mercoledì 31 gennaio 2024

Il rischio di travisare

Non è sempre facile accettare ciò che si vive interiormente, condividere con se stessi ogni passo compiuto, soprattutto ciò che di ogni passo è la traccia viva, ciò che il proprio sentire testimonia, spinge e guida a riconoscere come il  vero di quel momento dell'esperienza. L'interiorità, l'inconscio che ne è l'ispiratore e l'anima, dà risalto a ciò che è sinceramente coinvolto di sé nell'esperienza, a ciò che è importante mettere a fuoco e riconoscere, avvicinare e comprendere. La forma può essere spigolosa, ardua, anche se mai esagerata, sconsiderata o impropria rispetto a quanto di vero vuole rendersi tangibile e riconoscibile, talora è acutamente dolorosa, altre volte è così stringente, assillante e imperiosa da far risultare quella situazione interiore quasi intollerabile, da essere vissuta come ostile e minacciosamente lesiva verso sé e i propri interessi. La risposta a una simile situazione interiore è spesso di allarme, di tentata fuga, non di rado di rigetto, di squalifica e di invalidazione come abnorme e assurda. Spesso la lettura dell'esperienza interiore disagevole e sofferta è preconcetta e incapace di cogliere l'intento e il senso vero di ciò che l'interiorità con quel sentire vuole indurre a capire e a portare a compimento. Al primo posto si impone l'istanza di risolvere, di dissolvere il disagio, di approntare rimedi a ciò che è visto come uno stato negativo, una condizione da superare. L'incapacità di reggere la tensione condizionata non poco dall'idea che vada procurata prima di tutto a se stessi un'uscita liberatoria, mette facilmente al primo posto l'esigenza di agire, di risolvere, anziché quella di fermarsi per riflettere, cioè per guardare bene dentro le tracce vive e la consegna del sentire, che per quanto doloroso e fitto di disagio, vuole portare a vedere, a aprire gli occhi su ciò che più coinvolge se stessi, a scoperte di verità, sinora ignorate, su cui sensibilizzarsi e coinvolgersi, su cui lavorare. E' frequente l'errore di dare una lettura distorta di quanto interiormente angustia e inquieta, mettendo in primo piano l'esterno e gli altri, più o meno direttamente messi in gioco o volutamente tirati in ballo muovendo da quel sentire, considerandoli fondamentali parti in causa, parti responsabili o referenti principali, non capendo che l'intento dell'interiorità è di portare lo sguardo su quanto di se stessi è coinvolto e che è ora di mettere in primo piano, di riconoscere. Frequente è invece dare priorità alla necessità di intervenire sul piano esterno, con l'idea, così facendo, di porre mano e riparo alle questioni, con la conseguenza di fraintendere, di non capire cosa realmente quel movimento interiore vuole segnalare rivolto, indirizzato a sé, con la conseguenza di non capire nulla di utile e fondato, di tornare viceversa a impegnare se stessi in modi e modalità tutte di vincolo e di impegno verso altro e altri. Il rischio, anzi la fatale conseguenza, è di riconfermare, assieme ai soliti riferimenti e schemi di giudizio, le stesse modalità e vincoli, spesso tutt'altro che felici, di cui si è ben poco consapevoli di ciò che sono e che implicano. Sono spesso espressione di legame e di investimento dipendente su altro e su altri, che coincide col mancato investimento, che richiede dispendio di energie e paziente lavoro su se stessi, su crescita propria, su ricerca e sviluppo dentro sè di ciò che, preso da fuori e da altra fonte, destinato fatalmente a essere solo un compenso e un sostituto improprio, risulta di più facile e immediata acquisizione. In qualche modo incorporato o fatto vivere come proprio un simile sostituto di bene essenziale ottenuto in legame con altro che lo garantisce, è fatale che tenga vincolati al mantenimento del legame, vivendo come sciagurata oltre che insopportabile la sua perdita, a meno di trovare pronta sostituzione o ripiego in altro. Proprio per la priorità data ai legami esterni e a quanto si pensa possano o debbano dare o viceversa negare e tradire, tenendo lo sguardo e le aspettative tutte rivolte all'esterno, non è poi raro che le risposte al disagio puntino su cambiamenti, anche radicali, di situazioni concrete, pensati come  risolutivi e a sé favorevoli, siano essi di rottura con circostanze e luoghi, con situazioni di lavoro e abitudini, che di rottura di legami interpersonali e affettivi, con indispensabile pronta sostituzione con altri legami e punti d'appoggio, o di loro precipitoso restauro e recupero, perchè non vada persa la presa su ciò e su chi è diventato di vitale sostegno. Sono cambiamenti e interventi che, ben lungi dal produrre il nuovo, non mutano la sostanza di ciò che è messo in gioco di se stessi, anzi che la mantengono tale e quale, finendo solo per illudere di aver dato risposta congrua e efficace, di aver prodotto con rapida esecuzione un reale cambiamento valido e confortante o di aver messo in atto un provvedimento di consolidamento utile. Queste risposte, oltre a risultare velleitarie e sterili, di fatto chiudono la strada alla possibilità, attraverso un ben più maturo e ben diversamente proficuo impegno di ricerca, di generare, in ascolto e in dialogo con la propria interiorità, lavorando con fedele sintonia con quel sentire arduo e doloroso, chiarimenti su se stessi e sui propri modi di procedere e di condurre le proprie scelte e la propria vita, su nodi decisivi mai in precedenza riconosciuti e compresi, conquiste di pensiero e di consapevolezza nuove, fondamento necessario di scelte e di nuovi propositi, finalmente lucidi di verità, ben fondati e coerenti con se stessi. E' frequentissimo e non solo per  iniziativa e per lavorio proprio abituale, ma non di rado anche dentro un'esperienza di psicoterapia, fraintendere la proposta interiore, mettendole sopra letture e risposte, interpretazioni e spiegazioni, che, anziché raccogliere l'originale e il vero della proposta interiore, danno, pur con l'illusione o la pretesa di aver spiegato e chiarito, il via al ritorno e al consolidamento di modalità di sguardo, di pensiero e di risposte solite, che mettendo in primo piano l'esterno, altro e altri, vanno con lettura univoca a chiudere la ricerca nel recinto del consueto, ribadito come scontato. Va persa così la possibilità di presa di coscienza nuova, che richiede, con un cambio di prospettiva consona a ciò che l'esperienza interiore vuole suggerire e promuovere, di mettere al centro dello sguardo se stessi, i propri modi di procedere, le proprie responsabilità nel condursi. L'alternativa in gioco nel modo di trattare la propria esperienza interiore è tra infilarsi e incastrarsi nel solito recinto di pensiero e di attese che vedono sempre altro e altri avere la priorità come causa e come soluzione, e recuperare invece visione vera e centrata su di sé, lavorando su ciò, decisivo e centrale, che si fa di se stessi, andando alla scoperta di ciò che si ignora e non si conosce di se stessi e in primo luogo della parte intima e profonda, mai considerata e riconosciuta nel suo valore, in realtà essenziale per la capacità che ha, se ascoltata e compresa in ciò che dice nel sentire anche se arduo, di aprire strade, percorsi di conoscenza e sviluppi di pensiero completamente nuovi e originali, consoni a sé e validamente liberatori dai luoghi comuni, dagli eterni ritorni all'uguale, anche se riverniciato e rianimato da apparente linfa nuova. Ciò che si sente e che si svolge dentro la propria vicenda interiore è senza esclusioni, anzi nelle parti più difficili con un più di capacità di far fare passi avanti di conoscenza e di crescita personale, il mezzo e il veicolo per capirsi, unitamente e di concerto con i sogni, che nel promuovere e guidare la conoscenza di se stessi hanno un ruolo fondamentale e imprescindibile. Se dunque c'è un modo, il più frequente, che, nel rapporto con l'esperienza interiore,  spinge a senso unico il discorso, la ricerca di spiegazioni e di soluzioni, in perenne appoggio e vincolo all'esterno, e che, seppure con la promessa di risolvere e di rinnovare, riporta dentro la visione, l'orizzonte e gli intenti abituali, ce n'è un altro, da imparare a conoscere e a praticare, fortemente promosso dal proprio profondo, che invece impegna all'ascolto attento e fedele e alla valorizzazione di tutto ciò che il proprio intimo propone, alla condivisione con la propria interiorità della ricerca del vero di se stessi, essenziale per fondare la propria libertà e autonomia di pensiero e di realizzazione.

domenica 21 gennaio 2024

L'autonomia

L'autonomia è la questione centrale, al centro del confronto tra l'inconscio e la parte cosiddetta conscia. E' comprensibile che sia così, che ci sia dibattitto necessario, a volte acceso tra le due parti, lo si comincia a comprendere quando si comincia a aprire gli occhi, a riconoscere come tale la bolla di illusione che lascia credere che bastino manifestazioni di presunta autonomia da recita per dare compimento all'aspirazione di dire la propria a modo proprio. Alla parte profonda non basta di certo la recita e l'illusione, sa bene che su questo terreno si gioca la realizzazione, la messa a frutto di una vita. Occhi ben aperti dunque e in questo l'inconscio, maestro e guida nel veder chiaro, è una garanzia. Tant'è che non concede complicità, non dà manforte alla richiesta di convalida, di mantenimento delle pie illusioni. Il malessere interiore è spina nel fianco, è scuotimento di certezze di comodo, è crisi che vuole verità e trasformazione, cambiamento non di poco conto. Una impostazione della vita e un modo di procedere che si rifanno e si lasciano guidare e plasmare da altro già ben formato e definito, che ne ricalcano le orme e gli indirizzi, che consegnano all'aspirazione di figurare bene al cospetto del giudizio esterno il compito di tradurre il proprio desiderio di dire la propria, sono il terreno su cui interviene l'inconscio per sollecitare una verifica attenta, una scrupolosa  presa di coscienza del vero. L'autonomia di cui ci si può illudere è spesso l'autonomia del bravo bambino, del diligente scolaretto che fa mostra di buona capacità di riuscita, di estro in alcuni casi nel rimenare discorsi e renderli originali si fa per dire, nel farsi vanto di riuscita ben dentro le guide di un discorso già impostato, di un credo, di un sistema di attribuzioni di significato e di valori già pronti e codificati, che come pezzi di un lego possono essere variamente combinati, assemblati, di una progettualità che ha già caselle e piste da percorrere in cui infilarsi e avanzare, procedendo con passo più o meno lesto. L'inconscio non ci casca. L'inconscio è l'anima di una vita che, sostenuta da intelligenza vera e non da palcoscenico o da accademia, vuole crescere e generare, dare al mondo il proprio, senza le scorciatoie delle imitazioni, senza la sbornia della rincorsa del consenso o dell'apprezzamento altrui e generale, veri elementi tossici che drogano la coscienza e il pensiero, che tengono in pugno la volontà di riuscita, che li rendono ottusi, che li piegano a essere schiavi della bella figura. Fare vivere l'autentico di sè, rispettando e valorizzando al meglio ciò di cui si è portatori, formare e alimentare visione e pensiero propri, trovare nella pienezza del rapporto con la propria interiorità le risposte e le ragioni d'esistenza proprie, scoprire ciò che ai propri occhi risalta come carico di valore , che perciò con sincera passione si sente di voler far vivere, senza attaccarsi ad altro, senza bisogno di conferma e d'apprezzamento esterni, di trarre da lì incentivo e gratificazione, senza bisogno di platea che annuisca, che apprezzi e applauda, questo è il terreno della formazione e conquista della autonomia vera e non da recita. Prima di tutto c'è la necessità di vedere le cose, l'andamento solito, il proprio procedere abituale, per ciò che sono, di far cadere le illusioni e le mistificazioni, di riconoscere cosa sono per davvero e su cosa si sorreggono, di aprire gli occhi per riconoscere il vero, senza preconcetti, puntualmente, analiticamente, scientificamente. Questo è il lavoro che l'inconscio nel proprio vero interesse spinge e guida a fare, lo fa mobilitando il sentire, i vissuti e l'intera trama delle vicende interiori, lo fa magnificamente e con superlativa intelligenza attraverso i sogni. Da un lato vuole condurre l'individuo a fare chiarezza, senza limiti e condizionamenti, vincendo le remore della parte che vorrebbe tenere in piedi gli artefatti, perchè ci si è fortemente compromessa e perchè ci si è affezionata, dall'altro l'inconscio spinge per saggiare il gusto nuovo e diverso di elaborare con cura, di cucinare e di dare a se stessi cibo di conoscenza vera, ben più gustoso e nutriente, ben più capace di alimentare crescita personale delle solite pietanze, più o meno reclamizzate, prese da cucina pronta di modelli, di idee e di traguardi di riuscita e di successo in voga e benedetti. L'autonomia di concepire e saper dire la propria e a modo proprio, di conquistare vera capacità di autogoverno per salvaguardare, per onorare e per affermare il valore unico della propria vita, per realizzare aspirazioni e progetti davvero originali, è la conquista e il dono che l'inconscio vuole riservare. Non è un pacco dono pronto da scartare, è un dono da conquistare, per cui dare, in stretto legame e alleanza col proprio intimo e profondo, il meglio del proprio impegno, della propria voglia di vivere.

sabato 6 gennaio 2024

Il "mestiere" di psicoterapeuta

Ripropongo con qualche integrazione un mio scritto di molti anni fa su un argomento che, a chi voglia soffermarsi sulla qualità dell'aiuto che vorrebbe ricevere da uno psicoterapeuta, potrebbe rivelarsi utile.                                                                  Quali sono le basi necessarie e irrinunciabili per svolgere il lavoro di psicoterapeuta?  L'unico strumento di cui lo psicoterapeuta non dovrebbe essere privo è la capacità riflessiva. Non sto parlando di riflessione e di capacità riflessiva come solitamente si intendono e si praticano e che si traducono nel confezionare sul conto dell'esperienza e di ciò che si vive qualche spiegazione ragionata. Sto parlando di capacità riflessiva come capacità di entrare in rapporto e di prendere visione senza distorsioni dell'intimo di stati d'animo, di emozioni, di esperienze interiori di cui si è portatori, dentro cui si è coinvolti. Il suo possesso da parte dello psicoterapeuta non è per nulla scontato, coincide con lo sviluppo di una matura capacità di ascolto e di dialogo con la propria interiorità, frutto di un approfondito lavoro su se stesso. Non è affatto garantito da studi, da iter formativi in scuole, da apprendimento di tecniche, da possesso di titoli e della stessa abilitazione a svolgere la professione di psicoterapeuta. Il possesso dello strumento riflessivo è però fondamentale. Se non ha capacità di rapportarsi a se stesso, se non sa accogliere e raccogliere i suoi vissuti ed ascoltarli, lo psicoterapeuta è sospeso nel vuoto. Se non sa da un lato lasciarsi prendere, investire, coinvolgere pienamente (nel suo spazio intimo) dalla spinta interiore, dall'emozione, dal sentire e dall'altro non sa prenderne distanza per vedersi riflessivamente, per vedere come dentro uno specchio ciò che gli appartiene, per riconoscere cosa di sé gli si rivela nell’esperienza che vive, cosa interiormente ha preso forma, lo psicoterapeuta vaga nel nulla o procede pericolosamente. Manca infatti dello strumento fondamentale per scoprire cosa di volta in volta gli accade, per orientarsi, per capire l'esperienza e la dialettica interiore. Rimane tutt'uno e adeso inconsapevolmente a ciò che si muove in lui, non lo vede, non lo comprende. Nel rapporto con la propria intima esperienza dà credito alle spiegazioni che mette in campo, spiegazioni più o meno sofisticate e in apparenza coerenti, che, capaci di dargli sostanziale conferma nelle sue persuasioni consuete, ricalcano e ricombinano schemi e attribuzioni di significato diligentemente appresi, fino a convincersi di aver fatto chiarezza o, sarebbe meglio dire, fino a porre e a rafforzare dentro sé, con le sue parole e con i suoi ragionamenti, una solida barriera impermeabile al contatto e allo scambio vivo con se stesso, col suo sentire. Privo di capacità riflessiva, di capacità di ascolto e di visione di ciò che la sua esperienza interiore gli vuole rendere riconoscibile, armato di interpretazioni e di spiegazioni concepite in separata sede col ragionamento e messe sopra a ciò che vive interiormente, lo psicoterapeuta rimane nascosto a se stesso. Non ha occasione di capirsi, di ferirsi anche, di vedere di sè ciò che (diverso dalle sue attese e dalle sue persuasioni) può risultargli doloroso o scomodo vedere, non ha capacità di trasformarsi e di far crescere se stesso, di fare dell'umano più vera e profonda esperienza e conoscenza. Dicevo che vaga nel nulla pericolosamente. Sì, perché, oltre a non fare nulla di utile per se stesso, nella relazione con l'altro è possibile che faccia disastri e senza, per giunta, arrivare a rendersene conto. Vittima ad esempio della necessità di meritare l'approvazione e la considerazione, il consenso dell'altro, di provarsi e di dar prova di essere all'altezza del suo "ruolo", capace, bravo nel verso della capacità di spiegare tutto, di risolvere i problemi, senza che tutto questo gli risulti ben visibile come base vera di conoscenza di se stesso su cui soffermarsi e aprire un confronto approfondito con se stesso, lo psicoterapeuta rischia di tornare a agire queste spinte, finendo per condurre o per confermare l'altro nella dipendenza dalla sua autorità e capacità di risposta. Rischia di non vedere la sua speculare dipendenza dall'altro, che con il suo presunto, come fosse scontato e immodificabile, bisogno di riceverle da lui, lo confermi nella sua capacità di dargli spiegazioni e risposte, nel possesso di questa prerogativa. Sarebbe viceversa compito prioritario dello psicoterapeuta aiutare l'altro a formare e a sviluppare capacità di dialogo con la propria interiorità, a scoprire e a impadronirsi di questa possibilità di conoscenza, in precedenza ignote. Lo psicoterapeuta deve però possedere lui per primo capacità riflessiva, capacità di dialogo aperto e trasparente con la propria interiorità, per favorire questa possibilità nell'altro. Lo psicoterapeuta, se privo di capacità riflessiva, rischia invece e sciaguratamente di incoraggiare l'altro alla dipendenza e, come fa con se stesso, all'impiego passivo di formule e di risposte pronte. Può indurre l'altro a non ascoltarsi pazientemente e attentamente, a non concedersi all'incontro e al dialogo con la propria interiorità, con ciò che da dentro gli si propone, all'inizio oscuro, temuto. Può incoraggiare o dar manforte alla tendenza già presente nell'altro a mettere a tacere l'esperienza interiore, specie se dolorosa e ardua, a difendersene prima di tutto, a tentare di neutralizzarla con qualche spiegazione o ricerca di cause del malessere interiore in apparenza plausibili, che illudono di aver portato alla radice del problema, ma estranee all'intenzione, al senso di quel sentire doloroso, arduo, cui, per mancanza di capacità di rapporto con l'esperienza interiore, di capacità riflessiva, non è concesso vero ascolto. Tant'è che non è infrequente che a dispetto della convinzione di aver compiuto un passo decisivo chiarendo le sue (presunte) cause, il malessere insista come e più di prima, perchè incompreso nel suo senso, perchè non affatto assecondato negli scopi di presa di coscienza e di trasformazione personale, assolutamente utili e necessari, che spingeva a realizzare. Sono disastri veri e propri, perché costituiscono impedimento alla scoperta di sé e al cambiamento nel rapporto con se stessi e con la propria vita, tanto fortemente voluti dal profondo dell'individuo, quanto incompresi, ignorati. Lo psicoterapeuta può, anzichè aprirlo a se stesso, riconsegnare l'altro alla "normalità", può cioè contribuire a mantenerlo in un'idea di sé che profondamente non gli corrisponde, può (malgrado l'illusione di averlo aiutato a capire, a capirsi) chiuderlo a se stesso, mantenendolo nell'ignoranza delle sue risorse interiori, dei suoi più originali orientamenti, della sua capacità più profonda, del suo progetto. Se privo di capacità riflessiva lo psicoterapeuta non ha capacità di accedere alla vita interiore, di capirne il linguaggio e le ragioni, rischia, malgrado le pretese e le buone intenzioni, di riprodurre, pur se in una forma più sofisticata, logica e pensiero convenzionali, rischia, come fa con se stesso, di tenere l'altro in quei confini e limiti ristretti. Serve allo psicoterapeuta un bagaglio di sapere e di conoscenze apprese, perchè abbia e dia garanzia di poter svolgere bene e utilmente il suo lavoro, la sua funzione con l’altro? Parlo a partire dalla mia esperienza di analista e con riferimento all'esperienza analitica. Ogni esperienza analitica produce, crea il suo sapere. Non serve sapere già e prima, anzi, teorie e spiegazioni già confezionate e pronte, che pretendano di spiegare tutto, possono solo coprire col preconcetto ciò che invece ha necessità di manifestarsi nella sua unicità. E' il lavoro analitico a generare tutto. Ogni individuo nel suo percorso analitico è intento a un discorso originale, tutto da scoprire e da rispettare nella sua unicità. Lo psicoterapeuta, l'analista deve possedere la capacità di dialogo con l'esperienza interiore, la capacità riflessiva di cui dicevo prima. L’analista, possedendola, può trasmettere all’altro questa capacità di avvicinare e di dialogare con l’esperienza interiore, può farla crescere in lui sempre più, liberandolo dalla paura e dalla incapacità di comunicare con se stesso. L'analista, quanto più si è cercato e ha esercitato nel rapporto con se stesso apertura e dialogo, continuità di ricerca, tanto più può rivolgersi utilmente all'altro per sostenerne, con pazienza e con fiducia, il viaggio di ricerca dentro se stesso. Se lo psicoterapeuta, se l'analista è solo imbottito di teorie e di sapere già formato e preso in prestito, tenderà soltanto a ripetere ciò che ha appreso, a girarlo sull'esperienza che incontra, sua e dell'altro. Discepolo sciocco di qualche maestro, non importa se autorevolissimo e famoso, si limiterà a ripeterne il pensiero in una forma imbalsamata e stantia. Non prenderà su di sè il compito e il peso di portare avanti da sè la ricerca, di misurarsi col diverso, con l'imprevedibile, col nuovo che perennemente si dà dentro se stesso e dentro l'altro. Non consegnerà analogo compito e non coltiverà nell'altro analoga capacità verso se stesso.

martedì 2 gennaio 2024

La ricerca delle cause per non cambiare nulla

Ripropongo con qualche integrazione questo mio scritto di qualche tempo fa, perché la questione della ricerca delle cause del malessere è un nodo importante da capire e da sciogliere. E' ormai un luogo comune pensare che il modo più aperto e approfondito di affrontare il malessere interiore consista nel cercare le cause che l'avrebbero provocato. In realtà c'è il rischio di costruire teoremi che non aiutano l'incontro e il dialogo con la propria interiorità, che chiudono alla comprensione di ciò che il proprio profondo, dentro e attraverso il malessere e la crisi, sta cercando di proporre e di promuovere nel proprio interesse. La ricerca delle cause e le premesse da cui parte, rischiano di confermare la separazione e l'incapacità di comunicare con la propria interiorità.                                            La reazione più comune all'emergere del disagio interiore è di considerare il malessere come un guasto, come un'anomalia, che si ritiene debba avere la sua causa in qualcosa di sfavorevole e di nocivo che avrebbe fatto danno, che avrebbe compromesso un equilibrio psicologico altrimenti normale e fisiologico. Una simile risposta al malessere interiore trova in non pochi casi sostegno e perfezionamento in percorsi psicoterapeutici che, indagando nel presente e soprattutto nel passato dell'individuo, particolarmente nelle relazioni familiari, vanno alla ricerca di condizionamenti sfavorevoli, di carenze o di distorsioni affettive, di traumi patiti, per rinvenire lì le ipotetiche cause del disagio perdurante e attuale. In realtà il malessere interiore non è conseguenza di cause e di condizioni esterne, di condizionamenti sfavorevoli, ma è espressione di iniziativa interiore. Le ragioni, intelligenti, profonde, del malessere, affatto destinate a rimanere incomprese, purché ci si voglia impegnare a capire se stessi, a dare voce e a confrontarsi con la propria interiorità, originano interiormente, sono espressione di lucida consapevolezza e di ferma presa di posizione della parte profonda di se stessi. La lettura che il profondo, che l'inconscio dà della propria condizione personale e del proprio modo di procedere non è affatto in linea col modo convenzionale e abituale di pensarli, di leggerli, modo per il quale basta veder quadrare alcune cose per dedurre che tutto va bene, che le cose sono normali, sostanzialmente a posto. Se alla parte profonda di se stessi, dove il proprio sguardo è molto più attento ed esigente, assai meno incline ad andar dietro alla logica comune e a soddisfare il bisogno di auto conferma di quanto non sia la propria parte conscia col suo modo di pensare e con i suoi ragionamenti, risultasse ad esempio chiaro che nel modo d'essere attuale manca qualcosa di fondamentale e di decisivo, questa parte non tacerebbe il problema. Se le fosse chiaro che nel modo abituale di procedere e di dare forma a ipotesi, a scelte o a impegni attuali e futuri della propria vita c'è un che di non corrispondente a se stessi, di avventato e di inconsapevole, di insoddisfacente e di pericolosamente sfavorevole, non solo per l'oggi, ma soprattutto in prospettiva per il futuro, perché non guidato da conoscenza approfondita di ciò che si è e di ciò che per sé ha senso e valore, cosa di cui sinora non ci si è più di tanto preoccupati, la parte profonda non passerebbe sotto silenzio il problema. Ecco che, tenendo presenti simili rischi e implicazioni, di cui il profondo dell'individuo, diversamente e ben prima della sua parte conscia, è consapevole, il malessere come intralcio e come freno tirato sull'andar via e avanti scioltamente, il senso di fragilità e di insicurezza, l'ansietà continua, l'allarme sulle proprie condizioni e sul proprio stato, con picchi di paura come negli attacchi di panico, lo scoramento e il senso di sfiducia  nel proprio valore e nelle proprie capacità, spesso considerati semplicemente sintomi di malattia e trattati come disturbi, come stati anomali e nocivi da correggere e da superare, cominciano viceversa a svelare il loro significato, a mostrarsi carichi di senso e di valore. Sentire intralciato il procedere solito da ansietà e insicurezza che non danno tregua, affinchè lo sguardo, abitualmente tutto rivolto all'esterno, si porti all'interno, per prendere consapevolezza del proprio stato vero, per adoperarsi a generare ciò che, a dispetto delle apparenze, non c'è e che è essenziale per dare volto proprio alla propria vita, per essere individui davvero autonomi, è una risposta interiore che ha un senso o va considerata come una anomalia, come uno stato interiore da medicare o come un disturbo cui cercare remote cause, augurandosi in questo modo di levarselo dai piedi? Sentire, fuori dalle illusioni a lungo coltivate sul valore delle proprie scelte e conquiste, il vuoto, la fragilità e l'inconsistenza della propria condizione, perché affidata più a conferme e a sostegni esterni che a fondamenti intimi e propri, perchè col proprio intimo e profondo non si è cercato e non si ha rapporto, sentire caduta di interesse verso la vita e infelice senso di sfiducia in se stessi, è un sentire, certamente doloroso, ma malato e da correggere o è specchio di verità e punto di partenza per invertire la rotta e per costruire finalmente, senza scorciatoie, qualcosa di originalmente proprio e consono, coerente col proprio intimo, ben aderente a ciò che in unità col proprio profondo va cercato e compreso? Patire il senso di minaccia e di precarietà, di paura crescente rivolto a ciò che vive dentro se stessi, da cui si è sconnessi e lontani, fino all’acme dell’attacco di panico, del terrore che la propria vita cessi, che le proprie funzioni vitali non siano più garantite, che il cuore cessi di battere, che la vita se ne vada, anche questo, che il malessere interiore può smuovere e  rendere acutamente tangibile, è segno di anomalo stato e di patologia, oppure è pungolo fortissimo a riconoscere il vero di un modo d'essere dissociato, sconnesso da sè, dal proprio intimo e tutto artificialmente adeso e in connessione con altro, un ammonimento e un richiamo potente a occuparsi di sè seriamente, a impegnarsi prima di tutto a cambiare profondamente il rapporto con la parte intima e profonda di se stessi? Tutte le risposte interiori, tutte dettate e regolate dal profondo, tutt'altro che sintomi di un meccanismo guasto, dicono, svelano, spingono a capire, a prendere consapevolezza. Non si tratta di trovare cause esterne al malessere, partendo dall'assunto che stare male significa guasto e stato anomalo provocato da qualche fattore molesto e disturbante, ma di intendere che il malessere può essere un forte richiamo, lo specchio per vedere la propria condizione in profondità e non nella ingannevole superficie, la spia di una necessità cui finora non si è saputo provvedere. E' la necessità, irrinunciabile secondo la parte profonda di se stessi, di promuovere la propria crescita, la formazione di un proprio pensiero attorno a se stessi, lo sviluppo di una capacità di capirsi non dissociata nel ragionamento, ma costruita in unità con se stessi, fondata e guidata dal proprio sentire. E' fondamentale e non certo superfluo trovare ciò che affidabile e coerente con se stessi possa guidare, autonomamente e consapevolmente, il proprio cammino, le proprie scelte, pena il rischio diversamente di affidarsi pericolosamente solo a guide e a conferme esterne. Lo stato di separazione in casa, nello spazio del proprio essere, tra ciò che si pensa da un lato e ciò che si sente e che si vive interiormente dall'altro, va superata e messa ben al centro del proprio sguardo e preoccupazione. L'inconscio spesso sottolinea proprio questo stato di separazione e di dissociazione, lo fa parlandone con grande acume nei sogni, lo fa rendendo tangibile, acutamente vissuta la situazione di contrasto e di non incontro tra vicenda intima e parte conscia e ragionante, che mal tollera e vive come estranea e ostile, minacciosa e sgradita l'esperienza interiore sofferta e disagevole, a cui fa muro chiedendo e rivendicando altro. Le vicende interiori spesso non sono comprese, sono ampiamente fraintese dalla logica corrente, secondo cui tutto dovrebbe funzionare "normalmente" e l'ansia e ogni segnale interiore che crei impaccio nel procedere solito, che impegni ad andare verso se stessi, a mettere al centro dell'attenzione e della preoccupazione se stessi e non il fare e il proseguire come se niente fosse e come se tutto fosse a posto, sarebbe soltanto una anomalia, un disturbo, un maledetto ostacolo. Dandoci dentro con farmaci e con rimedi vari, con psicoterapie intese come correzione di comportamenti o, come dicevo all'inizio, come ricerca di cause funeste fuori di sè in qualcosa di presente o di passato, pur di togliersi di dosso un che di sofferto e di interiormente difficile, non si comprende che il proprio malessere è frutto e segno di iniziativa propria e profonda per trarsi in salvo e non per far danno. Quanta miopia e ottusità purtroppo nel pensare che tutto debba funzionare "normalmente", senza mai chiedersi come davvero le cose stanno andando, non all'apparenza, ma nella sostanza, senza mai concedere ascolto a se stessi, al proprio sentire, senza mai concepire che ci si debba capire seriamente e in profondità, che ci si debba confrontare e intendere con ciò che dentro se stessi dà segnali insistiti, che nessun rimedio farmacologico o di altro tipo può mettere a tacere! E' significativo che chi si è adoperato, casomai attraverso una psicoterapia, a cercare le cause di ciò che difficile e sofferto sperimenta interiormente in vicende passate e in condizionamenti sfavorevoli, in traumi pregressi, si ritrovi spesso a dire a se stesso che finalmente oggi conosce le cause del suo malessere e contemporaneamente a percepire la propria estraneità e lontananza perdurante dal proprio intimo, l'incapacità di entrare in rapporto vero e aperto con ciò che sente, che non smette di insistere e di battere duro, di chiedere vera udienza, accoglienza e ascolto. La parte profonda non desiste, non sa che farsene di spiegazioni ragionate, spesso viziate da vittimismo, come se soffrire fosse sempre l'equivalente e la conseguenza dell'aver subito o del subire un che di ostile e di ingiusto, spiegazioni che non colgono il senso della sua proposta e iniziativa. La parte profonda non agita le acque insensatamente, per deficit di ragionevolezza, non le agita puerilmente dando respiro solo a paura, a irresponsabilità e a incapacità di procedere e di fare, non le agita perché ancora disturbata o traumatizzata da accadimenti passati o con l'intento di riportarli in qualche modo in superficie. Si abusa di questi che ormai sono diventati dei luoghi comuni, ben presenti nel pensato comune, nei discorsi correnti, nei film, nelle teorie e spiegazioni portate da non pochi presunti esperti della psiche, luoghi comuni e ricorrenti che intervengono a suffragio di un atteggiamento di fondo verso se stessi conservativo e vittimistico. La parte profonda agita le acque con lucidità e determinazione, sorretta da capacità di visione che la parte conscia non possiede, troppo passiva e assuefatta al pensare convenzionale, troppo incline a darsi ragione e a rincorrere la normalità, le agita per "inquietare" a ragion veduta, perché in gioco c'è il rischio di condurre la propria vita in modo banale e inconsapevole, secondo guide prese in prestito e non trovate in se stessi, con la conseguenza di andare a sbattere nel tempo nell'inutilità o nel fallimento. Che insorga malessere è segno più spesso di quanto non si creda di vitalità interiore, di presenza vigile della propria parte profonda, di potente richiamo a far le cose per tempo, a provvedere a coltivare e a formare ciò che non c'è e che l'età anagrafica da sola non garantisce: prima di tutto l'unità con se stessi, perché solo l'incontro e il dialogo con la propria interiorità può dare e sviluppare la forza di un pensiero proprio, la conoscenza senza veli e distorsioni di chi si è, la scoperta di ciò che ha valore per sé, che profondamente si ama e cui si aspira, per non destinare a altro la propria vita, per non infilarla sui binari delle idee e dei modelli imperanti, delle soluzioni già pronte. Quando, come accade in una buona esperienza analitica, si dà voce al proprio profondo, quando, anziché parlargli sopra e cercargli delle cause, si impara a ascoltare il proprio sentire in ciò che dice, quando si segue il percorso conoscitivo tracciato dai sogni, si ha modo di scoprire quali siano le vere intenzioni dell’inconscio, si ha occasione di comprendere il senso e di apprezzare il valore della propria esperienza interiore in tutte le sue espressioni, anche in quelle che sembravano negative e fortemente sfavorevoli. L'inconscio sa dare e nutrire la propria crescita personale come nient'altro saprebbe fare. E' necessario allora scegliere se imparare, facendosi aiutare a questo scopo, ad ascoltare il proprio sentire, a comprendere e a assecondare la proposta interiore, accettando un serio lavoro su se stessi e nutrendosi dei frutti di questo lavoro di cui il proprio inconscio sa e vuole essere promotore e guida o insistere nei tentativi di contrastare in vario modo il malessere, anche confezionandogli sopra spiegazioni di cause che vorrebbero, ingenuamente, metterlo a tacere, spiegazioni sterili, utili solo a uno scopo: tirare avanti dritto nel solito modo scisso da sé, dalla propria interiorità e aderente ad altro, senza cambiare nulla.