venerdì 23 agosto 2019
L'uso degli psicofarmaci
venerdì 2 agosto 2019
Se lo conosci non lo eviti
La visione capovolta
Ciò che abitualmente è considerato sano, positivo e
desiderabile è spesso parte e scaturisce da una visione di se stessi, delle
proprie esperienze, che, appoggiandosi e fondendosi col senso comune e con la
lettura convenzionale, non ne cerca il fondamento, la verifica, il significato
vero. La comprensione attenta di ciò che lega alle proprie convinzioni e agli
scopi voluti è trascurata, li si dà per scontati e si insiste nella conferma di
ciò che si ama credere, per comodità oltre che per inerzia. Accade allora che
tutto ciò che interiormente col malessere nelle sue possibili diverse
espressioni, che sia ansia, panico o
sfiducia e caduta di autostima o altro, interviene a scuotere e a aprire
crepe nei propri convincimenti, a intralciare il cammino solito, per spingere a rivedere tutto, cercando non
il significato apparente e di comodo, ma quello vero, sia oltre che incompreso,
perentoriamente osteggiato e squalificato come disturbo, come malfunzionamento
da correggere, come malattia da combattere e risanare. Proprio la componente di
sè che in modo sano, provvidenziale e intelligente vuole far emergere il vero,
spingendo oltre l'attaccamento all'usuale, che rischia di affossare qualsiasi
processo di crescita e di conquista di autonomia, di capacità di farsi
interpreti fedeli di se stessi e della propria vita, è combattuta e denigrata
come un fastidio, come una anomalia, come una patologia. Un capolavoro di
cecità e di mistificazione a proprio danno, spesso col conforto e col suggello
di qualche terapia che pretende di definirsi utile e capace di risolvere i
problemi, di ridare il beneficio dello star bene. E' un danno che passa sotto
silenzio, che il senso comune non intende, che la parte profonda dell'individuo
non ignora di certo, che non può accettare, tant'è che il malessere, anche se
osteggiato e in vario modo preso di mira e frainteso, torna a più riprese a
farsi avanti. La musica però non cambia e in questi casi il pregiudizio, che
non arretra, definisce e liquida il tutto come una ricaduta di malattia. La
parte profonda vuole promuovere il cambiamento, vuole che si veda in cosa si è
infilati. Ha a cuore che non si sciupi tutto di se stessi, rimanendo nel buio
del preconcetto, di una visione che non concede al vero, che illude di esserci
nelle proprie idee e modalità di procedere, di perseguire i propri scopi, che
sbarra in realtà la strada a un diverso e originale modo di concepire la vita,
coerente con se stessi, alimentato dal proprio intimo. Battaglia persa quella
del profondo? Non sempre. A volte l'alleanza dell'individuo col proprio intimo
diventa una scelta voluta e portata avanti con tenacia, con passione e con
coraggio. Nulla è più felice di una intesa con se stessi, dando fiducia e
condividendo la visione capovolta, che all'inizio da solo il proprio profondo
sostiene, che rompe le illusioni solite, che dell'abituale modo di pensare
svela equivoci e restringimenti, che apre a nuova e viva conoscenza, che
costruisce e fonda tutto sul vero, che apre strade prima sconosciute,
inconcepibili.
venerdì 7 giugno 2019
La ricerca del rimedio
domenica 19 maggio 2019
Avere da dire
domenica 12 maggio 2019
Le nostre paure
venerdì 10 maggio 2019
L'ansia da dove origina?
lunedì 1 aprile 2019
I sogni: motore di pensiero e di cambiamento
domenica 31 marzo 2019
Malessere senza reali motivi?
domenica 17 marzo 2019
Perchè è fondamentale affidarsi alla guida dell'inconscio
lunedì 11 marzo 2019
Il rapporto col dolore
mercoledì 27 febbraio 2019
L'intelligenza del sentire
Il desiderio di star bene, quando non è inteso, come
spesso capita, come desiderio di uno stato di quiete, di assenza di tensione
interiore, quando aspira a fondarsi su vera unità, su fiducioso e pieno legame
e accordo con se stessi, con la propria interiorità, necessariamente deve
rimettere in discussione il ruolo e l’importanza attribuiti al sentire. Il
sentire non è e non può essere plasmabile a piacimento, il sentire non è e non
può essere ingenuo. La felicità ad esempio è un sentimento maturo e intelligente,
non può sposare o esaltare qualsiasi cosa, incurante di ciò che è, che
racchiude, che vale davvero. Tutto il nostro sentire è intelligente, più di
quanto non sia il nostro pensare e argomentare, che tanto ci sembra a volte
capace e convincente, ma che non disdegna di ripetere cose sentite dire, di
cercare quadrature di comodo o di soccorrere bisogni di autoconferma e di
rassicurazione. Il sentire, non quello artefatto e rifatto, ma quello
spontaneo, autentico e vero, è autonomo nei suoi movimenti, nelle sue
espressioni e proposte, non è docile alle pretese di chi lo vorrebbe sempre
solidale con le proprie aspettative e “positivo”. Sembra a molti una regola
indiscutibile quella che vorrebbe allineare il proprio sentire alla cosiddetta
normalità. I punti di forza del ragionamento, così diffuso e insistito da
diventare una specie di litania, è che tutto ciò che interiormente si presenta
difficile, insolito e doloroso, è in modo scontato un che di sfavorevole e
negativo, che presto, se insiste, è giudicato un disturbo, una anomalia da
correggere, da eliminare perché costituisce un impedimento, ritenuto
sciagurato, a essere come prima, normali ecc. Tutti a maledire ansia, disagi,
pene e difficoltà che sulla scena interiore non di rado tengono banco, che non
permettono di tirar dritto come prima, che intralciano il legame con l'esterno,
che obbligano ad avere come prima preoccupazione se stessi, il proprio stato,
che tengono inchiodata l'attenzione agli svolgimenti interni. Nulla
interiormente succede per caso, c'è una parte di noi stessi che non è incurante
o disattenta al nostro stato, che non concede a sviste e a autoinganni, a
impazienza o a semplificazioni. C’è una parte di noi, profonda, la si può
chiamare inconscio ( che non significa cieco e primitivo, poco incline al veder
chiaro e puntuale, al veder lungo e ampio, anzi!!), che, se vede la nostra
attuale inconsistenza, non se la tace e non ce la manda a dire, che se siamo
solo inclini ad andar dietro alla corrente, a investire in ciò che altri considera
valido e degno, col rischio di far vita gregaria o di fallire le nostre
direzioni e i nostri scopi, non sta certo a dormire. L'età anagrafica da sola
non rende adulti, la scuola, gli studi e le letture rendono cresciuti in
conoscenza e in consapevolezza si fa per dire, le esperienze non sono di per sé
e in automatico maestre di vita, soprattutto quando non si è capaci di
riflettere, di cogliere l'intimo significato di ciò che si muove in noi e che
sentiamo. Questo per dire che troppo spesso ci si fa l'illusione di essere già
arrivati, che non ci sia nulla di fondamentale da rivedere e da costruire per
ciò che riguarda la conoscenza di se stessi e il maturo possesso di capacità di
guidarsi. Chi, in presenza di disagi e di sofferenze interiori, invoca subito
il diritto di spazzare via l'ostacolo interiore definendolo un accidente
negativo, un impedimento da abbattere e una distorsione da correggere e
annullare, crede che tutto di sè sia già a posto, che la priorità sia di non
perdere o compromettere il legame con l'esterno, la possibilità di fare,
pretendendo di trovare sul piano interiore fiducia e ottimismo, senza
insicurezze ed altro. Il nostro sentire è intelligente e è espressione della
parte più intelligente e meno abbindolabile di noi, meno incline a far coro con
chi dice che basta farsi coraggio, che tutto va solo preso e proseguito come
fan tutti e che l'ansia e simili sono solo maledetti nemici, una stupida
zavorra, un insieme di irrazionali timori o di atteggiamenti e modi di pensare
sbagliati. Se tutto andasse davvero bene e per il verso giusto perché mai il
nostro intimo e profondo sguardo e sentire non dovrebbero confermarlo e
sostenerlo? La felicità come la fiducia, il fondato veder chiaro della
consapevolezza, non sono cose qualsiasi, un diritto o altro che si possa
rivendicare e avere gratuitamente, a meno d’essere fin nel profondo ciechi e
ottusi, a meno di farsi andare bene tutto, anche le proprie illusioni. A noi
serve avere davvero consapevolezza, legame con noi stessi, capacità di capire e
di mettere assieme cose valide, comprese e ben verificate da noi, vicine a noi
stessi. Tutto questo non lo si ha per diritto naturale o perché in qualche modo
ci si è dati da fare. Interiormente non ci si tace nulla e, casomai creando
allarme e facendo sentire sonori scricchiolii, la propria interiorità vuole far
prendere atto che si è mancanti. La fiducia degli altri ce la si può a volte
astutamente accaparrare, ma quella propria intima è faccenda più seria, perché
una parte di se stessi, profonda, non si lascia convincere dalle apparenze.
Sapendo vedere ciò che di sostanziale manca, saggiamente il profondo nega nel
sentire stabilità e conferma, scuote col malessere e senza tregua sprona per
costruire quello che non c’è e che, solo se fatto bene e con pazienza, potrà
far sentire davvero intimamente confermati e fiduciosi. Il nostro sentire è
intelligente.
domenica 24 febbraio 2019
Il malessere interiore chiede risposte consone e intelligenti
venerdì 22 febbraio 2019
Si può
domenica 17 febbraio 2019
Volersi bene
Comuni preconcetti
domenica 25 novembre 2018
Fa male tenersi tutto dentro?
giovedì 1 novembre 2018
La trappola della idea di malattia
La patente di malato con la sua bella etichetta
diagnostica, spesso invocata da chi vive una condizione di sofferenza
interiore, per confermarsi vittima di ciò che sta provando, per porlo in stato
di quarantena e di controllo come fosse un morbo di cui liberarsi, una minaccia
da cui difendersi e da rendere bersaglio di presunte cure che la combattano e
che la facciano fuori, è in realtà la via maestra per portare a compimento la
propria dissociazione, per destinarsi a rigida chiusura verso la propria
interiorità. La vita interiore non risponde alle attese e alle pretese di
regolare funzionamento così come concepito dal senso comune, così come
auspicato dalla parte razionale dell'individuo, che, se chiusa al dialogo con
la componente intima e profonda, non fa altro che rigirarsi nel pensato comune,
unica fonte, unica ispiratrice dei propri pensieri. La vita interiore è lo
specchio e la traduzione in essere dell'intelligenza profonda. Dentro di noi
c'è una parte tutt'altro che sprovveduta che tiene conto nell'esperienza non
delle apparenze ma della sostanza, non della superficie ma del dentro, che
coglie e riconosce ciò che muove ogni gesto e ogni azione, che anima ogni
risposta, che non trascura di riconoscere il vero dell'esperienza, che non è
incline a coprire, ma a svelare, che non ha come suo intento cavarsela e
risolvere, ma capire, non ottenere risultati, ma riconoscerne la qualità vera,
la conformità a se stessi. Che lo si voglia o no, che lo si sappia o no, c'è
una parte intima e profonda del proprio essere che non è gregaria del
rimanente, che ha forte tempra e autonomia, che insiste nel dare segnali utili
e essenziali per calarsi nel vero, per non stare nell'illusorio, per non
barricarsi nella consapevolezza truccata e di comodo, nell'idea di se stessi
che ha più sostegno nello sguardo comune che nel proprio. E' la parte di se
stessi che ha più vicinanza con le proprie intime ragioni d'esistenza, con il
proprio potenziale da coltivare e sviluppare, che vuole crescita e formazione
di pensiero vero e fondato, autonomo e di sostanza e non spiantato anche se ben
congegnato come quello usuale e ragionato. Quella profonda è la parte di se
stessi che non si lascia incantare dalle inventive e dai prodotti a volte tanto
ingegnosi quanto sterili del ragionamento, che non si fa tirare e portare da
suggeritori esterni più o meno manifesti, che sa vedere la pochezza di essere
individuo realizzato secondo canoni comuni, ma gregario e passivo nell'aver
fatto propria un'idea di vita e di riuscita già concepita e altra da se stesso.
La componente profonda del proprio essere non è della partita e della corsa a
fare ciò che secondo altri e secondo idea prevalente è il meglio o è il
possibile della vita. La parte profonda scuote e agita le acque interiormente
per sollevare il problema del proprio muoversi senza aver mai cercato radice
dentro se stessi, del proprio blaterare e dell'affannarsi a inseguire, a
riprodurre, a stare dentro un'idea di vita che non ha nulla di vicino, di
scaturito da se stessi. Tutta la inquietudine e il malessere interiore, con le
sue diverse espressioni che in molti, che si sono definiti portatori di
pensiero scientifico, hanno preferito catalogare e etichettare per sottoporle a
trattamenti che le contrastassero e che le raddrizzassero, ma che, se sapute
intendere, segnalano puntualmente la fisionomia del proprio modo di condursi,
la problematica dell'essere lontani da contatto, da capacità di rapporto e di
dialogo con se stessi, è e vuole essere invito fermo a fermarsi per capire, per
capirsi, riconoscendo questa come la priorità. La priorità non è spingersi
avanti come se tutto di se stessi fosse implicitamente valido e scontato, non è
avere a cuore i risultati soliti e contingenti, ma è finalmente prendere
visione di come si sta interpretando e svolgendo la propria vita, su che basi e
guidati da cosa. La priorità, secondo la parte profonda di se stessi, è
rendersi conto che, amputati di un rapporto aperto e fecondo col proprio
intimo, non si è niente e nessuno, si è solo ciò che sta dentro una parte e
un'idea già confezionata, che senza il supporto dello sguardo e del consenso
comune non starebbe in piedi. Al profondo di se stessi preme che non si arrivi
al capolinea della vita senza aver capito nulla, senza aver provato a
sostituire l'illusione con la sostanza, la maschera dell'esistenza con
un'esistenza con il proprio volto, la vita secondo altri con la vita propria,
il pensiero rimasticato e nel coro col proprio finalmente cercato, coltivato e
messo al mondo.