martedì 26 dicembre 2023

L'insicurezza

E' spesso oggetto di preoccupazione, è vista come un deficit cui trovare possibilmente pronto rimedio. Si pensa che sia non solo augurabile ma anche normale non averne. L'insicurezza fa invocare subito il possesso del suo opposto, di una determinazione, di una fiducia in se stessi salda e prima ancora di una capacità di scelta senza tanti tentennamenti o difficoltà di capire e definire l'obiettivo da perseguire, la cosa da fare. Si vorrebbe essere operativi nel modo più efficace, si vorrebbe essere assistiti e sostenuti da dentro da ben altro che da ciò che pare solo un equipaggiamento interiore scarso e scadente. Si vogliono dettare le regole al proprio intimo, facendo appello alla presunta normalità, portando a sè l'esempio degli altri che parrebbero ben più sicuri. Ci si strugge, ci si spazientisce, ci si lagna per la malasorte di essere infelicemente combinati. Si recrimina, si vanno a cercare le cause e le responsabilità di chi non ha favorito, incoraggiato, alimentato la fiducia in se stessi, di chi anzi l'ha osteggiata, minata, compromessa, di chi non ha dato esempio di approccio fiducioso e saldo  all'esperienza e ha messo in campo troppi timori di sbagliare, di chi viceversa ha imposto un modello inarrivabile o esclusivo, che al confronto non si poteva che sentirsi e vedersi inadeguati, incapaci, perdenti. Tutto si cerca di spiegare pur di contrastare seccamente quel proprio modo d'essere che pare solo una dotazione sbagliata e fallimentare. L'educazione ricevuta è il principale imputato. Sempre a vedersene oggetto di questa benedetta o maledetta educazione e mai soggetto possibile, in grado di scoprire da sè cosa significa questo e quello, cosa valgono davvero e perchè, valendosi del proprio sguardo, trovando da sè risposte, fornendo a se stessi criteri di valutazione e guide, nutrendo da sè la propria crescita, la propria capacità di condursi. Entriamo così nel merito dell'insicurezza, segnale onesto e attendibile di ciò che abbiamo portato autonomamente a maturazione, senza farcelo dire e dare. E' il termometro della autonomia sviluppata, coltivata, fatta crescere. Non solo, ma così stupida e da prendere a calci l'insicurezza non è, se segnala che prima dell'agire c'è il pensare, il veder chiaro, il tener conto della necessità di orientarsi, di sintonizzarsi con le incognite presenti, perchè non c'è mai nell'esperienza nulla di scontato se non nella testa che si intestardisce della presunzione di sapere già. Vanno cercate ogni volta le basi di intesa con se stessi, va rispettata e onorata la necessità di comprendere le ragioni di ogni scelta, le implicazioni presenti, i perchè di ciò che si cerca e che si vorrebbe perseguire. La sicurezza come dispositivo e modo di funzionare a pronto uso, a prescindere e senza tener conto delle necessità che ho detto, è una pretesa discutibile, da fare oggetto di attenta e proficua riflessione. Oggi le tecniche per allenare e irrobustire la forza di determinazione, la fiducia in se stessi promettendo di fare il proprio bene e di procurare il proprio vantaggio di riuscita, tecniche del rendimento e della prestazione, hanno sempre più largo mercato. Discendono da una mentalità e da una visione dell'uomo appiattito e risolto nella meccanica della prestazione, ridotti il suo desiderio e passione alla brama di riuscita, dove la riuscita segue la traiettoria del successo. L'insicurezza dunque è un valido punto di partenza per cercare da sè ciò che si vuole favorire, se la corsa gregaria a inseguire la presunta normalità e il beneficio della riuscita comunemente celebrata come tale o se la propria ricerca di ciò che vale in stretto legame e accordo con se stessi, con la propria interiorità. E' la propria interiorità, è il proprio profondo che onestamente e saggiamente mette in campo l'insicurezza per segnalare il punto critico e nodale su cui riflettere e lavorare, per non perdere la testa, per riconsegnarsi il compito di capire ciò che va garantito e cercato per tutelare e favorire la propria crescita e realizzazione vera. La sicurezza può essere frutto di attento lavoro su stessi. Se non si coltiva il proprio terreno non c'è sicurezza che abbia fondamento valido e senso, radice viva e scopo corrispondente a se stessi, a ciò di cui si è portatori singolarmente, che profondamente si ama, c'è solo emulazione e ricerca affannosa quanto ingenua della buona prova, della bella figura.

domenica 24 dicembre 2023

Le ombre del passato

Si dice spesso che le ombre del passato oscurano il presente, che lo rendono difficile, compromettendo il proprio stato interiore con disagi e pene non sopite. Il proprio passato può aver lasciato sospese molte cose in realtà. Anche se il sentire di oggi non è, come si ama credere e far credere, eco e conseguenza di accidenti passati, di esperienze dolorose, responsabili di continuare a provocare risposte interiori anomale e una scia di malessere nel presente, è vero che ciò che non si è portato a consapevolezza ha lasciato intatti nodi e questioni, che oggi si ripropongono. Non c'è da vittimizzarsi, da considerarsi dentro il proprio disagio come parte lesa di torti, di influenze negative, di inadempienze altrui, di traumi patiti. C'è viceversa da considerare quanto per proprie scelte, per propri modi di procedere, che hanno privilegiato la rincorsa e l'adeguamento a modelli e a modalità comuni e prevalenti, non accompagnati o non seguiti da impegno riflessivo, da ricerca di senso e di verità senza veli, hanno contribuito a rendere sterile e infruttuosa la propria esperienza, non resa occasione di presa di coscienza,  ma manipolata con spiegazioni e lavorio, più o meno tanto, del ragionamento, affinché non desse incomodo, l'incomodo della verità, rimasta in ombra. Ecco le ombre che non danno quiete e agio, che chiedono di essere finalmente rischiarate, che mettono in conto oggi al proprio presente un lavoro da fare finalmente per non essere ignari di se stessi e per non procedere oltre in uno stato di inconsapevolezza, di inautenticità per omogeneità e privilegio dell'accordo con gli altri e con l'esterno rispetto alla vicinanza e all'intesa col proprio intimo e profondo. Nulla del passato pesa di più del mancato lavoro su se stessi, della fuga dall'intimo, dal sentire che da sempre dice, nulla pesa di più della mancata unità dialogica con la propria interiorità, che da sempre non tace, che interroga, che coinvolge dando nel vivo le basi per incontrare il vero di se stessi, nulla pesa di più del costruire pensieri e idee che, confezionate a mezz'aria e nell'orbita delle attribuzioni di significato prese in prestito e preconcette, valgono solo a tappare le falle, a confermare quanto si ama credere di se stessi e a rinsaldare la continuità di un procedere senza verifiche attente e approfondite, sincere e senza trucchi. Pensare che il disagio che si fa sentire nel presente sia la conseguenza di qualche torto o pecca o infortunio patito e messo in conto a altro e a altri, genitori e simili, è una grossa ingenuità, è soprattutto una risposta di comodo e confermativa della volontà di proseguire senza aprire riflessione su di sè, è volontà di essere lasciati in pace, è richiesta impudica di essere risarciti piuttosto che ben più degna, onesta e matura ammissione di essere in debito con se stessi. Debito di ricerca di verità e di lavoro serio su se stessi per una crescita vera e non d'immagine e fasulla. La proposta del sentire in qualsiasi forma si presenti non è mai automatica conseguenza di questo o di quell’altro, è sempre richiamo intelligente, definisce sempre il terreno vivo su cui ritrovarsi, su cui interrogarsi, su cui lavorare momento dopo momento. Il sentire di oggi, anche nella sua forma sofferta e disagevole, non è un’anomalia che trae origine da qualche distorsione o guasto che si è prodotto nel passato, è viceversa spunto e richiamo che ha forza e capacità, se ascoltato e ben inteso, di promuovere nel presente una presa di coscienza decisiva, un punto di partenza per capire se stessi e il proprio stato. Le tesi che fanno del sentire, quando difficile e sofferto, un’alterazione, un guasto risultato e conseguenza di una causa passata, non riconoscono il carattere, la natura propositiva, carica di sottile e matura intelligenza, dell’esperienza interiore di cui il profondo è ispiratore e regolatore. Si continua a concentrare tutte le attese e le pretese di capacità e di affidabilità sulla parte conscia, considerando il resto una appendice meno evoluta, registro passivo di esperienze vissute, luogo di scarico di tensioni e di patimenti, motore di reazioni elementari che non sottostanno alle regole del discernimento, per presunta mancanza da parte della componente interiore e profonda dei requisiti di intelligenza e di affidabilità pregiudizialmente e assai generosamente riservati e riconosciuti alla parte conscia. L’esperienza analitica, quando ben fatta, consente di scoprire quanto valga davvero, per prova provata e non per pregiudizio, l’iniziativa e la proposta del profondo. L’inconscio dà prova di essere la salvezza dal rischio dell’inconsapevolezza, della traduzione in omologazione della propria vita. L’inconscio si rivela essere promotore e leva insostituibile del recupero a sé delle proprie vere ragioni d’esistenza, della capacità di pensiero originalmente proprio, che non fa il verso a nulla di appreso e studiato, ma che scaturisce da esercizio del proprio sguardo ben calato nell’esperienza, ben orientato dai propri vissuti. Nulla interiormente accade senza un perché di ricerca e uno scopo di crescita personale. Non ci sono ombre del passato che non siano punti di ricerca toccati nel proprio cammino d’esperienza e non approfonditi, che comunque nell’oggi trovano occasione di essere recuperati in un movimento di ricerca di verità, che è la ragione di vita del profondo, che in questo movimento vuole contagiare e coinvolgere l’intero essere. La sofferenza interiore ha questo scopo, vuole e può essere il punto di incontro di ognuno con la profondità del proprio essere e da lì, in stretto legame col profondo, l’inizio di un percorso di rinascita, di rinascita dal profondo di se stessi.

mercoledì 13 dicembre 2023

Lo scudo

Di quante cose ci si fa scudo per difendere ciò che di se stessi non si vuole mettere in discussione! La critica che proviene dall'esterno può lasciare il tempo che trova. Se infatti a volte, direi raramente, è disinteressata e ben mirata, capace di toccare in modo appropriato punti nodali, di non essere giudicante, ma di stimolo alla riflessione, spesso invece non è libera da interessi di parte e di comodo di chi la pronuncia, conforme e di conferma al suo modo di pensare, perciò inattendibile come valenza critica, di fatto del tutto arbitraria. Altra cosa è la critica che proviene dall'interno, messa in atto dal proprio profondo. Purtroppo, visto il poco credito dato a tutto ciò che si sperimenta nell'intimo, nel sentire, nelle emozioni, negli stati d'animo, nelle spinte che si provano, considerati se non totalmente inaffidabili perlomeno non attendibili come intelligenza, in genere definiti viscerali, irrazionali, aggettivi usati come sinonimi di movimenti incontrollati, istintivi poco o tanto ciechi, privi delle capacità viceversa attribuite al pensiero razionale, che, a mente fredda, saprebbe garantire visione lucida, con queste premesse tutto ciò che accade nell'intimo non è compreso e valorizzato in ciò che dice, adeguatamente stimato nella funzione e nella capacità di critica, sempre diretta alla ricerca del vero, che sa e che vuole esercitare sulla propria esperienza e modalità di procedere. La critica che origina dall'interno dunque spesso non è riconosciuta come tale, oppure, quando si avverte che ciò che si frappone nell'intimo, sollecita dubbi, apre qualche crepa nelle proprie convinzioni, in ciò che si vuole credere e che ci si dice, è facilmente sminuita, messa in ombra o neutralizzata con qualche giro di ragionamento. E' un peccato, è una perdita non da poco, perchè è la sola critica che vale veramente, perchè affidabile, puntuale, intelligente, assolutamente priva di preconcetti e di arbitrarietà, così come di malanimo e di distruttività, viceversa risorsa preziosa e essenziale per la propria crescita. Proviene da una parte di se stessi che conosce al meglio e nell'intimo ciò che si è, che muove le proprie scelte, che è insito nei propri modi, ciò che li detta e che perseguono. Niente e nessuno ci conosce come il nostro profondo, che è presenza attenta in ogni momento del nostro procedere, della nostra esperienza. Non solo, la critica, gli spunti di riflessione e di ricerca offerti dal proprio intimo nascono da una capacità di visione che tiene conto non solo dell'immediato dell'esperienza, ma di una condizione di insieme, di un modo di procedere, di un assetto del proprio modo di stare in rapporto con gli altri e, che è l'aspetto più trascurato, con se stessi, che la parte profonda spinge a rendere riconoscibile, per comprenderne le ragioni, per averne più chiare le conseguenze e gli sviluppi. E' una critica che vuole portare alla presa di visione della verità, mettendo in crisi e in discussione convincimenti di comodo, alibi o vere e proprie mistificazioni costruite col ragionamento, che valgono a difendere e a ribadire idee su se stessi e convinzioni funzionali solo a proseguire sulle basi consuete. Nel corso dell'esperienza il sentire, ciò che interiormente si muove, interviene per aprire spazi di riflessione, per dare spunti di ricerca e di approfondimento, che spesso sono tenuti in secondo piano, non sono raccolti o che, se fatti oggetto di considerazione, sono distorti nel loro significato, piegati nell'interpretazione applicata col ragionamento a dare solo convalida, a sostenere e a consolidare idee su se stessi e sui propri propositi, che non si vogliono mettere in discussione. L'orizzonte, l'idea di ciò che va perseguito rimane quello predefinito e che va a senso unico nel verso di una rincorsa dell'adeguamento ai criteri di valore e di normalità vigenti, per non rimanere indietro, per non perdere occasioni di buona riuscita e prestazione, per non compromettere legami dentro cui c'è più l'istanza di tenere assieme ciò che conviene, che ci si vuole tenere stretto e fruibile, che desiderio di verità, che desiderio di offrire a sè e all'altro sincera presenza, anche perchè di sè non si è ancora compreso nulla di vero, di attendibile. Non ci si è spesi per questo scopo, l'interesse prioritario è stato e continua a essere la riuscita, il mantenimento di posizione, anche perchè l'affaccio sulla verità pare azzardato, persino temuto. Pseudo verità di volta in volta rabberciate col ragionamento, in qualche modo rafforzate tengono banco e, un pò per inerzia e un pò per spregiudicata convenienza, le si tiene in auge. Lo scudo entra in opera e pare essere valida difesa dei propri interessi. L'inconscio, il proprio inconscio, è l'unica presenza discorde, che non si accorda col disegno di tenere su e di far valere l'ignoranza del vero. La verità richiede coraggio, vuole passione nuova, passione di conoscenza, di ricerca di intesa profonda con se stessi e non di conservazione. Dal sentire arrivano le note discordanti, le sensazioni inattese, gli imbarazzi, le esitazioni e gli impacci, le strane note di umore imprevisto, l'ansietà improvvisa, la caduta di interesse, la fiducia in se stessi che scricchiola e declina, note tanto sgradite quanto sapienti, tutt'altro che insensate o negative, note discordanti rispetto a ciò che si vorrebbe credere e ottenere, che cercano nuovo accordo all'insegna di guardare con più attenzione dentro l'esperienza, di mettersi allo specchio, di conoscersi  in modo trasparente, di comprendere non la superficie ingannevole, ma il nucleo vero delle proprie scelte e espressioni, per mettere in luce ai propri occhi il proprio modo di procedere, ciò che lo determina, la direzione in cui porta. Nei sogni l'inconscio si spende al meglio per dare impulso e per fornire guide per capire in profondità se stessi, per comprendere ciò che è in atto nel proprio modo di procedere e ciò che va costruito per non essere passivi a rimorchio di pensiero, di attribuzioni di significato e di valore, di perseguimento di scopi già definiti e imperanti, per mettere al primo posto e per compiere passi nuovi nella ricerca e nella presa di visione del vero, nella scoperta di ciò che è autenticamente e originalmente proprio. Nuove scoperte quelle guidate dall'inconscio nei sogni di tutt'altro peso e valore rispetto a quanto prodotto e messo in campo dal proprio pensiero abituale di cui cominciano a evidenziarsi i vuoti di comprensione vera e fondata, gli artifici e le costruzioni di comodo, pensiero razionale di cui ci è sempre valsi e che, a dispetto del credito che gli è stato dato come garante della propria capacità di capire e di condursi, si scopre, non senza difficoltà di ammissione, aver garantito a se stessi in realtà solo il proprio stare al di qua del vero. La critica che proviene da dentro se stessi purtroppo è spesso ignorata. Anche se non manca in molti la percezione della fragilità dei propri convincimenti, della loro inattendibilità, della necessità di una conoscenza più approfondita  e fondata di se stessi, il rinvio e il riaccredito dato a ciò che è abituale continua a prevalere, per non perdere posizione, per non darsi un incomodo di scoperta di verità, che pare così impegnativo, che non dà garanzie di quieto vivere e procedere. Non deve stupire se l'inconscio fa allora ricorso, come in non pochi casi accade, a soluzioni più incisive. Il malessere, l'esperienza interiore tribolata e sofferta vuole allora esercitare un forte richiamo a guardare dentro se stessi, vuole creare terreno interiore vivo, di più forte presa, su cui stare, da cui non evadere facilmente, dentro cui riconoscere la necessità di occuparsi di se stessi, di capirsi, di conoscersi, di vedere chiaro. E' un invito, una pressione decisa del profondo che a volte trova ascolto e felice corrispondenza, che in non pochi casi invece non incontra la disponibilità a desistere dal proposito di tirar dritto e di tornare a imbracciare lo scudo di autodifesa, che dice che nulla va messo in pericolo e in discussione, che il malessere va debellato e messo possibilmente a tacere, autodifesa che in realtà rischia di garantire e tutelare soltanto la propria lontananza da se stessi. 

domenica 3 dicembre 2023

La grande seduzione

Quanto è seducente affermarsi e ben figurare agli occhi degli altri, riscuotere apprezzamento, riconoscimento di valere! E' tale l'entusiasmo che suscita che è completamente omesso, non visto, nemmeno messo in possibile conto, che tutto questo credito di valore personale sta in piedi solo a condizione di offrire al palato altrui ciò che piace, che gli è gradito e che, a sua volta, sta nel gusto così come nella testa altrui a partire da un ossequio e dal dare passivo seguito a stime e a giudizi di valore  presi in prestito da senso comune e dati per scontati. Un circolo vizioso, dove ciò che circola appunto è solo il consenso, il mancato pensiero proprio, fondato su esperienza, riflessione e scoperta autonoma di significati e comprensione di ciò che vale, vedendone con i propri occhi il fondamento, il suo perchè. Basta davvero poco per rendersi contenti e persuasi che il riciclo di preconcetti belli e buoni sia moneta spendibile preziosa, affidabile. Capita così che una parte tanto scomoda di se stessi quanto intelligente e saggia, tanto impertinente quanto appassionata alla verità, che sola può spingere e guidare a rendersi liberi e cresciuti, non dia manforte alla celebrazioni degli allori, che viceversa ci metta lo zampino per rendere tangibile che l'edificio del successo, dell'autoaffermazione nei modi e sulle basi dette prima, non sta su, che se sta su lo fa solo poggiando su basi di ingenuità e di credulità imbarazzanti quando viste da vicino e lucidamente. Non aprire gli occhi implica portarsi dietro l'idea che la propria vita stia realizzandosi, quando tutto si regge su conferme esterne a loro volta tutt'altro che intelligenti e fondate su capacità autonoma di giudizio. L'inconscio, la parte che diverge e non dà manforte, è spesso la sola parte dell'individuo che ha intenzione e capacità di vedere oltre la patina bella fatta di illusioni, è la sola parte dell'essere che non dà tregua, che cerca di aprire falle, di dare spunti per capire, per aprire gli occhi finalmente. L'inconscio è il guastafeste che nello svolgersi dell'esperienza mette ostacoli, che a volte mette il freno, l'intralcio di una ben sgradita ansietà, di un impappinamento, di una amnesia improvvisi, di un malumore inaspettato, di una caduta di interesse e di entusiasmo che paiono incomprensibili, di un imbarazzo improvviso che sotto lo sguardo esaminante altrui pare il peggio da mostrare. L'inconscio fa vedere da un lato quanto quello sguardo altrui, così cercato e ben gradito quando applaude, è così tanto temuto quando rischia di decretare l'insuccesso, la magra figura e dall'altro, non solidarizzando e anzi mettendo intralci e freni alla foga della buona riuscita, vuol far capire che c'è qualcosa che conta di più della buona o perfetta riuscita. Cosa può valere di più?  L'inconscio non ha dubbi, ciò che vale e che è all'altezza dell'essere individui, dell'essere umani compiuti, è prima di tutto aprire gli occhi, primo passo, tanto importante quanto impegnativo e anche non immediatamente piacevole, per prendere visione della condizione dipendente, pur ben addobbata e travestita da capacità di autoaffermazione, in cui ci si è incastrati, una condizione, tutt'altro che matura e di cui compiacersi, come di bravi bambini impegnati a recitare bene e a produrre ciò che vale per meritarsi il ben volere e l'apprezzamento altrui. Lo scopo che ha in testa e in animo l'inconscio è di rendere ben visibile all'individuo il rischio di vendersi, casomai fino al termine del suo cammino di vita, eventualità non così remota, all'illusione di una vita ben spesa e realizzata prestando fede e facendo conto su ciò che altri e il pensiero comune considerano valere, per aprire la strada invece alla scoperta del significato, del fascino e della validità di una vita spesa per sviluppare pensiero proprio e autonomo, per far vivere ciò che, in unità col proprio profondo, si è riconosciuto da sè e con i propri occhi come valore da difendere e da realizzare.