martedì 31 maggio 2022

Esistenze fragili

E' dentro forme di vita in apparenza salde e valide, al di sotto dell'apparenza fragili per mancanza di coesione, di fondamento di unità con se stessi, che nel tempo e ripetutamente si rende percettibile la paura, a volte con intensità conclamata, altre volte in modo più sfumato o attutito dalla distanza interposta nei confronti del proprio intimo da chi ne è interiormente coinvolto. Si tratta di una paura affatto immotivata e stupida, di certo non malamente e proditoriamente immessa da traumi pregressi o da vicissitudini sfavorevoli, come si è soliti ritenere. E' viceversa il segnale intelligente e testimone di verità prodotto dalla parte profonda di se stessi, che non tace l'insostenibile inconsistenza e aleatorietà dell'essere, quando malamente formato nello stampo del comune modo di intendere e di procedere, quando in nulla frutto e figlio di un legame con se stessi, di una maturazione vera. Questa paura, che già in passato poteva prendere una simile piega, ha di recente trovato più facilmente e su più larga scala occasione di incanalarsi nella paura di malattia, un binario rigido dentro cui la paura pare trovare scarico e soddisfazione, controllo e sistemazione stabile, quasi irremovibile. Difendersi da virus e da minacce invisibili, rafforzare le protezioni sembra il miglior modo di prendersi cura di sè, ristabilendo con sè una sorta di premuroso contatto, offrendo a se stessi una tutela che sembra, anche per insistita raccomandazione e per benedizione di schiere di sedicenti esperti e tutori del bene pubblico, benefica, oltre che prudente, accorta, intelligente. In realtà la distorsione è compiuta. La paura, che già da tempo serpeggiava e incalzava, aveva come scopo di segnalare che lo stato abituale del proprio modo di essere e di procedere era (pericolosamente) inaffidabile, inadeguato, non consono a se stessi, improprio, fondato più su consenso altrui e su assecondamento d'altro e comune che su consapevolezza e su autonoma capacità di orientamento e di scelta, una costruzione fragile, segno di incompiutezza e di mancata crescita vera. Ora la paura, tradotta e risolta come incentivo a procurarsi scudo per tenere intatto e immune il proprio stato, è tradita nel suo intento, fraintesa completamente nel suo significato e scopo originario e vero. Regressiva questa difesa della propria integrità a oltranza, regressivo l'investimento nella protezione dell'esistenza vigilata e cullata nel suo elementare stato di conservazione e di persistenza. Esistenze fragili blindate e protette.

giovedì 26 maggio 2022

Il rischio vero

Ogni individuo porta dentro sè una ricchezza, una fonte vitale di conoscenza e di libertà, una leva di crescita e di autonomia, di cui in genere non è consapevole. Facendo conto solo su una parte di se stesso, cosiddetta razionale, che, scissa dal legame e dal rapporto con la propria interiorità, di cui ignora il potenziale e che relega nel ruolo subalterno, non può che risultare impotente nel generare pensiero originale e fondato e che abbia senso vero. In queste condizioni l'individuo, da un lato si pone da subito e persiste in un atteggiamento ciecamente operativo, proteso a darsi prontamente, senza concedersi il tempo e l'occasione di ascoltarsi e di capire, soluzioni e risposte, dall'altro queste risposte, privo com'è, senza l'apporto fondamentale del suo profondo, da cui è scisso e lontano, della capacità di generarle, le va fatalmente a prendere in prestito da altro e da altri eretti a autorità che sa e che può istruire. Modellando il suo pensiero e le sue risposte su un sapere, su un modo di concepire e di attribuire significati già codificato, di cui non è artefice e che non ha verifica alcuna da parte sua, l'individuo si abitua a coniugare e a comporre idee e propositi, che traggono incentivo e forza persuasiva più da fuori che da dentro se stesso, privi come sono di relazione e di fondamento vivo con e dentro se stesso. Volgendo a senso unico lo sguardo all'esterno, l'individuo prende da lì, già disegnati e definiti,  i temi e i binari di ricerca. Assumendo come modello e guida ciò che già è allestito, concepito e disponibile all'uso e al consumo, cerca e rincorre  lì le sue occasioni di autorealizzazione, le sue fortune. La propria identità, la definizione di chi si è, l'espressione di sè passano così attraverso il filtro e le convalide comuni, diventano assunzione e esecuzione di ruoli, di parti riprodotte e recitate, diventano ciò che comanda, che rimanda e che si aspetta l'esterno, il senso comune e il sapere costituito, cui è dato il potere di sorreggere, confermare e premiare come di correggere, disciplinare e bocciare. La dipendenza da ciò che da fuori tiene le fila e regge tutto l'impianto, diventa il fulcro dell'esistenza, dipendenza camuffata, occultata ai propri occhi, per darsi l'illusione di essere artefici e protagonisti della propria vita recitata e eterodiretta. L'interiorità non sta zitta, accompagna con i suoi commenti nel sentire, con le sue elaborazioni e approfondimenti nei sogni, un simile percorso di presunta realizzazione, nella sostanza di perdita di se stessi, di inconsistenza pur dentro una messe di proclami e di apparenti successi. L'interiorità mette sul terreno dell'esperienza, attraverso sensazioni e vissuti, intralci, segni di scricchiolii, paure, sensazioni di malcerto animo, ansia che non recede, senso di vuoto e di scoramento, segnali indicatori di quanto non corrispondente a sè e gratuito, sorretto solo da guide e da conferme esterne, non sta su, non ha fondamento, non ha affidabilità, non ha consistenza alcuna. Il fallimento, il bluff, l'illusoria autorealizzazione preoccupa non poco il proprio profondo, che perciò non cessa di interferire. La risposta è di trattare questi segnali accorti e intelligenti, tutt'altro che improvvidi o ostili, come robaccia, come scorie e difetti di funzionamento da tenere a bada, come limiti da superare, come disturbi da correggere, come disfunzioni che si è pronti a spiegare, anche con l'aiuto di qualche esperto, come conseguenza di una qualche causa esterna condizionante e sfavorevole o di qualche remoto trauma. L'elaborazione più comune del malessere interiore, così come la sua cura, fanno sì che ciò che dal profondo reclama ascolto, vuole aprire una crisi, perciò un profondo cambiamento, un'inversione di tendenza nel modo di pensare e di condurre la propria vita, dove finalmente si affermi la necessità di fermarsi, di capirsi, di riconoscere il vero del proprio modo di procedere, di non darlo per scontato, di trovare ben diverso fondamento, dentro e in stretto legame e scambio con la propria interiorità, alle proprie idee e aspirazioni, non venga compreso, anzi che venga travisato e rigirato nella solita direzione del marciare dritti nel verso della dipendenza, persuasi in questo e confortati dall'idea che così fan tutti o la maggioranza. La ricchezza che si porta dentro di sè, l'intelligenza del proprio profondo, che spinge e che sollecita la verifica, che vorrebbe coinvolgere e aprire la strada del proprio ritrovarsi e della propria libertà di pensiero e di scelta, continua a essere a rischio di non essere compresa.