domenica 10 novembre 2019

A proposito di guarigione

Riferita a situazioni di sofferenza interiore l’idea corrente di guarigione, anche se in apparenza propizia e assai desiderabile, racchiude spesso il principio del dissidio con se stessi. Le è insita infatti la volontà di allontanare e di mettere a tacere parte di sé, giudicata e trattata come estranea e ostile, sicuramente incompresa in ciò che sa e che vuole dire e dare. Se nell'uso, assai frequente, di psicofarmaci questo atteggiamento di insofferenza e di paura nei confronti dell'esperienza interiore disagevole è esplicito e ben riconoscibile, non di meno la psicoterapia può ricalcare analoga intenzione. Non solo la psicoterapia che dichiaratamente si propone di intervenire sui comportamenti, di correggere modi di sentire e di reagire ritenuti anomali e, in gergo, "disfunzionali", ma anche la psicoterapia che si proponga di capire, di favorire la comprensione, può muoversi nell'orbita del voler contrastare e debellare l'esperienza interiore sofferta, da subito e pregiudizialmente ritenuta espressione di un guasto. La ricerca, pensata a fini di guarigione, delle cosiddette cause nascoste del disagio, del malessere interiore, è spesso un lavorio guidato dalla componente razionale che, con l'intento di spiegare e di annullare ciò che comunque e in modo preconcetto considera uno stato anomalo rispetto a un presunto stato di equilibrio o normale, ipotizza, soprattutto suppone e poi crede di riconoscere cause plausibili, nessi, legami di causa e effetto. L'esperienza interiore, il sentire, comunque si proponga, anche nelle forme più difficili e sofferte, dice, in modo mirato, sensato e intelligente, propone, induce a fare intima esperienza per portare alla conoscenza di se stessi: sentire per capire. Non si tratta di formulare ipotesi attorno al perché del malessere, per tentare di domarlo e di spazzarlo via, confezionando col ragionamento spiegazioni, tanto in apparenza plausibili e coerenti, quanto lontane dalla sintonia col sentire, che, a riprova della loro  infondatezza e inutilità, continua a incalzare e a premere anche dopo le cosiddette interpretazioni, che parevano illuminanti e risolutive. Si tratta di imparare ad ascoltare, a cogliere e a raccogliere l'intima proposta che l'interiorità con il vissuto, col sentire, anche arduo e sofferto, mette in primo piano, rende viva e tangibile. Ci sono robusti ostacoli sulla strada dell'incontro aperto, disponibile all'ascolto,  con la propria interiorità, con ciò che propone nel sentire. Si parte spesso dal presupposto di aver già raggiunto, in virtù dell'età anagrafica o di alcune realizzazioni compiute, ciò che, ritenuto maturo e sufficiente, darebbe diritto a uno stato di stabilità interiore, di benessere. L'iniziativa del profondo, che nei vissuti, nel sentire agita le acque, che spesso frena la corsa solita e la complica, che esercita con forza pungoli e richiami a guardare dentro se stessi, che cerca di spingere l'individuo a riconoscere fragilità e instabilità nell'assetto del proprio modo d'essere e di procedere, non frutto di patologia o di cattive interferenze, ma tale perchè costruito su fondamenta tutt'altro che salde, non è affatto compresa, nè concepita come possibile. Le fondamenta sono niente affatto salde, quando, condizione non certo rara, tanto di sè è stato e è plasmato a copia di altro, affidato a soluzioni trovate fuori e più da fuori, dallo sguardo comune, che da dentro, dal proprio sguardo, sostenute e confermate, con l'illusione che valgano a corrispondere a se stessi. Il proprio profondo non ignora e non tace i limiti e la distorsione di una simile condizione, che piega l'essere e lo consegna all'adesione ad altro, alla negazione e all'oscuramento di se stesso, ma l'altra parte di sè, conscia, non ne vuole sapere, insiste nel confermare ciò che sinora ha concepito come valido e insostituibile. Insomma da una parte l'interiorità segnala lo stato problematico e insufficiente delle cose e richiama in modo perentorio alla scoperta del vero e al compito di formare ciò che ancora non c'è per diventare se stessi, per conquistare vera libertà, autonomia di pensiero e di progetto e dall'altra la parte conscia, ritenendo tutto già compiuto e chiaro, oltre che insostituibile, concepisce solo come disturbo e danno, di fatto squalifica come anomalia l'iniziativa e la proposta profonda, cestinata e combattuta come esperienza interiore negativa, penalizzante e basta. Capita che anche nel percorso intrapreso in psicoterapia si vada, non poche volte, volentieri a cercare presunte cause di ciò che nel proprio malessere si ritiene, per precocetto, essere l'espressione solo di un disturbo, di un mancato stato normale, causato dal probabile agire di fattori e condizionamenti avversi attuali o più probabilmente remoti. Nello sforzo di capire, facendo tutto un lavoro, non riflessivo e di ascolto, ma di ragionamento, dove si commentano le esperienze interiori più che ascoltarle, si va spesso e volentieri a ritroso nella propria storia a cercare ipotetiche cause. Quando da qualche parte si ha l'impressione di trovare un nesso causale verosimile, che finalmente permetta di  confezionare la spiegazione del perchè del malessere, ci si persuade di essersi capiti, ma in realtà si sono solo rigirate le solite idee, un poco rese più articolate e sofisticate. La parte profonda di se stessi, che nel sentire dice e propone, che vuole calare nella consapevolezza nuova di sé, ben più vicina al vero di tutto il consueto pensare e rimuginare, rischia dunque di rimanere  ancora inascoltata e incompresa, anche dove, come in psicoterapia, ci sarebbero le migliori condizioni e intenzioni di capirsi, di avvicinarsi a se stessi. Bisogna imparare a rispettare e a valorizzare la parte intima e profonda di sé, che nel sentire prende iniziativa e coinvolge, bisogna imparare ad ascoltarla e a comprenderne il linguaggio e la proposta. Finchè si fa opposizione, finchè si pensa che ansia e altro, che interiormente si vive, siano prima di tutto piaga da togliere, anomalia da correggere, finchè ci si pone in contrasto o, pur cercando di capire, si dà predominio al ragionamento, alla forma di pensiero che dall'alto e unilateralmente interpreta e che spiega, che nella sostanza non sa ascoltare, non sa accogliere e dialogare con l'interiorità e col sentire, ci si destina ad andare avanti all'infinito nella incomprensione e nella discordia con la propria interiorità. Serve certamente aiuto per imparare a dare ascolto rispettoso alla propria interiorità, a riconoscerne fedelmente voce e linguaggio, sia nel sentire che nei sogni, autentica fonte di riflessione e di conoscenza. Se anziché far la guerra a ciò che si prova interiormente, se anzichè subordinare il proposito di conoscersi a quello di  eliminare il malessere (non capendo che il malessere, se intimamente ascoltato e compreso, apre a se stessi e rivela, induce a vedere e a costruire, a crescere) si imparasse a conoscere se stessi con apertura nuova al proprio intimo, si trarrebbe grande giovamento da tutto ciò che succede interiormente. Il percorso interiore spontaneo e vero, senza rifiuti e tentativi di correzione, può essere arduo e doloroso, accidentato, ma è sensato, ha un senso, stimola e apre l'individuo al vero, è dalla parte della sua conquista di autonomia di pensiero, di maturità vera. Se accompagnata da sguardo e da apertura riflessiva tutta l'esperienza interiore, non osteggiata e non soffocata, cala nel vero e alimenta la presa di coscienza, conduce l'individuo alla crescita che gli è possibile e che gli spetta, se non vuole perdersi e nascondersi nel qualunque. Intesa in questo modo, come la profonda trasformazione del diventare se stessi, del dare vita al proprio, attraverso il rapporto e il dialogo con la propria interiorità, ristabilendo l'unità di tutto il proprio essere e non invece, come più spesso si vorrebbe, come ritorno al solito e al normale, con messa a tacere (illusoria) della propria  parte profonda, l'idea di guarigione acquista per se stessi un significato valido e pienamente favorevole.

lunedì 4 novembre 2019

La guida interiore

La parte conscia dell'individuo si fa vanto di superiorità rispetto alla componente interiore e profonda nel garantirgli capacità di guida affidabile, la suppone. E' comprensibile che lo faccia, visto che nell’esperienza di molti, questa parte di se stessi, che fa leva su volontà e pensiero ragionato, da sola e volendo essere sola, ha tirato e tira la carretta. La parte inconscia però non è, come ritiene spesso il pensiero comune, un magma di paure, un serbatoio di brutte esperienze, uno strepitio di pretese infantili e di convincimenti irragionevoli e assurdi, dunque una parte inaffidabile. L'inconscio è la parte di noi stessi che sa vedere le cose che ci riguardano da vicino con trasparenza e fedeltà di sguardo, sapendo, ben diversamente dalla parte conscia,  contemporaneamente allargare la prospettiva per cogliere l'insieme e ciò che ne sarebbe nel tempo di noi stessi procedendo nella modalità consueta. La parte conscia vuole la continuità, dice cose che confermano solo ciò che è solita credere, sostanzialmente non sa staccare da ciò che le è abituale e che dà per scontato, per vedere riflessivamente e senza pregiudizio cosa sta sostenendo e in che modo. La parte conscia si illude di essere lucida, obiettiva, capace di riconoscere e di garantire a se stessi il meglio e il più favorevole, in realtà è spesso cieca e passiva, ripete più di quanto non creda luoghi comuni e si avvale nel pensare, nel ragionare sull'esperienza di attribuzioni di significato prese in prestito e date per scontate, cerca all'esterno convalide rassicuranti e si fa persuadere dall'approvazione altrui, ne dipende, perciò si chiude e si rigira su se stessa. Non sa vedere la passività che la costringe a far suo ciò che è già definito come valore e significato, non sa vedere la propria inconsistenza di pensiero. Perché il proprio pensiero sia fondato e affidabile, tutto andrebbe capito partendo da se stessi, da scoperta di significati dentro e attraverso la propria esperienza, i propri vissuti. Le proprie vere ragioni di vita e potenzialità tutte ancora sarebbero da scoprire, da riconoscere. L'inconscio non ignora tutte queste questioni e necessità vitali, l'inconscio è la parte di noi legata a ciò che autenticamente e profondamente siamo, con cui e per cui siamo venuti al mondo e che potremmo far vivere e realizzare, è la parte che non chiude gli occhi, che sa riconoscere il niente camuffato da tutto, il vuoto, l'inconsistente dove la parte conscia crede ci sia chissà quale sostanza. L'inconscio è il nostro saper vedere senza illusioni e trucchi, il nostro porre in primo piano il vero, rispetto alla tendenza a far funzionare comunque le cose, cercando a testa bassa di non perdere punti, di non rimanere indietro rispetto agli altri, provando con ogni mezzo a far girare il meccanismo, a proseguire comunque. L'inconscio contrasta la tendenza dominante nell'individuo, cerca di fargli sentire lo scricchiolio dell'insieme dell'assetto del modo di essere e di procedere, che pretenderebbe di essere solido, quando in realtà è fragile, sconnesso. L'inconscio al mantenimento di questo insieme non dà manforte. Ansia e quant'altro trovi espressione nel disagio interiore servono a far sentire l'intimo profondo disaccordo, a far sentire la necessità di un cambiamento di sguardo e di rotta, a consegnare il compito non di tirare avanti dritto incuranti, ma di cominciare davvero a guardare senza veli, a capire come si sta procedendo, di cosa si è sostanzialmente privi. Il vizio di fondo di tanto pensiero psicologico e psicopatologico è di considerare l'uomo come un meccanismo che deve stare dentro, funzionare regolarmente e realizzarsi nel cosiddetto "reale", il che altro non significa se non lo stare sui binari e nell'adesione a ciò che, pur con tante varianti e opzioni alternative, nella sostanza è già modellato e dato, già pensato e detto, che nulla ha a che vedere con la formazione di pensiero proprio, con la scoperta di se stessi e del proprio progetto, che l'inconscio stimola con insistenza, che vuole con forza, perchè condizione per essere artefici del proprio destino e liberi, non gregari. Dove la parte conscia tira dritto e consolida solo il pregiudizio, l'inconscio "pensa" e cerca di far sentire la sua presenza, di esercitare la sua influenza, tutt'altro che negativa, anche se vissuta come disturbante. L'inconscio non è lontano o destinato per sua natura a rimanere tale. Anzi il nostro inconscio vuole esserci nella nostra vita, stimolarci e sostenerci nell'impegno di crescita, consegnandoci (attraverso i sogni principalmente, ma anche plasmando tutto il corso interiore dei nostri vissuti, del nostro sentire) nuova linfa e pensiero, vuole che sia condiviso dalla nostra parte conscia, cui chiede coinvolgimento, impegno e serietà, sacrificio della pretesa di capire tutto in un attimo o, peggio, di sapere già. L'inconscio non è uno strano accessorio o una presenza aliena, non è un'entità misteriosa, destinata a sfuggirci, di cui solo gli esperti possono dire, con quale cognizione di causa è tutto da vedere. L’inconscio siamo noi in una parte ed espressione del nostro essere, che ahimè spesso teniamo lontana, sminuiamo, sul cui conto abbiamo pregiudizi, verso cui, per definirla, impieghiamo stereotipi, che in definitiva molto spesso non conosciamo nel suo vero volto, significato e valore. L’inconscio è la parte di noi che raccoglie e documenta ogni passo del nostro procedere, che evidenzia continuamente nelle nostre emozioni e stati d'animo il vivo e la complessità di cui è fatta la nostra esperienza, il vero e l'intero, senza omissioni o aggiustamenti di significato o riduzioni di comodo, come, pensando col ragionamento, tendiamo spesso a fare. Capita che già giovani o giovanissimi si veda il proprio corso d'esistenza, che si vorrebbe quietamente e piacevolmente sereno, turbato da malesseri o da crisi interiori, non per caso, non per cedimenti o per insufficienze banali, non per difetti di buon funzionamento, ma per ragioni più profonde, di mancanza di basi salde di unità con se stessi, di conoscenza di se stessi, senza le quali è compromessa la capacità di farsi buoni interpreti di se stessi e di guidarsi autonomamente, di sventare il rischio di farsi sostituire, di affidare la proprio vita e il proprio futuro a guida esterna piuttosto che interna. Già pare infatti modellato, spiegato e detto ciò che va inteso per realizzazione personale, per crescita, per ricerca del bene della propria vita. Le tappe, le occasioni, i modi di intendere la maturità sembrano già definiti e scolpiti nell'esempio comune, nel pensiero vigente, prima di ogni possibilità e impegno di scoperta e di ricerca personali. Il rischio di saltare la propria ricerca e di imboccare strade presegnate, tradendo, deludendo le proprie ragioni e aspirazioni profonde, nemmeno indagate, coltivate e conosciute, è fortissimo. L’inconscio non per caso intralcia il cammino, fa sentire con ansia, attacchi di panico o quant’altro cosa vacilla e manca, forza l'individuo col malessere ad andare più verso se stesso che verso l‘esterno e verso altri, gli fa toccare con mano la sua non familiarità e lo smarrimento nel contatto con il proprio mondo interiore, gli fa sentire l'urgenza di porvi rimedio, di non procedere incurante di questo stato di incomprensione con se stesso. Non è distruttiva la pressione che l’inconscio esercita sull'individuo, è provvidenziale e saggia, gli vuole togliere illusioni, vuole spingerlo a delle verifiche attente e approfondite da farsi con i propri occhi finalmente. L'inconscio vuole aprire all'individuo una stagione di profonda trasformazione per sostituire il posticcio di una identità e di un senso della propria vita prese in prestito, fragili, non verificate e comprese davvero (fondate più sull’imitazione e sulla ricerca dell’intesa con l’esterno e con gli altri che sul confronto con se stesso) con la presa di coscienza, con la formazione di proprie idee fondate e verificate, con la formazione di propria visione, in stretta unità e accordo col proprio intimo e profondo. Il rischio per l'individuo di sprecare la propria vita diventando copia d’altro e dipendente da altro, che, nel pensato e nell'esempio comune, nel già organizzato e strutturato, nel cosiddetto "reale", è pronto a suggerire, a convalidare, a sostenere, a dare le dritte, non è sottovalutato dalla parte profonda di se stesso. Non è un caso se l’inconscio fa il guastafeste, se fa ad esempio sentire senso di fragilità, di sfiducia, senso di vuoto e di inutilità. Simili vissuti sono facilmente giudicati patologici, sbagliati, espressione di qualcosa che non funziona come dovrebbe. In realtà l’inconscio turba il quieto vivere per dare indicazioni impegnative quanto fondate e vere, non ci può essere ad esempio fiducia in se stessi se di proprio non si è ancora compreso e messo assieme nulla. L'inconscio può diventare la guida più affidabile e sicura, se si impara a comprenderlo e a rispettarlo in ciò che è, se se ne condivide lo spirito e l'intento, se, dando risposta appropriata al malessere interiore, si decide, procurandosi l'aiuto valido e necessario, di cominciare un serio lavoro su se stessi, di aprire una stagione di crescita e di cambiamento. L'inconscio non difende il quieto vivere, perchè non ha a cuore il persistere in ciò dentro cui si è solo pallida immagine e inautentica di se stessi. L'inconscio è impegnativo, perchè non appoggia passività e rinuncia, illusioni e comodo, ma è un potente alleato nell'impegno di far vivere se stessi, di mettere al mondo con la propria vita qualcosa che abbia un contenuto originale e un senso.

domenica 3 novembre 2019

Non basta, ma...

La difesa a oltranza di quanto raggiunto e fino a oggi messo assieme di cose fatte, di modi di procedere e di pensarsi, spinge molti a sentenziare che il malessere interiore, che quanto vissuto interiormente, che non concede quiete, che stona con le pretese che tutto sia a posto e valido, sia solo un intralcio da togliere di mezzo, una anomalia, una patologia da correggere e sanare. Tenersi stretto l'usuale e conosciuto, far fuori ciò che di se stessi nel sentire complica e ostacola il procedere, conduce presto a giudicare ciò che interiormente non dà tregua come un disturbo, come espressione di malfunzionamento, di guasto cui mettere rimedio, cui imporre la cura, il ricondizionamento, la disciplina del rientro nella cosiddetta normalità. Ciò che ci si tiene stretti, considerato irrinunciabile, valido e sufficiente per definire se stessi e il proprio, fa acqua, l'intimo di sè lo dice, soffia forte l'insicurezza, il timore, l'apprensione, quell'ansia giudicata insana e maledetta, come di chi è smarrito, di chi sente e profondamente sa di essere in pericolo perchè appeso a un nulla, che se si confrontasse a viso aperto con le incognite della vita dovrebbe riconoscersi senza validi punti d'appoggio e di riferimento, senza capacità di capirsi e di capire, confortato solo dall'abitudine, dal non stare troppo a chiedersi, dal seguire l'andazzo e il pensato comuni, dall'affidarsi a qualche invenzione e costruzione a volo libero del ragionamento, che pare soddisfare l'esigenza di capire quel che c'è da capire, che pare dare sicurezza. Non basta ciò dentro cui ci si rinserra, tirando calci come fosse presenza estranea e nemica alla propria interiorità, rigettando come fosse solo roba molesta, senza ragione e scopo, ciò che sta interiormente con insistenza tentando di imporsi all'attenzione, di far capire che tanto di ciò a cui si è affidati è malcerto e non sostenuto da conoscenza fondata e approfondita, non basta, ma ci si attacca ostinatamente confermandolo come valido e vero. Non basta ciò a cui ci si tiene tenacemente legati, è solo una parvenza di consapevolezza, è solo una apparenza di realizzazione e di identità proprie, che si reggono più su conferma esterna che interna, a starci attenti lo si avverte, perchè tanti stimoli e suggerimenti del sentire lo svelano, non basta e spesso scricchiola, ma lo si considera insostituibile. Se è comprensibile che, in assenza d'altro (quando ancora non ci si è impegnati a aprire un'altra strada, a generare altro che non siano le risposte già pronte e già conosciute), affidati a un modo di concepire la vita, che esclude che possa esserci altra fonte che non sia esterna per la propria crescita, ci si tenga stretto l'abituale e conosciuto, non meno potrebbe diventare discutibile ai propri occhi soffocare e liquidare come presenza molesta e insana la propria intima voce, colpevole di scuotere le false e fragili certezze, di pungolare alla ricerca del vero. Un barlume di dubbio che non ceda presto alla voglia di tirare avanti lasciandoselo alle spalle, una spinta di desiderio di incontro e di scambio approfondito con se stessi per aprire gli occhi senza compromessi e arrangiamenti di comodo, che non sia fugace, potrebbe farsi strada. Solo il coraggio di esporsi al confronto con la parte intima e profonda di se stessi, che agita il problema, che solleva la questione del vederci chiaro, del cercare proprie risposte non truccate e non raffazzonate, del coltivare e generare una visione e un pensiero propri, potrebbe trarre in salvo la propria vita e offrire a se stessi qualcosa di valido e di consistente, che, alimentato, guidato e sostenuto proprio dalla propria parte profonda, porterebbe ben oltre quella simulazione di esistenza, che, pur non bastando, ci si è tenuti  fino a oggi ostinatamente stretta.

venerdì 1 novembre 2019

La grande manipolazione

Una non piccola parte o minoritaria delle cure sul terreno psicologico, delle idee e dei principi che le sottendono e sostengono, punta alla correzione, al superamento di ciò che interiormente intralcia il corso abituale dell'esperienza, che lo complica, che non asseconda l'agire solito, che non soddisfa le pretese della parte cosiddetta conscia, che non le dà solidarietà, che anzi la frena, le mette ostacoli. La parola d'ordine è curare, nel verso del combattere, neutralizzare, manipolare e correggere ciò che, inteso a priori e reso ferrea convinzione dal senso comune e da tanti pretesi portatori di scienza e conoscenza, come disturbo e cattivo funzionamento, non è compreso come richiamo e come proposta intelligente e sensata. Ciò che interiormente crea ostacolo, che intralcia non è uno stato insano da curare, ma è l'espressione di una iniziativa ben ponderata, della ferma contrapposizione della parte profonda del proprio essere a proseguire inconsapevoli, ostinati difensori di un'idea di se stessi e della propria vita che, anche se fragile e spiantata, dettata e sorretta da modelli e da credo comuni e non fondata su esperienza e su riflessione proprie, non tollera discussione. C'è una tale assuefazione a idee e a valutazioni date per scontate, che il fraintendimento passa per regola e per assoluto. L'esperienza interiore non è una meccanica da regolare, è una espressione forte e degna della capacità di cui nel nostro profondo disponiamo di guardare nell'intimo ciò che stiamo facendo di noi stessi, di renderne visibili, tracciandole e marcandole nel sentire, le implicazioni. Da un lato ce la raccontiamo, dall'altro il nostro sentire vuole ridarci il significato vero, il perchè, l'intenzione racchiusa in ciò che diciamo, che facciamo, nelle risposte che diamo, nelle iniziative che assumiamo. Non solo, ma la parte profonda di noi stessi vigila su ciò che sta evolvendo e non trascura di darci segnali, che vogliono farci comprendere la rotta che stiamo seguendo, ciò che rischiamo in termini di ritardo di crescita vera e di non possesso di autonomia, di mancanza di bagaglio di consapevolezza di noi stessi, di mancato possesso di punti di riferimento indispensabili per non andar dietro e per non farci dire dove andare, dove portare la nostra vita e verso quali appuntamenti, mete e realizzazioni, per comprenderle e indirizzarle viceversa in intesa con noi stessi. Non sono casuali ansietà, attacchi di panico, dove non ci sia vicinanza a se stessi, costruzione e disponibilità di idee e di visione proprie, capaci di non consegnare la propria vita a regola e a guida esterne, piuttosto che a proprie scoperte di significato e di valore. Non è un caso che anche i più giovani siano assaliti da simili richiami potentissimi, come ansietà diffusa e attacchi di panico, che la parte profonda dà per far valere e prevalere la necessità di mettere al primo posto il  radicamento in se stessi e l'intesa con se stessi piuttosto che con altri e col fuori, per non ritrovarsi in balia di influenze esterne, vincolati alla  tendenza a farsi portare e confermare dagli altri piuttosto che all'istanza di formare e di dotarsi di guida e di bussola proprie. Il rischio di sintonizzarsi con idee e con modelli comuni, piuttosto che col proprio intimo e profondo, per formare capacità di visione e consapevolezza, il rischio di infilare la propria vita in percorsi stridenti e comunque incomprensivi di ciò che è più consono con se stessi e con le proprie ragioni d'esistenza e potenzialità, è un rischio non da poco. Non per caso in una tale situazione in cui, a dispetto delle apparenze, l'individuo  procede sprovvisto dell'essenziale e incautamente, il profondo, con intelligenza e con lungimiranza, lo incalza col vissuto di ansietà, di apprensione e di paura insistente, di senso di insicurezza, di fragilità e di smarrimento, che non danno tregua, fino a dare lo scossone e l'allarme estremo, fino al timore panico che la vita possa bruscamente interrompersi, che non sia più certa. Non va mai dimenticato che ciò che si propone nel sentire, anche nelle sue forme più estreme, spiacevoli o conturbanti, ha un senso e dà volto significativo e efficace, mai agendo fuori misura o a casaccio, a ciò che, rimanendo abbarbicati alla superficie e a idee solite circa se stessi e il significato delle proprie esperienze, si rischia di non comprendere, anzi di rigettare e di liquidare come disturbo e come patologia. L'intelligenza del profondo rischia in tantissimi casi di essere misconosciuta e addirittura fraintesa e distorta come segno di debolezza e di incapacità, tanto che assai di frequente le cure pretendono di imporre a questa parte, a ciò che determina interiormente, disciplina e correzione come fosse stupida e insipiente, capace solo di risposte sconvenienti e disfunzionali. Siamo al colmo dell'arroganza e della presunzione della parte conscia, che pretende di dettare legge con i suoi principi rigidi, frutto di docilità al senso comune e alla logica prevalente, alla parte di se stessi che più sa e che più saprebbe trarre in salvo e rimettere in piedi l'individuo come soggetto autonomo e consapevole.