domenica 5 aprile 2020

Illusi di essere e di sapere

La pretesa di passare oltre, di trattare il malessere interiore come il malaugurato ostacolo che impedirebbe di vivere, di esprimersi compiutamente  e di portare avanti validamente la propria vita, racchiude la convinzione che tutto della conoscenza di sè e della propria crescita sia già a buon punto, che non ci sia che da proseguire liberi da intralci interiori. Gli intralci in realtà non sono guasti o blocchi negativi, non sono espressione di insufficienze, di ritardi e di incapacità di procedere, non sono disfunzioni e malfunzionamenti di un insieme che va solo rimesso a punto perchè funzioni come potrebbe e dovrebbe, sono viceversa richiami e interferenze che la parte meno illusa e ingenua del proprio essere, che la parte profonda di se stessi, sta mettendo in campo per provocare una profonda e puntuale verifica e revisione di tutto il proprio modo di procedere, per portare a sostituire una visione illusoria di se stessi e della propria realtà con una fondata e vera, una realizzazione apparente di sè, fragile e tenuta su da conferme esterne,  con una generata da sè, da coltivare e sviluppare senza trucchi e vuoti, perchè sia autentica e salda. Si dà per scontato di aver già capito e trovato identità propria, di sapere chi si è, cosa sia meglio per sè, ci si attribuisce possesso degli strumenti e delle risposte che servono, si dà credito in realtà a ciò di cui sfugge qualsiasi attenta comprensione, che semplicemente si ripete per abitudine e per sentito dire, di cui non si sa e non si vuole vedere la reale natura e qualità, il grado vero, verificato e non presunto, di consistenza e di affidabilità. L'illusione di sapere e di possedere le risposte e le soluzioni valide è sostenuta, è tenuta su da modelli, da convincimenti e da principi comuni, da idee tanto diffuse da considerarsi credibili, valide e capaci di definire ciò che è reale e normale, inequivocabilmente. Nulla di scoperto e di compreso da sè e sulla stretta base di ciò che l'esperienza, non quella limitata dei fatti e colta con osservazioni di superficie, ma quella più intima, coinvolgente e vera, ha voluto, passo dopo passo, rendere riconoscibile. Con la propria esperienza intima, testimoniata e resa attuale e viva dal proprio sentire, dal corso dei vissuti, degli stati d'animo, delle proprie vicende interiori, gli individui non hanno spesso nessun legame e nessuna confidenza. Tutto l'intimo è guardato dall'alto in basso come corteo di sensazioni affatto significative e valide nel saper dire e far capire, snobbate come espressioni irrazionali, spesso fitrate e selezionate, contrapponendo come positive quelle piacevoli a quelle giudicate negative perchè dolorose e spiacevoli, con fuga da queste ultime, lette, interpretate, non certo ascoltate e riconosciute nel loro intento e nel loro dire, a piacimento per vederci ciò che fa comodo e marchiate come improprie se deludenti le personali aspettative, addirittura squalificate come anomale o malate se affatto in linea con i propri pregiudizi, di estrazione comune, circa ciò che è ammissibile e normale. Non c'è dialogo con l'interiorità, tenuta in subordine e guardata a vista, spesso resa oggetto di trascuratezza, di omesso ascolto o peggio tenuta a distanza e rinnegata se ritenuta ostile e fonte di danno perchè pressante e dolorosa. Evadere, svagarsi, fare appello al diritto di stare bene, esaltare la leggerezza come condizione ideale, buttando via gli "appesantimenti" che l'interiorità accortamente e mai per insensati motivi propone e dona perchè ci si fermi a guardare attentamente dentro la propria esperienza, dentro se stessi, sono modalità così diffuse, ricorrenti e persino esaltate come ideali da cultura e da convincimenti comuni, che ciò che può fare da fondamento a una consapevolezza e a una conoscenza vera di se stessi è continuamente sabotato e scassato. Quanto dunque è affidabile la persuasione di sapere già e di aver già chiaro chi si è e cosa va proseguito e perseguito, persuasione che induce molti a sparare contro il malessere e la crisi interiore di cui è portatore, come ostacolo da superare, come distorsione da correggere, come espressione di disfunzionalità da emendare e rimpiazzare con risposte più accordate con la pretesa di tornare a correre come e più di prima? L'deologia della riuscita come pronta capacità di funzionamento fa sì che l'unico modo di intendere  la propria realizzazione coincida indissolubilmente con i modi già intesi e applauditi, senza alternative. E' significativo che le stesse correnti di pensiero e le pratiche che sono oggi così diffuse sul terreno psicoterapeutico, che siano quelle di tipo cognitivo comportamentale o quelle ancora più sbrigative della cosiddetta terapia breve strategica, non casualmente di matrice e provenienza nordamericana (dove è molto consolidato e spinto il principio e l'imperativo del non rimanere indietro, del non perdere colpi nella corsa alla riuscita, al successo), nel loro cercare prima di tutto la soluzione e il superamento del disagio interiore inteso pregiudizialmente come modo disfunzionale e svantaggioso di intendere e di rapportarsi alle esperienze, vadano sostanzialmente dietro e siano coerenti con questa visione della realizzazione personale, così come presente nell'idea comune prevalente. Accade così che si fraintenda, che senza esitazione e senza dubbi si giudichi espressione di ritardo o di malfunzionamento, di impiccio dovuto a qualche errore di apprendimento o a qualche infausto condizionamento familiare o ambientale, ciò che interiormente ha ben altro significato e intento, ben altro valore, utile a riportare l'individuo a se stesso e a dotarlo di capacità di veder chiaro dentro se stesso, condizione indispensabile per non fare sciupio della propria vita rincorrendo la cosiddetta normalità, cioè l'idea comune e prevalente cui si consegna il compito di fare da guida e da orientamento. Perchè alla visione illusoria, trainata e regolata da fuori, si sostituisca la visione nitida e fondata, trovata col proprio sguardo dentro e attraverso se stessi, è necessario rivalutare la propria esperienza interiore, il contributo che la parte intima e profonda di se stessi sa dare, collocandola, come merita, al centro del proprio interesse. Sarebbe saggio smettere di tenere in posizione subordinata e ai margini o fuori dal proprio campo visivo la propria esperienza interiore, esaltando scioccamente come sana la pretesa di andare via dissociati da parte essenziale di sè, sarebbe provvidenziale per se stessi non insistere nella pretesa e nella  presunzione di risanare e di correggere la propria esperienza interiore, quando in realtà è l'unica che, ascoltata e correttamente intesa in tutte le sue espressioni, anche e soprattutto in quelle in apparenza, solo in apparenza, anomale o insensate, saprebbe ridare le basi della consapevolezza e della scoperta del senso della propria esistenza. Colpire ciò che di sè non si conosce nel suo autentico significato e valore, col solo intento di continuare a procedere a testa bassa, illusi di essere e di sapere, non è scelta così saggia e promettente.

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