giovedì 25 aprile 2024

Ancora sugli attacchi di panico

Riprendo il discorso sugli attacchi di panico, tenendo conto della frequenza con cui simili esperienze si propongono, anche e non casualmente in individui giovani. Proverò a dare, tratto da lunga pratica analitica, qualche ulteriore spunto di riflessione. Chi subisce un attacco di panico auspica soltanto che non si ripeta, vuole tornare al più presto alla normalità, al consueto, anche se si sente molto segnato da un'esperienza così estrema, anzi continuamente si sente in apprensione, sul chi va là per la possibile ripetizione dell'attacco, eventualità tutt’altro che rara. In realtà all'attacco di panico non vuole dare retta, non ha come primo interesse quello di capire cosa significhi, a che scopo si sia prodotta dentro di sè una simile esperienza. Il fatto che abbia avuto un carattere così sconvolgente, che abbia investito il corpo in modo così forte e significativo, favorisce l'idea che sia stato un guasto, un evento anomalo assai temibile, una pericolosa minaccia da scongiurare e da debellare. Dopo l'attacco o i ripetuti attacchi le indagini cercate con insistenza sul terreno medico, con esami clinici innumerevoli, con visite specialistiche varie, con test diagnostici ripetuti, alla ricerca di disfunzioni e di patologie possibili nel corpo, vorrebbero da un lato scongiurare l'esistenza di gravi problemi organici e dall'altro soddisfare l'attesa di scovare cause ben definite e circoscrivibili, utili per riuscire a ridurre a problema fisico e a dominare in qualche modo, a porre sotto controllo un'esperienza così inquietante e misteriosa. La lontananza perdurante, anche se poco o nulla riconosciuta, ancora meno considerata questione importante, dal proprio intimo e l'incomprensione abituale della propria esperienza interiore, non aiutano certo chi lo vive a intendere l'attacco di panico non come espressione di un disordine e di una anomalia, come potrebbe apparire, ma come esperienza significativa, non nefasta e capace solo di fare danno, ma propositiva e con un senso e una finalità utile nelle intenzioni del profondo che la scatena. Va subito detto che chi subisce l’attacco di panico ha di se stesso l’immagine di un individuo sostanzialmente, per ciò che più vale e su cui far conto, definito nei confini della sua parte cosiddetta conscia, pensando il resto che vive, che sperimenta dentro se stesso di emozioni e di stati d’animo, di sensazioni e di pulsioni come un corteo di svolgimenti interni, visti in gran parte come risposta automatica e reattiva a stimoli e a circostanze esterne, considerato nell’insieme come una sorta di realtà inferiore, fatta di meccanismi, di espressioni involontarie che vanno possibilmente regolate e tenute a bada, della cui intelligenza e validità come guida di pensiero e di conoscenza non c’è idea e considerazione. Anzi, assecondando l’idea comune, facendo rientrare il sentire e l’esperienza intima nelle espressioni cosiddette irrazionali, assegna loro il limite della scarsa o nulla affidabilità. Dunque che ci sia nell'intimo, fuori dai confini della propria  parte conscia razionale, una parte del proprio essere, niente affatto irrilevante, anzi decisiva, che ha capacità di offrire, come fa continuamente nel corso dell'esperienza, attraverso il sentire e tutti gli svolgimenti interiori, stimoli e proposte  su cui  (imparando a ascoltare e a intendere il linguaggio della propria interiorità, del proprio sentire, anzichè avere presunzione e impazienza di dargli spiegazioni e soluzioni,  anzichè parlargli sopra e bistrattarlo con i ragionamenti) si può fare conto, cui non si può rinunciare per ritrovarsi, per avere terreno valido e fecondo  per orientarsi, per capirsi, è scoperta di là da venire. Accade così che se qualcosa dentro di sé fa la voce grossa e ricorre alle maniere forti per far sì che si porti l'attenzione e la preoccupazione su di sé e sul proprio stato, non lo stato fisico, ma ben altro attinente il proprio modo di procedere e la sostanza di ciò che si sta facendo di se stessi, questo non venga inteso, che invece si pensi solo a un meccanismo in avaria, a qualcosa di rotto, di anomalo, di cui diffidare, da cui cercare di proteggersi, che ci si convince rapidamente arrecare solo danni. Il grosso turbamento, le limitazioni imposte al quieto procedere, all’andare fuori, all’intrattenere le solite attività di relazione con l’esterno, con gli altri, preoccupa, angustia, sono il motivo di preoccupazione principale, unito alla nube oscura di disagio e di paura crescente nello stare in contatto con se stessi.  Chi subisce l'attacco di panico tende abitualmente, come già accennavo, per orientarsi e per capire a affidarsi a altro che non siano i suoi vissuti, le sue sensazioni vere, a accontentarsi di ipotesi e di tesi costruite col  ragionamento, in apparenza coerenti e verosimili, a cercare sponda in idee e comportamenti comuni, vuoi aderendo e conformandosi ad essi, vuoi provando a differenziarsi, trovando comunque sempre supporto, anche se in contrapposizione, in altro da sè già concepito, cercando confronto e intesa con altri piuttosto che con se stesso, con la propria interiorità. Si muove seguendo un'idea di vita e di autorealizzazione date per acquisite, prese comunque da fuori e non cercate e maturate dentro se stesso. Segue e asseconda più l'interesse e l'istanza di stare al passo con altri, di tenere a bada e di rendersi favorevole lo sguardo altrui, che di cercare il proprio, di non perdere terreno piuttosto che di fermarsi a capire, ascoltando e coinvolgendo tutto il proprio essere. Non mette al primo posto, non concepisce come essenziali e necessarie, né la vicinanza e l'intesa con se stesso, con la parte intima, profonda di sé, niente affatto riconosciuta come presenza e parte viva e affidabile di se stesso, né di conseguenza la ricerca del proprio sguardo fondato sull'ascolto e sulla comprensione attenta del proprio sentire. Chi subisce l'attacco di panico crede che basti ciò che racconta a se stesso di sapere di sé e della propria vita, in apparenza credibile e pertinente, in realtà più raffazzonato e fatto di supposizioni che compreso in profondità e con rispondenza piena con ciò che sente, che vive dentro se stesso. Non per tutto il suo essere però conta e basta ciò che l'individuo vuole continuare a illudersi di sapere, ciò che continua imperterrito a inseguire, a fare, a ripetersi in testa. Per una parte di se stesso, quella intima e profonda, questa maschera di sapere e questa parvenza di vita propria, altra e lontana da ciò che di vero potrebbe conoscere e da ciò che potrebbe far nascere da sè, non è certo un bene da difendere a denti stretti. Per il profondo è rilevante e inaccettabile la condizione di lontananza dell'individuo da se stesso, di separazione e di sconnessione dal proprio intimo, di rinuncia a cercare risposte vere e fondate su di sé, a conoscere prima e a far vivere poi il proprio. Insomma, proseguire come d'abitudine ritenendolo sufficiente e normale è una cosa, capire e vedere nitidamente come si sta procedendo, cosa c'è o non c'è di proprio, di scoperto e generato da sé in ciò che si fa, verificare cosa realmente si conosce di se stessi, cosa si sta facendo della propria vita, è un'altra. Individui giovani, che non di rado, come dicevo all'inizio, patiscono attacchi di panico, hanno il problema di quanto sono equipaggiati o meno di consapevolezza e di sguardo proprio, di comprensione di ciò che vogliono tradurre e realizzare nel loro futuro. Il rischio, privi ancora di capacità di incontro e di dialogo con la loro interiorità, facendo leva per capire, per capirsi solo sul ragionamento, che lavorando da solo, senza stretto legame e guida del sentire, non dà capacità di vedere dentro sé, ma solo di ripetere e di rimasticare il già detto e comunemente concepito, è di farsi portare e di andar dietro a guide esterne, di uniformarsi a idee e a modelli prevalenti. Il rischio, ignari di ciò che da se stessi potrebbero trarre e far vivere di originale e di sentito, digiuni di conoscenza propria, fondata e vera, è di mal intendere e di fallire gli scopi della loro vita, pur con l'illusione di essere attivi e autonomi nel formare e nel governare le loro idee e scelte. E' un rischio di non trascurabile importanza, è un rischio non certo trascurato dal loro profondo. Perciò il loro inconscio interviene, interferisce, dando segnali forti, perentori, capaci di bloccare e di rendere insostenibile l’abituale corso e modo di procedere che punta tutto all’esterno, segnali che, per la loro potenza e invasività, non vogliono essere assolutamente ignorati e messi da parte. Nulla di ciò che accade interiormente avviene per caso. In presenza di malessere interiore, seppure nella forma drammatica e sconquassante degli attacchi di panico, leggere e spiegare tutto in termini di disturbo, di anomalia di funzionamento, di meccanica conseguenza di sovraccarico di tensione da cause esterne aiuta solo a non capire nulla, a stravolgere il senso delle cose. Cercare e ricevere come aiuto sul piano psicologico quello di attrezzarsi nella difesa dalla paura montante fino al panico e perseguire come scopo il superamento dell’attacco o degli attacchi per tornare, come fosse il traguardo più ovvio e desiderabile, allo stato solito e al consueto modo di procedere, significa non intendere il significato e la finalità di ciò che drammaticamente è accaduto, che peraltro spesso ha un seguito e che lascia una scia che non si dissolve. Dentro di noi c'è una parte profonda, ben più interessata, piuttosto che alla difesa e alla prosecuzione dell'abituale, a cosa di noi stessi stiamo e sapremo realizzare o meno, a quanto siamo vicini e coerenti con noi stessi, a quanto di idee nostre abbiamo coltivato e generato davvero e non semplicemente finto di possedere, in realtà ripetendo modi e atteggiamenti, risposte e valori comuni. Se l'attacco di panico alimenta in modo improvviso e impetuoso l'allarme sulla prosecuzione della vita, del regolare battito cardiaco, del respiro, se catapulta nella paura di ciò che imprevedibile potrebbe accadere, è per far capire che non c'è solidarietà interna, della propria parte profonda verso l'andare avanti nel solito modo, è per fare toccare con mano lo stato di non unità con se stessi. L'attacco di panico non è una sciagura o una patologia da vincere, è un potentissimo richiamo da ascoltare e da capire, da prendere sul serio per il proprio vero bene.

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