La vita interiore, il suo linguaggio, ciò che propone, lo
scopo che persegue sono ben altro e si collocano in tutt'altra prospettiva
rispetto al modo abituale e comune di considerare e di trattare l'esperienza
interiore. Frequentemente chi è investito da malessere interiore da un lato non
ha strumenti per capire ciò che la sua interiorità sta cercando di dirgli e di
condurlo a conoscere, dall'altro non si astiene dal sovrapporre e dall'imporre
a ciò che sente rapide spiegazioni e sbrigativi giudizi, che, riportando e
forzando tutto dentro schemi già noti, non sanno rispettare e comprendere il
significato originale e lo scopo di ciò che sta vivendo interiormente. Accade
così che da una parte l'individuo cerchi spesso in primo luogo di stare al sicuro
e nella conferma del suo modo di condursi e di pensarsi, ritenendo che tutto
interiormente debba svolgersi concordemente con le sue attese, senza sorprese e
"normalmente", mentre dall'altra la sua interiorità, la parte intima
e profonda di se stesso (che, pur non essendo affatto irrilevante, è in genere
misconosciuta nel suo valore e nella sua affidabilità) spinge invece per fargli
fare, attraverso tutto ciò che nel sentire mette in movimento all'interno del
suo spazio interiore, esperienza significativa che lo porti a aprire gli occhi
su se stesso, a conoscersi davvero, al di là delle apparenze. L'attività del
profondo, i segni della sua presenza sono incessanti. Se durante la notte,
quando non c'è nulla che distrae e che porta via, quando nel sonno la parte
conscia si ritrae, la parte profonda ha l'incontrastato prevalere e nei sogni
fa sentire la sua voce, offrendo perle di ingegno e stimoli a guardare dentro
se stessi, di giorno non cessa di far sentire la sua presenza, regolando stati
d'animo e emozioni e tutto ciò che il sentire propone. Il proprio sentire,
l'insieme degli svolgimenti interiori, tutto guidato dal profondo, vuole
indirizzare la consapevolezza, dare base e terreno valido su cui poggiare per
capire, per entrare nel vivo e nel vero della propria esperienza, per
riconoscere il proprio stato e modo d'essere. Anche se contrastante con le
proprie attese e preferenze, il sentire non dice cose assurde, anche se
spiacevole e fastidioso, non mostra segni di anomalia, parla con un linguaggio
che non è quello concreto e convenzionale. E' necessario imparare a conoscere
le particolarità di questa parte di se stessi, a comprenderne lo specifico
linguaggio, ben diverso da quello razionale, se si vuole far proprio ciò che
sta dicendo e che vuole far capire, se si vuole evitare di liquidare come
malfunzionante o disfunzionale ciò che non si ha capacità di comprendere nel
suo vero significato e valore. Per potersi avvicinare a se stessi e per non
rimanere sulla difensiva nei confronti della propria interiorità, per scoprire
che l'esperienza interiore difficile e sofferta non è una minaccia da
contrastare, una fonte di danno, bensì un contributo e una guida fondamentale
per capirsi e per crescere, si ha necessità di essere aiutati a comunicare con
se stessi. Ci vuole una mentalità diversa rispetto a quella solita e comune per
capire le vicende interiori, per non fraintenderle, per non correre il rischio
di ridurre tutto a questione di mancato funzionamento normale, etichettando ciò
che non rispecchia i canoni di presunta normalità semplicemente come
espressione di un guasto, come malato. Ciò che si spaccia per evidenza, l'idea
che ciò che è sofferto e spiacevole interiormente sia dannoso e contrario ai
propri interessi, svela solo l'incapacità di capire l'esperienza interiore.
Siamo individui complessi, fatti non solo di superficie razionale, ma anche di
vita e di intelligenza profonde. La parte profonda di noi stessi bussa, a volte
con molto vigore e insistenza, vuole farsi ascoltare, vuole coinvolgere tutto il
nostro essere, lo fa coi sogni, lo fa con vissuti e con esperienze interiori,
anche ben poco agevoli, come l'ansia, a volte con richiami potentissimi e
estremi come gli attacchi di panico, si tratta di imparare a ascoltarla e a
intenderla, a dialogare con essa. La parte profonda del proprio essere,
tutt'altro che primitiva, sprovveduta o cieca come si pensa sia tutto ciò che
non è di matrice razionale, non è curante di mantenere la corsa, di inseguire
l'adattamento, l'efficienza nel condursi avanti secondo i criteri resi scontati
solo perchè abituali e ricorrenti. Il profondo è curante di capire cosa si sta
facendo di se stessi e perchè, di aprire a tutto l'essere una simile
riflessione, di comprendere le proprie vere potenzialità, di rompere il legame di
dipendenza da altro che sembra dare le guide e i limiti, ma di fondare su basi
proprie di consapevolezza il proprio modo di procedere e i propri scopi.
Invocare come condizione positiva e ideale l'assenza di tensione interiore,
cercare di evadere da ciò che si sente giudicandolo anomalo e nocivo quando
doloroso e difficile, affidarsi a rimedi che allontanino e che mettano a tacere
ciò che si prova è come dissociarsi da se stessi, è come erigere un muro contro
parte viva di sè, che ha tutt'altra intenzione che di recare confusione e
danno, che ha ben altra e forte potenzialità e capacità di dare rispetto a ciò
che comunemente si pensa. Un percorso, quando ben fatto, di analisi serve
proprio a questo, non a rimettere tutto in riga per insistere nel solito modo
di concepire il proprio bene e il proprio procedere a senso unico, ma a trovare
capacità di incontro e di dialogo col proprio profondo, a intendere ciò che il
proprio sentire e i propri sogni sanno dire e guidare a conoscere in modo
aperto e senza veli di se stessi, a trasformare per non essere ciechi
ripetitori di senso comune e prevalente, ma creatori del proprio pensiero e del
proprio destino. E' un percorso che consente di scoprire, di toccare con mano
che, quando si impara a ascoltarlo e a comprenderlo fedelmente, non c'è fonte
di danno in tutto ciò che vive e si propone interiormente. Solo l'ignoranza, la
non conoscenza e la lontananza da se stessi, spesso sostenuta da presunzione di
sapere cosa interiormente sia ammissibile e non, normale e non, può fare danno,
serio danno.
mercoledì 28 aprile 2021
Non fa danno
domenica 18 aprile 2021
La vita interiore, capire senza preconcetti
E’
molto diffusa la tendenza a fare uso disinvolto e sicuro di diagnosi e di
autodiagnosi, unito all’idea di malattia, della sofferenza interiore come
disturbo e intralcio. Supporre malattia, dell'anima o del cervello, nei confronti di parte di sè con cui, volendo, procurandosi l’aiuto necessario e
utile, si potrebbe cercare incontro e dialogo, impegnativo, ma
possibile, credo sia l'equivalente della pretesa di capire un altro individuo,
di dirne, senza entrarci in rapporto e in ascolto. Voglio però ora considerare
non tanto ciò che accade a chi si ferma subito e confida solo nella chimica
come arma e correttivo del proprio sentire, che ormai tratta come presenza
nemica, come patologia da scacciare, salvo ritrovarselo cocciuto e ribelle
dietro ogni angolo e piè sospinto, non perché perfido, ma semplicemente perché
non ci sta a farsi imbavagliare e bistrattare. Voglio ora considerare quel che
può accadere a chi cerchi di avvicinare le cose in altro modo, a chi decida di
impegnarsi a capire. Anche qui accade non di rado che la scelta di capire
discenda e sia tutt’uno con la pretesa di scovare l’inghippo, la causa del
"male", il perché del patimento, che dovrebbe avere alle spalle
qualche esperienza e fattore avverso, qualche spina mai tolta. Si torna anche
in questo caso a supporre, a definire a priori, a pensare l’esperienza
interiore e lo stato ideale con preconcetto. L’approccio stesso all’esperienza
interiore, ai propri vissuti, al proprio sentire, risentono di un simile
preconcetto. Capita che l’esperienza interna e vissuta venga guardata
sbrigativamente, per andar presto a spiegare, a cercare ipotetici perché.
Questo è un modo assai frequente di procedere e di pensare, significativo di una
difficoltà, spesso di un vuoto d'esperienza di rapporto con le vicende
interiori e di ricerca. Seguire il percorso interiore, impegnarsi, accettando
il coinvolgimento pieno nell'esperienza interna, ad avvicinare senza
pregiudizio, ad ascoltare e a fare proprio quello sguardo intimo, è cosa
certamente inusuale, come lo è la capacità di riflessione vera. Spesso si
intende la riflessione semplicemente come rielaborazione e riordino di
pensieri; è già più raro che si intenda la riflessione come il sostare con più
attenzione sull'esperienza in corso, sull'esperienza vissuta. Anche in
quest'ultimo caso di fatto la riflessione spesso si traduce nel lavorio del
ragionamento, che, in separata sede rispetto al vissuto, al sentire, costruisce
ipotesi e spiegazioni sul suo conto, confeziona un vestito cui fare stare
dentro, adattare cio' che si sente, che interiormente si sperimenta. La
quadratura del ragionamento, unico appiglio per non ritrovarsi persi o in balia
dell'incertezza, spesso tanto offre momentanea quiete e dà apparente
soddisfazione quanto coincide, a starci ben attenti, con la sensazione di non
aver trovato vero incontro col sentire, di cui, malgrado il tentativo di
spianarlo o di metterlo in gabbia, si continua a percepire l'estraneità,
l'essere altro e potenzialmente ribelle rispetto al marchingegno della
spiegazione e del chiarimento costruiti, escogitati. Persino la psicoterapia e
il chiarimento o la presunta presa di coscienza che in essa si cerca e si
sviluppa, rischia non di rado, se affidata allo sforzo di spiegare facendo leva
su teorie già fatte e pronte e su sforzi o acrobazie del ragionamento, di
cadere nella stessa trappola. Purtroppo succede che rispetto a cio' che accade
interiormente si sia pronti e inclini in partenza ad applicare mezzi e strategie
per accomodare, per riportare le cose al dritto, supponendo di aver già chiaro
quale debba essere il verso giusto, normale delle cose. Frequentissima la
ricerca, attraverso lo scandaglio di esperienze del proprio passato, di
qualcosa che finalmente faccia trovare la presunta causa di tutto, del
"distorto" modo d’essere e di percepire, dello stato d’afflizione
interno che non dà quiete. Non appena all’orizzonte compare qualcosa che
verosimilmente potrebbe spiegare, giustificare, essere la chiave di volta, ecco
che finalmente pare d’aver trovato il perché liberatorio. Peccato che tutto
questo lavorio nasca e sia conseguenza di un preconcetto circa il significato
dell’esperienza e della sofferenza interiore, che tutto il lavorio di ricerca
si muova stando dentro riferimenti e pregiudizi soliti, che il chiarimento sia
più un ragionato, pur sottilmente, teorema, che una vera scoperta. La
sofferenza interiore non è affatto scontato, come invece pare ai più, che sia
sintomo, segnale di un danno patito, di cui, rintracciate l’origine e le cause,
ci si possa liberare, riportando così dentro se stessi quiete e equilibrio,
benessere. Spesso la sofferenza interiore è frutto e espressione di iniziativa
del proprio profondo, è rottura di equilibri, per generare qualcosa che non
c’è: prima di tutto avvicinamento a se stessi, capacità di capirsi, costruzione
di un proprio modo di vedere e di conoscere, che non ci sono, capacità, che non
c’è, di autogoverno, di farsi interpreti di sé, di avere pensiero e capacità di
condursi autonomi, che rompano con il sostanziale fare leva e rimasticare idee
e modalità comuni, con la dipendenza da convalida e da considerazione altrui,
con la dipendenza dall’offerta di soluzioni preconfezionate e percorsi segnati.
La sofferenza interiore è soprattutto proposta, specchio di verità per
conoscere se stessi e il proprio stato e modo di procedere, è pungolo e guida
di ricerca, inizio di ricerca e di trasformazione. Comprenderla non è facile,
ma offrendole ascolto e non pregiudizio è possibile. Purtroppo la ricerca e la
concezione della cura in ambito psicologico coincidono non di rado con
l'elaborazione di un'ingegneria di risposte e di soluzioni volte, protese dal
principio a mettere in ordine, a sistemare, a manipolare, a contrastare, correggere,
piuttosto che ad ascoltare e a capire veramente la vita e l’esperienza
interiore. In partenza e a priori l’idea che questo modo d’essere e di sentire
o corso d’esperienza interna sia anomalo, che quell’altro sia inopportuno, che
quest’altro ancora sia il più conveniente e giusto. Che presunzione! La psiche
pero' è fatta di espressioni continue che sfuggono, che non stanno dentro lo
schema, è fatta di ostinata intraprendenza e pressione profonde che non si
fanno zittire. L'interiorità che si presume di spiegare e all’occorrenza di
mettere in riga, dice, sollecita, produce, anche in modo disturbante o
dissonante rispetto a gusti o attese, torna a premere anche se inascoltata,
anche se, quando torna decisa a bussare, si parla di “ricaduta” di malattia. E’
raro che le si dia retta, che ci si impegni in un incontro disponibile e
attento con la propria interiorità, nel suo ascolto vero. Purtroppo è persino
possibile che ci siano esperti della psiche e della sua "riparazione"
che hanno avuto accesso più a libri e a insegnamenti, ad apprendimento di
tecniche, che, prima di tutto, al rapporto con la propria interiorità, con cui
non hanno avuto e non hanno esposizione, contatto, apertura vere. L'interiorità
apre percorsi, non casualmente, non disordinatamente o insensatamente, traccia
solchi che, se seguiti e compresi, se riconosciuti in cio' che dicono, che
mostrano, che rivelano, offrono la possibiltà preziosissima di avvicinarsi a se
stessi, di lavorare su se stessi, di vedere con i propri occhi cose importantissime
e di vitale importanza per sè . Se si impara a cercare l'intimo di cio' che si
sente, se si impara a lasciarsi prendere e segnare dal sentire e nello stesso
tempo a cercare di prendere visione di cio' che lì dentro, in cio' che si sta
provando, sta prendendo forma e si sta rivelando di se stessi, ecco che si fa
riflessione vera (come guardandosi dentro uno specchio), ecco che il dialogo
con sè, con la propria interiorità, con cio' che dice anche di sofferto,
comincia a ricomporsi. Non è facile, ma è possibile. Non accade in un attimo,
bisogna lavorarci tanto e a lungo, con pazienza e coraggio, con estrema cura.
Può diventare necessario e utile farsi aiutare a formare e a sviluppare questa
capacità di incontro e di dialogo con se stessi, con la propria interiorità da chi sappia farlo. Se si fa
questo si ha occasione di scoprire che l'interiorità, che la propria
interiorità dice, anima, rivela, crea, anche passando per percorsi insoliti o
accidentati, ma necessari, illuminanti, veri, opportuni, intelligenti. Si puo'
smetterla di fare ipotesi da fuori o congetture circa cio' che è o che vale la
sofferenza o circa le sue ipotetiche cause e se ne comprende la proposta, il
messaggio vero. Si puo' fare. Non c'è cosa che ho scritto che non venga da
rapporto con l'esperienza interiore, mia prima di tutto e d'altri con cui da
molti anni mi confronto, nel tentativo di sostenerne lo sforzo di aprirsi a se
stessi, di prendersi cura di se stessi.
domenica 11 aprile 2021
Accade che il tuo profondo scelga in modo diverso dalla tua volontà
Accade che il tuo profondo scelga in modo diverso dalla
tua volontà, che non concordi con il perseguimento di ciò che la parte di te
cosiddetta conscia vorrebbe ottenere, persuasa che l’ideale, che lo scopo da raggiungere
sia, ad esempio, quello di vivere libero da tensioni, da inquietudini giudicate
anomale e non dovute, insieme al possesso immediato della sicurezza, della
capacità di reazione pronta, di perseguimento dell'obiettivo che pare, per idea
tua e comune, valido e desiderabile, favorevole. Capita che alla parte di te
profonda non sfugga la necessità di un diverso modo, non apparente, non affidato
a guide e a conferme esterne, ma ben fondato su conoscenza profonda di te, di realizzare
te stesso. Capita che il tuo profondo non ignori del tuo stato presente e del
tuo modo di condurti i vuoti, la mancanza di scoperte di significato e di
valore tue, di un tessuto vivo di pensiero non dissociato dall’intima
esperienza, ma fondato su vissuti, su sentire, la necessità e la priorità di formarlo, di svilupparlo, perché essenziale,
non per dare prova, non per dimostrarti all'altezza delle comuni e abituali
pretese, ma per avere del tuo che ti guidi e sostenga, un tuo in cui tu creda e
in cui ti riconosca, che diventi modo di procedere, scelte e progetto che vuoi
realizzare. Oggi avere fiducia in te è quasi una pretesa, lo vivi come un
diritto, come se si trattasse di un'ovvietà, come se i giochi fossero già
fatti, come se un pò d'anagrafe e di esperienze fatte di per sè dovessero già
darti forza e maturità di risposta nelle diverse situazioni. Al tuo profondo
preme la sostanza, non cade vittima delle illusioni, se la fiducia in te va
fondata su reale possesso di risposte tue, guadagnate da incontro e da
confronto con te, da scoperta con i tuoi occhi di significati che abbiano
radice in ciò che vivi dentro l’esperienza, che senti, che non siano quelli
presi in prestito, già codificati e comuni, subito disponibili per essere usati
e rimasticati, ridetti senza capire alla radice nulla, ecco che il tuo profondo
non ci sta e vuole per te e con te un percorso, casomai più lungo e graduale,
più impegnativo, ma certamente più appassionante, oltre che promettente, per
conquistare capacità tua autonoma di pensiero e di scelta. Non è uno sfizio
questa autonomia, è la base per esistere, per non essere gregario rispetto a
principi e a idee comuni, per essere pensante e capace di concepire il tuo,
coerentemente con te stesso, è la base per sentirti appassionatamente
consapevole di ciò che dici e che ti proponi e libero di non infilarti nel
percorso segnato da altri e da altro, ma di intraprendere e seguire percorso
tuo originale e verso scopo tuo, da te compreso e concepito. Capita che il tuo inconscio,
che il tuo profondo ti neghi percezione di sicurezza e di fiducia, per
rifondarle su basi nuove, per non insistere nell'andare avanti con fiducia
fittizia e immeritata, non agli occhi altrui, ma ai tuoi. Capita che il tuo profondo
ti spunti l'arma della replica pronta, della parola e dell'affermazione
efficaci, per far sì che, tacendo, incassando la tensione, tu ti chieda cosa
quella domanda ha mosso in te, cosa significa dare risposta e alla ricerca di
che cosa, di tradurre qualcosa in cui credi davvero e che davvero comprendi e
puoi sostenere o sforzandoti solo di convincere altri, sventando cattivo
giudizio, meritando buona considerazione. Al tuo profondo preme la tua crescita
vera e sostanziale, non gliene frega di vittorie di pirro, di buone riuscite in
pubblico, di successi del cavolo, che non hanno sotto davvero la capacità di
concepire idee fondate e appropriate all’esperienza vissuta, di pensare
autonomamente e non di rimasticare roba incompresa. E’ una capacità che va
formata e sviluppata gradualmente, è la capacità di capire e di capirti, che si
fonda sul non tacerti nulla, anche se scomodo, è la capacità di formare
qualcosa di tuo, di tessere filo di pensiero tuo. La visione del profondo è
straordinariamente più saggia e lungimirante di quella della parte cosiddetta
conscia, che spesso, pretendendo di fare da sola, si fa bastare illusioni e che
è così incline al cieco aderire a modelli prevalenti, all'impazienza. L'ansia e
quant'altro che interiormente crea instabilità, che segnala crisi e che non dà
quieto vivere, vogliono proprio rilanciare la tensione del cambiamento,
mostrare crepe, invitare con forza, talora con prepotenza, come con gli
attacchi di panico, alla priorità dell'avvicinamento a se stessi, del lavoro su
se stessi, rispetto al cieco andare avanti con pretesa che tutto sia già a
posto. Quando coinvolti da disagio e da malessere interiore, è
frequentissima, come fosse reazione ovvia, la risposta vittimistica, fatta di
tutto un susseguirsi di lagne, di recriminazioni, di attacchi ostili all'ansia
e a quant'altro interiormente di disagevole vissuto, liquidato come
disturbo e squalificato come patologia, fraintendendone e ignorandone il vero
significato e valore di forte richiamo al compito di guardare dentro se stessi
e di formare quel che ancora non c'è: consapevolezza e tessuto umano e di
pensiero propri, unità con se stessi. Hai la responsabilità verso te stesso di
fare una scelta. Puoi continuare a metterti al riparo da dubbi, cercando
conforto nell'idea di malattia e di cura che tolga di mezzo, come fosse un
disturbo, ciò che interiormente ti coinvolge e non ti dà tregua o viceversa
puoi scegliere, raccogliendo l’invito e la proposta che origina dal tuo
profondo di prenderti davvero cura di te e delle tue necessità di crescita e di
trasformazione profonda. Puoi scegliere se impegnarti a costruire, col
contributo di chi sappia aiutarti a metterti in sintonia e in ascolto del tuo
profondo, a comprenderne il linguaggio e la proposta, le basi della tua vera
realizzazione, della tua, non apparente e illusoria, capacità di dire la tua
alla vita, di generare e di mettere al mondo il tuo o rivendicare, in nome di
un malinteso benessere, il rapido ritorno alla normalità e alla continuità
solita, a quello di cui disponevi e che eri prima che la crisi e il malessere,
che l'iniziativa del tuo profondo ti coinvolgessero.
domenica 7 marzo 2021
L'unità con se stessi
E’ molto spiacevole e, a pensarci bene, inaccettabile e
tristissimo convivere con la parte intima e profonda di se stessi, che non è certo
insignificante, senza trovare con lei intesa e comprensione, vivendola anzi
come parte nemica, come oscura minaccia, da cui guardarsi. Le espressioni della
propria vita interiore sono a volte difficili da capire, sembrano solo togliere,
sconvolgere, fare danno e minare la propria sicurezza, in una parola sembrano
essere nocive e basta. Non è vero. Nulla di ciò che si sperimenta interiormente
è casuale e insensato, solo negativo e inaffidabile, nulla soprattutto lavora
contro se stessi. Il punto decisivo, se si vuole comprendere il significato
vero della propria esperienza interiore, è un altro, è che si ha dentro e nel proprio
profondo capacità di visione lucida, non condizionata da illusioni e da
interessi di autoconferma, di ciò che si è e che è importante capire,
riconoscere, di ciò che è necessario costruire e mutare, per non perdersi, per
non proseguire il proprio cammino di vita in modo in apparenza stabile e
quieto, ma, casomai nella sostanza, sterile e fallimentare, infelice. Accade
allora che dentro di sè questa parte, che è parte viva di se stessi (non va mai
dimenticato!), prenda iniziativa, a volte forte, interiormente vistosa e
sensibile, per spingere con decisione a entrare in contatto con qualcosa di
meno evidente e scontato di quel che si vede e che si concepisce col
ragionamento, ma che certamente ha più peso e rilevanza per sè di ogni altra
cosa, di ogni ricerca della semplice continuità o del beneficio del quieto
vivere. Insomma, il malessere non è mai un accidente negativo, una disgrazia,
la semplice espressione di una debolezza o di un eccesso di vulnerabilità
personali, non è un agitarsi scomposto, un meccanismo che impazza, è semmai il
contrario, l’espressione di una ferma e lucida iniziativa interiore, per indurre
a dare priorità alla riflessione su se
stessi, a portare lo sguardo su di sè, per guidare a scoprire e a costruire
qualcosa di nuovo e che è profondamente riconosciuto necessario, anzi
essenziale. Dal punto di vista di questa parte viva e profonda di se stessi non
è prioritario stare bene in apparenza e procedere indisturbati, ma vedere con
occhio attento, riflessivo la propria condizione e il proprio modo di
procedere, per raggiungere consapevolezza vera, fondamento del cambiamento e
della crescita personali, non di facciata, ma di sostanza, della conquista
della capacità di fare propria la propria vita, di conoscere prima e poi di esprimere
il meglio e il vero di se stessi. Questa parte profonda del proprio essere, non
ha paura di mettere le cose in discussione e sottosopra, di creare a volte
anche forte intralcio al consueto procedere, ma a fin di bene, del bene vero
del conquistare qualcosa di più consapevole, di più autenticamente proprio,
corrispondente a se stessi, e di più maturo. Certo la via tracciata dalla propria
interiorità risulta scomoda e non
indolore, restituire a se stessi la
responsabilità, riconoscere la verità di ciò che si è, che si è fatto e
che si sta facendo, non eluderla o non ricoprirla di spiegazioni e di significati
di comodo, costa e non poco. Va preso atto che, soprattutto all’inizio, fino alla
scelta di avviare un serio lavoro su se stesso, c’è dissidio, forte contrapposizione
tra la parte più conosciuta e frequentata del suo essere, cui nel tempo l’individuo
si è sempre più legato e affidato, quella dove svolge i ragionamenti e dove prende
decisioni, che è spesso affidata e prigioniera di un pensiero che si
rigira su se stesso e che ricalca il convenzionalmente e comunemente concepito,
e la sua parte profonda (quella che si esprime nelle emozioni, negli stati
d’animo e nei sogni) che vede le cose, certamente con più disincanto e
lucidità, con profondità di sguardo e con radicamento nella esperienza vissuta, con consapevolezza
dell’originale patrimonio personale e del percorso interiore e di presa di
coscienza necessari per portare a compimento il proprio potenziale umano. La parte
profonda, non assoggettata a vincoli di difesa e di mantenimento del già
raggiunto e ottenuto e di aderenza al convenzionale, con più lungimiranza,
scuote gli equilibri soliti, esercita pressioni utili a mettere in moto il
cambiamento di cui conosce fondata e irrinunciabile necessità e utilità. Come
fare per passare da uno stato di disunione, di paura di se stessi e di ciò
che si vive interiormente, a una
condizione invece di dialogo, di comprensione del senso di tutto ciò che
succede nel proprio spazio intimo, di lavoro unitario e solidale con la propria
interiorità, accolta e ascoltata per intero? Questo è ciò che può consentire
una buona psicoterapia, nel segno del promuovere nell’individuo l’ascolto, la capacità
di avvicinarsi e di aprirsi a se stesso, imparando a rispettare e a valorizzare
le proposte e a capire il linguaggio della propria interiorità, sia nei
vissuti, nelle emozioni, pur intense e “tremende“ o in apparenza assurde, sia
nei sogni. I sogni sono il pensiero elaborato ed espresso nel miglior modo
possibile dalla parte profonda del proprio essere, che, se è intransigente e
ferma nello smuovere le acque, nel creare clima di crisi e d’urgenza, è anche
pronta e capace nel dare guide e indicazioni su come procedere nella
riflessione e nella riscoperta di se stessi. Trovare unità con tutto il proprio
essere, unità che restituisca all’individuo la sua vita, le sue vere ragioni e
tutto il suo potenziale, è possibile.
giovedì 4 marzo 2021
La corsa
Se rincorrendo e afferrando questo e quello, che parevano
pezzi pregiati e capaci di darti valore, ti sei perso, se ciò che hai cercato
di non farti sfuggire nei tempi e nelle cadenze già scritte del “così fanno o
farebbero tutti”, ora senti non essere nulla, se il senso di adeguatezza,
l'apprezzamento e la buona considerazione altrui e quant'altro preso da fuori non
sono più efficaci nel tenerti su, se sono benefici che non durano dentro di te,
perché ora, nella presa del tuo intimo sentire, che toglie ogni maschera e
svuota ogni illusione, sai che simili pregi e conquiste non sono sostanza tua
vera, ora sei nel disagio di avvicinarti al vero, ora sei. Non eri tu in quel
che agli altri piaceva, l'apparentemente tuo stava su per gradimento altrui.
Ora la buona prestazione, se anche la pretesa di tornare a produrla non è
finita, è logora e compromessa, è logoro il tuo sforzo, ora tocchi il vuoto,
non ti sono più nascosti gli errori. Ora potresti cominciare a esistere nel tuo
disagio e in ciò che vuole svelarti, a patto che non lo usi, che non lo
strumentalizzi per prenderti benefici da fuori, per darti una parvenza di
dignità, un merito di circostanza, perchè anche il dolore può essere usato,
recitato, esibito, anche se alla radice ora scopri che in te c'è vero dolore,
che non è richiamo e cattura dell'attenzione altrui, un abbellimento, una buona
prestazione residua. Hai in te, nella parte di te più profonda e sincera,
capacità di vedere e non abilità di illuderti o di inebetirti di pseudo
consapevolezza. Ora puoi fermare la corsa, per stare con coraggio nella verità
che ti vuole avvicinare a te stesso, rinunciando a raccontartela come ti pare e
piace, a mettere al primo posto la rassicurazione e la conferma, supporti per
proseguire indenne e per stare su come sempre, per non mollare la presa, che
pure si è rivelata una presa sul nulla. E’ arrivato il tempo di non fuggire,
ora non hai più protezione che ti isoli dal vero, è questa la lezione del
disagio che non ti dà tregua. Ogni espediente per rifuggire la verifica e il
confronto sincero con te stesso ora si rivela fragile, hai scoperto che non c'è
sostegno esterno che possa reggere all'infinito, che si riveli capace di
evitarti di sentirti perso, non c'è autoinganno che possa durare, di cui prima
o poi non ti sia chiesto il conto. La tua interiorità non vuole tenere su la
recita, è stanca, è davvero stanca, vuole spirito nuovo, vuole che tu le creda
in ciò che ti dice, che ti dà schiettamente, senza addolcimenti, vuole che tu
cominci a ritrovarti e a costruire sul vero, sull'avventura umana di un
individuo che non sa solo cercare plauso esterno e conferma prima di ogni cosa,
che vuole confronto e incontro aperto e trasparente con se stesso, fondamento e
alimento di stima interna, di vera autostima e di calore, di calore sincero.
E' arrivato il tempo, stavolta non dettato da fuori, dell'incontro con te
stesso, con la tua interiorità su cui puoi contare.
domenica 28 febbraio 2021
Il concreto e il reale
Spesso, in presenza di esperienze interiori
affatto piacevoli, ad esempio di ansietà continua o quando esposti alle bordate
degli attacchi di panico, oppure quando tenuti sotto da un senso di sfiducia e
di infelicità, da un senso di vuoto, ci si dice e ci si sente dire che non c'è
motivo reale per simili stati interiori, che quei vissuti fanno sperimentare e
coloriscono l'esperienza in modo abnorme, alterato da una patologia da curare.
C'è un modo di pensare che al riguardo si irrigidisce e si fa forte di pensieri
comuni, così come di teorie e di tesi, di studi definiti scientifici. C'è un
equivoco circa ciò che sarebbe reale. Reale non equivale a concreto. Concreto è
solo un ordine di ragioni e di cose visibili e ben riconosciute già e
comunemente. Reale può essere ciò che ancora non si sa vedere e concepire, che
casomai, per preconcetto e per difesa di convinzioni inveterate, non si sa e
non si vuole ammettere e riconoscere. Lo stato delle cose riguardante se
stessi, il proprio modo di vivere e di procedere, può ad esempio non essere
felicemente rispondente a se stessi e soprattutto può essere mistificato,
travisato, ritenuto normale e scontato, valido solo perché simile e copia di
ciò che pare concepisca e faccia la maggioranza delle persone. Profondamente
però siamo dotati di capacità di sguardo che non cede all'illusione e alla
mistificazione, che sa vedere ad esempio quanto soffra la nostra identità vera
e il nostro potenziale d'essere e di crescita originali quando rimaniamo
incastrati nel pensiero e nello stile di vita suggeriti e impartiti dalla
cosiddetta normalità. Se il nostro profondo volesse darci uno scossone e
imporci la necessità e l'urgenza di riaprire tutto, di prendere visione della
nostra lontananza da noi stessi, di intendere per tempo il rischio di fallire
il nostro cammino di vita dove non cominciassimo a fare sul serio, impegnandoci
a capire la nostra condizione vera senza veli e autoinganni, sarebbe così
assurdo e anomalo se ci desse interiormente forte segnale di apprensione e di
allarme, persino di panico? Se la parte profonda del nostro essere volesse
indurci a vedere, al di là della superficie di adeguatezza ai criteri di
normalità comuni, il vuoto di vera autorealizzazione, non per sconfortarci e
basta, ma per indurci a formare senza rinvii ciò che ancora ci manca e che non
abbiamo coltivato, il nostro pensiero originale e non modellato su altro preso
in prestito, se volesse spingerci a compiere le conquiste di consapevolezza
che, indispensabili per decidere di noi stessi e per procedere autonomamente,
sinora non abbiamo né cercato, né realizzato, sarebbe così assurdo e
incomprensibile se ci precipitasse a sperimentare nell'intimo e senza
possibilità di evaderne un senso di disvalore e di vuoto? Sarebbe motivata
questa presa di posizione o sarebbe senza reale motivo e senso? Concreto è
una cosa, reale è un'altra.
giovedì 25 febbraio 2021
Il lavorio interiore e la ricerca del vero
Porsi domande per avere visione chiara e sincera di ciò che si sta facendo, della propria condizione, non limitarsi a difendere a spada tratta le ragioni solite a protezione e a convalida di ciò che si è sempre pensato e portato avanti, può risultare molto scomodo e mettere in difficoltà, può dare un senso di insicurezza, di disorientamento, di rischio. Raramente si è inclini a porsi e a tenere aperte domande circa ciò che fa proseguire in una situazione, che fa stare dentro un legame, a interrogarne la vera natura e i veri perchè, senza occultamenti di comodo. Più spesso si è così preoccupati di dare continuità alle cose da non volerne sapere di accogliere dubbi e domande, da preferire di volgere lo sguardo altrove o di costruire spiegazioni utili solo a confermare o a blindare ciò che si teme di mettere in crisi. In quest'ultimo caso, può accadere, non di rado, che non tutto di se stessi sia concorde con questo atteggiamento, diciamo, conservativo e che interiormente il quadro permanga instabile e inquieto. Ci può essere infatti una parte di sè, intima e profonda, che non vuole ignorare e lasciar cadere le domande, che vuole aprire gli occhi e spingere a farlo, che privilegia la ricerca del vero su ogni altro interesse. La ricerca del vero può risultare scomoda e soprattutto all'inizio può essere fortemente temuta, ma sicuramente la scoperta del vero, che non può compiersi in un istante o magicamente, ma solo attraverso un ascolto e un dialogo approfondito con la propria interiorità, fornisce nuova linfa, apre nuovi scenari, forma nuove intese con se stessi, nuove basi di consapevolezza capaci di dare la forza, il convincimento e la passione di rinnovare le proprie scelte, di trasformarle in concordanza piena con se stessi, a volte di mutarle radicalmente. Tenersi vincolati all'esistente e al modo consueto di pensare (o non pensare), che appoggia e accompagna il corso solito dell'esperienza, solo per paura della crisi, del cambiamento, rischia di far aderire a scelte, malamente fondate, poco o nulla corrispondenti ai propri interessi più profondi, di consegnare se stessi a prospettive e a sviluppi nella propria vita tutt'altro che felici. E' forte e diffusa la convinzione che tutto vada cercato fuori, occasioni, presenze vive e interlocutori, ma dentro i confini del nostro essere non siamo affatto soli e senza risorse. Portiamo dentro di noi una presenza viva, interiore, profonda, che, per come si esprime e incide nella nostra esperienza, sembra talora procurare in apparenza soltanto fastidi, ma che, se compresa, si rivela essere parte importantissima di noi stessi, tutt'altro che debole, incapace o nociva. E' la parte del nostro essere che non cede al ricatto della paura del cambiamento, del rischio della messa in discussione del quieto vivere, del mantenimento dell'ordine mentale consueto. E' il nostro inconscio, che sa e che vuole offrirci una guida, dandoci, attraverso il sentire e in modo magistrale con i sogni, richiami, stimoli e dritte di riflessione preziosi e introvabili altrove, affidabili come nient'altro, capaci di condurci alla verità di noi stessi, al riconoscimento dei nodi decisivi da sciogliere, su cui lavorare, alla scoperta di nuovi possibili percorsi a noi congeniali, consentendoci di liberare e di esaltare le nostre potenzialità originali. L'inquietudine interiore risulta spesso sgradita, addirittura può essere liquidata come un modo difettoso di sentire e di vivere, come uno stato interiore negativo, convinti che idealmente si debba stare sempre liberi da tensioni, saldi nell'abituale, tranquilli. Dentro ciò che si sente c'è in realtà un fermento di ricerca, un lavorio interiore che non cede alla pretesa del quieto vivere, che contrasta la tendenza alla rinuncia, all'acquiescenza. C'è la spinta a promuovere e a dare sviluppo, senza paura dei costi di impegno, anche di sofferenza, di dispendio di sè, alla presa di coscienza, necessaria per non essere privi di punti di riferimento validi e fondati, per dotarsi di guide autonome e assolutamente necessarie, per non lasciare che a raccontarla, a colmare lo spazio del pensiero, siano altre fonti ritenute capaci e competenti, che a dare le dritte sia altro, che si trova già concepito fuori di sè, cui spesso si cede il passo, da cui si finisce per farsi dettare la lettura dell'esperienza, le attribuzioni di significato, i suggerimenti circa ciò che è possibile e realizzabile, valido e conveniente, normale. Tutto il discorso corrente, prevalente, sull'ansia e sulle diverse espressioni del disagio interiore, trattate come disturbi o patologie, come conseguenza d'altro che da fuori molesterebbe o non concederebbe il dovuto, rischia di travisare e di non riconoscere che siamo creature complesse, che c'è una parte intima di noi stessi che non rinuncia a farsi sentire, a agitare le acque, a darci segnali tutt'altro che privi di senso. E' una parte del nostro essere che può non concordare con i nostri atteggiamenti e intendimenti, che vuole comunque condurci a aprire gli occhi, a far prevalere l'interesse per la verità, la passione per la realizzazione autentica di noi stessi sulla pretesa, immediatamente più confortevole e rassicurante, di mantenere tutto fermo, stabile e intatto.
martedì 2 febbraio 2021
La sofferenza interiore
Ripropongo oggi questo mio scritto di alcuni anni
fa, con qualche integrazione. Accade
spesso che chi vive un'esperienza di malessere, di sofferenza interiore si
rapporti a questa con allarme misto a fastidio e a insofferenza, dando per
certo che ciò che sta vivendo gli sia soltanto sfavorevole o nemico. La
richiesta e l'auspicio sono in genere di ripristinare al più presto la
condizione precedente la crisi, di dissolvere quella realtà interna così difficile
e temuta, di sostituirla con una giudicata più vivibile, affidabile e
"positiva". L'esperienza interiore dolorosa viene di fatto
allontanata da sè come peste e trattata come cosa, grossolanamente equiparata
ad altre appartenenti e sperimentate da altri e come tale volentieri catalogata
e infilata, con il suggerimento e con la benedizione di qualche terapeuta, in
una categoria diagnostica o pseudo tale. Tutto diventa allora uguale (ansia,
panico, depressione, fobia ecc. ecc.), un dato oggettivo amorfo e impersonale,
che non significa e che non rivela più nulla di se stessi, che non dice,
cui non si fa dire se non di essere un disturbo, un eccesso, una distorsione,
una patologia. In realtà l'esperienza interiore disagevole e sofferta, che
l'individuo teme e ripudia, cui cerca di opporre un antidoto o un rimedio, non
importa quale (dal tentativo di non darle peso e di distrarsi fino a quello di
provare a metterla a tacere con gli psicofarmaci) pur di ingabbiarla e di
liberarsene, è parte viva del suo sentire, non assimilabile affatto a ciò che
altri sperimenta, come ci fosse una cosa, ansia o depressione o altro, che come
guasto o cosa rotta si ripropone sempre uguale in tutti. Ben lungi
dall'essere un'anomalia o un disturbo, la sofferenza interiore è una voce,
è prima di tutto intima esperienza, tentativo di prendere, pur con fatica e con
travaglio, visione e consapevolezza di qualcosa di importante e, se
attentamente ascoltata, se ben intesa e compresa, si rivela essere tutt'altro
che ostile e deleteria. E' viceversa guida affidabile e sicura per capire, per
capirsi. Imparare ad ascoltare e a comprendere il proprio sentire, fin nelle
sue pieghe più tormentate o "strane", essere aiutato a confrontarsi e
a dialogare con la propria interiorità, a capirla nel suo linguaggio
vivo, è conquista molto importante, anzi decisiva per
l'individuo. Questa per lui la vera "cura". Solo questo incontro col
proprio sentire, accolto senza preclusioni in tutte le sue espressioni e non
l'opposizione preconcetta al dolore, può infatti avvicinarlo a sè e fargli
superare la frattura che lo divide da se stesso, può sanare la dissociazione,
il disaccordo tra il suo pensato e ciò che vive interiormente. Solo la
conquista della capacità di ascolto e di dialogo con la propria interiorità può
renderlo consapevole ed arricchirlo di qualcosa di intimamente vero, che urge,
che la sua crisi interiore ha aperto e sta rilanciando con forza, che non può,
che non vuole essere ignorato o trascurato. Se quel sentire disturba, forse
disturba in primo luogo il quieto e programmato procedere, dove il conducente
spesso è incurante, non senza rischi, di sapere cosa realmente sta facendo di
se stesso, verso che cosa si sta spingendo. Prima di squalificare e di porsi in
modo ostile contro il proprio sentire, sarebbe bene essere molto cauti. Non c'è
nulla di ciò che sperimentiamo interiormente, che possa essere considerato
sbagliato, che, se ascoltato e compreso si riveli davvero anomalo, eccessivo o
più semplicemente assurdo o inopportuno e ancor meno che mostri di
essere nemico o sfavorevole. Semmai può esserci dissonanza e disaccordo
tra ciò che in superficie si vorrebbe credere di se stessi e ciò che nel
proprio profondo è riconosciuto come vero, tra ciò che si vorrebbe, spesso
ottusamente, confermare e mantenere uguale e ciò che si sente intima, profonda
e vitale necessità di trasformare, di far nascere e vivere, di costruire. Per
l'individuo investito dalla sofferenza interiore, il vero problema non sta in
ciò che vissuto interiormente non andrebbe per il verso giusto e normale e che
perciò andrebbe tolto di mezzo o risanato, ma è viceversa nella sua chiusura,
nella diffidenza e nel pregiudizio negativo verso tutto ciò che interiormente
gli risulta sofferto e scomodo. Questa risposta dell'individuo alla sofferenza
interiore è omogenea e tutt'uno con l'atteggiamento più diffuso e con
l'opinione prevalente tra le persone circa l'intollerabiltà e la nocività di
ciò che è interiormente doloroso e disagevole, con l'idea che, in presenza di
un sentire sofferto, prima di tutto vada cercato e in fretta il rimedio
rispetto alla comprensione e alla presa di coscienza di ciò che l'esperienza
interiore sta cercando di condurre a capire. E' l'idea incoraggiata e
confermata anche dall'offerta curativa, che in non piccola parte punta proprio
a trattare come anomalo e disfunzionale ciò che interiormente risulta doloroso,
insolito e discorde con il quieto vivere e procedere abituale, con l'idea
comune di normalità. La capacità di entrare in rapporto con le emozioni, col
sentire, con le esperienze interiori è spesso mancante nell'individuo o è
presente in una forma distorta. La distorsione è nell'approccio razionale, che
vede la pretesa dell'individuo di chiarire dall'alto le esperienze, le vicende
interiori con lo strumento del ragionamento che presume di essere lucido e
affidabile, ma che, visto con occhio attento, non fa che rimescolare e
riversare sul conto dell'esperienza e dei vissuti cose già pensate, che
difendere, più di quanto l'individuo sia disposto ad ammettere, personali
interessi e convinzioni di comodo, oltre che avvalersi di schemi e di
attribuzioni di significato preconfezionate e di uso comune. Con questa
modalità di pensiero l'individuo tratta ciò che gli accade interiormente
come un oggetto da spiegare e da interpretare, anzichè come esperienza viva e
voce da ascoltare, da cui farsi dire e guidare a aprire gli occhi, a capire. Il
malessere interiore vuole indurre a soffermarsi su di sè, a prendere visione
del proprio modo di procedere, a cogliere lo stato del rapporto, spesso della
lontananza dal proprio intimo sentire, dalla propria vita interiore, senza il
cui apporto non c'è possibilità di orientamento e di visione propria e fondata.
L'approccio razionale intrecciato e ben stretto alla preoccupazione di portarsi
velocemente fuori dal malessere interiore, spinge molti a sviluppare tesi circa
l'origine della sofferenza interiore, da subito intesa come pena e danno di cui
si sarebbe vittime, causata da qualcosa di sfavorevole in atto o accaduto nella
propria vita. E' soluzione molto frequente e cara non solo a chi patisce
sofferenza interiore, ma anche a chi se ne prende cura, far risalire il
malessere a presunte cause, attuali o preferibilmente remote, di traumi patiti,
di carenze o di condizionamenti sfavorevoli subiti, che avrebbero lasciato
segno e alterato il personale modo di sentire e di reagire. Il sentire attuale,
la sofferta esperienza interiore non sono di fatto accolti e ascoltati in ciò
che intelligentemente e provvidenzialmente vogliono comunicare e condurre a
capire di se stessi, non sono compresi nel loro intento di evidenziare nodi
decisivi da affrontare, di mettere in primo piano la conoscenza di se stessi,
del proprio modo di procedere, per promuoverne trasformazioni importanti, utili e
necessarie, ma diventano oggetto di un discorso che li vuole vedere conseguenza
negativa d'altro, sfavorevole e nocivo, traumatico e penoso, che da qualche
parte, a conferma e a suggello della tesi precostituita del danno subito, si
finirà pur per trovare nella biografia personale. L'esperienza interiore viva è
resa in questo modo muta, al sentire attuale non è concessa parola, sul
loro conto si impone un discorso e un'indagine utili solo a tentare di liberare
il campo dalla loro presenza come disturbo indebito. Non è un caso che si
compia una simile manipolazione e distorsione del significato dell'esperienza
interiore, che di fatto, parlandole sopra e facendole dire quel che si presume,
ci si mantenga sordi e incapaci di rispettare e di lasciar parlare l'intimo
sentire. La mancanza di capacità vera di ascolto e di dialogo con
l'esperienza interiore è legata al fatto che negli anni, nel processo di
crescita dell'individuo, è sempre stata in primo piano la ricerca
dell'adattamento alle circostanze esterne e la vita interiore è stata
considerata solo un'appendice subalterna, un seguito emotivo, una sorta di eco
di vicende esterne, con l'attesa e la pretesa che non creasse intralci, che
assecondasse la ricerca dell'intesa con gli altri, la capacità operativa e i
propositi di riuscita così come intesa e celebrata dal senso comune.
Condizionato dalla sua incapacità di ascoltarsi, di entrare in rapporto
rispettoso con la sua esperienza interiore, di intendere e di capire il
significato originale, intimo e vero, dei suoi stati d'animo e del suo sentire,
nel frangente difficile l'individuo è disarmato di fronte alla crisi e al
malessere interiore da cui è investito. Reagisce con sospetto e con paura,
concepisce spesso come favorevole solo il ritorno allo stato abituale, la liberazione
da inquietudini e da disagi interiori, visti come inutili e odiosi
intralci. Privo della capacità di intendersi con se stesso, di entrare in
sintonia con la sua interiorità, di cogliere utilmente il significato e lo
scopo di ciò che il suo sentire gli sta comunicando con tanta forza e
intensità, l'individuo si chiude difensivamente e si preclude la scoperta di
ciò che affidabile, utile e prezioso la sua interiorità ha intenzione e
capacità di proporgli. A molti, che vivono un'esperienza di sofferenza interiore,
purtroppo non è suggerita e mostrata questa possibilità e opportunità, a molti
non è offerto l'aiuto necessario, non per fuggire e contrastare, non per
provare a liquidare il malessere interiore con spiegazioni di presunte cause
che vorrebbero essere liberatorie e esaustive, ma per imparare ad andare
incontro fiduciosamente, a capire intimamente e a far propria la proposta della
propria interiorità. Le acque interiormente non si agitano mai per caso o
inutilmente.
venerdì 29 gennaio 2021
Entrare
La scelta meno favorevole a se stessi in presenza di
malessere interiore è di porsi subito in combattimento con quanto
interiormente si sta provando, che, se anche spiacevole, debilitante e
compromettente la propria consueta modalità di procedere, non per questo è una
calamità, un che di ostile e di nocivo. Tutto prende forma interiormente in
modo niente affatto inconsulto, non c’è meccanismo guasto. C'è una parte intima
e profonda del proprio essere che ha consapevolezza di quanto si debba capire e
trasformare di se stessi. Questa parte di se stessi ha intelligenza ben
superiore e più lucida di quella che si attribuisce ai propri abituali
convincimenti e modi di pensare. Le crisi non si aprono mai per caso.
Sempre hanno una necessità d'essere e perseguono uno scopo di cambiamento
assolutamente utile oltre che indispensabile. Si ignorano in genere il
significato e lo scopo degli eventi interiori, non solo nel modo di pensare
comune, ma anche in quello di non pochi terapeuti, pronti da subito a trattare
come anomala l'esperienza interiore sofferta e disagevole, a volerla
correggere e riplasmare come fosse un che di sfavorevole e non un fermo invito
a avvicinarsi a se stessi, a conoscersi, a ripensarsi, a portare
a compimento un processo di crescita personale sinora ignorato o malinteso
come semplice adattamento e allineamento a schemi e a parametri comuni.
Ognuno ha necessità di trovare le proprie ragioni d'esistenza, le proprie
risposte, il proprio modo di vedere e di concepire la propria vita, pena
il rischio di perdersi nell'apparentemente buono e giusto delle strade già
segnate dalla cosiddetta normalità. Entrare creativamente nella propria crisi
interiore, imparare a capire cosa il proprio sentire dice, mettersi in contatto
e in dialogo con la propria interiorità, capace di dare, di dire e di
comunicare tanto, sia attraverso le emozioni, gli stati d’animo, non importa se
difficili e poco piacevoli, che attraverso i sogni, anzichè combatterla come
fosse presenza nemica, inaffidabile e malata con farmaci e quant'altro,
cominciare a fidarsi e a trovare intesa con il proprio intimo, scoprire che la
crisi si è aperta per dare opportunità e non per toglierne, è cammino possibile
e davvero favorevole. Non è cammino facile, perché inverte il modo abituale di
procedere e di pensare, perché implica avvicinare, accogliere ciò che in genere
o si rifugge perché in apparenza negativo e spiacevole o si pretende di
regolare e di riplasmare, anziché rispettare, imparare a ascoltare e
valorizzare. La vera cura che ci si può offrire utilmente è l’apertura a se
stessi e la scoperta che nel proprio essere c’è una parte tutt’altro che
insignificante o inaffidabile, che in tutto ciò che propone, proprio tutto,
comprese le ansie e quant’altro di difficile e poco gradito può muovere
interiormente, sa dare il giusto terreno su cui ritrovarsi per aprire gli occhi
sul vero, per capirsi. E’ necessario compiere dunque un cammino nuovo, entrare
anziché cercare prontamente di uscire e di superare i momenti e i percorsi
interiori e quanto offrono, è necessario imparare il linguaggio
dell’interiorità, che forma e nutre un modo di vedere più intimo, approfondito
e riflessivo. Serve l’aiuto di chi sappia accompagnare e far scoprire tutte le
novità di un simile percorso di avvicinamento a se stessi e di crescita.
Curare, aiutare l'altro a prendersi cura di sé per favorire l'incontro e
l’intesa con se stesso, con la parte intima e profonda di se stesso che
inizialmente mette in crisi il procedere solito per aprire una stagione di
cambiamento è una cosa, curare per spegnere e zittire o per pretendere di
invertire e raddrizzare ciò che interiormente è considerato anomalo e nocivo è
un'altra. Questa seconda modalità di cura, purtroppo non poco diffusa, rischia
di alimentare e rafforzare la divisione e la lontananza da se stessi, la
sfiducia nel proprio intimo, vissuto come meccanismo guasto, oltre che di
impedire di raccogliere tutto il nuovo e il positivo che il cambiamento aperto,
innescato dalla crisi interiore vorrebbe produrre. Entrare dunque nel confronto
e nel dialogo con la propria interiorità, farsi aiutare per questo scopo, per
poter uscire più forti e coesi con se stessi, arricchiti di ciò che la crisi ha
voluto promuovere, questo è possibile oltre che auspicabile.
domenica 24 gennaio 2021
Ciò che non si vuole riconoscere
Quando ci si confronta con la crisi e col malessere
interiore ci si persuade facilmente che sia in atto solo un guasto, una
minaccia, un che di ostile che mina la saldezza di un modo di procedere che si
considera indiscutibilmente valido e da ristabilire al più presto. Ciò che non
si vuole riconoscere nel proprio stato abituale è il vuoto di sè e di vera
consapevolezza, la mancanza di capacità di visione che sappia cogliere il senso
di tutto ciò che si fa e del proprio modo di procedere, il mancato possesso di
un pensiero che non ricalchi e confermi ciò che generalmente si pensa, sui
binari e nelle guide dei comuni modi di intendere. Non si vuole riconoscere che
senza dotarsi di questa capacità, senza questo bagaglio, senza questo
patrimonio che rende un individuo tale col suo specifico e originale, con la
sua forza di generare risposte tratte da sè, col suo coltivato e sviluppato di
identità e di pensiero, di orientamenti e di capacità di dare loro seguito, non
si è che parvenze di individui. Pur illusi di non essere tali e di avere del
proprio da dire e da realizzare, non si è che copie d'altro, attori o comparse
dentro una scena, secondo un copione già scritto, che nulla ha a che fare con
ciò che sarebbe possibile far vivere se quel vuoto di sè e di consapevolezza
fosse colmato. C'è una parte di sè, intima e profonda, che non ignora il
problema e il vero della propria condizione, che per questo motivo col
malessere batte forte, dando stimoli e imponendo un clima interiore non facile
e disagevole, con lo scopo di rendere tangibile e riconoscibile quel vuoto e di
spingere a colmarlo con un serio lavoro su se stessi. Accade però che questa
iniziativa profonda, tutt'altro che sciagurata o scriteriata, che col malessere
e con la crisi vuole porre le basi della ricerca del cambiamento, sia letta
come disturbo e patologia, confermando così soltanto l'incapacità di
intendere le esigenze personali più autentiche e profonde, ribadendo l'ottusità
e l'incapacità di vedere lo stato attuale vero delle cose. Lo stato vero è di
essere più che incompiuti, più che insufficienti e non certo nella capacità di
far mostra di normalità, di stare in corsa e di dare prova di efficienza
secondo i criteri prevalenti, ma nel possesso di sostanza propria, di pensiero
capace prima di tutto di vedere la verità della propria condizione e non di
raccontarsela a piacimento, trovando riparo e conferma nel pensato solito e
comune, oltre che di concepire e di aprire nuove strade fedelmente
corrispondenti a se stessi. La posta in gioco è notevole, ma rischia di non
essere compresa e ben soppesata. Ristabilire l'ordine solito, battersi per il
raggiungimento di questo scopo, imputando alla crisi interiore di essere solo
un intralcio dannoso e un segno di malattia, travisandola e riducendola a
scoria da eliminare, è la risposta più ottusa e sfavorevole a se stessi che ci
si possa dare. L'autoinganno è di far credere a se stessi che sia stupido e
nemico ciò che invece interiormente è la propria risorsa più affidabile, il
lato del proprio essere più accorto e sincero, il più saggio e provvido.
sabato 8 agosto 2020
Malessere e lamento
L’impronta prevalente del discorso sulla propria
condizione di chi si confronta col malessere interiore è molto spesso il
lamento, è la recriminazione contro ciò che ai suoi occhi fa solo danno. Se è
comprensibile che una realtà nuova e non esterna, ma così pervasivamente
interna, risulti gravosa e spiacevole, che soprattutto l’incapacità di capire,
l’incomprensione del significato e del senso (il suo scopo) dell’esperienza
interiore vissuta, mettano a dura prova e possano generare paura e scoramento,
allarme e disorientamento, risalta e colpisce però il fatto che nella risposta
al malessere interiore non ci sia traccia del sentore di un legame
significativo con ciò che, pur difficile e sofferto, vive non fuori, ma nel
proprio intimo, di un vincolo da tutelare, da difendere e valorizzare con se stessi,
col proprio sentire, con la parte intima e profonda di se stessi. Questa
lontananza dal proprio intimo, dal proprio sentire e corso interiore
d’esperienza, ha radici lontane. Non è raro infatti che il modo di procedere e
di pensarsi abituali comprendano da gran tempo solo operazioni di adattamento e
rivolte al fare, accorgimenti per proseguire, commenti e spiegazioni su di sé e
sul conto dell’esperienza che si vive, che spesso non cercano e non colgono
nulla al di là della superficie e della crosta di senso immediato e comune.
Anche quando l'intento di approfondire affida al ragionamento il compito di
capire, il suo intervento spesso si risolve e chiude nel combinare in ordine
logico significati preconcetti dedotti e messi sopra all'esperienza, oppure si
perde nelle nebbie delle sue elucubrazioni, con un lavorio, che nulla ha a che
vedere con la vera riflessione (che sa ascoltare e fedelmente raccogliere e
riconoscere la proposta originale del sentire). Insomma, il proprio sentire non
è stato nel tempo e da gran tempo vero compagno e interlocutore nella propria
esperienza. Perciò, quando la parte intima prende il sopravvento e detta
sensazioni e esperienze interiori, che con decisione passano il confine del
marginale e dell’inascoltato, dove sono relegate e mantenute dalla
cosiddetta coscienza, dalla parte di sè dove l’individuo si rinserra
abitualmente e che non ospita nulla del sentire a meno che non le paia
conveniente, ecco che la reazione è di isterica paura e rivolta contro l’ospite
indesiderato, presto squalificato e maledetto come fosse una disgrazia, un
sabotatore, un maledetto nemico. “Voglio tornare come prima” è il grido di
rivolta, la petizione di principio, la pretesa che pare sacrosanta, cui tanta
offerta di cura, che vuole riparare e sanare, che dell’ascolto aperto del
sentire, senza preconcetti, che della verifica approfondita non sa nemmeno
concepire il senso, dà conferma e manforte. Non è compreso minimamente, questa
sì è la vera anomalia, che trattare così, come disturbo, l’esperienza interiore,
pur difficile e sofferta, sia un tirare calci, uno sparare contro se stessi, un
demolire ciò che vuole aiutare e spingere a ritrovarsi, a riflettere, a
guardare allo specchio il modo di pensare e di procedere abituali, a colmare la
frattura che divide da se stessi, a mettere in piedi ciò che è essenziale:
dialogo approfondito e accordo con se stessi, con la propria interiorità. Per
capire, per trovare risposte e guide necessarie, per non essere più scissi da
sé e semplicemente adesi ad altro, trainati da altro per imitazione, per senso
del gregge (la cosiddetta normalità, ciò che sembra dover appartenere a tutti),
per dipendenza dall’altrui giudizio, consenso, approvazione, serve un
cambiamento personale profondo, di cui il malessere interiore è il primo atto,
voluto dall'inconscio, come segnale chiaro e non sopprimibile, come potente
richiamo a prendersi cura di se stessi. E’ un prendersi cura, non per
ricacciarsi nel solito, casomai con più testardaggine, (casomai con qualche
aggiustamento, spiegazione e apparente presa di coscienza, che non mutano la
sostanza del modo consueto di pensare e di procedere, che viceversa la
riconfermano), ma per cominciare a prendersi sul serio, a vedere chiaramente
come si procede e lo stato del rapporto con se stessi, per cominciare a cercare
finalmente vicinanza e ascolto del proprio intimo, della parte più vera e meno
alienata di se stessi. E' un prendersi cura che potrebbe valersi dell'aiuto di
chi sappia sostenere l'intento di andare verso se stessi e favorire lo sviluppo
della capacità riflessiva, della capacità di incontro e di dialogo col proprio
profondo. La crisi, il malessere vorrebbero nelle intenzioni dell'inconscio
essere il primo atto, l’inizio di un impegno di ricerca per diventare se
stessi, per calarsi finalmente nel proprio essere, per trovare il proprio
sguardo, per cucire quella relazione stretta e salda tra sentire e pensare, che
sola può garantire capacità di orientarsi e di capire, passione e volontà
unite. Se non si comprende questo, persisterà il lamento e la lotta contro se
stessi, la pretesa di mettere a tacere, di eliminare o di correggere e
modificare ciò che interiormente, pur difficile o doloroso, non si sa
rispettare, ascoltare e capire. In definitiva, casomai sotto forma di cura, si
affermerà la spinta, tutt'altro che geniale e favorevole, a privarsi della
vicinanza e del contributo originale e prezioso della propria interiorità, pur
di essere normali e (più o meno) come prima.
venerdì 7 agosto 2020
Lo scambio
Lo chiamerei misero scambio. E’ ciò che avviene quando si
affida allo sguardo e al giudizio altrui il compito di stabilire ciò che di sé
vale, che può considerarsi degno e all’altezza, perlomeno accettabile.
Segnalarsi agli occhi degli altri, distinguersi, farsi apprezzare e comunque
ottenere il beneficio del consenso o patire sensazioni di inadeguatezza e di
non conformità, temendo censure e declassamenti, figuracce o senso di
inferiorità, è ciò che vincola molti individui agli altri, allo sguardo e al
giudizio altrui e comune. Soprattutto è ciò che fa sì che sfuggano di mano e
abbiano misera sorte il compito e la funzione, che sono prerogativa e
responsabilità di ognuno, di far crescere, per davvero e su proprie basi, se
stessi, di conoscersi e di capirsi prima di tutto, di scoprire dentro sè, per
intima comprensione e verifica, ciò che vale, di trovar forza e persuasione di
legittimarlo e passione di farlo vivere. Misera sorte e qualunque subisce
questa fondamentale istanza, fondamento e cifra della autonomia personale,
della capacità di pensare in proprio e di disporre di sè e del proprio destino
in modo indipendente, quando risolta e scambiata col farsi indirizzare,
sostenere e disciplinare dal senso comune, dallo sguardo e dal giudicare
altrui. Se forte è la tentazione di farsi condurre e di procedere in appoggio a
modelli e a aspettative dominanti, se forte e seducente è la spinta a segnalare
i propri meriti alla giuria del senso comune, assecondandone i gusti e gli
inviti, se rassicurante è muoversi all'unisono con l'idea prevalente di ciò che
è desiderabile, meritorio, sinonimo di crescita e di autorealizzazione,
calcando percorsi segnati come fan tutti, camuffando il tutto con l'idea (con
l'illusione) di compiere le proprie scelte e di affermare le proprie capacità,
se il tutto rappresenta una comoda scorciatoia rispetto allo stare sulle proprie
gambe e al tenere su di sè l'impegno, la fatica anche, della ricerca di
risposte e di sviluppi propri, ciò che si va a ottenere è un surrogato, il
surrogato di ciò che da sè con pazienza e con tenacia, casomai con tempi più
lunghi, ci si preclude di comprendere, di formare, di coltivare e di far
vivere. Basta farsi dare buona considerazione, recitando bene la parte,
mostrando di possedere cose, titoli e di aver fatto esperienze considerate
distinte e accreditanti, per persuadersi di essere sulla buona strada o di
essere arrivati a qualcosa. Farsi regolare e dirigere dall‘esterno, farsi
premiare e dire da senso comune e da giudizio altrui è modo passivo e a buon
mercato di risolvere la questione del capire da sé cosa ha valore e perché, di
affrontare il nodo cruciale del proprio realizzare e realizzarsi, che
richiederebbe ben altro impegno, che in cambio avrebbe tutt’altro peso e
spessore, se affidato alle proprie forze e alla propria ricerca, tutt‘altra
libertà di definirsi, tutt'altra capacità di dare esiti e sviluppi originali e
significativi. Se passivi, si finisce per star dentro piste e corsie segnate,
per attenersi a codice di comportamento dato, per far proprie le scelte e i
traguardi già stabiliti. Misero scambio, baratto perdente, che chiude alla scoperta
e alla costruzione di autonomia vera, quello che spesso si compie, senza dargli
peso, senza consapevolezza della rilevanza del problema. Una pacca sulla
spalla, un plauso e il conforto d’essere nel normale (conformi a ciò che la
maggioranza pare pensi e prediliga), finiscono per soddisfare e riempire, per
procurare rassicurazione e illusione, invece e in sostituzione di
crescita sostanziosa e fedele a se stessi, convinta e convincente sè. Per
fortuna, anche se i molti che vogliono solo la continuità del solito questa
fortuna non la sanno riconoscere, c'è una parte di se stessi, quella profonda,
che non è cieca, che è ben vigile e sveglia, che riconosce il problema come
cruciale e che perciò anima e scuote la scena interiore. Il malessere prende
vita da queste questioni fondamentali, è il pungolo a prendere visione dello
stato delle cose, a non starsene quieti come se tutto andasse per il verso
giusto. E' in gioco la propria autorealizzazione, il portare o meno a
compimento il proprio progetto, che rischiano di naufragare, sostituiti dal
passivo dare seguito e copia a qualcosa di già concepito e non al proprio per
cui si è nati e di cui si ha potenzialità di realizzazione. Se una parte del
proprio essere, che si crede grande e capace di chissà che con i suoi attrezzi
di pensiero ragionato e di volontà, dorme (pur agendo) e equivoca (pur
dandosi la parvenza di chiarire le cose), non vuol vedere il vero della propria
condizione e del proprio incompiuto, c'è una parte, che ha per protagonista
l'inconscio, che, sapendo aprire gli occhi e vedere, non dà tregua, che
interferisce, che intralcia il procedere, che l'azzoppa, che ad esempio con
l'ansia, se serve con gli attacchi di panico, che presto qualcuno giudicherà
eventi e manifestazioni patologiche e senza ragione, cercherà di interrompere
la corsa solita e la spinta verso l'esterno, per dirigere tutta l'attenzione
all'interno e lo sguardo su se stessi, che farà sentire, toccare con mano nel
vissuto, la fragilità e inattendibilità di ciò che si sta portando avanti, che
lo farà sentire precario e in pericolo, che farà sentire la estrema debolezza
del proprio assetto personale, perchè costruito su disunione del proprio
essere, su lontananza da sè, dal proprio intimo, su modi e svolgimenti
privi di unità e di coerenza col proprio profondo. L'interiorità non mente,
vuole che emerga il vero, che finalmente lo sguardo si renda capace di vedere
la propria condizione e di cominciare a intendere che si è ben lontani dalla
propria vera realizzazione, che il castello messo su e strenuamente difeso è di
carta. Se, altro esempio di ciò che l'inconscio può muovere e provocare sulla
scena interiore, cade la fiducia sotto i tacchi, se si fa valere interiormente
un senso di inutilità, di scoramento senza limiti, la perdita di stima verso se
stessi, la mancanza di slancio e di desiderio verso tutto il conosciuto e
abituale, non è per patologico sentire, ma per cominciare a vedere chiaro e
senza autoinganni il vuoto di ciò che si è inseguito e tentato di afferrare e
di sostenere, prendendolo in prestito da altro e prendendo in prestito la
persuasione che valesse, con un nulla di compreso, concepito e formato davvero
da sè, da propria ricerca e scoperta. Le scorciatoie finiscono per rivelarsi
tali. Anche se l'individuo e chi gli sta attorno insisteranno nel dire che non
c'è motivo al lasciarsi andare allo sconforto, perchè c'è già tutto ciò che
serve e di cui essere soddisfatto, una parte di sè, non certo cinica o
distruttiva, non certo stupida o malata, continuerà pervicacemente a far
sentire il vuoto e lo svuoto. Il vuoto che smonta le illusioni e su cui
potrebbe invece nascere finalmente il proposito di costruire, generato da sè,
convalidato da propria lucida consapevolezza e non preso in prestito e per
buono da idee e da convincimenti comuni, qualcosa che abbia un fondamento, che
abbia la propria impronta..
giovedì 16 luglio 2020
La dipendenza: la vita presa in prestito e le illusioni dure a morire
E' conquista decisiva, non certo facile e frequente,
affrancarsi dalla dipendenza da autorità esterna, che premia la riuscita e che
rimarca le insufficienze (che dentro la sua logica giudica tali), che dà
supporto e guida, offrendo subito le traiettorie da seguire, colmando
prontamente il vuoto di ricerca propria, garantendo l'assistenza necessaria, il
sostegno corale e le convalide per tenere su la persuasione che le scelte
fatte valgono, che le realizzazioni compiute o in compimento sono vere
conquiste personali e proprie e non semplici attestati di merito e trofei da
mettere in bacheca o più modeste, ma rassicuranti, conferme di normalità.
Generosa e prodiga di consiglio è questa autorità esterna del senso comune, del
già conformato e organizzato, ma nel contempo tiene chi le si affidi, non certo
pochi (è la cosiddetta normalità), in stato di perenne illusione e dipendenza,
esonerando sì dalla fatica, ma anche dalla libertà di aprire il proprio
sguardo, di cercare il vero, di concepire da sè, di trovare nell'intimo e nel
dialogo con la propria interiorità i propri perchè e la comprensione dei
significati, senza suggeritori, la scoperta di ciò che vale, di ciò che si vuole
far vivere e crescere, senza plausi e approvazioni, ma con ferma e fondata in
se stessi convinzione, con passione sincera. Affrancarsi dalla dipendenza da
altro, esterno a sè, che dà risposte e guide circa i modi per realizzarsi, da
autorità esterna che si fa garante di tutto, è possibile, ma richiede impegno
di fatica e volontà di non breve respiro di investire su di sè, di generare e
di mettere al mondo pensiero e progettualità propri, concepiti e tratti da
sè, dall'ascolto e dal dialogo con la propria interiorità (che ha
capacità di guidare la ricerca attraverso il sentire e magistralmente con
i sogni) e non modellati e sorretti da altro e da fuori. La persuasione che il
preso in prestito e garantito da altro sia cosa valida e creatura propria è
illusione che non cede facilmente alla verifica. Illusioni dure a morire, ma
non impossibili da smontare per chi voglia sul serio conquistare autonomia
vera, libertà di essere e di pensare. Non è questione irrilevante questa della
confisca della propria vita in un legame di dipendenza da altro che la plasma e
l'indirizza e come tale non è trattata dal profondo dell'individuo, da quella
parte dell'essere, che seppure disconosciuta o tenuta in subordine, movimenta e
governa il quadro interiore, il sentire, le emozioni, gli stati d'animo, il
succederrsi degli svolgimenti interiori. Se all'individuo nella sua parte
conscia e razionale tutto appare valido e convincente, se la questione del
farsi portare e del plasmare pensieri e aspettative sul nucleo del modo comune e
prevalente di intendere sfugge più o meno volutamente alla sua comprensione, se
in lui l'equivoco di essere artefice pur assumendo una parte già segnata, pur
rimasticando un pensiero nei suoi fondamenti e limiti già definito e
forgiato, non ha risalto, alla sua componente profonda non sfugge il
vero. Se nel profondo di ogni individuo è fortemente sentito e
insopprimibile il vincolo a dare forma al proprio pensiero per non
sacrificare e per non tradire ciò che si ha potenzialità di far vivere e
di realizzare, se normalizzare la propria vita, accasandola dentro forme già
date e consuete, pur con qualche margine di stravaganza o di interpretazione
ribelle o in apparenza innovativa, ma sempre agendo su pezzi di composizione,
su grammatica di pensiero comunque già pronti e usuali, finisce per essere una
trappola che ottunde la consapevolezza e che copre il vero di ciò che
l'individuo sta facendo di se stesso, che lo chiude alla scoperta del senso
della sua vita, non stupisce se la crisi, se il malessere interiore nelle
sue diverse forme prendono piede e il sopravvento. La risposta alla
crisi, mossa intenzionalmente e a ragion veduta dalla parte profonda, spesso e
volentieri permane però rigida e ottusa, il malessere è giudicato con estrema
frequenza un disturbo, un intralcio, una disfunzione, avendo di mira come
interesse e scopo di far funzionare quel modo di procedere abituale, mai fatto
oggetto di verifica e di riflessione attenta per capire cos'è e su cosa si
regge. Dipendere da altro da sè, che conduce e dà implicite le risposte,
aderire a tutto ciò che instrada la ricerca, che dice cosa fare per crescere,
per realizzarsi, per formare e per ampliare la conoscenza, per stare bene, per
essere felici e per considerarsi compiuti, conduce a smarrire la propria
strada, induce a cancellare le tracce di ciò che interiormente spinge, pungola
e richiama con vigore e con insistenza a farla trovare, induce a
travisare, a interpretare ogni sensazione e stato d'animo discordante col
quieto o efficiente procedere, come difetto, come insufficienza, come cattivo
funzionamento. C'è un contrasto, un conflitto interno all'individuo tra parte
conscia e parte profonda, che nasce da una diversa visione di ciò che è di
vitale importanza, c'è un conflitto sul modo di interpretare la propria
vita, una tutta aderente a un illuso senso di autorealizzazione stando in
appoggio e replicando vita presa in prestito da modelli e da modalità comuni e
prevalenti e l'altra che reclama la presa di coscienza del vero stato delle
cose per invertire la tendenza, per scoprire il proprio senso della vita e per
tradurlo in essere su basi di concezione e di pensiero originali e proprie. La
dipendenza da altro, che riempie e che dà forma e contenuto all'esistenza, che
l'orienta e plasma, che sostituisce come patrimonio vitale e contenuto ciò che
da sè non si è saputo scoprire, generare e far vivere dentro se stessi è
questione rilevante e centrale. Non c'è solo la dipendenza nelle forme
conclamate dell'uso di sostanze per allontanare l'esperienza interiore a cui si
è estranei e che se dolorosa o in apparenza (solo in apparenza) vuota, fa
preferire cancellarla o rimodellarla e sostituirla con artifici e droghe a
piacimento, non c'è solo la dipendenza da tutto ciò che sostituisce creazione
propria con soluzioni e prodotti da usare e consumare, che siano lo stare
attaccati a un'altra persona o a altri o utilizzare ogni diversivo
possibile per non entrare in contatto con se stessi, anche usando
diversivi di reputazione nobile come letture o altro culturalmente considerato
degno o degnissimo. La dipendenza da altro che rimpiazza l'incontro col proprio
autentico e genuino, col proprio intimo sentire come luogo e occasione di
avvicinamento a se stessi, di ascolto e di dialogo con la propria interiorità,
di scoperta viva di verità e di significati con i propri occhi, la dipendenza
da altro che sostituisce tutto ciò che, scaturito e improntato da sè potrebbe
prendere forma e vita, se ben coltivato e alimentato con pazienza e cura, è
questione fondamentale e non di certo riguardante pochi. L'illusione che
l'andamento abituale sia valido e addirittura segno della propria capacità di
condurre efficacemente la propria vita, quando invece tutto si svolge su basi
altre da se stessi e tenute su da suffragio di modelli e di consenso comune, è
dura a morire. Il profondo, l'inconscio ci prova con insistenza a logorare e a
smontare simili illusioni per liberare l'individuo dalla dipendenza che lo
tiene stretto e prima di tutto dalla falsa coscienza che la cementa. A volte i
suoi richiami sono ascoltati e allora la riscoperta della vita e dei suoi
significati apre all'individuo strade nuove e inaspettate.
domenica 10 maggio 2020
Un confronto impari
Il confronto che si svolge all'interno dell'individuo tra
la sua parte conscia e il suo profondo è impari, a prima vista a tutto
vantaggio e in gloria della parte conscia. Sotto il profilo della forza
quest'ultima ce la mette tutta per affermare il suo predominio, spesso con
arroganza, con la pretesa di sapere, di farsi arbitro e giudice di cosa nelle
espressioni della vita interiore sia ammissibile, sensato, valido e cosa no.
Dalla sua e a suo sostegno c'è la grancassa delle idee comuni e dei comuni
preconcetti, trattati come verità inconfutabili. A suo conforto pure le opinioni
degli esperti che, catalogando come anomalo questo e quello e dandogli patente
di malattia, di disturbo da correggere e sanare, non fanno che rinsaldare la
presunzione della parte dell'individuo, che si considera certa del suo primato
e del suo giudizio, che riduce le espressioni della vita interiore a segnali di
cattivo funzionamento quando scomode e discordanti con le sue attese di
stabilità e di quieto vivere, che imporrebbero all'interiorità di non
disturbare mai il manovratore, di assecondarlo e basta. Ridotta, nella
considerazione che ha di lei la parte conscia, a appendice, che non deve dare
disturbo, la componente interiore è del tutto incompresa nella sua dignità, nel
suo valore, nell'intelligenza che la guida e di cui dispone, che nulla ha da invidiare
a quella della parte conscia, capace spesso solo di ripetere cose mai
verificate, mai autonomamente concepite e comprese alla radice, illusa che
quello sia capire e conoscere. L'inconscio non è però debole e remissivo, non
si lascia nè scoraggiare o intimidire, nè disarmare e persiste, per fortuna,
nel suo intento. L'inconscio è la parte dell'individuo che non è svagata, che
non è miope, che non fa suo l'intento di far quadrare le cose per mettere tutto
a posto, di spiegare col paraocchi, in riga con idee e riferimenti già pronti e
di comune uso, è la parte che viceversa vuole il risveglio dell'intelligenza
vera, quella che sa cercare e riconoscere senza risparmio e senza paura i
significati veri. La pretesa che ha l'inconscio è di aprire gli occhi, di
mettere in risalto e in crisi un modo di pensare e di trattare l'esperienza
incurante di capire, di conoscere davvero se stessi, paghi di spiegazioni e di
argomentazioni in apparenza coerenti, che alimentano l'illusione e di pensare
lucidamente, in realtà più spesso blindando coi ragionamenti ciò che fa comodo
pensare che aprendo alla ricerca del vero anche se scomodo, e di pensare in
proprio, in realtà poggiando e andando dietro a senso e a grammatica comuni.
L'intento dell'inconscio è di stimolare e di aprire la strada allo sviluppo di
un pensiero autonomo e intelligente, capace di rispecchiare fedelmente i
significati intimi dell'esperienza. C'è un divario tra l'atteggiamento della
componente conscia, che presume di sapere e di avere chiari scopi e interessi
cui tenere dietro e ciò che invece anima l'inconscio e di cui è capace. Qui,
sul terreno dell'intelligenza e della spinta a cercare il vero, il confronto è
impari e non certo a sfavore della parte profonda. L'intelligenza
dell'inconscio lo rende resistente a qualsiasi tentativo di metterlo in
soggezione e in inferiorità, di considerarlo parte non lucida e irrazionale,
che, come tale nel pregiudizio spesso presente nell'individuo, non sarebbe
affidabile, da tenere a bada, capace, quando mette in campo nel sentire, negli
stati d'animo, nelle emozioni, risposte e iniziative non rispondenti alle
aspettative, solo di creare ritardi e ostacoli, inefficienze e disfunzioni
sulla via e nel procedere che l'individuo nella sua parte conscia ostinatamente
crede essere sano e proficuo, da proseguire senza discussione e senza indugi.
L'inconscio non sottosta alle pressioni e alle attese della parte conscia, ma
smuove e plasma la vicenda interiore, il susseguirsi dei vissuti, degli stati
interiori con assoluta autonomia e non certo in modo casuale o insensato, ma
finalizzato a far emergere il vero, così come non cede alle illusioni, ai giri
e ai raggiri in cui cade la parte conscia, che, illusa di capire, con le sue
costruzioni di ragionamento fa il verso a idee prese in prestito, rimastica
cose già dette, ricombina tutto per mettersi al riparo da turbamenti nel suo
credo solito, per stare ben in fila, in riga e al passo con ciò che è
considerato comunemente reale, valido e normale. Quella della parte conscia è
spesso una modalità di operare e di pensare che, paga della coerenza formale
dei suoi ragionamenti, trascura di prendere visione riflessiva di ciò che fa,
di come lo fa e a che scopo, tenendosi perciò al di qua della comprensione
delle implicazioni e dei significati veri, di cui dicevo, dell'esperienza in
cui è coinvolta e di cui è attrice. L'inconscio non ignora il costo, la
distorsione cui va incontro un'esistenza che non riscatta l'intelligenza di
veder chiaro, di comprendere su quali basi e come ci si sta muovendo. Passivi e
inclini per abitudine e per educazione a istruirsi, a farsi dire, a prendere
lezioni e soluzioni dall'esterno, a stare ben in corsa con gli andamenti
stabiliti, a far coincidere la realizzazione di se stessi con i modi e le tappe
da seguire come fan tutti, disconoscendo di se stessi tutto ciò che non è
allineato a queste pretese, impegnati a fare il verso, a stare dietro ai temi
alla ribalta e dai più considerati, pensando che quella sia la realtà unica e
la vita, le questioni cruciali e imprescindibili, le cose da sapere, si ha però
nell'intimo...si ha dentro se stessi una voce che dissona, si ha nel profondo
una fibra forte e irriducibile di coraggio e di intelligenza che reclamano,
costi quel che costi, di veder chiaro, di riprendersi la facoltà di vedere con
i propri occhi, di porre al centro dell'attenzione e di capire cosa sta
succedendo nella propria vita, cosa si sta facendo di se stessi, di vedere con
chiarezza e in piena sintonia con se stessi cosa ha valore e perchè, di
arrivarci prendendosi il tempo e il respiro necessari, coinvolgendo appieno se
stessi e smettendo di preoccuparsi di stare ben in fila e al passo con i
movimenti del gregge, dell'insieme. Il malessere interiore, in genere letto
come espressione di un cattivo stato, vuoi per guasto interno o malattia, vuoi
per conseguenza di malaugurate cause, di circostanze e di condizionamenti
esterni sfavorevoli, è viceversa l'espressione dell'incalzare dell'iniziativa
dell'inconscio che vuole condurre l'individuo alla presa di visione del vero
della sua condizione e del suo modo di procedere, all'apertura di una stagione
di cambiamento non di situazioni esterne ma prima di tutto interne, per cessare
di essere altro da se stesso e da ciò che può generare, che dal profondo di se
stesso è chiamato a coltivare e a generare. L'inconscio, che apre la crisi,
attraverso ciò che sa far avvicinare, toccare con mano e comprendere nel
sentire e guidare a conoscere nei sogni, è capace di dare, se compreso nel suo
linguaggio e condiviso nei suoi propositi e proposte, un contributo formidabile
al cambiamento, una guida essenziale per lo sviluppo del proprio pensiero,
autonomo e fondato, un alimento insostituibile per il proprio arricchimento e
completamento di individui, altrimenti dipendenti, nel tentativo di portare a
sè ciò di cui si manca e che non si è scoperto e sviluppato dentro se stessi,
da soluzioni e da surrogati esterni. L'inconscio è animo e intelligenza di
qualità, di tempra e di statura umana, è senso dell'individualità che non va sprecata,
perchè si riscopra la passione di portare alla luce il proprio, di arricchire
la vita di contributo originale, perchè non si sia paghi di essere copia di ciò
che è di generale apprezzamento, persuasi di persuasioni comuni e basta.
lunedì 13 aprile 2020
Cosa vive dentro di noi
Come potrebbe esserci tregua dove tutto, al di là delle
apparenze, è irrisolto, dove la forma di vita cui si è attaccati è solo
illusoriamente propria? Paghiamo pegno a una parte di noi stessi, che
insopprimibile ci è radicata dentro, intima e profonda, il cui
"difetto" è di veder chiaro e di spingere tutto l'essere a vedere
chiaro, bucando le illusioni, una parte che non collabora a chiudere il cerchio
dell'inconsapevolezza. Se rischia di andare persa la comprensione del senso
della nostra vita, prima di tutto la chiara visione di come procediamo, senza
omissioni, oscuramenti e travisamenti di comodo, se in cambio di avere
una identità e un senso di valore e di scopo presi in prestito e sostenuti da
idee, da modelli e sguardo comuni, c'è la rinuncia a trovare noi stessi, a
formare una visione nostra, a coltivare e a concepire idee e progetto autonomi,
la parte profonda di noi stessi non tace, non rimane inerte. E' una parte che è
instancabile fautrice e anima del nostro essere individui veri e originali,
dotati di intelligenza, non al seguito e ammaestrata, non raffazzonata e
truccata per comodo, ma libera e esigente di sguardo proprio, di visione chiara
e approfondita, senza equivoci e autoinganni. Non è al traino di nessun luogo
comune, non cede all'illusione e alla voglia di considerare tutto composto e
risolto, ma ha a cuore il vero senza sconti, la costruzione non fittizia, ma
ben fondata e salda, di un proprio modo di intendere le cose, di far vivere con
la personale impronta un'esistenza che non sia paga di essere sistemata in
qualche casella già pronta, che non sia giustificata da nebbia di idee
preconcette e arrangiate razionalmente, tenuta su e consolidata da principi
incompresi e da pregiudizi. Ha i mezzi, del tutto inaspettati per chi, la
maggiornza, non ha neppure sentore di ciò che sa generare e promuovere, per
condurci a sviluppare pensiero vivo, nuovo, assolutamente veritiero, capace di
farci uscire dal solito giro di pensieri spiantati, siano essi semplici o
sofisticati. L'inconscio sa fare questo, sia attraverso il sentire, le emozioni
e gli stati d'animo, che indirizza e plasma, sia attraverso i sogni, autentici
capolavori di acume, di intelligenza. E' una presenza, che portiamo e che vive
dentro di noi, che, non acquiescente o di conforto all'andazzo corrente,
spesso non convalida i pensieri d'abitudine e coniati dal ragionamento, perchè
chiusi al vero, perchè spiantati, che complica la vita, ma per riaprire la
consapevolezza, per indirizzarla sui punti davvero cruciali, da riconoscere e
su cui lavorare. Con i sogni l'inconscio ci offre il meglio del suo
pensiero, che, se fedelmente inteso e fatto nostro, libera davvero la nostra
mente, la rende finalmente capace di comprendere. E' comunque, proprio perchè
va a sbattere contro la tendenza della nostra parte conscia a voler tutto
stabile nella forma già conosciuta e senza intoppi, una presenza scomoda quella
che nell'intimo e profondo portiamo dentro di noi e che non ci dà tregua.
Possiamo cercare di ignorarla, di tenerla ai margini, possiamo con arbitrio e
sufficienza svalutarla, salvo temerla inorriditi quando nell'intimo batte
duro e non dà tregua, possiamo giudicarla e fraintenderla, provare
a zittirla, a tenerla lontana evadendo da ciò che, spiacevole e arduo,
interiormente ci propone, possiamo tentare col supporto di luoghi comuni e di
esperti di scienza, che si pretende tale, svuotare le sue proposte e
invalidarle come non conformi e devianti da ciò che si considera sano e
normale, possiamo travisarle, non comprendendone affatto l'intento originale e
il senso, come segni di anomalia, come difettosi modi o disfunzionali, ma la
parte profonda di noi stessi non cede e non recede. Le crisi interiormente si
aprono e non chiedono permesso, le cosiddette ricadute, così definite da ottusi
preconcetti, si susseguono, perchè la parte profonda non rinuncia, non si fa
mettere in riga, perchè prova con insistenza a smuovere, perchè non accetta di
essere soppressa. Se ben intesa ci ridarebbe il senso delle cose, la visione
nitida e non truccata, non drogata da luoghi comuni, da ipotesi che ci mettono
quieti e ben allineati. Risponderle e corrisponderle è, rispetto al comune e
abituale modo di procedere e di intendere la vita, l'impresa più impegnativa e
audace e nello stesso tempo per nulla oltre il possibile, perchè a misura
dell'umano che vive in noi, capace di ridarci il seme dell'intelligenza, lo
spirito critico che a nulla cede e da nulla si fa rimbambire, di restituirci
spessore e statura di individui veri e originali in accordo, non con il comune
e solito, applaudito e conveniente, ma con il progetto e la spinta a generare
con cui siamo venuti al mondo. La parte profonda di noi stessi è la
nostra natura e il nostro potenziale più alto.
domenica 12 aprile 2020
Il tuo sentire
Vivi un'esperienza di forte disagio interiore e presto
dai per scontato che ti sia nemica, che possa solo farti danno. Accade così che
ti rapporti al tuo sentire come a una cosa estranea, a un oggetto da
controllare, da mettere a tacere come se fosse un meccanismo malfunzionante, un
"sintomo" strano, che forse vorresti catalogato e etichettato (le
cosiddette diagnosi), eventualmente spiegato dal di fuori con qualche
ragionamento, sicuramente debellato in fretta. Cerchi qua e là qualche
accorgimento o stratagemma per riuscire a smontare, a liquidare il tuo sentire
in ciò che di disagevole ti propone. Se il tuo sentire, che ti accompagna in
ogni istante, ansie, tormenti e cadute di umore compresi e non esclusi, lo
sapessi far tuo, se lo intendessi come parte di te preziosa e irrinunciabile,
come cuore della tua esperienza, come tuo modo vivo di fare esperienza, di
percepire, di addentrarti, di prendere rapporto vivo con verità che ti
riguarda, come toccando con mano, come camminando a piedi nudi e
"sentendo" il terreno, come esponendo la pelle al contatto...ecco che
non potresti certo rifiutarti a nulla, nemmeno al dolore, a esperienza sofferta
o nell'apparenza strana, perché la ricerca della verità, perché la conoscenza
di te stesso, che voglia essere aperta e senza veli, non tollera che ci siano
preclusioni, non può sottostare alla regola, alla precondizione che tutto sia
agevole, rettilineo e roseo, che debba conformarsi a presunti svolgimenti
normali dell’esperienza. Insensato non è ciò che accade interiormente, ma è
bollare come abnorme e patologica la proposta del sentire quando non sta alla
regola del presunto svolgimento normale. La cosiddetta normalità è una
petizione di principio concepita da menti corte, che intendono la ripetizione e
la conferma del già noto come regola e il conformismo come guida, che dell’interiorità
e dell’essere individui sensibili e protesi a cercare il vero, a prenderne
consapevolezza (questo è ciò che anima il profondo), non sanno vedere e
concepire nemmeno l’ombra. Mi riferisco non solo al modo comune e diffuso di
pensare le questioni e le vicende interiori, ma anche a quello di non pochi, di
troppi presunti esperti e terapeuti della psiche. Qui torniamo alla questione
di partenza: quante volte senti dire che l’ansia è immotivata, che toglie, che
limita, che è eccessiva o patologica, che non dovrebbe esserci, che altro
dovrebbe esserci!? L’esperienza interiore, tutto ciò che accade nel
sentire dice, rivela, disegna nel vivo, evidenzia sapientemente, con incisività
e con precisione, le questioni da riconoscere, fondamentali e imprescindibili,
ancora ignorate, rende tangibili e cocenti verità via via da raccogliere e
vedere. Quel che serve non è combattere e pretendere di rimettere a norma ciò
che succede interiormente quando difficile, insolito e doloroso, ma imparare a
vedere dentro e attraverso l’esperienza interiore viva, serve dare fiducia alla
propria interiorità in ciò che propone, senza opporle veti e sospetti, serve
aprire gli occhi su ciò che porge, sempre e in ogni caso, imparando la
riflessione, che è capacità di vedere dentro e attraverso il sentire, di
ascoltare cosa dice nell’intimo un vissuto, un’emozione. Viceversa accade
spesso che anziché imparare a congiungersi al proprio sentire, che come piede
nudo messo a terra dice dove si è e cosa si sta percependo in quel dove della
propria esperienza, si cominci a sparare contro presunti cattivi modi di
sentire, a parlare di paure immotivate ed eccessive, oppure che si vada altrove
dal luogo vivo dell’esperienza intima per cercare nel passato qualche triste,
traumatica o problematica esperienza, con l’attesa di trovare là
l'origine di tutti i mali, come se ciò che si sta provando fosse la conseguenza
di qualche pena nascosta o spina dolorosa che perdura. Sempre a credere che la
normalità di presunti equilibri immobili sia e debba essere la regola, sempre a
pensare che se c’è disagio si sia vittime di un fastidio o di un torto, che si
patiscano gli effetti sfavorevoli di un danno, di una distorsione, casomai di
origine remota! Quando inizia e prende piede un malessere, un disagio, una
crisi, quando tutto interiormente si mobilita e si complica, è assai più
probabile che in quel che sta accadendo ci sia la volontà ferma del proprio
profondo di provocare un forte avvicinamento a se stessi, il superamento di uno
stato di scollamento dal proprio intimo e dal proprio sentire, di spingere per
un serio recupero di capacità di vedere e di capire, fondamento necessario di
autonomia e di capacità di autogoverno della propria esistenza, piuttosto che
si sia malcapitati in un brutto episodio e insano, in una parentesi negativa
della propria vita da trattare e da curare come malattia, da superare. La
volontà del proprio profondo, che plasma, che anima e che acuisce il sentire
tutto, anche quello che risulta difficile o doloroso, è di spaccare il guscio
vuoto di un modo di pensare e di procedere, pur in apparenza autonomi, in
realtà più di quanto non si voglia credere forgiati e regolati da adattamento e
da imitazione, con poco o nulla di proprio e di generato da sè, di spingere con
fermezza a uscire da una condizione di inconsapevolezza o di coscienza
accomodata e illusoria, a aprire gli occhi sul vero, a trovare, senza più
rinviare, le proprie risposte e ragioni d'esistenza, a comprendere e a
sciogliere i propri nodi, a coltivare e a veder nascere idee e aspirazioni
proprie e profondamente sentite. Oggi, per te che soffri, l'apertura al tuo
sentire, il recupero della tua capacità di avvicinarti a te, di non negarti a
ciò che vive in te, imparando a vedere dentro e attraverso ciò che provi, senza
esclusioni, includendo proprio tutto, anche se disagevole o in apparenza
"strano", è questione importante e decisiva. E' questione attuale
posta con forza dal tuo malessere. Nulla a che vedere con l'idea che il tuo
malessere sia una pericolosa trappola, una anomalia da sanare e da mettere
vittimisticamente in conto a qualcosa o a qualcuno del tuo passato
recente o remoto. E’ utile, anzi indispensabile che tu sia aiutato a renderti
disponibile a ciò che senti, senza preclusioni, a dotarti di capacità riflessiva,
che ti renda capace di attingere alla tua esperienza interiore viva,
comprendendone il significato, apprezzandone via via il valore, scoprendo che
puoi fidarti di tutto ciò che accade dentro di te. Ciò che manca a te e a chi
come te vive un'esperienza di malessere interiore e di crisi, l’ho detto in
molti miei scritti, è proprio questo: capacità riflessiva. La capacità
riflessiva, quella vera, di vedere, di saper riconoscere dentro il tuo sentire
cosa prende forma, che non c'entra nulla col modo abituale di intendere la
riflessione (confezionare sopra e sul conto dell' esperienza, di ciò che si
prova, interpretazioni e spiegazioni col ragionamento), ti potrà permettere di
dialogare con la tua esperienza viva, incluse quelle che finora hai chiamato o sentito
chiamare e catalogare freddamente, come fossero oggetti, come ansie, attacchi
di panico, fobie, depressione o altro. Trarre dalla tua esperienza interiore
viva il suo intimo significato, ciò che vuole rivelarti e dirti, questo ti
serve, ti può far crescere e darti unità con te stesso. Può farti uscire dalla
paura di te stesso, di ciò che senti. Sparare contro il tuo sentire con farmaci
o con altro, alimentando solo la tua insofferenza e la tua paura di ciò che,
intimamente e profondamente tuo, vive dentro di te, oppure fare del tuo sentire
solo il pretesto per fare lunghi giri di indagine e di ragionamento per trovare
ipotetiche cause, con l'intento di smontare ciò che vivo dentro te ancora non
sai ascoltare e comprendere, è ipotesi infelice, oltre che sterile. Demolire il
tuo sentire, risorsa preziosa e mezzo validissimo, anche quando sofferto e
disagevole, per avvicinarti a te, per riconoscere, facendone intima esperienza,
il vero, per capirti, per arrivare per questa via, lavorando su di te, a dare volto
tuo e spessore alla tua vita, non è certo il meglio che tu possa desiderare per
te stesso.
domenica 5 aprile 2020
Illusi di essere e di sapere
La pretesa di passare oltre, di trattare il malessere
interiore come il malaugurato ostacolo che impedirebbe di vivere, di esprimersi
compiutamente e di portare avanti validamente la propria vita, racchiude
la convinzione che tutto della conoscenza di sè e della propria crescita sia
già a buon punto, che non ci sia che da proseguire liberi da intralci
interiori. Gli intralci in realtà non sono guasti o blocchi negativi, non sono
espressione di insufficienze, di ritardi e di incapacità di procedere, non sono
disfunzioni e malfunzionamenti di un insieme che va solo rimesso a punto perchè
funzioni come potrebbe e dovrebbe, sono viceversa richiami e interferenze che
la parte meno illusa e ingenua del proprio essere, che la parte profonda di se
stessi, sta mettendo in campo per provocare una profonda e puntuale verifica e
revisione di tutto il proprio modo di procedere, per portare a sostituire una
visione illusoria di se stessi e della propria realtà con una fondata e vera,
una realizzazione apparente di sè, fragile e tenuta su da conferme
esterne, con una generata da sè, da coltivare e sviluppare senza trucchi
e vuoti, perchè sia autentica e salda. Si dà per scontato di aver già capito e
trovato identità propria, di sapere chi si è, cosa sia meglio per sè, ci si
attribuisce possesso degli strumenti e delle risposte che servono, si dà
credito in realtà a ciò di cui sfugge qualsiasi attenta comprensione, che
semplicemente si ripete per abitudine e per sentito dire, di cui non si sa e
non si vuole vedere la reale natura e qualità, il grado vero, verificato e non
presunto, di consistenza e di affidabilità. L'illusione di sapere e di
possedere le risposte e le soluzioni valide è sostenuta, è tenuta su da
modelli, da convincimenti e da principi comuni, da idee tanto diffuse da
considerarsi credibili, valide e capaci di definire ciò che è reale e normale,
inequivocabilmente. Nulla di scoperto e di compreso da sè e sulla stretta base
di ciò che l'esperienza, non quella limitata dei fatti e colta con osservazioni
di superficie, ma quella più intima, coinvolgente e vera, ha voluto, passo dopo
passo, rendere riconoscibile. Con la propria esperienza intima, testimoniata e
resa attuale e viva dal proprio sentire, dal corso dei vissuti, degli stati
d'animo, delle proprie vicende interiori, gli individui non hanno spesso nessun
legame e nessuna confidenza. Tutto l'intimo è guardato dall'alto in basso come
corteo di sensazioni affatto significative e valide nel saper dire e far
capire, snobbate come espressioni irrazionali, spesso fitrate e selezionate,
contrapponendo come positive quelle piacevoli a quelle giudicate negative
perchè dolorose e spiacevoli, con fuga da queste ultime, lette, interpretate,
non certo ascoltate e riconosciute nel loro intento e nel loro dire, a
piacimento per vederci ciò che fa comodo e marchiate come improprie se
deludenti le personali aspettative, addirittura squalificate come anomale o
malate se affatto in linea con i propri pregiudizi, di estrazione comune, circa
ciò che è ammissibile e normale. Non c'è dialogo con l'interiorità, tenuta in
subordine e guardata a vista, spesso resa oggetto di trascuratezza, di omesso
ascolto o peggio tenuta a distanza e rinnegata se ritenuta ostile e fonte di
danno perchè pressante e dolorosa. Evadere, svagarsi, fare appello al diritto
di stare bene, esaltare la leggerezza come condizione ideale, buttando via gli
"appesantimenti" che l'interiorità accortamente e mai per insensati
motivi propone e dona perchè ci si fermi a guardare attentamente dentro la
propria esperienza, dentro se stessi, sono modalità così diffuse, ricorrenti e persino
esaltate come ideali da cultura e da convincimenti comuni, che ciò che può fare
da fondamento a una consapevolezza e a una conoscenza vera di se stessi è
continuamente sabotato e scassato. Quanto dunque è affidabile la persuasione di
sapere già e di aver già chiaro chi si è e cosa va proseguito e perseguito,
persuasione che induce molti a sparare contro il malessere e la crisi interiore
di cui è portatore, come ostacolo da superare, come distorsione da correggere,
come espressione di disfunzionalità da emendare e rimpiazzare con risposte più
accordate con la pretesa di tornare a correre come e più di prima? L'deologia
della riuscita come pronta capacità di funzionamento fa sì che l'unico modo di
intendere la propria realizzazione coincida indissolubilmente con i modi
già intesi e applauditi, senza alternative. E' significativo che le stesse
correnti di pensiero e le pratiche che sono oggi così diffuse sul terreno
psicoterapeutico, che siano quelle di tipo cognitivo comportamentale o quelle
ancora più sbrigative della cosiddetta terapia breve strategica, non
casualmente di matrice e provenienza nordamericana (dove è molto consolidato e
spinto il principio e l'imperativo del non rimanere indietro, del non perdere
colpi nella corsa alla riuscita, al successo), nel loro cercare prima di tutto
la soluzione e il superamento del disagio interiore inteso pregiudizialmente
come modo disfunzionale e svantaggioso di intendere e di rapportarsi alle
esperienze, vadano sostanzialmente dietro e siano coerenti con questa visione della
realizzazione personale, così come presente nell'idea comune prevalente. Accade
così che si fraintenda, che senza esitazione e senza dubbi si giudichi
espressione di ritardo o di malfunzionamento, di impiccio dovuto a qualche
errore di apprendimento o a qualche infausto condizionamento familiare o
ambientale, ciò che interiormente ha ben altro significato e intento, ben altro
valore, utile a riportare l'individuo a se stesso e a dotarlo di capacità di
veder chiaro dentro se stesso, condizione indispensabile per non fare sciupio
della propria vita rincorrendo la cosiddetta normalità, cioè l'idea comune e
prevalente cui si consegna il compito di fare da guida e da orientamento.
Perchè alla visione illusoria, trainata e regolata da fuori, si sostituisca la
visione nitida e fondata, trovata col proprio sguardo dentro e attraverso se
stessi, è necessario rivalutare la propria esperienza interiore, il contributo
che la parte intima e profonda di se stessi sa dare, collocandola, come merita,
al centro del proprio interesse. Sarebbe saggio smettere di tenere in posizione
subordinata e ai margini o fuori dal proprio campo visivo la propria esperienza
interiore, esaltando scioccamente come sana la pretesa di andare via dissociati
da parte essenziale di sè, sarebbe provvidenziale per se stessi non insistere
nella pretesa e nella presunzione di risanare e di correggere la propria
esperienza interiore, quando in realtà è l'unica che, ascoltata e correttamente
intesa in tutte le sue espressioni, anche e soprattutto in quelle in apparenza,
solo in apparenza, anomale o insensate, saprebbe ridare le basi della
consapevolezza e della scoperta del senso della propria esistenza. Colpire ciò
che di sè non si conosce nel suo autentico significato e valore, col solo
intento di continuare a procedere a testa bassa, illusi di essere e di sapere,
non è scelta così saggia e promettente.