mercoledì 28 aprile 2021

Non fa danno

La vita interiore, il suo linguaggio, ciò che propone, lo scopo che persegue sono ben altro e si collocano in tutt'altra prospettiva rispetto al modo abituale e comune di considerare e di trattare l'esperienza interiore. Frequentemente chi è investito da malessere interiore da un lato non ha strumenti per capire ciò che la sua interiorità sta cercando di dirgli e di condurlo a conoscere, dall'altro non si astiene dal sovrapporre e dall'imporre a ciò che sente rapide spiegazioni e sbrigativi giudizi, che, riportando e forzando tutto dentro schemi già noti, non sanno rispettare e comprendere il significato originale e lo scopo di ciò che sta vivendo interiormente. Accade così che da una parte l'individuo cerchi spesso in primo luogo di stare al sicuro e nella conferma del suo modo di condursi e di pensarsi, ritenendo che tutto interiormente debba svolgersi concordemente con le sue attese, senza sorprese e "normalmente", mentre dall'altra la sua interiorità, la parte intima e profonda di se stesso (che, pur non essendo affatto irrilevante, è in genere misconosciuta nel suo valore e nella sua affidabilità) spinge invece per fargli fare, attraverso tutto ciò che nel sentire mette in movimento all'interno del suo spazio interiore, esperienza significativa che lo porti a aprire gli occhi su se stesso, a conoscersi davvero, al di là delle apparenze. L'attività del profondo, i segni della sua presenza sono incessanti. Se durante la notte, quando non c'è nulla che distrae e che porta via, quando nel sonno la parte conscia si ritrae, la parte profonda ha l'incontrastato prevalere e nei sogni fa sentire la sua voce, offrendo perle di ingegno e stimoli a guardare dentro se stessi, di giorno non cessa di far sentire la sua presenza, regolando stati d'animo e emozioni e tutto ciò che il sentire propone. Il proprio sentire, l'insieme degli svolgimenti interiori, tutto guidato dal profondo, vuole indirizzare la consapevolezza, dare base e terreno valido su cui poggiare per capire, per entrare nel vivo e nel vero della propria esperienza, per riconoscere il proprio stato e modo d'essere. Anche se contrastante con le proprie attese e preferenze, il sentire non dice cose assurde, anche se spiacevole e fastidioso, non mostra segni di anomalia, parla con un linguaggio che non è quello concreto e convenzionale. E' necessario imparare a conoscere le particolarità di questa parte di se stessi, a comprenderne lo specifico linguaggio, ben diverso da quello razionale, se si vuole far proprio ciò che sta dicendo e che vuole far capire, se si vuole evitare di liquidare come malfunzionante o disfunzionale ciò che non si ha capacità di comprendere nel suo vero significato e valore. Per potersi avvicinare a se stessi e per non rimanere sulla difensiva nei confronti della propria interiorità, per scoprire che l'esperienza interiore difficile e sofferta non è una minaccia da contrastare, una fonte di danno, bensì un contributo e una guida fondamentale per capirsi e per crescere, si ha necessità di essere aiutati a comunicare con se stessi. Ci vuole una mentalità diversa rispetto a quella solita e comune per capire le vicende interiori, per non fraintenderle, per non correre il rischio di ridurre tutto a questione di mancato funzionamento normale, etichettando ciò che non rispecchia i canoni di presunta normalità semplicemente come espressione di un guasto, come malato. Ciò che si spaccia per evidenza, l'idea che ciò che è sofferto e spiacevole interiormente sia dannoso e contrario ai propri interessi, svela solo l'incapacità di capire l'esperienza interiore. Siamo individui complessi, fatti non solo di superficie razionale, ma anche di vita e di intelligenza profonde. La parte profonda di noi stessi bussa, a volte con molto vigore e insistenza, vuole farsi ascoltare, vuole coinvolgere tutto il nostro essere, lo fa coi sogni, lo fa con vissuti e con esperienze interiori, anche ben poco agevoli, come l'ansia, a volte con richiami potentissimi e estremi come gli attacchi di panico, si tratta di imparare a ascoltarla e a intenderla, a dialogare con essa. La parte profonda del proprio essere, tutt'altro che primitiva, sprovveduta o cieca come si pensa sia tutto ciò che non è di matrice razionale, non è curante di mantenere la corsa, di inseguire l'adattamento, l'efficienza nel condursi avanti secondo i criteri resi scontati solo perchè abituali e ricorrenti. Il profondo è curante di capire cosa si sta facendo di se stessi e perchè, di aprire a tutto l'essere una simile riflessione, di comprendere le proprie vere potenzialità, di rompere il legame di dipendenza da altro che sembra dare le guide e i limiti, ma di fondare su basi proprie di consapevolezza il proprio modo di procedere e i propri scopi. Invocare come condizione positiva e ideale l'assenza di tensione interiore, cercare di evadere da ciò che si sente giudicandolo anomalo e nocivo quando doloroso e difficile, affidarsi a rimedi che allontanino e che mettano a tacere ciò che si prova è come dissociarsi da se stessi, è come erigere un muro contro parte viva di sè, che ha tutt'altra intenzione che di recare confusione e danno, che ha ben altra e forte potenzialità e capacità di dare rispetto a ciò che comunemente si pensa. Un percorso, quando ben fatto, di analisi serve proprio a questo, non a rimettere tutto in riga per insistere nel solito modo di concepire il proprio bene e il proprio procedere a senso unico, ma a trovare capacità di incontro e di dialogo col proprio profondo, a intendere ciò che il proprio sentire e i propri sogni sanno dire e guidare a conoscere in modo aperto e senza veli di se stessi, a trasformare per non essere ciechi ripetitori di senso comune e prevalente, ma creatori del proprio pensiero e del proprio destino. E' un percorso che consente di scoprire, di toccare con mano che, quando si impara a ascoltarlo e a comprenderlo fedelmente, non c'è fonte di danno in tutto ciò che vive e si propone interiormente. Solo l'ignoranza, la non conoscenza e la lontananza da se stessi, spesso sostenuta da presunzione di sapere cosa interiormente sia ammissibile e non, normale e non, può fare danno, serio danno.

domenica 18 aprile 2021

La vita interiore, capire senza preconcetti

E’ molto diffusa la tendenza a fare uso disinvolto e sicuro di diagnosi e di autodiagnosi, unito all’idea di malattia, della sofferenza interiore come disturbo e intralcio. Supporre malattia, dell'anima o del cervello, nei confronti di parte di sè con cui, volendo, procurandosi l’aiuto necessario e utile, si potrebbe cercare incontro e dialogo,  impegnativo, ma possibile, credo sia l'equivalente della pretesa di capire un altro individuo, di dirne, senza entrarci in rapporto e in ascolto. Voglio però ora considerare non tanto ciò che accade a chi si ferma subito e confida solo nella chimica come arma e correttivo del proprio sentire, che ormai tratta come presenza nemica, come patologia da scacciare, salvo ritrovarselo cocciuto e ribelle dietro ogni angolo e piè sospinto, non perché perfido, ma semplicemente perché non ci sta a farsi imbavagliare e bistrattare. Voglio ora considerare quel che può accadere a chi cerchi di avvicinare le cose in altro modo, a chi decida di impegnarsi a capire. Anche qui accade non di rado che la scelta di capire discenda e sia tutt’uno con la pretesa di scovare l’inghippo, la causa del "male", il perché del patimento, che dovrebbe avere alle spalle qualche esperienza e fattore avverso, qualche spina mai tolta. Si torna anche in questo caso a supporre, a definire a priori, a pensare l’esperienza interiore e lo stato ideale con preconcetto. L’approccio stesso all’esperienza interiore, ai propri vissuti, al proprio sentire, risentono di un simile preconcetto. Capita che l’esperienza interna e vissuta venga guardata sbrigativamente, per andar presto a spiegare, a cercare ipotetici perché. Questo è un modo assai frequente di procedere e di pensare, significativo di una difficoltà, spesso di un vuoto d'esperienza di rapporto con le vicende interiori e di ricerca. Seguire il percorso interiore, impegnarsi, accettando il coinvolgimento pieno nell'esperienza interna, ad avvicinare senza pregiudizio, ad ascoltare e a fare proprio quello sguardo intimo, è cosa certamente inusuale, come lo è la capacità di riflessione vera. Spesso si intende la riflessione semplicemente come rielaborazione e riordino di pensieri; è già più raro che si intenda la riflessione come il sostare con più attenzione sull'esperienza in corso, sull'esperienza vissuta. Anche in quest'ultimo caso di fatto la riflessione spesso si traduce nel lavorio del ragionamento, che, in separata sede rispetto al vissuto, al sentire, costruisce ipotesi e spiegazioni sul suo conto, confeziona un vestito cui fare stare dentro, adattare cio' che si sente, che interiormente si sperimenta. La quadratura del ragionamento, unico appiglio per non ritrovarsi persi o in balia dell'incertezza, spesso tanto offre momentanea quiete e dà apparente soddisfazione quanto coincide, a starci ben attenti, con la sensazione di non aver trovato vero incontro col sentire, di cui, malgrado il tentativo di spianarlo o di metterlo in gabbia, si continua a percepire l'estraneità, l'essere altro e potenzialmente ribelle rispetto al marchingegno della spiegazione e del chiarimento costruiti, escogitati. Persino la psicoterapia e il chiarimento o la presunta presa di coscienza che in essa si cerca e si sviluppa, rischia non di rado, se affidata allo sforzo di spiegare facendo leva su teorie già fatte e pronte e su sforzi o acrobazie del ragionamento, di cadere nella stessa trappola. Purtroppo succede che rispetto a cio' che accade interiormente si sia pronti e inclini in partenza ad applicare mezzi e strategie per accomodare, per riportare le cose al dritto, supponendo di aver già chiaro quale debba essere il verso giusto, normale delle cose. Frequentissima la ricerca, attraverso lo scandaglio di esperienze del proprio passato, di qualcosa che finalmente faccia trovare la presunta causa di tutto, del "distorto" modo d’essere e di percepire, dello stato d’afflizione interno che non dà quiete. Non appena all’orizzonte compare qualcosa che verosimilmente potrebbe spiegare, giustificare, essere la chiave di volta, ecco che finalmente pare d’aver trovato il perché liberatorio. Peccato che tutto questo lavorio nasca e sia conseguenza di un preconcetto circa il significato dell’esperienza e della sofferenza interiore, che tutto il lavorio di ricerca si muova stando dentro riferimenti e pregiudizi soliti, che il chiarimento sia più un ragionato, pur sottilmente, teorema, che una vera scoperta. La sofferenza interiore non è affatto scontato, come invece pare ai più, che sia sintomo, segnale di un danno patito, di cui, rintracciate l’origine e le cause, ci si possa liberare, riportando così dentro se stessi quiete e equilibrio, benessere. Spesso la sofferenza interiore è frutto e espressione di iniziativa del proprio profondo, è rottura di equilibri, per generare qualcosa che non c’è: prima di tutto avvicinamento a se stessi, capacità di capirsi, costruzione di un proprio modo di vedere e di conoscere, che non ci sono, capacità, che non c’è, di autogoverno, di farsi interpreti di sé, di avere pensiero e capacità di condursi autonomi, che rompano con il sostanziale fare leva e rimasticare idee e modalità comuni, con la dipendenza da convalida e da considerazione altrui, con la dipendenza dall’offerta di soluzioni preconfezionate e percorsi segnati. La sofferenza interiore è soprattutto proposta, specchio di verità per conoscere se stessi e il proprio stato e modo di procedere, è pungolo e guida di ricerca, inizio di ricerca e di trasformazione. Comprenderla non è facile, ma offrendole ascolto e non pregiudizio è possibile. Purtroppo la ricerca e la concezione della cura in ambito psicologico coincidono non di rado con l'elaborazione di un'ingegneria di risposte e di soluzioni volte, protese dal principio a mettere in ordine, a sistemare, a manipolare, a contrastare, correggere, piuttosto che ad ascoltare e a capire veramente la vita e l’esperienza interiore. In partenza e a priori l’idea che questo modo d’essere e di sentire o corso d’esperienza interna sia anomalo, che quell’altro sia inopportuno, che quest’altro ancora sia il più conveniente e giusto. Che presunzione! La psiche pero' è fatta di espressioni continue che sfuggono, che non stanno dentro lo schema, è fatta di ostinata intraprendenza e pressione profonde che non si fanno zittire. L'interiorità che si presume di spiegare e all’occorrenza di mettere in riga, dice, sollecita, produce, anche in modo disturbante o dissonante rispetto a gusti o attese, torna a premere anche se inascoltata, anche se, quando torna decisa a bussare, si parla di “ricaduta” di malattia. E’ raro che le si dia retta, che ci si impegni in un incontro disponibile e attento con la propria interiorità, nel suo ascolto vero. Purtroppo è persino possibile che ci siano esperti della psiche e della sua "riparazione" che hanno avuto accesso più a libri e a insegnamenti, ad apprendimento di tecniche, che, prima di tutto, al rapporto con la propria interiorità, con cui non hanno avuto e non hanno esposizione, contatto, apertura vere. L'interiorità apre percorsi, non casualmente, non disordinatamente o insensatamente, traccia solchi che, se seguiti e compresi, se riconosciuti in cio' che dicono, che mostrano, che rivelano, offrono la possibiltà preziosissima di avvicinarsi a se stessi, di lavorare su se stessi, di vedere con i propri occhi cose importantissime e di vitale importanza per sè . Se si impara a cercare l'intimo di cio' che si sente, se si impara a lasciarsi prendere e segnare dal sentire e nello stesso tempo a cercare di prendere visione di cio' che lì dentro, in cio' che si sta provando, sta prendendo forma e si sta rivelando di se stessi, ecco che si fa riflessione vera (come guardandosi dentro uno specchio), ecco che il dialogo con sè, con la propria interiorità, con cio' che dice anche di sofferto, comincia a ricomporsi. Non è facile, ma è possibile. Non accade in un attimo, bisogna lavorarci tanto e a lungo, con pazienza e coraggio, con estrema cura. Può diventare necessario e utile farsi aiutare a formare e a sviluppare questa capacità di incontro e di dialogo con se stessi, con la propria interiorità da chi sappia farlo. Se si fa questo si ha occasione di scoprire che l'interiorità, che la propria interiorità dice, anima, rivela, crea, anche passando per percorsi insoliti o accidentati, ma necessari, illuminanti, veri, opportuni, intelligenti. Si puo' smetterla di fare ipotesi da fuori o congetture circa cio' che è o che vale la sofferenza o circa le sue ipotetiche cause e se ne comprende la proposta, il messaggio vero. Si puo' fare. Non c'è cosa che ho scritto che non venga da rapporto con l'esperienza interiore, mia prima di tutto e d'altri con cui da molti anni mi confronto, nel tentativo di sostenerne lo sforzo di aprirsi a se stessi, di prendersi cura di se stessi.

domenica 11 aprile 2021

Accade che il tuo profondo scelga in modo diverso dalla tua volontà

Accade che il tuo profondo scelga in modo diverso dalla tua volontà, che non concordi con il perseguimento di ciò che la parte di te cosiddetta conscia vorrebbe ottenere, persuasa che l’ideale, che lo scopo da raggiungere sia, ad esempio, quello di vivere libero da tensioni, da inquietudini giudicate anomale e non dovute, insieme al possesso immediato della sicurezza, della capacità di reazione pronta, di perseguimento dell'obiettivo che pare, per idea tua e comune, valido e desiderabile, favorevole. Capita che alla parte di te profonda non sfugga la necessità di un diverso modo, non apparente, non affidato a guide e a conferme esterne, ma ben fondato su conoscenza profonda di te, di realizzare te stesso. Capita che il tuo profondo non ignori del tuo stato presente e del tuo modo di condurti i vuoti, la mancanza di scoperte di significato e di valore tue, di un tessuto vivo di pensiero non dissociato dall’intima esperienza, ma fondato su vissuti, su sentire, la necessità e la priorità  di formarlo, di svilupparlo, perché essenziale, non per dare prova, non per dimostrarti all'altezza delle comuni e abituali pretese, ma per avere del tuo che ti guidi e sostenga, un tuo in cui tu creda e in cui ti riconosca, che diventi modo di procedere, scelte e progetto che vuoi realizzare. Oggi avere fiducia in te è quasi una pretesa, lo vivi come un diritto, come se si trattasse di un'ovvietà, come se i giochi fossero già fatti, come se un pò d'anagrafe e di esperienze fatte di per sè dovessero già darti forza e maturità di risposta nelle diverse situazioni. Al tuo profondo preme la sostanza, non cade vittima delle illusioni, se la fiducia in te va fondata su reale possesso di risposte tue, guadagnate da incontro e da confronto con te, da scoperta con i tuoi occhi di significati che abbiano radice in ciò che vivi dentro l’esperienza, che senti, che non siano quelli presi in prestito, già codificati e comuni, subito disponibili per essere usati e rimasticati, ridetti senza capire alla radice nulla, ecco che il tuo profondo non ci sta e vuole per te e con te un percorso, casomai più lungo e graduale, più impegnativo, ma certamente più appassionante, oltre che promettente, per conquistare capacità tua autonoma di pensiero e di scelta. Non è uno sfizio questa autonomia, è la base per esistere, per non essere gregario rispetto a principi e a idee comuni, per essere pensante e capace di concepire il tuo, coerentemente con te stesso, è la base per sentirti appassionatamente consapevole di ciò che dici e che ti proponi e libero di non infilarti nel percorso segnato da altri e da altro, ma di intraprendere e seguire percorso tuo originale e verso scopo tuo, da te compreso e concepito. Capita che il tuo inconscio, che il tuo profondo ti neghi percezione di sicurezza e di fiducia, per rifondarle su basi nuove, per non insistere nell'andare avanti con fiducia fittizia e immeritata, non agli occhi altrui, ma ai tuoi. Capita che il tuo profondo ti spunti l'arma della replica pronta, della parola e dell'affermazione efficaci, per far sì che, tacendo, incassando la tensione, tu ti chieda cosa quella domanda ha mosso in te, cosa significa dare risposta e alla ricerca di che cosa, di tradurre qualcosa in cui credi davvero e che davvero comprendi e puoi sostenere o sforzandoti solo di convincere altri, sventando cattivo giudizio, meritando buona considerazione. Al tuo profondo preme la tua crescita vera e sostanziale, non gliene frega di vittorie di pirro, di buone riuscite in pubblico, di successi del cavolo, che non hanno sotto davvero la capacità di concepire idee fondate e appropriate all’esperienza vissuta, di pensare autonomamente e non di rimasticare roba incompresa. E’ una capacità che va formata e sviluppata gradualmente, è la capacità di capire e di capirti, che si fonda sul non tacerti nulla, anche se scomodo, è la capacità di formare qualcosa di tuo, di tessere filo di pensiero tuo. La visione del profondo è straordinariamente più saggia e lungimirante di quella della parte cosiddetta conscia, che spesso, pretendendo di fare da sola, si fa bastare illusioni e che è così incline al cieco aderire a modelli prevalenti, all'impazienza. L'ansia e quant'altro che interiormente crea instabilità, che segnala crisi e che non dà quieto vivere, vogliono proprio rilanciare la tensione del cambiamento, mostrare crepe, invitare con forza, talora con prepotenza, come con gli attacchi di panico, alla priorità dell'avvicinamento a se stessi, del lavoro su se stessi, rispetto al cieco andare avanti con pretesa che tutto sia già a posto. Quando coinvolti da disagio e da malessere interiore, è frequentissima, come fosse reazione ovvia, la risposta vittimistica, fatta di tutto un susseguirsi di lagne, di recriminazioni, di attacchi ostili all'ansia e a quant'altro interiormente di disagevole vissuto, liquidato come disturbo e squalificato come patologia, fraintendendone e ignorandone il vero significato e valore di forte richiamo al compito di guardare dentro se stessi e di formare quel che ancora non c'è: consapevolezza e tessuto umano e di pensiero propri, unità con se stessi. Hai la responsabilità verso te stesso di fare una scelta. Puoi continuare a metterti al riparo da dubbi, cercando conforto nell'idea di malattia e di cura che tolga di mezzo, come fosse un disturbo, ciò che interiormente ti coinvolge e non ti dà tregua o viceversa puoi scegliere, raccogliendo l’invito e la proposta che origina dal tuo profondo di prenderti davvero cura di te e delle tue necessità di crescita e di trasformazione profonda.  Puoi scegliere se impegnarti a costruire, col contributo di chi sappia aiutarti a metterti in sintonia e in ascolto del tuo profondo, a comprenderne il linguaggio e la proposta, le basi della tua vera realizzazione, della tua, non apparente e illusoria, capacità di dire la tua alla vita, di generare e di mettere al mondo il tuo o rivendicare, in nome di un malinteso benessere, il rapido ritorno alla normalità e alla continuità solita, a quello di cui disponevi e che eri prima che la crisi e il malessere, che l'iniziativa del tuo profondo ti coinvolgessero.

domenica 7 marzo 2021

L'unità con se stessi

E’ molto spiacevole e, a pensarci bene, inaccettabile e tristissimo convivere con la parte intima e profonda di se stessi, che non è certo insignificante, senza trovare con lei intesa e comprensione, vivendola anzi come parte nemica, come oscura minaccia, da cui guardarsi. Le espressioni della propria vita interiore sono a volte difficili da capire, sembrano solo togliere, sconvolgere, fare danno e minare la propria sicurezza, in una parola sembrano essere nocive e basta. Non è vero. Nulla di ciò che si sperimenta interiormente è casuale e insensato, solo negativo e inaffidabile, nulla soprattutto lavora contro se stessi. Il punto decisivo, se si vuole comprendere il significato vero della propria esperienza interiore, è un altro, è che si ha dentro e nel proprio profondo capacità di visione lucida, non condizionata da illusioni e da interessi di autoconferma, di ciò che si è e che è importante capire, riconoscere, di ciò che è necessario costruire e mutare, per non perdersi, per non proseguire il proprio cammino di vita in modo in apparenza stabile e quieto, ma, casomai nella sostanza, sterile e fallimentare, infelice. Accade allora che dentro di sè questa parte, che è parte viva di se stessi (non va mai dimenticato!), prenda iniziativa, a volte forte, interiormente vistosa e sensibile, per spingere con decisione a entrare in contatto con qualcosa di meno evidente e scontato di quel che si vede e che si concepisce col ragionamento, ma che certamente ha più peso e rilevanza per sè di ogni altra cosa, di ogni ricerca della semplice continuità o del beneficio del quieto vivere. Insomma, il malessere non è mai un accidente negativo, una disgrazia, la semplice espressione di una debolezza o di un eccesso di vulnerabilità personali, non è un agitarsi scomposto, un meccanismo che impazza, è semmai il contrario, l’espressione di una ferma e lucida iniziativa interiore, per indurre a dare priorità alla riflessione su  se stessi, a portare lo sguardo su di sè, per guidare a scoprire e a costruire qualcosa di nuovo e che è profondamente riconosciuto necessario, anzi essenziale. Dal punto di vista di questa parte viva e profonda di se stessi non è prioritario stare bene in apparenza e procedere indisturbati, ma vedere con occhio attento, riflessivo la propria condizione e il proprio modo di procedere, per raggiungere consapevolezza vera, fondamento del cambiamento e della crescita personali, non di facciata, ma di sostanza, della conquista della capacità di fare propria la propria vita, di conoscere prima e poi di esprimere il meglio e il vero di se stessi. Questa parte profonda del proprio essere, non ha paura di mettere le cose in discussione e sottosopra, di creare a volte anche forte intralcio al consueto procedere, ma a fin di bene, del bene vero del conquistare qualcosa di più consapevole, di più autenticamente proprio, corrispondente a se stessi, e di più maturo. Certo la via tracciata dalla propria interiorità  risulta scomoda e non indolore, restituire a se stessi  la responsabilità, riconoscere la verità  di ciò che si è, che si è fatto e che si sta facendo, non eluderla o non ricoprirla di spiegazioni e di significati di comodo, costa e non poco. Va preso atto che, soprattutto all’inizio, fino alla scelta di avviare un serio lavoro su se stesso, c’è dissidio, forte contrapposizione tra la parte più conosciuta e frequentata del suo essere, cui nel tempo l’individuo si è sempre più legato e affidato, quella dove svolge i ragionamenti e dove prende decisioni, che è spesso affidata e prigioniera di un pensiero che si rigira su se stesso e che ricalca il convenzionalmente e comunemente concepito, e la sua parte profonda (quella che si esprime nelle emozioni, negli stati d’animo e nei sogni) che vede le cose, certamente con più disincanto e lucidità, con profondità di sguardo e con  radicamento nella esperienza vissuta, con consapevolezza dell’originale patrimonio personale e del percorso interiore e di presa di coscienza necessari per portare a compimento il proprio potenziale umano. La parte profonda, non assoggettata a vincoli di difesa e di mantenimento del già raggiunto e ottenuto e di aderenza al convenzionale, con più lungimiranza, scuote gli equilibri soliti, esercita pressioni utili a mettere in moto il cambiamento di cui conosce fondata e irrinunciabile necessità e utilità. Come fare per passare da uno stato di disunione, di paura di se stessi e di ciò che  si vive interiormente, a una condizione invece di dialogo, di comprensione del senso di tutto ciò che succede nel proprio spazio intimo, di lavoro unitario e solidale con la propria interiorità, accolta e ascoltata per intero? Questo è ciò che può consentire una buona psicoterapia, nel segno del promuovere nell’individuo l’ascolto, la capacità di avvicinarsi e di aprirsi a se stesso, imparando a rispettare e a valorizzare le proposte e a capire il linguaggio della propria interiorità, sia nei vissuti, nelle emozioni, pur intense e “tremende“ o in apparenza assurde, sia nei sogni. I sogni sono il pensiero elaborato ed espresso nel miglior modo possibile dalla parte profonda del proprio essere, che, se è intransigente e ferma nello smuovere le acque, nel creare clima di crisi e d’urgenza, è anche pronta e capace nel dare guide e indicazioni su come procedere nella riflessione e nella riscoperta di se stessi. Trovare unità con tutto il proprio essere, unità che restituisca all’individuo la sua vita, le sue vere ragioni e tutto il suo potenziale, è possibile.

giovedì 4 marzo 2021

La corsa

Se rincorrendo e afferrando questo e quello, che parevano pezzi pregiati e capaci di darti valore, ti sei perso, se ciò che hai cercato di non farti sfuggire nei tempi e nelle cadenze già scritte del “così fanno o farebbero tutti”, ora senti non essere nulla, se il senso di adeguatezza, l'apprezzamento e la buona considerazione altrui e quant'altro preso da fuori non sono più efficaci nel tenerti su, se sono benefici che non durano dentro di te, perché ora, nella presa del tuo intimo sentire, che toglie ogni maschera e svuota ogni illusione, sai che simili pregi e conquiste non sono sostanza tua vera, ora sei nel disagio di avvicinarti al vero, ora sei. Non eri tu in quel che agli altri piaceva, l'apparentemente tuo stava su per gradimento altrui. Ora la buona prestazione, se anche la pretesa di tornare a produrla non è finita, è logora e compromessa, è logoro il tuo sforzo, ora tocchi il vuoto, non ti sono più nascosti gli errori. Ora potresti cominciare a esistere nel tuo disagio e in ciò che vuole svelarti, a patto che non lo usi, che non lo strumentalizzi per prenderti benefici da fuori, per darti una parvenza di dignità, un merito di circostanza, perchè anche il dolore può essere usato, recitato, esibito, anche se alla radice ora scopri che in te c'è vero dolore, che non è richiamo e cattura dell'attenzione altrui, un abbellimento, una buona prestazione residua. Hai in te, nella parte di te più profonda e sincera, capacità di vedere e non abilità di illuderti o di inebetirti di pseudo consapevolezza. Ora puoi fermare la corsa, per stare con coraggio nella verità che ti vuole avvicinare a te stesso, rinunciando a raccontartela come ti pare e piace, a mettere al primo posto la rassicurazione e la conferma, supporti per proseguire indenne e per stare su come sempre, per non mollare la presa, che pure si è rivelata una presa sul nulla. E’ arrivato il tempo di non fuggire, ora non hai più protezione che ti isoli dal vero, è questa la lezione del disagio che non ti dà tregua. Ogni espediente per rifuggire la verifica e il confronto sincero con te stesso ora si rivela fragile, hai scoperto che non c'è sostegno esterno che possa reggere all'infinito, che si riveli capace di evitarti di sentirti perso, non c'è autoinganno che possa durare, di cui prima o poi non ti sia chiesto il conto. La tua interiorità non vuole tenere su la recita, è stanca, è davvero stanca, vuole spirito nuovo, vuole che tu le creda in ciò che ti dice, che ti dà schiettamente, senza addolcimenti, vuole che tu cominci a ritrovarti e a costruire sul vero, sull'avventura umana di un individuo che non sa solo cercare plauso esterno e conferma prima di ogni cosa, che vuole confronto e incontro aperto e trasparente con se stesso, fondamento e alimento di stima interna, di vera autostima  e di calore, di calore sincero. E' arrivato il tempo, stavolta non dettato da fuori, dell'incontro con te stesso, con la tua interiorità su cui puoi contare.

domenica 28 febbraio 2021

Il concreto e il reale

Spesso, in presenza di esperienze interiori affatto piacevoli, ad esempio di ansietà continua o quando esposti alle bordate degli attacchi di panico, oppure quando tenuti sotto da un senso di sfiducia e di infelicità, da un senso di vuoto, ci si dice e ci si sente dire che non c'è motivo reale per simili stati interiori, che quei vissuti fanno sperimentare e coloriscono l'esperienza in modo abnorme, alterato da una patologia da curare. C'è un modo di pensare che al riguardo si irrigidisce e si fa forte di pensieri comuni, così come di teorie e di tesi, di studi definiti scientifici. C'è un equivoco circa ciò che sarebbe reale. Reale non equivale a concreto. Concreto è solo un ordine di ragioni e di cose visibili e ben riconosciute già e comunemente. Reale può essere ciò che ancora non si sa vedere e concepire, che casomai, per preconcetto e per difesa di convinzioni inveterate, non si sa e non si vuole ammettere e riconoscere. Lo stato delle cose riguardante se stessi, il proprio modo di vivere e di procedere, può ad esempio non essere felicemente rispondente a se stessi e soprattutto può essere mistificato, travisato, ritenuto normale e scontato, valido solo perché simile e copia di ciò che pare concepisca e faccia la maggioranza delle persone. Profondamente però siamo dotati di capacità di sguardo che non cede all'illusione e alla mistificazione, che sa vedere ad esempio quanto soffra la nostra identità vera e il nostro potenziale d'essere e di crescita originali quando rimaniamo incastrati nel pensiero e nello stile di vita suggeriti e impartiti dalla cosiddetta normalità. Se il nostro profondo volesse darci uno scossone e imporci la necessità e l'urgenza di riaprire tutto, di prendere visione della nostra lontananza da noi stessi, di intendere per tempo il rischio di fallire il nostro cammino di vita dove non cominciassimo a fare sul serio, impegnandoci a capire la nostra condizione vera senza veli e autoinganni, sarebbe così assurdo e anomalo se ci desse interiormente forte segnale di apprensione e di allarme, persino di panico? Se la parte profonda del nostro essere volesse indurci a vedere, al di là della superficie di adeguatezza ai criteri di normalità comuni, il vuoto di vera autorealizzazione, non per sconfortarci e basta, ma per indurci a formare senza rinvii ciò che ancora ci manca e che non abbiamo coltivato, il nostro pensiero originale e non modellato su altro preso in prestito, se volesse spingerci a compiere le conquiste di consapevolezza che, indispensabili per decidere di noi stessi e per procedere autonomamente, sinora non abbiamo né cercato, né realizzato, sarebbe così assurdo e incomprensibile se ci precipitasse a sperimentare nell'intimo e senza possibilità di evaderne un senso di disvalore e di vuoto? Sarebbe motivata questa presa di posizione o sarebbe senza reale motivo e senso? Concreto è una cosa, reale è un'altra.

giovedì 25 febbraio 2021

Il lavorio interiore e la ricerca del vero

Porsi domande per avere visione chiara e sincera di ciò che si sta facendo, della propria condizione, non limitarsi a difendere a spada tratta le ragioni solite a protezione e a convalida di ciò che si è sempre  pensato e portato avanti, può risultare molto scomodo e mettere in difficoltà, può dare un senso di insicurezza, di disorientamento, di rischio. Raramente si è inclini a porsi e a tenere aperte domande circa ciò che fa proseguire in una situazione, che fa stare dentro un legame, a interrogarne la vera natura e i veri perchè, senza occultamenti di comodo. Più spesso si è così preoccupati di dare continuità alle cose da non volerne sapere di accogliere dubbi e domande, da preferire di volgere lo sguardo altrove o di costruire spiegazioni utili solo a confermare o a blindare ciò che si teme di mettere in crisi. In quest'ultimo caso, può accadere, non di rado, che non tutto di se stessi sia concorde con questo atteggiamento, diciamo, conservativo e che interiormente il quadro permanga instabile e inquieto. Ci può essere infatti una parte di sè, intima e profonda, che non vuole ignorare e lasciar cadere le domande, che vuole aprire gli occhi e spingere a farlo, che privilegia la ricerca del vero su ogni altro interesse. La ricerca del vero può risultare scomoda e soprattutto all'inizio può essere fortemente temuta, ma sicuramente la scoperta del vero, che non può compiersi in un istante o magicamente, ma solo attraverso un ascolto e un dialogo approfondito con la propria interiorità, fornisce nuova linfa, apre nuovi scenari, forma nuove intese con se stessi, nuove basi di consapevolezza capaci di dare la forza, il convincimento e la passione di rinnovare le proprie scelte, di trasformarle in concordanza piena con se stessi, a volte di mutarle radicalmente. Tenersi vincolati all'esistente e al modo consueto di pensare (o non pensare), che appoggia e accompagna il corso solito dell'esperienza, solo per paura della crisi, del cambiamento, rischia di far aderire a scelte, malamente fondate, poco o nulla corrispondenti ai propri interessi più profondi, di consegnare se stessi a prospettive e a sviluppi nella propria vita tutt'altro che felici. E' forte e diffusa la convinzione che tutto vada cercato fuori, occasioni, presenze vive e interlocutori, ma dentro i confini del nostro essere non siamo affatto soli e senza risorse. Portiamo dentro di noi una presenza viva, interiore, profonda, che, per come si esprime e incide nella nostra esperienza, sembra talora procurare in apparenza soltanto fastidi, ma che, se compresa, si rivela essere parte importantissima di noi stessi, tutt'altro che debole, incapace o nociva. E' la parte del nostro essere che non cede al ricatto della paura del cambiamento, del rischio della messa in discussione del quieto vivere, del mantenimento dell'ordine mentale consueto. E' il nostro inconscio, che sa e che vuole offrirci una guida, dandoci, attraverso il sentire e in modo magistrale con i sogni, richiami, stimoli e dritte di riflessione preziosi e introvabili altrove, affidabili come nient'altro, capaci di condurci alla verità di noi stessi, al riconoscimento dei nodi decisivi da sciogliere, su cui lavorare, alla scoperta di nuovi possibili percorsi a noi congeniali, consentendoci di liberare e di esaltare le nostre potenzialità originali. L'inquietudine interiore risulta spesso sgradita, addirittura può essere liquidata come un modo difettoso di sentire e di vivere, come uno stato interiore negativo, convinti che idealmente si debba stare sempre liberi da tensioni, saldi nell'abituale, tranquilli. Dentro ciò che si sente c'è in realtà un fermento di ricerca, un lavorio interiore che non cede alla pretesa del quieto vivere, che contrasta la tendenza alla rinuncia, all'acquiescenza. C'è la spinta a promuovere e a dare sviluppo, senza paura dei costi di impegno, anche di sofferenza, di dispendio di sè, alla presa di coscienza, necessaria per non essere privi di punti di riferimento validi e fondati, per dotarsi di guide autonome e assolutamente necessarie, per non lasciare che a raccontarla, a colmare lo spazio del pensiero, siano altre fonti ritenute capaci e competenti, che a dare le dritte sia altro, che si trova già concepito fuori di sè, cui spesso si cede il passo, da cui si finisce per farsi dettare la lettura dell'esperienza, le attribuzioni di significato, i suggerimenti circa ciò che è possibile e realizzabile, valido e conveniente, normale. Tutto il discorso corrente, prevalente, sull'ansia e sulle diverse espressioni del disagio interiore, trattate come disturbi o patologie, come conseguenza d'altro che da fuori molesterebbe o non concederebbe il dovuto, rischia di travisare e di non riconoscere che siamo creature complesse, che c'è una parte intima di noi stessi che non rinuncia a farsi sentire, a agitare le acque, a darci segnali tutt'altro che privi di senso. E' una parte del nostro essere che può non concordare con i nostri atteggiamenti e intendimenti, che vuole comunque condurci a aprire gli occhi, a far prevalere l'interesse per la verità, la passione per la realizzazione autentica di noi stessi sulla pretesa, immediatamente più confortevole e rassicurante, di mantenere tutto fermo, stabile e intatto.

martedì 2 febbraio 2021

La sofferenza interiore

Ripropongo oggi questo mio scritto di alcuni anni fa, con qualche integrazione.                                    Accade spesso che chi vive un'esperienza di malessere, di sofferenza interiore si rapporti a questa con allarme misto a fastidio e a insofferenza, dando per certo che ciò che sta vivendo gli sia soltanto sfavorevole o nemico. La richiesta e l'auspicio sono in genere di ripristinare al più presto la condizione precedente la crisi, di dissolvere quella realtà interna così difficile e temuta, di sostituirla con una giudicata più vivibile, affidabile e "positiva". L'esperienza interiore dolorosa viene di fatto allontanata da sè come peste e trattata come cosa, grossolanamente equiparata ad altre appartenenti e sperimentate da altri e come tale volentieri catalogata e infilata, con il suggerimento e con la benedizione di qualche terapeuta, in una categoria diagnostica o pseudo tale. Tutto diventa allora uguale (ansia, panico, depressione, fobia ecc. ecc.), un dato oggettivo amorfo e impersonale, che non significa e che non rivela più nulla di se stessi, che non dice, cui non si fa dire se non di essere un disturbo, un eccesso, una distorsione, una patologia. In realtà l'esperienza interiore disagevole e sofferta, che l'individuo teme e ripudia, cui cerca di opporre un antidoto o un rimedio, non importa quale (dal tentativo di non darle peso e di distrarsi fino a quello di provare a metterla a tacere con gli psicofarmaci) pur di ingabbiarla e di liberarsene, è parte viva del suo sentire, non assimilabile affatto a ciò che altri sperimenta, come ci fosse una cosa, ansia o depressione o altro, che come guasto o cosa rotta  si ripropone sempre uguale in tutti. Ben lungi dall'essere un'anomalia o un disturbo, la sofferenza interiore è una voce, è prima di tutto intima esperienza, tentativo di prendere, pur con fatica e con travaglio, visione e consapevolezza di qualcosa di importante e, se attentamente ascoltata, se ben intesa e compresa, si rivela essere tutt'altro che ostile e deleteria. E' viceversa guida affidabile e sicura per capire, per capirsi. Imparare ad ascoltare e a comprendere il proprio sentire, fin nelle sue pieghe più tormentate o "strane", essere aiutato a confrontarsi e a dialogare con la propria interiorità, a capirla nel suo linguaggio vivo, è conquista molto importante, anzi decisiva per l'individuo. Questa per lui la vera "cura". Solo questo incontro col proprio sentire, accolto senza preclusioni in tutte le sue espressioni e non l'opposizione preconcetta al dolore, può infatti avvicinarlo a sè e fargli superare la frattura che lo divide da se stesso, può sanare la dissociazione, il disaccordo tra il suo pensato e ciò che vive interiormente. Solo la conquista della capacità di ascolto e di dialogo con la propria interiorità può renderlo consapevole ed arricchirlo di qualcosa di intimamente vero, che urge, che la sua crisi interiore ha aperto e sta rilanciando con forza, che non può, che non vuole essere ignorato o trascurato. Se quel sentire disturba, forse disturba in primo luogo il quieto e programmato procedere, dove il conducente spesso è incurante, non senza rischi, di sapere cosa realmente sta facendo di se stesso, verso che cosa si sta spingendo. Prima di squalificare e di porsi in modo ostile contro il proprio sentire, sarebbe bene essere molto cauti. Non c'è nulla di ciò che sperimentiamo interiormente, che possa essere considerato sbagliato, che, se ascoltato e compreso si riveli davvero anomalo, eccessivo o più semplicemente assurdo o inopportuno e ancor meno che mostri di essere nemico o sfavorevole. Semmai può esserci dissonanza e disaccordo tra ciò che in superficie si vorrebbe credere di se stessi e ciò che nel proprio profondo è riconosciuto come vero, tra ciò che si vorrebbe, spesso ottusamente, confermare e mantenere uguale e ciò che si sente intima, profonda e vitale necessità di trasformare, di far nascere e vivere, di costruire. Per l'individuo investito dalla sofferenza interiore, il vero problema non sta in ciò che vissuto interiormente non andrebbe per il verso giusto e normale e che perciò andrebbe tolto di mezzo o risanato, ma è viceversa nella sua chiusura, nella diffidenza e nel pregiudizio negativo verso tutto ciò che interiormente gli risulta sofferto e scomodo. Questa risposta dell'individuo alla sofferenza interiore è omogenea e tutt'uno con l'atteggiamento più diffuso e con l'opinione prevalente tra le persone circa l'intollerabiltà e la nocività di ciò che è interiormente doloroso e disagevole, con l'idea che, in presenza di un sentire sofferto, prima di tutto vada cercato e in fretta il rimedio rispetto alla comprensione e alla presa di coscienza di ciò che l'esperienza interiore sta cercando di condurre a capire. E' l'idea incoraggiata e confermata anche dall'offerta curativa, che in non piccola parte punta proprio a trattare come anomalo e disfunzionale ciò che interiormente risulta doloroso, insolito e discorde con il quieto vivere e procedere abituale, con l'idea comune di normalità. La capacità di entrare in rapporto con le emozioni, col sentire, con le esperienze interiori è spesso mancante nell'individuo o è presente in una forma distorta. La distorsione è nell'approccio razionale, che vede la pretesa dell'individuo di chiarire dall'alto le esperienze, le vicende interiori con lo strumento del ragionamento che presume di essere lucido e affidabile, ma che, visto con occhio attento, non fa che rimescolare e riversare sul conto dell'esperienza e dei vissuti cose già pensate, che difendere, più di quanto l'individuo sia disposto ad ammettere, personali interessi e convinzioni di comodo, oltre che avvalersi di schemi e di attribuzioni di significato preconfezionate e di uso comune. Con questa modalità di pensiero l'individuo tratta ciò che gli accade interiormente come un oggetto da spiegare e da interpretare, anzichè come esperienza viva e voce da ascoltare, da cui farsi dire e guidare a aprire gli occhi, a capire. Il malessere interiore vuole indurre a soffermarsi su di sè, a prendere visione del proprio modo di procedere, a cogliere lo stato del rapporto, spesso della lontananza dal proprio intimo sentire, dalla propria vita interiore, senza il cui apporto non c'è possibilità di orientamento e di visione propria e fondata. L'approccio razionale intrecciato e ben stretto alla preoccupazione di portarsi velocemente fuori dal malessere interiore, spinge molti a sviluppare tesi circa l'origine della sofferenza interiore, da subito intesa come pena e danno di cui si sarebbe vittime, causata da qualcosa di sfavorevole in atto o accaduto nella propria vita. E' soluzione molto frequente e cara non solo a chi patisce sofferenza interiore, ma anche a chi se ne prende cura, far risalire il malessere a presunte cause, attuali o preferibilmente remote, di traumi patiti, di carenze o di condizionamenti sfavorevoli subiti, che avrebbero lasciato segno e alterato il personale modo di sentire e di reagire. Il sentire attuale, la sofferta esperienza interiore non sono di fatto accolti e ascoltati in ciò che intelligentemente e provvidenzialmente vogliono comunicare e condurre a capire di se stessi, non sono compresi nel loro intento di evidenziare nodi decisivi da affrontare, di mettere in primo piano la conoscenza di se stessi, del proprio modo di procedere, per promuoverne trasformazioni importanti, utili e necessarie, ma diventano oggetto di un discorso che li vuole vedere conseguenza negativa d'altro, sfavorevole e nocivo, traumatico e penoso, che da qualche parte, a conferma e a suggello della tesi precostituita del danno subito, si finirà pur per trovare nella biografia personale. L'esperienza interiore viva è resa in questo modo muta, al sentire attuale non è concessa parola, sul loro conto si impone un discorso e un'indagine utili solo a tentare di liberare il campo dalla loro presenza come disturbo indebito. Non è un caso che si compia una simile manipolazione e distorsione del significato dell'esperienza interiore, che di fatto, parlandole sopra e facendole dire quel che si presume, ci si mantenga sordi e incapaci di rispettare e di lasciar parlare l'intimo sentire. La mancanza di capacità vera di ascolto e di dialogo con l'esperienza interiore è legata al fatto che negli anni, nel processo di crescita dell'individuo,  è sempre stata in primo piano la ricerca dell'adattamento alle circostanze esterne e la vita interiore è stata considerata solo un'appendice subalterna, un seguito emotivo, una sorta di eco di vicende esterne, con l'attesa e la pretesa che non creasse intralci, che assecondasse la ricerca dell'intesa con gli altri, la capacità operativa e i propositi di riuscita così come intesa e celebrata dal senso comune. Condizionato dalla sua incapacità di ascoltarsi, di entrare in rapporto rispettoso con la sua esperienza interiore, di intendere e di capire il significato originale, intimo e vero, dei suoi stati d'animo e del suo sentire, nel frangente difficile l'individuo è disarmato di fronte alla crisi e al malessere interiore da cui è investito. Reagisce con sospetto e con paura, concepisce spesso come favorevole solo il ritorno allo stato abituale, la liberazione da inquietudini e da disagi interiori, visti come inutili e odiosi intralci. Privo della capacità di intendersi con se stesso, di entrare in sintonia con la sua interiorità, di cogliere utilmente il significato e lo scopo di ciò che il suo sentire gli sta comunicando con tanta forza e intensità, l'individuo si chiude difensivamente e si preclude la scoperta di ciò che affidabile, utile e prezioso la sua interiorità ha intenzione e capacità di proporgli. A molti, che vivono un'esperienza di sofferenza interiore, purtroppo non è suggerita e mostrata questa possibilità e opportunità, a molti non è offerto l'aiuto necessario, non per fuggire e contrastare, non per provare a liquidare il malessere interiore con spiegazioni di presunte cause che vorrebbero essere liberatorie e esaustive, ma per imparare ad andare incontro fiduciosamente, a capire intimamente e a far propria la proposta della propria interiorità. Le acque interiormente non si agitano mai per caso o inutilmente. 

venerdì 29 gennaio 2021

Entrare

La scelta meno favorevole a se stessi in presenza di malessere interiore è di porsi subito in combattimento con quanto interiormente si sta provando, che, se anche spiacevole, debilitante e compromettente la propria consueta modalità di procedere, non per questo è una calamità, un che di ostile e di nocivo. Tutto prende forma interiormente in modo niente affatto inconsulto, non c’è meccanismo guasto. C'è una parte intima e profonda del proprio essere che ha consapevolezza di quanto si debba capire e trasformare di se stessi. Questa parte di se stessi ha intelligenza ben superiore e più lucida di quella che si attribuisce ai propri abituali convincimenti e modi di pensare. Le crisi non si aprono mai per caso. Sempre hanno una necessità d'essere e perseguono uno scopo di cambiamento assolutamente utile oltre che indispensabile. Si ignorano in genere il significato e lo scopo degli eventi interiori, non solo nel modo di pensare comune, ma anche in quello di non pochi terapeuti, pronti da subito a trattare come anomala l'esperienza interiore sofferta e disagevole, a volerla correggere e riplasmare come fosse un che di sfavorevole e non un fermo invito a avvicinarsi a se stessi, a conoscersi, a ripensarsi, a portare a compimento un processo di crescita personale sinora ignorato o malinteso come semplice adattamento e allineamento a schemi e a parametri comuni. Ognuno ha necessità di trovare le proprie ragioni d'esistenza, le proprie risposte, il proprio modo di vedere e di concepire la propria vita, pena il rischio di perdersi nell'apparentemente buono e giusto delle strade già segnate dalla cosiddetta normalità. Entrare creativamente nella propria crisi interiore, imparare a capire cosa il proprio sentire dice, mettersi in contatto e in dialogo con la propria interiorità, capace di dare, di dire e di comunicare tanto, sia attraverso le emozioni, gli stati d’animo, non importa se difficili e poco piacevoli, che attraverso i sogni, anzichè combatterla come fosse presenza nemica, inaffidabile e malata con farmaci e quant'altro, cominciare a fidarsi e a trovare intesa con il proprio intimo, scoprire che la crisi si è aperta per dare opportunità e non per toglierne, è cammino possibile e davvero favorevole. Non è cammino facile, perché inverte il modo abituale di procedere e di pensare, perché implica avvicinare, accogliere ciò che in genere o si rifugge perché in apparenza negativo e spiacevole o si pretende di regolare e di riplasmare, anziché rispettare, imparare a ascoltare e valorizzare. La vera cura che ci si può offrire utilmente è l’apertura a se stessi e la scoperta che nel proprio essere c’è una parte tutt’altro che insignificante o inaffidabile, che in tutto ciò che propone, proprio tutto, comprese le ansie e quant’altro di difficile e poco gradito può muovere interiormente, sa dare il giusto terreno su cui ritrovarsi per aprire gli occhi sul vero, per capirsi. E’ necessario compiere dunque un cammino nuovo, entrare anziché cercare prontamente di uscire e di superare i momenti e i percorsi interiori e quanto offrono, è necessario imparare il linguaggio dell’interiorità, che forma e nutre un modo di vedere più intimo, approfondito e riflessivo. Serve l’aiuto di chi sappia accompagnare e far scoprire tutte le novità di un simile percorso di avvicinamento a se stessi e di crescita. Curare, aiutare l'altro a prendersi cura di sé per favorire l'incontro e l’intesa con se stesso, con la parte intima e profonda di se stesso che inizialmente mette in crisi il procedere solito per aprire una stagione di cambiamento è una cosa, curare per spegnere e zittire o per pretendere di invertire e raddrizzare ciò che interiormente è considerato anomalo e nocivo è un'altra. Questa seconda modalità di cura, purtroppo non poco diffusa, rischia di alimentare e rafforzare la divisione e la lontananza da se stessi, la sfiducia nel proprio intimo, vissuto come meccanismo guasto, oltre che di impedire di raccogliere tutto il nuovo e il positivo che il cambiamento aperto, innescato dalla crisi interiore vorrebbe produrre. Entrare dunque nel confronto e nel dialogo con la propria interiorità, farsi aiutare per questo scopo, per poter uscire più forti e coesi con se stessi, arricchiti di ciò che la crisi ha voluto promuovere, questo è possibile oltre che auspicabile.

domenica 24 gennaio 2021

Ciò che non si vuole riconoscere

Quando ci si confronta con la crisi e col malessere interiore ci si persuade facilmente che sia in atto solo un guasto, una minaccia, un che di ostile che mina la saldezza di un modo di procedere che si considera indiscutibilmente valido e da ristabilire al più presto. Ciò che non si vuole riconoscere nel proprio stato abituale è il vuoto di sè e di vera consapevolezza, la mancanza di capacità di visione che sappia cogliere il senso di tutto ciò che si fa e del proprio modo di procedere, il mancato possesso di un pensiero che non ricalchi e confermi ciò che generalmente si pensa, sui binari e nelle guide dei comuni modi di intendere. Non si vuole riconoscere che senza dotarsi di questa capacità, senza questo bagaglio, senza questo patrimonio che rende un individuo tale col suo specifico e originale, con la sua forza di generare risposte tratte da sè, col suo coltivato e sviluppato di identità e di pensiero, di orientamenti e di capacità di dare loro seguito, non si è che parvenze di individui. Pur illusi di non essere tali e di avere del proprio da dire e da realizzare, non si è che copie d'altro, attori o comparse dentro una scena, secondo un copione già scritto, che nulla ha a che fare con ciò che sarebbe possibile far vivere se quel vuoto di sè e di consapevolezza fosse colmato. C'è una parte di sè, intima e profonda, che non ignora il problema e il vero della propria condizione, che per questo motivo col malessere batte forte, dando stimoli e imponendo un clima interiore non facile e disagevole, con lo scopo di rendere tangibile e riconoscibile quel vuoto e di spingere a colmarlo con un serio lavoro su se stessi. Accade però che questa iniziativa profonda, tutt'altro che sciagurata o scriteriata, che col malessere e con la crisi vuole porre le basi della ricerca del cambiamento, sia letta come disturbo e patologia, confermando così soltanto  l'incapacità di intendere le esigenze personali più autentiche e profonde, ribadendo l'ottusità e l'incapacità di vedere lo stato attuale vero delle cose. Lo stato vero è di essere più che incompiuti, più che insufficienti e non certo nella capacità di far mostra di normalità, di stare in corsa e di dare prova di efficienza secondo i criteri prevalenti, ma nel possesso di sostanza propria, di pensiero capace prima di tutto di vedere la verità della propria condizione e non di raccontarsela a piacimento, trovando riparo e conferma nel pensato solito e comune, oltre che di concepire e di aprire nuove strade fedelmente corrispondenti a se stessi. La posta in gioco è notevole, ma rischia di non essere compresa e ben soppesata. Ristabilire l'ordine solito, battersi per il raggiungimento di questo scopo, imputando alla crisi interiore di essere solo un intralcio dannoso e un segno di malattia, travisandola e riducendola a scoria da eliminare, è la risposta più ottusa e sfavorevole a se stessi che ci si possa dare. L'autoinganno è di far credere a se stessi che sia stupido e nemico ciò che invece interiormente è la propria risorsa più affidabile, il lato del proprio essere più accorto e sincero, il più saggio e provvido.

sabato 8 agosto 2020

Malessere e lamento

L’impronta prevalente del discorso sulla propria condizione di chi si confronta col malessere interiore è molto spesso il lamento, è la recriminazione contro ciò che ai suoi occhi fa solo danno. Se è comprensibile che una realtà nuova e non esterna, ma così pervasivamente interna, risulti gravosa e spiacevole, che soprattutto l’incapacità di capire, l’incomprensione del significato e del senso (il suo scopo) dell’esperienza interiore vissuta, mettano a dura prova e possano generare paura e scoramento, allarme e disorientamento, risalta e colpisce però il fatto che nella risposta al malessere interiore non ci sia traccia del sentore di un legame significativo con ciò che, pur difficile e sofferto, vive non fuori, ma nel proprio intimo, di un vincolo da tutelare, da difendere e valorizzare con se stessi, col proprio sentire, con la parte intima e profonda di se stessi. Questa lontananza dal proprio intimo, dal proprio sentire e corso interiore d’esperienza, ha radici lontane. Non è raro infatti che il modo di procedere e di pensarsi abituali comprendano da gran tempo solo operazioni di adattamento e rivolte al fare, accorgimenti per proseguire, commenti e spiegazioni su di sé e sul conto dell’esperienza che si vive, che spesso non cercano e non colgono nulla al di là della superficie e della crosta di senso immediato e comune. Anche quando l'intento di approfondire affida al ragionamento il compito di capire, il suo intervento spesso si risolve e chiude nel combinare in ordine logico significati preconcetti dedotti e messi sopra all'esperienza, oppure si perde nelle nebbie delle sue elucubrazioni, con un lavorio, che nulla ha a che vedere con la vera riflessione (che sa ascoltare e fedelmente raccogliere e riconoscere la proposta originale del sentire). Insomma, il proprio sentire non è stato nel tempo e da gran tempo vero compagno e interlocutore nella propria esperienza. Perciò, quando la parte intima prende il sopravvento e detta sensazioni e esperienze interiori, che con decisione passano il confine del marginale e dell’inascoltato,  dove sono relegate e mantenute dalla cosiddetta coscienza, dalla parte di sè dove l’individuo si rinserra abitualmente e che non ospita nulla del sentire a meno che non le paia conveniente, ecco che la reazione è di isterica paura e rivolta contro l’ospite indesiderato, presto squalificato e maledetto come fosse una disgrazia, un sabotatore, un maledetto nemico. “Voglio tornare come prima” è il grido di rivolta, la petizione di principio, la pretesa che pare sacrosanta, cui tanta offerta di cura, che vuole riparare e sanare, che dell’ascolto aperto del sentire, senza preconcetti, che della verifica approfondita non sa nemmeno concepire il senso, dà conferma e manforte. Non è compreso minimamente, questa sì è la vera anomalia, che trattare così, come disturbo, l’esperienza interiore, pur difficile e sofferta, sia un tirare calci, uno sparare contro se stessi, un demolire ciò che vuole aiutare e spingere a ritrovarsi, a riflettere, a guardare allo specchio il modo di pensare e di procedere abituali, a colmare la frattura che divide da se stessi, a mettere in piedi ciò che è essenziale: dialogo approfondito e accordo con se stessi, con la propria interiorità. Per capire, per trovare risposte e guide necessarie, per non essere più scissi da sé e semplicemente adesi ad altro, trainati da altro per imitazione, per senso del gregge (la cosiddetta normalità, ciò che sembra dover appartenere a tutti), per dipendenza dall’altrui giudizio, consenso, approvazione, serve un cambiamento personale profondo, di cui il malessere interiore è il primo atto, voluto dall'inconscio, come segnale chiaro e non sopprimibile, come potente richiamo a prendersi cura di se stessi. E’ un prendersi cura, non per ricacciarsi nel solito, casomai con più testardaggine, (casomai con qualche aggiustamento, spiegazione e apparente presa di coscienza, che non mutano la sostanza del modo consueto di pensare e di procedere, che viceversa la riconfermano), ma per cominciare a prendersi sul serio, a vedere chiaramente come si procede e lo stato del rapporto con se stessi, per cominciare a cercare finalmente vicinanza e ascolto del proprio intimo, della parte più vera e meno alienata di se stessi. E' un prendersi cura che potrebbe valersi dell'aiuto di chi sappia sostenere l'intento di andare verso se stessi e favorire lo sviluppo della capacità riflessiva, della capacità di incontro e di dialogo col proprio profondo. La crisi, il malessere vorrebbero nelle intenzioni dell'inconscio essere il primo atto, l’inizio di un impegno di ricerca per diventare se stessi, per calarsi finalmente nel proprio essere, per trovare il proprio sguardo, per cucire quella relazione stretta e salda tra sentire e pensare, che sola può garantire capacità di orientarsi e di capire, passione e volontà unite. Se non si comprende questo, persisterà il lamento e la lotta contro se stessi, la pretesa di mettere a tacere, di eliminare o di correggere e modificare ciò che interiormente, pur difficile o doloroso, non si sa rispettare, ascoltare e capire. In definitiva, casomai sotto forma di cura, si affermerà la spinta, tutt'altro che geniale e favorevole, a privarsi della vicinanza e del contributo originale e prezioso della propria interiorità, pur di essere normali e (più o meno) come prima.

venerdì 7 agosto 2020

Lo scambio

Lo chiamerei misero scambio. E’ ciò che avviene quando si affida allo sguardo e al giudizio altrui il compito di stabilire ciò che di sé vale, che può considerarsi degno e all’altezza, perlomeno accettabile. Segnalarsi agli occhi degli altri, distinguersi, farsi apprezzare e comunque ottenere il beneficio del consenso o patire sensazioni di inadeguatezza e di non conformità, temendo censure e declassamenti, figuracce o senso di inferiorità, è ciò che vincola molti individui agli altri, allo sguardo e al giudizio altrui e comune. Soprattutto è ciò che fa sì che sfuggano di mano e abbiano misera sorte il compito e la funzione, che sono prerogativa e responsabilità di ognuno, di far crescere, per davvero e su proprie basi, se stessi, di conoscersi e di capirsi prima di tutto, di scoprire dentro sè, per intima comprensione e verifica, ciò che vale, di trovar forza e persuasione di legittimarlo e passione di farlo vivere. Misera sorte e qualunque subisce questa fondamentale istanza, fondamento e cifra della autonomia personale, della capacità di pensare in proprio e di disporre di sè e del proprio destino in modo indipendente, quando risolta e scambiata col farsi indirizzare, sostenere e disciplinare dal senso comune, dallo sguardo e dal giudicare  altrui. Se forte è la tentazione di farsi condurre e di procedere in appoggio a modelli e a aspettative dominanti, se forte e seducente è la spinta a segnalare i propri meriti alla giuria del senso comune, assecondandone i gusti e gli inviti, se rassicurante è muoversi all'unisono con l'idea prevalente di ciò che è desiderabile, meritorio, sinonimo di crescita e di autorealizzazione, calcando percorsi segnati come fan tutti, camuffando il tutto con l'idea (con l'illusione) di compiere le proprie scelte e di affermare le proprie capacità, se il tutto rappresenta una comoda scorciatoia rispetto allo stare sulle proprie gambe e al tenere su di sè l'impegno, la fatica anche, della ricerca di risposte e di sviluppi propri, ciò che si va a ottenere è un surrogato, il surrogato di ciò che da sè con pazienza e con tenacia, casomai con tempi più lunghi, ci si preclude di comprendere, di formare, di coltivare e di far vivere. Basta farsi dare buona considerazione, recitando bene la parte, mostrando di possedere cose, titoli e di aver fatto esperienze considerate distinte e accreditanti, per persuadersi di essere sulla buona strada o di essere arrivati a qualcosa. Farsi regolare e dirigere dall‘esterno, farsi premiare e dire da senso comune e da giudizio altrui è modo passivo e a buon mercato di risolvere la questione del capire da sé cosa ha valore e perché, di affrontare il nodo cruciale del proprio realizzare e realizzarsi, che richiederebbe ben altro impegno, che in cambio avrebbe tutt’altro peso e spessore, se affidato alle proprie forze e alla propria ricerca, tutt‘altra libertà di definirsi, tutt'altra capacità di dare esiti e sviluppi originali e significativi. Se passivi, si finisce per star dentro piste e corsie segnate, per attenersi a codice di comportamento dato, per far proprie le scelte e i traguardi già stabiliti. Misero scambio, baratto perdente, che chiude alla scoperta e alla costruzione di autonomia vera, quello che spesso si compie, senza dargli peso, senza consapevolezza della rilevanza del problema. Una pacca sulla spalla, un plauso e il conforto d’essere nel normale (conformi a ciò che la maggioranza pare pensi e prediliga), finiscono per soddisfare e riempire, per procurare rassicurazione e illusione, invece e in sostituzione  di crescita sostanziosa e fedele a se stessi, convinta e convincente sè. Per fortuna, anche se i molti che vogliono solo la continuità del solito questa fortuna non la sanno riconoscere, c'è una parte di se stessi, quella profonda, che non è cieca, che è ben vigile e sveglia, che riconosce il problema come cruciale e che perciò anima e scuote la scena interiore. Il malessere prende vita da queste questioni fondamentali, è il pungolo a prendere visione dello stato delle cose, a non starsene quieti come se tutto andasse per il verso giusto. E' in gioco la propria autorealizzazione, il portare o meno a compimento il proprio progetto, che rischiano di naufragare, sostituiti dal passivo dare seguito e copia a qualcosa di già concepito e non al proprio per cui si è nati e di cui si ha potenzialità di realizzazione. Se una parte del proprio essere, che si crede grande e capace di chissà che con i suoi attrezzi di pensiero ragionato e di volontà,  dorme (pur agendo) e equivoca (pur dandosi la parvenza di chiarire le cose), non vuol vedere il vero della propria condizione e del proprio incompiuto, c'è una parte, che ha per protagonista l'inconscio, che, sapendo aprire gli occhi e vedere, non dà tregua, che interferisce, che intralcia il procedere, che l'azzoppa, che ad esempio con l'ansia, se serve con gli attacchi di panico, che presto qualcuno giudicherà eventi e manifestazioni patologiche e senza ragione, cercherà di interrompere la corsa solita e la spinta verso l'esterno, per dirigere tutta l'attenzione all'interno e lo sguardo su se stessi, che farà sentire, toccare con mano nel vissuto, la fragilità e inattendibilità di ciò che si sta portando avanti, che lo farà sentire precario e in pericolo, che farà sentire la estrema debolezza del proprio assetto personale, perchè costruito su disunione del proprio essere, su lontananza da sè,  dal proprio intimo, su modi e svolgimenti privi di unità e di coerenza col proprio profondo. L'interiorità non mente, vuole che emerga il vero, che finalmente lo sguardo si renda capace di vedere la propria condizione e di cominciare a intendere che si è ben lontani dalla propria vera realizzazione, che il castello messo su e strenuamente difeso è di carta. Se, altro esempio di ciò che l'inconscio può muovere e provocare sulla scena interiore, cade la fiducia sotto i tacchi, se si fa valere interiormente un senso di inutilità, di scoramento senza limiti, la perdita di stima verso se stessi, la mancanza di slancio e di desiderio verso tutto il conosciuto e abituale, non è per patologico sentire, ma per cominciare a vedere chiaro e senza autoinganni il vuoto di ciò che si è inseguito e tentato di afferrare e di sostenere, prendendolo in prestito da altro e prendendo in prestito la persuasione che valesse, con un nulla di compreso, concepito e formato davvero da sè, da propria ricerca e scoperta. Le scorciatoie finiscono per rivelarsi tali. Anche se l'individuo e chi gli sta attorno insisteranno nel dire che non c'è motivo al lasciarsi andare allo sconforto, perchè c'è già tutto ciò che serve e di cui essere soddisfatto, una parte di sè, non certo cinica o distruttiva, non certo stupida o malata, continuerà pervicacemente a far sentire il vuoto e lo svuoto. Il vuoto che smonta le illusioni e su cui potrebbe invece nascere finalmente il proposito di costruire, generato da sè, convalidato da propria lucida consapevolezza e non preso in prestito e per buono da idee e da convincimenti comuni, qualcosa che abbia un fondamento, che abbia la propria impronta..

giovedì 16 luglio 2020

La dipendenza: la vita presa in prestito e le illusioni dure a morire

E' conquista decisiva, non certo facile e frequente, affrancarsi dalla dipendenza da autorità esterna, che premia la riuscita e che rimarca le insufficienze (che dentro la sua logica giudica tali), che dà supporto e guida, offrendo subito le traiettorie da seguire, colmando prontamente il vuoto di ricerca propria, garantendo l'assistenza necessaria, il sostegno corale e le convalide per  tenere su la persuasione che le scelte fatte valgono, che le realizzazioni compiute o in compimento sono vere conquiste personali e proprie e non semplici attestati di merito e trofei da mettere in bacheca o più modeste, ma rassicuranti, conferme di normalità. Generosa e prodiga di consiglio è questa autorità esterna del senso comune, del già conformato e organizzato, ma nel contempo tiene chi le si affidi, non certo pochi (è la cosiddetta normalità), in stato di perenne illusione e dipendenza, esonerando sì dalla fatica, ma anche dalla libertà di aprire il proprio sguardo, di cercare il vero, di concepire da sè, di trovare nell'intimo e nel dialogo con la propria interiorità i propri perchè e la comprensione dei significati, senza suggeritori, la scoperta di ciò che vale, di ciò che si vuole far vivere e crescere, senza plausi e approvazioni, ma con ferma e fondata in se stessi convinzione, con passione sincera. Affrancarsi dalla dipendenza da altro, esterno a sè, che dà risposte e guide circa i modi per realizzarsi, da autorità esterna che si fa garante di tutto, è possibile, ma richiede impegno di fatica e volontà di non breve respiro di investire su di sè, di generare e di mettere al mondo pensiero e progettualità propri, concepiti e tratti da sè,  dall'ascolto e dal dialogo con la propria interiorità (che ha capacità di guidare la ricerca  attraverso il sentire e magistralmente con i sogni) e non modellati e sorretti da altro e da fuori. La persuasione che il preso in prestito e garantito da altro sia cosa valida e creatura propria è illusione che non cede facilmente alla verifica. Illusioni dure a morire, ma non impossibili da smontare per chi voglia sul serio conquistare autonomia vera, libertà di essere e di pensare. Non è questione irrilevante questa della confisca della propria vita in un legame di dipendenza da altro che la plasma e l'indirizza e come tale non è trattata dal profondo dell'individuo, da quella parte dell'essere, che seppure disconosciuta o tenuta in subordine, movimenta e governa il quadro interiore, il sentire, le emozioni, gli stati d'animo, il succederrsi degli svolgimenti interiori. Se all'individuo nella sua parte conscia e razionale tutto appare valido e convincente, se la questione del farsi portare e del plasmare pensieri e aspettative sul nucleo del modo comune e prevalente di intendere sfugge più o meno volutamente alla sua comprensione, se in lui l'equivoco di essere artefice pur assumendo una parte già segnata, pur rimasticando un pensiero nei suoi fondamenti e limiti già definito e forgiato,  non ha risalto, alla sua componente profonda non sfugge il vero. Se nel profondo di ogni individuo è fortemente sentito e insopprimibile  il vincolo a dare forma al proprio pensiero per non sacrificare e  per non tradire ciò che si ha potenzialità di far vivere e di realizzare, se normalizzare la propria vita, accasandola dentro forme già date e consuete, pur con qualche margine di stravaganza o di interpretazione ribelle o in apparenza innovativa, ma sempre agendo su pezzi di composizione, su grammatica di pensiero comunque già pronti e usuali, finisce per essere una trappola che ottunde la consapevolezza e che copre il vero di ciò che l'individuo sta facendo di se stesso, che lo chiude alla scoperta del senso della sua vita, non stupisce se la crisi, se il malessere interiore  nelle sue diverse forme prendono piede e  il sopravvento. La risposta alla crisi, mossa intenzionalmente e a ragion veduta dalla parte profonda, spesso e volentieri permane però rigida e ottusa, il malessere è giudicato con estrema frequenza un disturbo, un intralcio, una disfunzione, avendo di mira come interesse e scopo di far funzionare quel modo di procedere abituale, mai fatto oggetto di verifica e di riflessione attenta per capire cos'è e su cosa si regge. Dipendere da altro da sè, che conduce e dà implicite le risposte, aderire a tutto ciò che instrada la ricerca, che dice cosa fare per crescere, per realizzarsi, per formare e per ampliare la conoscenza, per stare bene, per essere felici e per considerarsi compiuti, conduce a smarrire la propria strada, induce a cancellare le tracce di ciò che interiormente spinge, pungola e richiama con vigore e con insistenza a  farla trovare, induce a travisare, a interpretare ogni sensazione e stato d'animo discordante col quieto o efficiente procedere, come difetto, come insufficienza, come cattivo funzionamento. C'è un contrasto, un conflitto interno all'individuo tra parte conscia e parte profonda, che nasce da una diversa visione di ciò che è di vitale importanza, c'è un conflitto  sul modo di interpretare la propria vita, una tutta aderente a un illuso senso di autorealizzazione stando in appoggio e replicando vita presa in prestito da modelli e da modalità comuni e prevalenti e l'altra che reclama la presa di coscienza del vero stato delle cose per invertire la tendenza, per scoprire il proprio senso della vita e per tradurlo in essere su basi di concezione e di pensiero originali e proprie. La dipendenza da altro, che riempie e che dà forma e contenuto all'esistenza, che l'orienta e plasma, che sostituisce come patrimonio vitale e contenuto ciò che da sè non si è saputo scoprire, generare e far vivere dentro se stessi è questione rilevante e centrale. Non c'è solo la dipendenza nelle forme conclamate dell'uso di sostanze per allontanare l'esperienza interiore a cui si è estranei e che se dolorosa o in apparenza (solo in apparenza) vuota, fa preferire cancellarla o rimodellarla e sostituirla con artifici e droghe a piacimento, non c'è solo la dipendenza da tutto ciò che sostituisce creazione propria con soluzioni e prodotti da usare e consumare, che siano lo stare attaccati a un'altra persona o a altri o utilizzare ogni diversivo possibile  per non entrare in contatto con se stessi, anche usando diversivi di reputazione nobile come letture o altro culturalmente considerato degno o degnissimo. La dipendenza da altro che rimpiazza l'incontro col proprio autentico e genuino, col proprio intimo sentire come luogo e occasione di avvicinamento a se stessi, di ascolto e di dialogo con la propria interiorità, di scoperta viva di verità e di significati con i propri occhi, la dipendenza da altro che sostituisce tutto ciò che, scaturito e improntato da sè potrebbe prendere forma e vita, se ben coltivato e alimentato con pazienza e cura, è questione fondamentale e non di certo riguardante pochi. L'illusione che l'andamento abituale sia valido e addirittura segno della propria capacità di condurre efficacemente la propria vita, quando invece tutto si svolge su basi altre da se stessi e tenute su da suffragio di modelli e di consenso comune, è dura a morire. Il profondo, l'inconscio ci prova con insistenza a logorare e a smontare simili illusioni per liberare l'individuo dalla dipendenza che lo tiene stretto e prima di tutto dalla falsa coscienza che la cementa. A volte i suoi richiami sono ascoltati e allora la riscoperta della vita e dei suoi significati apre all'individuo strade nuove e inaspettate.

domenica 10 maggio 2020

Un confronto impari

Il confronto che si svolge all'interno dell'individuo tra la sua parte conscia e il suo profondo è impari, a prima vista a tutto vantaggio e in gloria della parte conscia. Sotto il profilo della forza quest'ultima ce la mette tutta per affermare il suo predominio, spesso con arroganza, con la pretesa di sapere, di farsi arbitro e giudice di cosa nelle espressioni della vita interiore sia ammissibile, sensato, valido e cosa no. Dalla sua e a suo sostegno c'è la grancassa delle idee comuni e dei comuni preconcetti, trattati come verità inconfutabili. A suo conforto pure le opinioni degli esperti che, catalogando come anomalo questo e quello e dandogli patente di malattia, di disturbo da correggere e sanare, non fanno che rinsaldare la presunzione della parte dell'individuo, che si considera certa del suo primato e del suo giudizio, che riduce le espressioni della vita interiore a segnali di cattivo funzionamento quando scomode e discordanti con le sue attese di stabilità e di quieto vivere, che imporrebbero all'interiorità di non disturbare mai il manovratore, di assecondarlo e basta. Ridotta, nella considerazione che ha di lei la parte conscia, a appendice, che non deve dare disturbo, la componente interiore è del tutto incompresa nella sua dignità, nel suo valore, nell'intelligenza che la guida e di cui dispone, che nulla ha da invidiare a quella della parte conscia, capace spesso solo di ripetere cose mai verificate, mai autonomamente concepite e comprese alla radice, illusa che quello sia capire e conoscere. L'inconscio non è però debole e remissivo, non si lascia nè scoraggiare o intimidire, nè disarmare e persiste, per fortuna, nel suo intento. L'inconscio è la parte dell'individuo che non è svagata, che non è miope, che non fa suo l'intento di far quadrare le cose per mettere tutto a posto, di spiegare col paraocchi, in riga con idee e riferimenti già pronti e di comune uso, è la parte che viceversa vuole il risveglio dell'intelligenza vera, quella che sa cercare e riconoscere senza risparmio e senza paura i significati veri. La pretesa che ha l'inconscio è di aprire gli occhi, di mettere in risalto e in crisi un modo di pensare e di trattare l'esperienza incurante di capire, di conoscere davvero se stessi, paghi di spiegazioni e di argomentazioni in apparenza coerenti, che alimentano l'illusione e di pensare lucidamente, in realtà più spesso blindando coi ragionamenti ciò che fa comodo pensare che aprendo alla ricerca del vero anche se scomodo, e di pensare in proprio, in realtà poggiando e andando dietro a senso e a grammatica comuni. L'intento dell'inconscio è di stimolare e di aprire la strada allo sviluppo di un pensiero autonomo e intelligente, capace di rispecchiare fedelmente i significati intimi dell'esperienza. C'è un divario tra l'atteggiamento della componente conscia, che presume di sapere e di avere chiari scopi e interessi cui tenere dietro e ciò che invece anima l'inconscio e di cui è capace. Qui, sul terreno dell'intelligenza e della spinta a cercare il vero, il confronto è impari e non certo a sfavore della parte profonda. L'intelligenza dell'inconscio lo rende resistente a qualsiasi tentativo di metterlo in soggezione e in inferiorità, di considerarlo parte non lucida e irrazionale, che, come tale nel pregiudizio spesso presente nell'individuo, non sarebbe affidabile, da tenere a bada, capace, quando mette in campo nel sentire, negli stati d'animo, nelle emozioni, risposte e iniziative non rispondenti alle aspettative, solo di creare ritardi e ostacoli, inefficienze e disfunzioni sulla via e nel procedere che l'individuo nella sua parte conscia ostinatamente crede essere sano e proficuo, da proseguire senza discussione e senza indugi. L'inconscio non sottosta alle pressioni e alle attese della parte conscia, ma smuove e plasma la vicenda interiore, il susseguirsi dei vissuti, degli stati interiori con assoluta autonomia e non certo in modo casuale o insensato, ma finalizzato a far emergere il vero, così come non cede alle illusioni, ai giri e ai raggiri in cui cade la parte conscia, che, illusa di capire, con le sue costruzioni di ragionamento fa il verso a idee prese in prestito, rimastica cose già dette, ricombina tutto per mettersi al riparo da turbamenti nel suo credo solito, per stare ben in fila, in riga e al passo con ciò che è considerato comunemente reale, valido e normale. Quella della parte conscia è spesso una modalità di operare e di pensare che, paga della coerenza formale dei suoi ragionamenti, trascura di prendere visione riflessiva di ciò che fa, di come lo fa e a che scopo, tenendosi perciò al di qua della comprensione delle implicazioni e dei significati veri, di cui dicevo, dell'esperienza in cui è coinvolta e di cui è attrice. L'inconscio non ignora il costo, la distorsione cui va incontro un'esistenza che non riscatta l'intelligenza di veder chiaro, di comprendere su quali basi e come ci si sta muovendo. Passivi e inclini per abitudine e per educazione a istruirsi, a farsi dire, a prendere lezioni e soluzioni dall'esterno, a stare ben in corsa con gli andamenti stabiliti, a far coincidere la realizzazione di se stessi con i modi e le tappe da seguire come fan tutti, disconoscendo di se stessi tutto ciò che non è allineato a queste pretese, impegnati a fare il verso, a stare dietro ai temi alla ribalta e dai più considerati, pensando che quella sia la realtà unica e la vita, le questioni cruciali e imprescindibili, le cose da sapere, si ha però nell'intimo...si ha dentro se stessi una voce che dissona, si ha nel profondo una fibra forte e irriducibile di coraggio e di intelligenza che reclamano, costi quel che costi, di veder chiaro, di riprendersi la facoltà di vedere con i propri occhi, di porre al centro dell'attenzione e di capire cosa sta succedendo nella propria vita, cosa si sta facendo di se stessi, di vedere con chiarezza e in piena sintonia con se stessi cosa ha valore e perchè, di arrivarci prendendosi il tempo e il respiro necessari, coinvolgendo appieno se stessi e smettendo di preoccuparsi di stare ben in fila e al passo con i movimenti del gregge, dell'insieme. Il malessere interiore, in genere letto come espressione di un cattivo stato, vuoi per guasto interno o malattia, vuoi per conseguenza di malaugurate cause, di circostanze e di condizionamenti esterni sfavorevoli, è viceversa l'espressione dell'incalzare dell'iniziativa dell'inconscio che vuole condurre l'individuo alla presa di visione del vero della sua condizione e del suo modo di procedere, all'apertura di una stagione di cambiamento non di situazioni esterne ma prima di tutto interne, per cessare di essere altro da se stesso e da ciò che può generare, che dal profondo di se stesso è chiamato a coltivare e a generare. L'inconscio, che apre la crisi, attraverso ciò che sa far avvicinare, toccare con mano e comprendere nel sentire e guidare a conoscere nei sogni, è capace di dare, se compreso nel suo linguaggio e condiviso nei suoi propositi e proposte, un contributo formidabile al cambiamento, una guida essenziale per lo sviluppo del proprio pensiero, autonomo e fondato, un alimento insostituibile per il proprio arricchimento e completamento di individui, altrimenti dipendenti, nel tentativo di portare a sè ciò di cui si manca e che non si è scoperto e sviluppato dentro se stessi, da soluzioni e da surrogati esterni. L'inconscio è animo e intelligenza di qualità, di tempra e di statura umana, è senso dell'individualità che non va sprecata, perchè si riscopra la passione di portare alla luce il proprio, di arricchire la vita di contributo originale, perchè non si sia paghi di essere copia di ciò che è di generale apprezzamento, persuasi di persuasioni comuni e basta.

lunedì 13 aprile 2020

Cosa vive dentro di noi

Come potrebbe esserci tregua dove tutto, al di là delle apparenze, è irrisolto, dove la forma di vita cui si è attaccati è solo illusoriamente propria?  Paghiamo pegno a una parte di noi stessi, che insopprimibile ci è radicata dentro, intima e profonda, il cui "difetto" è di veder chiaro e di spingere tutto l'essere a vedere chiaro, bucando le illusioni, una parte che non collabora a chiudere il cerchio dell'inconsapevolezza. Se rischia di andare persa la comprensione del senso della nostra vita, prima di tutto la chiara visione di come procediamo, senza omissioni, oscuramenti e  travisamenti di comodo, se in cambio di avere una identità e un senso di valore e di scopo presi in prestito e sostenuti da idee, da modelli e sguardo comuni, c'è la rinuncia a trovare noi stessi, a formare una visione nostra, a coltivare e a concepire idee e progetto autonomi, la parte profonda di noi stessi non tace, non rimane inerte. E' una parte che è instancabile fautrice e anima del nostro essere individui veri e originali, dotati di intelligenza, non al seguito e ammaestrata, non raffazzonata e truccata per comodo, ma libera e esigente di sguardo proprio, di visione chiara e approfondita, senza equivoci e autoinganni. Non è al traino di nessun luogo comune, non cede all'illusione e alla voglia di considerare tutto composto e risolto, ma ha a cuore il vero senza sconti, la costruzione non fittizia, ma ben fondata e salda, di un proprio modo di intendere le cose, di far vivere con la personale impronta un'esistenza che non sia paga di essere sistemata in qualche casella già pronta, che non sia giustificata da nebbia di idee preconcette e arrangiate razionalmente, tenuta su e consolidata da principi incompresi e da pregiudizi. Ha i mezzi, del tutto inaspettati per chi, la maggiornza, non ha neppure sentore di ciò che sa generare e promuovere, per condurci a sviluppare pensiero vivo, nuovo, assolutamente veritiero, capace di farci uscire dal solito giro di pensieri spiantati, siano essi semplici o sofisticati. L'inconscio sa fare questo, sia attraverso il sentire, le emozioni e gli stati d'animo, che indirizza e plasma, sia attraverso i sogni, autentici capolavori di acume, di intelligenza. E' una presenza, che portiamo e che vive dentro di noi, che, non acquiescente o di conforto all'andazzo corrente,  spesso non convalida i pensieri d'abitudine e coniati dal ragionamento, perchè chiusi al vero, perchè spiantati, che complica la vita, ma per riaprire la consapevolezza, per indirizzarla sui punti davvero cruciali, da riconoscere e su cui lavorare. Con i sogni l'inconscio  ci offre il meglio del suo pensiero, che, se fedelmente inteso e fatto nostro, libera davvero la nostra mente, la rende finalmente capace di comprendere. E' comunque, proprio perchè va a sbattere contro la tendenza della nostra parte conscia a voler tutto stabile nella forma già conosciuta e senza intoppi, una presenza scomoda quella che nell'intimo e profondo portiamo dentro di noi e che non ci dà tregua. Possiamo cercare di ignorarla, di tenerla ai margini, possiamo con arbitrio e sufficienza svalutarla, salvo temerla inorriditi quando nell'intimo  batte duro e non dà tregua,  possiamo giudicarla e fraintenderla, provare a  zittirla, a tenerla lontana evadendo da ciò che, spiacevole e arduo, interiormente ci propone, possiamo tentare col supporto di luoghi comuni e di esperti di scienza, che si pretende tale, svuotare le sue proposte e invalidarle come non conformi e devianti da ciò che si considera sano e normale, possiamo travisarle, non comprendendone affatto l'intento originale e il senso, come segni di anomalia, come difettosi modi o disfunzionali, ma la parte profonda di noi stessi non cede e non recede. Le crisi interiormente si aprono e non chiedono permesso, le cosiddette ricadute, così definite da ottusi preconcetti, si susseguono, perchè la parte profonda non rinuncia, non si fa mettere in riga, perchè prova con insistenza a smuovere, perchè non accetta di essere soppressa. Se ben intesa ci ridarebbe il senso delle cose, la visione nitida e non truccata, non drogata da luoghi comuni, da ipotesi che ci mettono quieti e ben allineati. Risponderle e corrisponderle è, rispetto al comune e abituale modo di procedere e di intendere la vita, l'impresa più impegnativa e audace e nello stesso tempo per nulla oltre il possibile, perchè a misura dell'umano che vive in noi, capace di ridarci il seme dell'intelligenza, lo spirito critico che a nulla cede e da nulla si fa rimbambire, di restituirci spessore e statura di individui veri e originali in accordo, non con il comune e solito, applaudito e conveniente, ma con il progetto e la spinta a generare con cui  siamo venuti al mondo. La parte profonda di noi stessi è la nostra natura e il nostro potenziale più alto.

domenica 12 aprile 2020

Il tuo sentire

Vivi un'esperienza di forte disagio interiore e presto dai per scontato che ti sia nemica, che possa solo farti danno. Accade così che ti rapporti al tuo sentire come a una cosa estranea, a un oggetto da controllare, da mettere a tacere come se fosse un meccanismo malfunzionante, un "sintomo" strano, che forse vorresti catalogato e etichettato (le cosiddette diagnosi), eventualmente spiegato dal di fuori con qualche ragionamento, sicuramente debellato in fretta. Cerchi qua e là qualche accorgimento o stratagemma per riuscire a smontare, a liquidare il tuo sentire in ciò che di disagevole ti propone. Se il tuo sentire, che ti accompagna in ogni istante, ansie, tormenti e cadute di umore compresi e non esclusi, lo sapessi far tuo, se lo intendessi come parte di te preziosa e irrinunciabile, come cuore della tua esperienza, come tuo modo vivo di fare esperienza, di percepire, di addentrarti, di prendere rapporto vivo con verità che ti riguarda, come toccando con mano, come camminando a piedi nudi e "sentendo" il terreno, come esponendo la pelle al contatto...ecco che non potresti certo rifiutarti a nulla, nemmeno al dolore, a esperienza sofferta o nell'apparenza strana, perché la ricerca della verità, perché la conoscenza di te stesso, che voglia essere aperta e senza veli, non tollera che ci siano preclusioni, non può sottostare alla regola, alla precondizione che tutto sia agevole, rettilineo e roseo, che debba conformarsi a presunti svolgimenti normali dell’esperienza. Insensato non è ciò che accade interiormente, ma è bollare come abnorme e patologica la proposta del sentire quando non sta alla regola del presunto svolgimento normale. La cosiddetta normalità è una petizione di principio concepita da menti corte, che intendono la ripetizione e la conferma del già noto come regola e il conformismo come guida, che dell’interiorità e dell’essere individui sensibili e protesi a cercare il vero, a prenderne consapevolezza (questo è ciò che anima il profondo), non sanno vedere e concepire nemmeno l’ombra. Mi riferisco non solo al modo comune e diffuso di pensare le questioni e le vicende interiori, ma anche a quello di non pochi, di troppi presunti esperti e terapeuti della psiche. Qui torniamo alla questione di partenza: quante volte senti dire che l’ansia è immotivata, che toglie, che limita, che è eccessiva o patologica, che non dovrebbe esserci, che altro dovrebbe esserci!?  L’esperienza interiore, tutto ciò che accade nel sentire dice, rivela, disegna nel vivo, evidenzia sapientemente, con incisività e con precisione, le questioni da riconoscere, fondamentali e imprescindibili, ancora ignorate, rende tangibili e cocenti verità via via da raccogliere e vedere. Quel che serve non è combattere e pretendere di rimettere a norma ciò che succede interiormente quando difficile, insolito e doloroso, ma imparare a vedere dentro e attraverso l’esperienza interiore viva, serve dare fiducia alla propria interiorità in ciò che propone, senza opporle veti e sospetti, serve aprire gli occhi su ciò che porge, sempre e in ogni caso, imparando la riflessione, che è capacità di vedere dentro e attraverso il sentire, di ascoltare cosa dice nell’intimo un vissuto, un’emozione. Viceversa accade spesso che anziché imparare a congiungersi al proprio sentire, che come piede nudo messo a terra dice dove si è e cosa si sta percependo in quel dove della propria esperienza, si cominci a sparare contro presunti cattivi modi di sentire, a parlare di paure immotivate ed eccessive, oppure che si vada altrove dal luogo vivo dell’esperienza intima per cercare nel passato qualche triste, traumatica  o problematica esperienza, con l’attesa di trovare là l'origine di tutti i mali, come se ciò che si sta provando fosse la conseguenza di qualche pena nascosta o spina dolorosa che perdura. Sempre a credere che la normalità di presunti equilibri immobili sia e debba essere la regola, sempre a pensare che se c’è disagio si sia vittime di un fastidio o di un torto, che si patiscano gli effetti sfavorevoli di un danno, di una distorsione, casomai di origine remota! Quando inizia e prende piede un malessere, un disagio, una crisi, quando tutto interiormente si mobilita e si complica, è assai più probabile che in quel che sta accadendo ci sia la volontà ferma del proprio profondo di provocare un forte avvicinamento a se stessi, il superamento di uno stato di scollamento dal proprio intimo e dal proprio sentire, di spingere per un serio recupero di capacità di vedere e di capire, fondamento necessario di autonomia e di capacità di autogoverno della propria esistenza, piuttosto che si sia malcapitati in un brutto episodio e insano, in una parentesi negativa della propria vita da trattare e da curare come malattia, da superare. La volontà del proprio profondo, che plasma, che anima e che acuisce il sentire tutto, anche quello che risulta difficile o doloroso, è di spaccare il guscio vuoto di un modo di pensare e di procedere, pur in apparenza autonomi, in realtà più di quanto non si voglia credere forgiati e regolati da adattamento e da imitazione, con poco o nulla di proprio e di generato da sè, di spingere con fermezza a uscire da una condizione di inconsapevolezza o di coscienza accomodata e illusoria, a aprire gli occhi sul vero, a trovare, senza più rinviare, le proprie risposte e ragioni d'esistenza, a comprendere e a sciogliere i propri nodi, a coltivare e a veder nascere idee e aspirazioni proprie e profondamente sentite. Oggi, per te che soffri, l'apertura al tuo sentire, il recupero della tua capacità di avvicinarti a te, di non negarti a ciò che vive in te, imparando a vedere dentro e attraverso ciò che provi, senza esclusioni, includendo proprio tutto, anche se disagevole o in apparenza "strano", è questione importante e decisiva. E' questione attuale posta con forza dal tuo malessere. Nulla a che vedere con l'idea che il tuo malessere sia una pericolosa trappola, una anomalia da sanare e da mettere vittimisticamente  in conto a qualcosa o a qualcuno del tuo passato recente o remoto. E’ utile, anzi indispensabile che tu sia aiutato a renderti disponibile a ciò che senti, senza preclusioni, a dotarti di capacità riflessiva, che ti renda capace di  attingere alla tua esperienza interiore viva, comprendendone il significato, apprezzandone via via il valore, scoprendo che puoi fidarti di tutto ciò che accade dentro di te. Ciò che manca a te e a chi come te vive un'esperienza di malessere interiore e di crisi, l’ho detto in molti miei scritti, è proprio questo: capacità riflessiva. La capacità riflessiva, quella vera, di vedere, di saper riconoscere dentro il tuo sentire cosa prende forma, che non c'entra nulla col modo abituale di intendere la riflessione (confezionare sopra e sul conto dell' esperienza, di ciò che si prova, interpretazioni e spiegazioni col ragionamento), ti potrà permettere di dialogare con la tua esperienza viva, incluse quelle che finora hai chiamato o sentito chiamare e catalogare freddamente, come fossero oggetti, come ansie, attacchi di panico, fobie, depressione o altro. Trarre dalla tua esperienza interiore viva il suo intimo significato, ciò che vuole rivelarti e dirti, questo ti serve, ti può far crescere e darti unità con te stesso. Può farti uscire dalla paura di te stesso, di ciò che senti. Sparare contro il tuo sentire con farmaci o con altro, alimentando solo la tua insofferenza e la tua paura di ciò che, intimamente e profondamente tuo, vive dentro di te, oppure fare del tuo sentire solo il pretesto per fare lunghi giri di indagine e di ragionamento per trovare ipotetiche cause, con l'intento di smontare ciò che vivo dentro te ancora non sai ascoltare e comprendere, è ipotesi infelice, oltre che sterile. Demolire il tuo sentire, risorsa preziosa e mezzo validissimo, anche quando sofferto e disagevole, per avvicinarti a te, per riconoscere, facendone intima esperienza, il vero, per capirti, per arrivare per questa via, lavorando su di te, a dare volto tuo e spessore alla tua vita, non è certo il meglio che tu possa desiderare per te stesso.

domenica 5 aprile 2020

Illusi di essere e di sapere

La pretesa di passare oltre, di trattare il malessere interiore come il malaugurato ostacolo che impedirebbe di vivere, di esprimersi compiutamente  e di portare avanti validamente la propria vita, racchiude la convinzione che tutto della conoscenza di sè e della propria crescita sia già a buon punto, che non ci sia che da proseguire liberi da intralci interiori. Gli intralci in realtà non sono guasti o blocchi negativi, non sono espressione di insufficienze, di ritardi e di incapacità di procedere, non sono disfunzioni e malfunzionamenti di un insieme che va solo rimesso a punto perchè funzioni come potrebbe e dovrebbe, sono viceversa richiami e interferenze che la parte meno illusa e ingenua del proprio essere, che la parte profonda di se stessi, sta mettendo in campo per provocare una profonda e puntuale verifica e revisione di tutto il proprio modo di procedere, per portare a sostituire una visione illusoria di se stessi e della propria realtà con una fondata e vera, una realizzazione apparente di sè, fragile e tenuta su da conferme esterne,  con una generata da sè, da coltivare e sviluppare senza trucchi e vuoti, perchè sia autentica e salda. Si dà per scontato di aver già capito e trovato identità propria, di sapere chi si è, cosa sia meglio per sè, ci si attribuisce possesso degli strumenti e delle risposte che servono, si dà credito in realtà a ciò di cui sfugge qualsiasi attenta comprensione, che semplicemente si ripete per abitudine e per sentito dire, di cui non si sa e non si vuole vedere la reale natura e qualità, il grado vero, verificato e non presunto, di consistenza e di affidabilità. L'illusione di sapere e di possedere le risposte e le soluzioni valide è sostenuta, è tenuta su da modelli, da convincimenti e da principi comuni, da idee tanto diffuse da considerarsi credibili, valide e capaci di definire ciò che è reale e normale, inequivocabilmente. Nulla di scoperto e di compreso da sè e sulla stretta base di ciò che l'esperienza, non quella limitata dei fatti e colta con osservazioni di superficie, ma quella più intima, coinvolgente e vera, ha voluto, passo dopo passo, rendere riconoscibile. Con la propria esperienza intima, testimoniata e resa attuale e viva dal proprio sentire, dal corso dei vissuti, degli stati d'animo, delle proprie vicende interiori, gli individui non hanno spesso nessun legame e nessuna confidenza. Tutto l'intimo è guardato dall'alto in basso come corteo di sensazioni affatto significative e valide nel saper dire e far capire, snobbate come espressioni irrazionali, spesso fitrate e selezionate, contrapponendo come positive quelle piacevoli a quelle giudicate negative perchè dolorose e spiacevoli, con fuga da queste ultime, lette, interpretate, non certo ascoltate e riconosciute nel loro intento e nel loro dire, a piacimento per vederci ciò che fa comodo e marchiate come improprie se deludenti le personali aspettative, addirittura squalificate come anomale o malate se affatto in linea con i propri pregiudizi, di estrazione comune, circa ciò che è ammissibile e normale. Non c'è dialogo con l'interiorità, tenuta in subordine e guardata a vista, spesso resa oggetto di trascuratezza, di omesso ascolto o peggio tenuta a distanza e rinnegata se ritenuta ostile e fonte di danno perchè pressante e dolorosa. Evadere, svagarsi, fare appello al diritto di stare bene, esaltare la leggerezza come condizione ideale, buttando via gli "appesantimenti" che l'interiorità accortamente e mai per insensati motivi propone e dona perchè ci si fermi a guardare attentamente dentro la propria esperienza, dentro se stessi, sono modalità così diffuse, ricorrenti e persino esaltate come ideali da cultura e da convincimenti comuni, che ciò che può fare da fondamento a una consapevolezza e a una conoscenza vera di se stessi è continuamente sabotato e scassato. Quanto dunque è affidabile la persuasione di sapere già e di aver già chiaro chi si è e cosa va proseguito e perseguito, persuasione che induce molti a sparare contro il malessere e la crisi interiore di cui è portatore, come ostacolo da superare, come distorsione da correggere, come espressione di disfunzionalità da emendare e rimpiazzare con risposte più accordate con la pretesa di tornare a correre come e più di prima? L'deologia della riuscita come pronta capacità di funzionamento fa sì che l'unico modo di intendere  la propria realizzazione coincida indissolubilmente con i modi già intesi e applauditi, senza alternative. E' significativo che le stesse correnti di pensiero e le pratiche che sono oggi così diffuse sul terreno psicoterapeutico, che siano quelle di tipo cognitivo comportamentale o quelle ancora più sbrigative della cosiddetta terapia breve strategica, non casualmente di matrice e provenienza nordamericana (dove è molto consolidato e spinto il principio e l'imperativo del non rimanere indietro, del non perdere colpi nella corsa alla riuscita, al successo), nel loro cercare prima di tutto la soluzione e il superamento del disagio interiore inteso pregiudizialmente come modo disfunzionale e svantaggioso di intendere e di rapportarsi alle esperienze, vadano sostanzialmente dietro e siano coerenti con questa visione della realizzazione personale, così come presente nell'idea comune prevalente. Accade così che si fraintenda, che senza esitazione e senza dubbi si giudichi espressione di ritardo o di malfunzionamento, di impiccio dovuto a qualche errore di apprendimento o a qualche infausto condizionamento familiare o ambientale, ciò che interiormente ha ben altro significato e intento, ben altro valore, utile a riportare l'individuo a se stesso e a dotarlo di capacità di veder chiaro dentro se stesso, condizione indispensabile per non fare sciupio della propria vita rincorrendo la cosiddetta normalità, cioè l'idea comune e prevalente cui si consegna il compito di fare da guida e da orientamento. Perchè alla visione illusoria, trainata e regolata da fuori, si sostituisca la visione nitida e fondata, trovata col proprio sguardo dentro e attraverso se stessi, è necessario rivalutare la propria esperienza interiore, il contributo che la parte intima e profonda di se stessi sa dare, collocandola, come merita, al centro del proprio interesse. Sarebbe saggio smettere di tenere in posizione subordinata e ai margini o fuori dal proprio campo visivo la propria esperienza interiore, esaltando scioccamente come sana la pretesa di andare via dissociati da parte essenziale di sè, sarebbe provvidenziale per se stessi non insistere nella pretesa e nella  presunzione di risanare e di correggere la propria esperienza interiore, quando in realtà è l'unica che, ascoltata e correttamente intesa in tutte le sue espressioni, anche e soprattutto in quelle in apparenza, solo in apparenza, anomale o insensate, saprebbe ridare le basi della consapevolezza e della scoperta del senso della propria esistenza. Colpire ciò che di sè non si conosce nel suo autentico significato e valore, col solo intento di continuare a procedere a testa bassa, illusi di essere e di sapere, non è scelta così saggia e promettente.