, a ciò che vuole far capire e allo scopo che vuole perseguire, sono sempre presenti. Che sia il prendersela con i genitori o con altri considerati responsabili di aver minato e compromesso o di guastare nel presente la propria esistenza e il presunto diritto al quieto vivere e sereno, che sia la paura di malattie, che, non intesa nel suo significato più profondo, presa alla lettera (cioè nell'accezione più concreta) si fossilizza come tale, traducendosi e risolvendosi in visite e in richieste di esami medici ripetuti, paura, che così trattata, la minaccia del virus di turno e l'uso che se ne fa, giusto per stare alla attualità, spingono alle stelle, tante sono le possibilità di rendere la paura qualcosa che, deviato dal suo scopo e incanalato su percorsi anomali, non va a fare certamente il proprio interesse, semmai va a accordarsi con interessi altri, che delle paure sanno fare uso per trarne benefici e tornaconti. La paura, che esercita pressione interiormente, ha un senso e persegue uno scopo, è spiacevole mal interpretarla, farne cattivo uso, un impiego che allontana ancora di più da se stessi, che rende passivi e deboli, che rende ottusi e poco vigili, spenti di intelligenza propria, di volontà e di capacità di capirsi e di capire su tutti i fronti. Quando la paura involve e degenera e si incista nel terrore di perdere la continuità e la permanenza dello stare nella dimensione solita, nella modalità del tirare avanti, del continuare in un procedere dove quel che più conta è proseguire sine die senza domande di fondo, ignorando, non aprendo gli occhi per cercare il senso di ciò che si è fatto e che si sta facendo di se stessi e della propria vita, ecco che si è solo impietriti e chiusi, restii al pensiero vero e fondato, al coraggio della verità, assuefatti e attaccati al mero sopravvivere e alla simulazione del vivere sostenuta e incoraggiata da gradimento e da convalida comuni, piuttosto che animati da desiderio di vivere davvero. Vivere cioè da individui veri, umanamente compiuti non nell'apparenza, ma nella sostanza, vivere per far vivere ciò che, trovato il coraggio di cercare dentro se stessi e di vedere con i propri occhi, passando attraverso esperienza intima e riflessione proprie, si è scoperto avere davvero significato e valore e non vivere per possedere ciò che è comunemente considerato normale e desiderabile, per ottenere e difendere con i denti stabilità e sicurezza. La ricerca del vero, la messa in crisi di ogni autoinganno e di ogni mistificazione attorno alle ragioni vere di ciò che si è fatto nella propria vita e che si sta facendo, spesso per adeguarsi a ciò che è comune, spesso per assicurarsi qualche vantaggio e comodo, contrabbandandolo per altro di più gradito, onorevole e ben accetto ai propri occhi, la scoperta, non indolore, del vero della propria storia e della propria condizione, è il passo fondamentale per riscattarsi, per risvegliare la consapevolezza del significato e del valore della propria vita. Per bene intendere e per dare risposta congrua alla paura, all'ansità, all'inquietudine interiore, non fraintese, non deviate dal loro scopo di far aprire gli occhi e di far riconoscere il limite di una esistenza scollata da se stessi e senza fondamento personale vero, costruita non su coscienza e conoscenza proprie, ma su imitazione e sullo stare al sicuro nell'adattamento, deviata e incistata nella paura di finire, di morire materialmente, è necessario il coraggio della verità. La paura preme a lungo interiormente e scuote per far intendere il rischio di morire, pur da vivi, come esseri umani, come pensiero e passione, come individui capaci di aprire strade e percorsi unici di conoscenza e di realizzazione a modo proprio, per consapevolezza propria, di creare con la propria vita e presenza nel mondo qualcosa di originale, capaci di gioire di vivere per questo e non della garanzia di essere normali e del compiacimento di possedere ciò che hanno tutti. Oggi la corsa senza fine, divenuta motivo e tema unico esistenziale, a proteggersi da rischi di malattia trova sostegno e rinforzo e è figlia di una paura degenerata nell'assillo, che supera e oscura ogni altra passione e preoccupazione, di mettersi al sicuro e di mettere al sicuro la continuità elementare, la persistenza materiale del proprio stare al mondo, prendendo per buona e assecondando ogni prescrizione, senza chiedersi nulla, andando a rimorchio del pensiero più propagandato e celebrato, consumando e rimasticando idee già pronte, ingollando spiegazioni, raccomandazioni, che troppi presunti scienziati e pretesi protettori del bene comune sanno, non certo disinteressatamente, propinare, bene che ognuno potrebbe cercare, con qualche sforzo di riflessione e impegno personale di ricerca, di capire e di definire da sè.