domenica 24 gennaio 2021

Ciò che non si vuole riconoscere

Quando ci si confronta con la crisi e col malessere interiore ci si persuade facilmente che sia in atto solo un guasto, una minaccia, un che di ostile che mina la saldezza di un modo di procedere che si considera indiscutibilmente valido e da ristabilire al più presto. Ciò che non si vuole riconoscere nel proprio stato abituale è il vuoto di sè e di vera consapevolezza, la mancanza di capacità di visione che sappia cogliere il senso di tutto ciò che si fa e del proprio modo di procedere, il mancato possesso di un pensiero che non ricalchi e confermi ciò che generalmente si pensa, sui binari e nelle guide dei comuni modi di intendere. Non si vuole riconoscere che senza dotarsi di questa capacità, senza questo bagaglio, senza questo patrimonio che rende un individuo tale col suo specifico e originale, con la sua forza di generare risposte tratte da sè, col suo coltivato e sviluppato di identità e di pensiero, di orientamenti e di capacità di dare loro seguito, non si è che parvenze di individui. Pur illusi di non essere tali e di avere del proprio da dire e da realizzare, non si è che copie d'altro, attori o comparse dentro una scena, secondo un copione già scritto, che nulla ha a che fare con ciò che sarebbe possibile far vivere se quel vuoto di sè e di consapevolezza fosse colmato. C'è una parte di sè, intima e profonda, che non ignora il problema e il vero della propria condizione, che per questo motivo col malessere batte forte, dando stimoli e imponendo un clima interiore non facile e disagevole, con lo scopo di rendere tangibile e riconoscibile quel vuoto e di spingere a colmarlo con un serio lavoro su se stessi. Accade però che questa iniziativa profonda, tutt'altro che sciagurata o scriteriata, che col malessere e con la crisi vuole porre le basi della ricerca del cambiamento, sia letta come disturbo e patologia, confermando così soltanto  l'incapacità di intendere le esigenze personali più autentiche e profonde, ribadendo l'ottusità e l'incapacità di vedere lo stato attuale vero delle cose. Lo stato vero è di essere più che incompiuti, più che insufficienti e non certo nella capacità di far mostra di normalità, di stare in corsa e di dare prova di efficienza secondo i criteri prevalenti, ma nel possesso di sostanza propria, di pensiero capace prima di tutto di vedere la verità della propria condizione e non di raccontarsela a piacimento, trovando riparo e conferma nel pensato solito e comune, oltre che di concepire e di aprire nuove strade fedelmente corrispondenti a se stessi. La posta in gioco è notevole, ma rischia di non essere compresa e ben soppesata. Ristabilire l'ordine solito, battersi per il raggiungimento di questo scopo, imputando alla crisi interiore di essere solo un intralcio dannoso e un segno di malattia, travisandola e riducendola a scoria da eliminare, è la risposta più ottusa e sfavorevole a se stessi che ci si possa dare. L'autoinganno è di far credere a se stessi che sia stupido e nemico ciò che invece interiormente è la propria risorsa più affidabile, il lato del proprio essere più accorto e sincero, il più saggio e provvido.

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