Il desiderio di star bene, quando non è inteso, come
spesso capita, come desiderio di uno stato di quiete, di assenza di tensione
interiore, quando aspira a fondarsi su vera unità, su fiducioso e pieno legame
e accordo con se stessi, con la propria interiorità, necessariamente deve
rimettere in discussione il ruolo e l’importanza attribuiti al sentire. Il
sentire non è e non può essere plasmabile a piacimento, il sentire non è e non
può essere ingenuo. La felicità ad esempio è un sentimento maturo e intelligente,
non può sposare o esaltare qualsiasi cosa, incurante di ciò che è, che
racchiude, che vale davvero. Tutto il nostro sentire è intelligente, più di
quanto non sia il nostro pensare e argomentare, che tanto ci sembra a volte
capace e convincente, ma che non disdegna di ripetere cose sentite dire, di
cercare quadrature di comodo o di soccorrere bisogni di autoconferma e di
rassicurazione. Il sentire, non quello artefatto e rifatto, ma quello
spontaneo, autentico e vero, è autonomo nei suoi movimenti, nelle sue
espressioni e proposte, non è docile alle pretese di chi lo vorrebbe sempre
solidale con le proprie aspettative e “positivo”. Sembra a molti una regola
indiscutibile quella che vorrebbe allineare il proprio sentire alla cosiddetta
normalità. I punti di forza del ragionamento, così diffuso e insistito da
diventare una specie di litania, è che tutto ciò che interiormente si presenta
difficile, insolito e doloroso, è in modo scontato un che di sfavorevole e
negativo, che presto, se insiste, è giudicato un disturbo, una anomalia da
correggere, da eliminare perché costituisce un impedimento, ritenuto
sciagurato, a essere come prima, normali ecc. Tutti a maledire ansia, disagi,
pene e difficoltà che sulla scena interiore non di rado tengono banco, che non
permettono di tirar dritto come prima, che intralciano il legame con l'esterno,
che obbligano ad avere come prima preoccupazione se stessi, il proprio stato,
che tengono inchiodata l'attenzione agli svolgimenti interni. Nulla
interiormente succede per caso, c'è una parte di noi stessi che non è incurante
o disattenta al nostro stato, che non concede a sviste e a autoinganni, a
impazienza o a semplificazioni. C’è una parte di noi, profonda, la si può
chiamare inconscio ( che non significa cieco e primitivo, poco incline al veder
chiaro e puntuale, al veder lungo e ampio, anzi!!), che, se vede la nostra
attuale inconsistenza, non se la tace e non ce la manda a dire, che se siamo
solo inclini ad andar dietro alla corrente, a investire in ciò che altri considera
valido e degno, col rischio di far vita gregaria o di fallire le nostre
direzioni e i nostri scopi, non sta certo a dormire. L'età anagrafica da sola
non rende adulti, la scuola, gli studi e le letture rendono cresciuti in
conoscenza e in consapevolezza si fa per dire, le esperienze non sono di per sé
e in automatico maestre di vita, soprattutto quando non si è capaci di
riflettere, di cogliere l'intimo significato di ciò che si muove in noi e che
sentiamo. Questo per dire che troppo spesso ci si fa l'illusione di essere già
arrivati, che non ci sia nulla di fondamentale da rivedere e da costruire per
ciò che riguarda la conoscenza di se stessi e il maturo possesso di capacità di
guidarsi. Chi, in presenza di disagi e di sofferenze interiori, invoca subito
il diritto di spazzare via l'ostacolo interiore definendolo un accidente
negativo, un impedimento da abbattere e una distorsione da correggere e
annullare, crede che tutto di sè sia già a posto, che la priorità sia di non
perdere o compromettere il legame con l'esterno, la possibilità di fare,
pretendendo di trovare sul piano interiore fiducia e ottimismo, senza
insicurezze ed altro. Il nostro sentire è intelligente e è espressione della
parte più intelligente e meno abbindolabile di noi, meno incline a far coro con
chi dice che basta farsi coraggio, che tutto va solo preso e proseguito come
fan tutti e che l'ansia e simili sono solo maledetti nemici, una stupida
zavorra, un insieme di irrazionali timori o di atteggiamenti e modi di pensare
sbagliati. Se tutto andasse davvero bene e per il verso giusto perché mai il
nostro intimo e profondo sguardo e sentire non dovrebbero confermarlo e
sostenerlo? La felicità come la fiducia, il fondato veder chiaro della
consapevolezza, non sono cose qualsiasi, un diritto o altro che si possa
rivendicare e avere gratuitamente, a meno d’essere fin nel profondo ciechi e
ottusi, a meno di farsi andare bene tutto, anche le proprie illusioni. A noi
serve avere davvero consapevolezza, legame con noi stessi, capacità di capire e
di mettere assieme cose valide, comprese e ben verificate da noi, vicine a noi
stessi. Tutto questo non lo si ha per diritto naturale o perché in qualche modo
ci si è dati da fare. Interiormente non ci si tace nulla e, casomai creando
allarme e facendo sentire sonori scricchiolii, la propria interiorità vuole far
prendere atto che si è mancanti. La fiducia degli altri ce la si può a volte
astutamente accaparrare, ma quella propria intima è faccenda più seria, perché
una parte di se stessi, profonda, non si lascia convincere dalle apparenze.
Sapendo vedere ciò che di sostanziale manca, saggiamente il profondo nega nel
sentire stabilità e conferma, scuote col malessere e senza tregua sprona per
costruire quello che non c’è e che, solo se fatto bene e con pazienza, potrà
far sentire davvero intimamente confermati e fiduciosi. Il nostro sentire è
intelligente.
mercoledì 27 febbraio 2019
L'intelligenza del sentire
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