mercoledì 20 settembre 2023

Autostima sì, ma...

Non si può fare stima corretta di qualcosa se non la si conosce. Non ci può essere autostima, affidabile e fondata, se non ci si conosce, se non si vede e verifica con i propri occhi ciò che di sè e di prodotto da sè vale davvero. Quante volte ci si sente dire e incoraggiare a nutrire stima e a credere in se stessi, perchè questo può dare forza e fiducia e procurare benessere! D'accordo, ma per la stima, di importanza ancora più rilevante quando rivolta a se stessi, dev'esserci valido, ben consapevole e accertato motivo e fondamento, diversamente ogni attribuzione di  merito e di valore è fragile e gonfiata, assai poco affidabile, persino illusoria, diversamente non resta che affidare il compito di giustificarla e di sostenerla al consenso esterno e al plauso altrui, in una forma diretta o indiretta, con platea e giuria esterne o senza platea e giuria presenti, pensando di essere adeguati o ben realizzati, concordemente con i criteri e i modelli comuni, ogni volta che si dà o ci si dà prova di riuscita e si forniscono prestazioni ad essi corrispondenti. Ci si abitua così a una autostima incassata, fatta propria a scatola chiusa, una stima affidata a altro che la giustifica, che la promuove e che la sostiene, senza vedere con i propri occhi, senza scoperta autonoma delle ragioni e senza stima di valore autonoma di ciò che si porta avanti e in cui ci si spende, spesso, quando si accetti di ascoltarsi attentamente, senza ricevere da dentro se stessi segnali di consenso e di sostegno intimo, senza concorde giudizio di tutto il proprio essere. Non è raro infatti che, a dispetto degli sforzi di ben figurare e di qualche, poca o tanta che sia, conferma ricevuta da fuori, l'autostima dentro di sè vacilli e non trovi conferma e conforto in stati d'animo che sembrano dire che non c'è fiducia salda, che non c'è dentro se stessi credo intimo e profondo circa il proprio valore. La parte intima e profonda del proprio essere non si fa persuadere dalle apparenze, non si fa incantare dalle convalide e dai tributi esterni, saggiamente vuole portare a vera e fondata autostima, affidabile, ben sostenuta e giustificata. E' un terreno questo dell'autostima decisivo e dove sono frequenti l'equivoco e l'illusione. Si ama credere infatti che nelle proprie realizzazioni e scelte ci sia mano propria indipendente e prova convincente di merito e di capacità personali, così come all'inverso ci si affanna e angustia a pensare di non essere all'altezza e ci si giudica incapaci di merito su prove e misure di capacità che si pensano scontate e indiscutibili, in ogni caso è ben nascosta e volentieri nascosta la dipendenza, è occultata la consapevolezza circa ciò che tira i fili di quelle scelte e di quelle aspirazioni, di quel fare e dei risultati che si sono voluti e che si vorrebbero perseguire, spesso definiti e regolati non autonomamente, ma da senso comune, da modelli e da idee prevalenti a cui ci si affida e da cui ci si fa portare. L'inconscio non per caso proprio su questo terreno fondamentale e decisivo interviene con insistenza e incisività, lo fa mettendo segnali nel sentire, lo fa mirabilmente attraverso i sogni, proprio per sfatare tesi e convincimenti infondati e mai verificati, per far vedere chiaro, per non celare il vero. La posta in gioco è grande, verità su se stessi e sull'impiego della propria vita. Vivendo affidati a guide e a conferme esterne ci si abitua a pensarsi, a valutarsi cercando appoggio e passando per lo sguardo altrui e comune. Non ci si conosce e spesso nulla di sè, che non sia ciò che è riconosciuto e riconoscibile da fuori, si conosce, nulla si costruisce che non sia risposta conforme a quanto promosso, guidato e regolato da fuori e spendibile sulla scena esterna, nulla si coltiva e si genera da sè, che abbia linfa e sostanza proprie e che perciò risulti ben riconoscibile ai propri occhi, che rappresenti davvero un valore di cui essere convintamente fieri e felici. Senza conoscenza di sè, rompendo i limiti e la trappola seduttiva di ciò che di se stessi è riconoscibile e apprezzabile da altri e da fuori, non c'è accesso, incontro e scoperta di ciò che di se stessi è più originale, di risorse e potenzialità umane a sè connaturate e che rischiano di rimanere ignote, non coltivate, sepolte. La parte profonda del proprio essere, l'inconscio spinge, da un lato per rendere tangibili e per far si che si prenda chiara visione dei propri modi di procedere abituali, spesso più regolati da fuori che da dentro se stessi, dall'altro per rendere finalmente riconoscibile ciò che è proprio e fedele a se stessi, per far sì che al suo sviluppo ci si appassioni, smettendo di  consegnare il pregio e il senso della propria vita al dare prova, alla corsa per non sfigurare o per ben figurare, corsa tracciata da altro e che pretende altro da ciò che di proprio potrebbe essere scoperto, coltivato e fatto vivere. Non prende valore una vita svolta nelle guide pronte e rassicuranti di altro che dice il come e il quando di scelte e di impegni, di tappe e di traguardi da perseguire, nell'inseguimento di applausi e di convalide esterne. Non sa e non può alimentare autostima vera, affidabile e salda una simile ricerca del valore di sè e della propria vita come pagella e bel voto da farsi dare. L'autostima richiede riflessione e ricerca attente, ne va del cuore e del pregio della propria vita. Non è un caso che l'autostima sia spesso terreno di disagio e di sofferenza, tasto dolente, reso cocente dall'azione del profondo, ben consapevole che lì si gioca la verifica e la presa di coscienza del modo di condurre la propria vita, di come si pensa e si fa impiego di se stessi. Purtroppo la risposta più frequente, in presenza di autostima che vacilla e che stenta, è di chiudere la questione nel cerchio delle responsabilità da trovare e da imputare ad altro e ad altri, che non avrebbe dato sostegno, che avrebbe condizionato in negativo la fiducia in se stessi e nelle proprie capacità e possibilità. Schiere di psicologi non si scostano da questo solco, da questo modo di leggere il disagio e sono pronti a dare manforte a simili elaborazioni. Non mancano i tentativi poi, attraverso tecniche e strategie varie, come se si fosse in presenza di un meccanismo che non funziona a dovere, di un atteggiamento sbagliato da correggere, di stimolare, di sostenere e addirittura di potenziare l'autostima, dove quel che conta è spingere verso la riuscita e la miglior prestazione secondo i criteri soliti e i traguardi altrettanto soliti e predesignati. Non per caso si tratta spesso di teorie e di tecniche di provenienza nord americana, dove la mentalità dominante, cui certo non siamo estranei, è spiccatamente quella che punta prima di tutto e su tutto alla riuscita nel verso del successo, della prestazione, della competizione in cui non essere mai lasciati indietro. Su queste basi si moltiplicano nuove figure professionali (counselor, mental coach), portatrici di promesse di pronto sostegno e rimedio, di suggerimenti, di tecniche all'ultimo grido e di soluzioni per risollevare e per accrescere l'autostima, in apparenza foriere di benefici e di buoni e appetibili risultati, in realtà capaci solo di allontanare dalla presa di coscienza che sul terreno dell'autostima non è in gioco un deficit da sanare o la necessità di una possibile nuova leva di pronto benessere, di riuscita personale dentro la solita corsa e rincorsa, ma ben altro. La ricerca a testa bassa e a senso unico nel verso del rimedio e della correzione della sfiducia nel proprio valore e capacità di riuscita, ignora e neppure lontanamente intende che il tasto dolente e la spina nel fianco patita sul terreno dell'autostima non è una anomalia conseguente a cattiva impostazione, a condizionamenti negativi, a traumi subiti, a errori cognitivi o a altri accidenti simili, ma che prima di tutto nasce dall'iniziativa, tutt'altro che insana o scriteriata, del profondo dell'individuo, perchè questi cerchi non una rassicurazione o un allenamento da palestra per credere di più nelle proprie capacità di prestazione, ma ben altro, come ho cercato di chiarire. Si tratta di non essere miopi e di saper intendere la natura del problema dell'autostima e della posta in gioco. Non ci si può porre come vittime di un torto ricevuto dove l'autostima sia intimamente sofferta, non c'è da rivendicare nulla come se dovesse esserci ben altro dentro se stessi e a propria immediata disposizione. L'autostima non può essere un diritto da rivendicare, non è un requisito gratuito e garantito da possedere a priori e a prescindere dall'averne o meno compreso il significato, dall'averne o meno coltivato e creato le basi e fatto conquista. Non può esserci autostima se non ha al proprio vaglio valide basi, se non c'è stata, a darle fondamento, autonoma creazione di pensiero, scoperta in accordo e in intesa con la propria interiorità e perseguimento con tutte le proprie forze di scopi fedeli a sè, crescita personale autentica. Questo soltanto può sostenere e alimentare autostima salda e su cui tutto il proprio essere concorda, autostima che non ha bisogno e necessità vitale, per stare in piedi, di apprezzamento e di convalida esterna, perchè generata e nutrita da sè, perchè con fondamento vero.

mercoledì 6 settembre 2023

Lo scopo non è il sollievo, ma il pensiero

Di fronte alla crisi, alla sofferenza interiore, la risposta data da chi la vive e spesso da chi si propone di offrire aiuto punta abitualmente alla ricerca del sollievo. La crisi e quanto si mobilita interiormente e non per caso, non per effetto di un guasto, ma per precisa volontà profonda, vuole indurre a aprire lo sguardo su di sè, a portare l'attenzione abitualmente rivolta all'esterno al dentro, a porsi in atteggiamento riflessivo, a aprire una non certo sbrigativa, vista la posta in gioco e la materia coinvolta, la conoscenza di se stessi e del vero della propria condizione, fase di riflessione, un tempo di impegno di ricerca, in cui ci sia mobilitazione di ogni energia per capire, per capirsi. Lo scopo è l'esercizio del pensiero, non per agire, per operare, per trovare soluzioni e adattamenti a situazioni concrete e contingenti o per arrangiare una spiegazione di tipo razionale, ma per vedere dentro se stessi e la propria esperienza, per cogliere il senso, rompendo con luoghi comuni, con spiegazioni di superficie o con vere e proprie omissioni di sguardo e di attenzione. Insomma c'è da impegnarsi per dare risposta a ciò che interiormente interroga la propria vita, il proprio modo di interpretarla e di condurla. E' giunto il tempo. L'interiorità, con il malessere interiore, non dà segnali di logorio e di cattivo funzionamento, nemmeno segnala il costo e le conseguenze della esposizione o del sovraccarico di fattori nocivi. Che si chiami in causa lo stress o si punti il dito contro  altro o altri più definito cui imputare la responsabilità di tutto il proprio disagio, la tesi vittimistica è comunque prevalente, tesi tanto confortante e comoda, quanto fuorviante e di intralcio alla conoscenza di se stessi e alla crescita personale. L'interiorità in realtà, attraverso il malessere, che esercita così forte presa, che non può essere ignorato, chiama a raccolta la propria attenzione e interesse per capire cosa di sè è stato finora dato per scontato e che invece ora è da dentro se stessi richiesto di chiarire, di conoscere senza approssimazione e soprattutto senza distorsioni, cercando con onestà e coraggio, senza veli, senza costruzioni di comodo, frutto di acrobazie o di sofismi del ragionamento, la verità di se stessi e del proprio modo di procedere. Il profondo è pronto a dare guida e sostegno alla ricerca del vero, fornendo attraverso il sentire la base e il terreno vivo, il più sincero e affidabile, per vedere e capire e attraverso i sogni le guide di ricerca più appropriate e consone. Il malessere interiore, anche nelle sue espressioni più difficili e sofferte, non è una minaccia ostile, non è il segno di una pericolosa fuoriuscita dal sano, ma è un richiamo che viene da parte di sè intima e profonda, è una voce e una traccia viva, mai casuale o insensata, per cominciare a aprire gli occhi, per avvicinarsi a sè, alla consapevolezza del vero, per non essere ignari e lontani da sè, portati da illusioni, guidati e regolati più da idee e da principi comuni che da visione propria e da fedeltà a se stessi. Si tratta di imparare a entrare in rapporto aperto e fiducioso e a intendere il linguaggio della propria interiorità, aiutati in questo da chi abbia capacità di offrire questo aiuto. Chi vive un'esperienza di sofferenza interiore tende però a considerarsi sovraccaricato di peso indebito, si vede vittima e bisognoso di essere sollevato, in diritto di vedere alleviata la propria pena e non è raro che trovi conferma in questo modo di considerarsi nei pareri di chi gli sta attorno e pure nelle proposte d'aiuto di terapeuti vari. E' ben lontano spesso dal voler fare proprio l'impegno di ricerca, dall'intendere che ciò che sta vivendo non è l'effetto di volontà nemica o la conseguenza di qualche malaugurato e casomai remoto trauma (al riguardo non mancano di certo teorie psicologiche e pratiche psicoterapeutiche che contribuiscono a dare credito a simili tesi) che l'avrebbe segnato fino ad oggi, dell'oppressione e della mortificazione provocate da  qualche accidente e fattore nocivo esterno, ma è l'espressione di una forte e chiara presa di posizione della sua parte profonda, che non vuole tacere e che vuole porre al primo posto la ricerca, la riflessione su di sè, il lavoro necessario per non procedere senza guida propria, senza cognizione, senza intesa e accordo con la totalità di se stesso. E' soltanto il pensiero, non quello sterile costruito razionalmente, ma quello autenticamente riflessivo, che raccoglie, ascolta e sa vedere ciò che il proprio sentire dice, svolto con pazienza e tenacia, ispirato e reso fecondo dall'iniziativa interiore, che è capace di trasformare il proprio essere e la propria visione, di alimentare la propria crescita personale, di rendere capaci di generare idee e scoperte di valore originali, profondamente sentite e comprese e non di imitare e assecondare tesi e modelli prevalenti, di rendere salda l'unità col proprio intimo, di essere la leva indispensabile di una nuova e davvero autonoma capacità di decidere e di procedere fedelmente a se stessi. Il sollievo, invocato come il miglior beneficio, viceversa lascia tutto intatto com'era, conferma e rafforza soltanto la disunione, il distacco e la fuga dalla propria interiorità e da ciò che propone, non di certo inopportuno o dannoso.  

sabato 2 settembre 2023

Senza il contributo e la guida dell'inconscio non si va da nessuna parte.

Senza rapporto, aperto e dialogico, con la propria interiorità, senza il contributo e la guida dell'inconscio, non si va da nessuna parte, non si rompe il vincolo di dipendenza da tutto ciò che, organizzato e strutturato nella realtà esterna e concepito nel pensato comune, nei modi consolidati di intendere la realizzazione e la crescita personale, di definire ciò che ha valore e gli scopi da perseguire, offre già pronta ogni risposta e possibile soluzione e nello stesso tempo, però, rende scontati i traguardi da raggiungere e disciplina i percorsi da seguire. Senza unità con il proprio intimo, senza guida interiore non c'è possibilità di affrancarsi da questa dipendenza, di accedere alla conoscenza di se stessi e al vero della propria condizione, di scoprire le proprie originali risorse e potenzialità, di comprendere autonomamente significati e di arrivare alla consapevolezza di ciò che ha davvero valore per sè e che merita di essere coltivato e perseguito, non emulando i modelli comuni, non ricevendo istruzioni e convalida da fuori, ma fondando la conoscenza e la capacità di scelta su propria intima esperienza e su esercizio del proprio sguardo. Solo le scoperte di significato e di valore così generate, non certo in un attimo, ma dentro un prolungato e fitto scambio e ascolto della propria interiorità, sono capaci di dare fondamento e alimento allo sviluppo della propria autonomia, alla conquista della libertà e della capacità di fondare su di sè, su propria ricerca e presa di coscienza, le proprie scelte e prima di tutto il proprio pensiero. Solo l’inconscio sa guidare e sostenere, alimentare una simile crescita di individui veramente autonomi e capaci di condurre la propria vita fedelmente a se stessi. Fare leva e affidamento, come solitamente si fa, in modo unilaterale sulle capacità del pensiero razionale, scisso, non connesso e non orientato dal profondo, comporta rimanere intrappolati, inglobati in una visione a senso unico, significa non avvicinarsi a sè e al vero della propria condizione, significa riprodurre e stare dentro le trame di un pensiero che riconosce solo ciò che è sancito dalle idee e dal concepito comune, che, anche quando si tenti in qualche modo di contrastare o di mettere in discussione, fa sì che in ogni caso ad esso ci si appoggi e ci si riferisca, che si rimanga comunque dentro il suo recinto. La mente razionale, anche quando si crede capace di produrre visione nuova e cambiamenti, non fa che stare dentro e ricombinare idee e attribuzioni di significato assorbite e apprese, di cui è fruitrice dipendente, significati e definizioni date per scontate, prese in prestito e non generate, non tratte e comprese da intima esperienza. La mente razionale e chi ci si affida è tutt'altro che insensibile alla presa dell'esterno e in ciò che elabora ha spesso, se non sempre, di mira che ciò che produce sia ben considerato, che riceva apprezzamento da altri, dall'autorità e dalla giuria esterna. La mente razionale e chi ci si affida è dentro vincoli che non riconosce e che è abile nell'occultare e camuffare, procurando a se stesso l’illusione di pensare e di agire autonomamente. Solo l'inconscio sa liberare da una simile dipendenza, rendendola prima di tutto visibile, riconoscibile, portando sempre e tenendo lo sguardo fermo su se stessi, sulla propria esperienza, aprendo percorsi di ricerca finalmente originali, capaci di non nascondersi nulla, percorsi corrispondenti alla propria realtà e alle proprie vere necessità di crescita. Solo l'inconscio ha capacità di generare, di stimolare, di coinvolgere profondamente e totalmente, se corrisposto, di far appassionare a coltivare e a far nascere da se stessi ciò che altrimenti, come sostituto e surrogato, è fatale cercare fuori dove ci sono, ben considerati e caricati di stima comune e di valore, gli esempi, i modelli e le risposte già pronte da seguire, da fare proprie. Il problema è che queste risposte non hanno attinenza con sè, anzi mettono, ancor prima di scoprirle, in soffitta le proprie vere ragioni d'esistenza, il proprio autentico pensiero, il proprio progetto, accantonati prima di scoprirli, di conoscerli, sommersi. Non è conseguenza di poco peso, perchè significa vivere per ciò e di ciò che non corrisponde a se stessi, confortati solo dall'approvazione esterna, non certo da quella intima, profonda, che tutt'altro, autenticamente proprio, vuole spingere a formare, a sviluppare. Vissuti, stati d’animo, considerati fastidiosi e fuori luogo, che siano ansia, paura e senso di fragilità, sensazione dolorosa di peso e di oppressione interiore, di infelicità o altro, non graditi e giudicati solo un disturbo o un segno di inadeguatezza e di incapacità di sostenere validamente la propria vita, sono in realtà spine nel fianco e richiami che la parte profonda del proprio essere esercita per far sì che si prenda consapevolezza della natura a sé estranea e dipendente del proprio modo di procedere, della sua insostenibilità, che chiede verifica e presa di coscienza, esigenza che l’inconscio vuole abbia la precedenza rispetto all’andare avanti comunque, al non perdere il passo con pretese di riuscita. Se, come troppo spesso accade, anche quando si provi a svolgere un lavoro su se stessi, si rimane confinati e aggrappati alla parte conscia razionale, se le si dà la funzione guida, se in questo modo si permane scissi e amputati nel proprio essere, privi dell'apporto fondamentale di una parte vitale e fondamentale di se stessi come è l'inconscio, ci si destina a prolungare e a rafforzare la dipendenza da ciò che da fuori offre risposte e che, nello stesso tempo, regola e disciplina ogni possibile espressione e sviluppo di sé, a non capire cosa si sta in realtà facendo di se stessi. Se si insiste nel dare primato e egemonia alla mente conscia, si prolunga e si rafforza la non intesa col proprio profondo, si persiste nel non capire i segnali che arrivano dalla propria interiorità, nel non intendere il senso vero e originale di ciò che propone il proprio sentire, di tutto ciò che accade nel corso della propria esperienza e vicenda interiore. La mente conscia pretende di spiegare, di interpretare, di dirla sul conto del sentire e delle vicende interiori, compiendo, senza prenderne consapevolezza e riconoscersene la responsabilità, non poche forzature e distorsioni. La prima distorsione compiuta nel rapporto col proprio sentire, con i propri vissuti è di mettere in campo subito la distinzione e la implicita contrapposizione tra ciò che è ritenuto normale e valido e ciò che in automatico, seguendo giudizio comune, è considerato anomalo, difettoso, segno di disturbo, di cattivo funzionamento, tra ciò che pregiudizialmente è considerato sano, positivo e a sè favorevole e ciò che, sempre in automatico, senza apertura riflessiva, capace di riconoscere ciò che il proprio sentire sta dicendo e mettendo in risalto, è considerato dannoso, negativo, sfavorevole. A partire da qui, da questa distinzione, del tutto arbitraria e preconcetta, sul conto del proprio sentire, si passa in genere, quando alle prese con vissuti difficili e dolorosi, a cercarne le cause, dando per scontato che si tratti di disturbo e di anomalia da combattere e superare, vedendo sempre se stessi come vittime di un che di nocivo, di svantaggioso, di penalizzante. Da qui il tentativo di correggere le cose adottando soluzioni che vorrebbero rendere il cammino non intralciato da ostacoli, spedito e efficiente nella corsa solita. E' una corsa in cui ciò che vale e che è da perseguire è già fissato e è tenuto in piedi e in auge, incoraggiato e avvalorato da idee e da modelli comuni e prevalenti, da tutto un sistema ideologico e organizzato che, casomai pretendendo di essere la voce della scienza, offre tutte le spiegazioni e fornisce  le risposte e soluzioni per tenere a bada e liberarsi di presunte patologie e disturbi, di disagi che andrebbero tolti di mezzo e superati, per rinfilarsi e non perdere terreno su percorsi ben segnati di presunta realizzazione e benessere. Nulla di compreso da sè e in unità con se stessi, in unità con la propria interiorità, su base e fondamento di comprensione di ciò che la propria esperienza dice, testimonia, porta a conoscere come vero. La propria esperienza interiore, che vuole dare basi fondate e vere, non inventate e manipolate, di conoscenza è liquidata e fraintesa, vagliata con filtro di giudizi, di preconcetti che vogliono che tutto giri in un’unica direzione, quella considerata valida e normale, che subordinano ciò che si sente alla pretesa che le sia corrispondente. Intervenire su se stessi in questo modo, a partire e ribadendo uno stato di disunione, di incapacità di rispetto, di ascolto e di comprensione del proprio profondo, comporta rimanere intrappolati in una visione infedele, lontanissima dalla  scoperta del vero di se stessi, significa continuare a farsi condurre da altro, che detta il pensiero, anche se con l'illusione di essere artefici e pensanti in proprio, anche se con l'illusione di aver capito, di aver preso coscienza e di aver cambiato le cose in meglio. Tante psicoterapie, che promettono di offrire rimedio al malessere, di spiegarne le cause, di sbloccare condizioni che parrebbero di intoppo e di ostacolo alle proprie necessità e possibilità di esprimersi al meglio, di perseguire i propri scopi, finiscono, proprio perchè incapaci di dare ascolto e di mettere in primo piano la proposta interiore, di riconoscere la funzione fondamentale, il ruolo guida dell'inconscio, per rendersi funzionali allo scopo di confermare i vincoli e i modi di procedere abituali, di non riconoscerli e di non  intaccarli alla radice, di produrre soltanto pseudo cambiamenti. In assenza di un rapporto col profondo, in presenza di una incomprensione del senso di tutto ciò che si svolge interiormente e che, ben lungi dall’essere un meccanismo che va incontro a guasti, mira sempre in modo acuto e intelligente, anche nelle sue espressioni più difficile e disagevoli, a toccare punti cruciali, a aprire momenti riflessivi per vedere chiaro nel proprio modo di procedere, in ciò che si cerca, nei vincoli e legami che si tengono in piedi, si finisce per stravolgere a proprio danno tutto, per far diventare, in aderenza a stereotipi e a giudizi comuni, segno di anomalia da correggere ciò che una parte, tutt’altro che scriteriata, del proprio essere ha capacità di dire e di dare a se stessi per capirsi. Sono distorsioni gravi, legate a mancanza di legame e di capacità di ascolto e di dialogo con la propria interiorità, sostituiti da ricerca di legame e di intesa con altro, cui è stato dato il compito di essere il fulcro della propria esistenza. La lontananza dalla parte intima e profonda di sè ha nel tempo reso decisivi e forti i vincoli di dipendenza da modelli e da guide esterne, da giudizi altrui e da autorità esterna, vincoli che, pur risultando in alcuni momenti opprimenti e limitanti, non semplicemente si sono subiti e si subiscono, ma, per responsabilità e iniziativa proprie, si sono riprodotti e consolidati per trarne sostegno, per farsi dire e indirizzare, per farsi riconoscere e convalidare come capaci e dotati di valore. Il riferimento e l’appoggio dipendente all’autorità esterna è presente anche quando, per darsi illusorio senso di libertà e di capacità critica, la si contesta, sempre ricacciando tutta la responsabilità su altro, su altri. In simili condizioni, quando non si apra sguardo riflessivo su di sé, sguardo capace di non oscurare nessuna responsabilità propria, di sostenere ricerca e presa di visione attenta e corrispondente in modo fedele ai dati della propria esperienza, come l’inconscio sa spingere e aiutare a fare, ogni elaborazione di pensiero e ogni iniziativa,  volte a affermare la propria libertà e capacità di cambiamento, che lascino intoccata e inesplorata la verità di se stessi, non possono che risultare illusorie. L'inconscio sa dare attraverso il sentire e attraverso tutto ciò che muove sul piano interiore (tutte le espressioni della vita interiore sono animate e regolate dall'inconscio), oltre che attraverso il faro dei sogni, tutte le tracce, le guide, i punti vivi e saldi su cui lavorare per aprire gli occhi su se stessi e sulla propria realtà vera. Senza l'unità dialogica con l'inconscio, senza fare proprio il suo contributo non si può che restare intrappolati dentro una trama di pensieri che, in automatico e irriflessivamente, cioè senza che se ne prenda visione e consapevolezza, riproducono passivamente il senso e il pensato comune e prevalente, che pretendono di dire e di chiarire senza aver cognizione di cosa davvero significhi e dia fondamento a ciò che si sta affermando. Sono percorsi e combinazioni di pensieri, che spesso servono più a eludere o mistificare la conoscenza di se stessi, a formare alibi e spiegazioni di comodo, che a darle cristallina forma. Senza i sogni, autentico laboratorio di pensiero proprio e strettamente aderente al proprio, fonte di conoscenza non inventata o congegnata con i ragionamenti, ma illuminante il vero insito nella propria esperienza, non si esce dal labirinto delle idee solite e ricorrenti, senza fondamento. Senza i sogni, motore e alimento di pensiero riflessivo, che sa vedere dentro il vivo dell'esperienza, non si può che mettere in piedi spiegazioni artificiali e che fanno sempre il verso a schemi, a attribuzioni di significato, a modelli e a idee prese da fuori, prese per buone e riprodotte, spiantate, senza relazione col vivo di se stessi, spiegazioni che paiono coerenti, che danno l'illusione di essere attivi e attori di conoscenza, ma che non hanno radice viva, che non portano certo alla conoscenza di se stessi. Non portano a generare scoperte di significato e di valore capaci di fornire l'orientamento, la bussola per comprendere ciò che davvero è importante per sè e che è possibile far vivere e perseguire, di far nascere persuasione e di accendere dentro di sè passione che rendono capaci di aprire percorsi propri, di perseguire traguardi in cui si crede davvero e autonomamente, senza supporto e convalida di altro e di altri che li declamano e li esaltano come desiderabili e importanti. Separati in casa, scissi e lontani, pur se così vicina, dalla propria componente viva interiore, che è essenziale per formare visione propria, per costruire la propria autonoma visione e pensiero, è fatale che tutto giri attorno all'esterno, a ciò che la cosiddetta realtà esterna dice, mostra, regola e propone. Una cosa è imparare a vedere con i propri occhi, pensare di pensiero proprio e fondato su intima esperienza e presa di coscienza, altra cosa è l'illusione di vedere stando però dentro la matrice di un pensiero e di una visione data e presa in prestito. Non faccio mai citazioni, per non inibire il pensiero originale, per non incoraggiare la tendenza a metterlo in appoggio e al seguito di altro, che rischia di sostituirlo, ma mi viene da ricordare quanto proposto dal film matrix, capace di ritrarre l'illusorietà di vedere da sè, inseriti invece nel circuito chiuso di una visione data. Fallendo la ricerca e la scoperta del vero e la capacità di dare vita e seguito al proprio pensiero originale, come stimolato dall'inconscio, si finirà fatalmente per far persistere la divergenza dal proprio profondo, che non cesserà di premere interiormente e di far sentire il suo disaccordo. E' in gioco il riscatto della propria vita, che se risolta nell'andare dietro passivamente a ciò che preso a guida da fuori la dirige, chiude all'intelligenza propria, alla libertà di mettere al mondo il proprio. Non certo bazzecole. L'inconscio è la parte profonda di noi stessi che difende le ragioni della nostra esistenza, che non vuole restino sepolte e sostituite da pseudo vita, che non accetta l'inconsapevolezza del vero. Di qui il fatto che l'inconscio non desiste dal tenere vivo il problema, anche quando ci si sia convinti di aver provveduto a darsi risposta e rimedio valido. E' la storia frequente delle crisi che nel tempo, pur dopo cure e psicoterapie varie, si ripetono. L'inconscio non cessa certo di sollevare il problema, riapre la crisi e non certo per fare danno. In questi casi si parlerà facilmente di ricadute di malattia, non capendo ormai nulla di ciò che accade nel rapporto con la propria interiorità, cui ancora non si saprà dare riconoscimento di valore, di cui ancora non si comprenderà la funzione guida e essenziale. Senza il contributo e la guida dell'inconscio, senza l'accordo di visione e di intenti con la parte profonda di se stessi, non si va da nessuna parte, si rimane invischiati nel giro di ciò che è considerato normale, che altro non è che un supporto e un programma a pronto uso da seguire e riprodurre per chi abbia rinunciato a far nascere e crescere, in piena unità con la propria interiorità, visione e pensiero propri.