giovedì 4 aprile 2024

Il rapporto con se stessi

Se parlare di rapporto con gli altri risulta realtà immediatamente riconoscibile e comprensibile, parlare di rapporto con se stessi appare ai più cosa sfuggente, di scarsa visibilità e consistenza. Eppure è quotidiano l'intervento che ognuno fa su e verso se stesso, ascoltando o meno ciò che prova, offrendo a se stesso guida più o meno consapevole dei perché delle sue scelte e risposte. Contemporaneamente, guardando dall'altro lato del rapporto, è ben tangibile l'influenza che la parte intima di se stessi esercita in ogni momento, mettendo in campo emozioni, spinte, stati d'animo e non solo, se consideriamo che la notte, quando tutto fuori tace, quando la componente conscia recede, lì accade il meglio e il più vistoso dell'iniziativa che l'inconscio prende rivolta al resto del proprio essere, che in quel momento può solo lasciarsi prendere e condurre, come accade nei sogni. Dunque il rapporto con se stessi non è cosa astratta e impalpabile, è realtà viva. E’ una costante in svolgimento attimo dopo attimo, ben riconoscibile e consistente. Semmai è il rapporto con gli altri a essere comunque sporadico e discontinuo. E' quest'ultimo però che ha riconoscimento e cui sono rivolte le più assidue attenzioni e preoccupazioni come se fosse il centro e il luogo decisivo dell’esistenza. Del rapporto con se stessi, di come si svolge, di quel che racchiude poco o nulla ci si occupa e preoccupa. Nei frangenti critici, come accade in presenza di disagi interiori, di pieghe non facili e inattese che prende il proprio sentire, la risposta è spesso sorda e ruvida, sbrigativa e intollerante, facendo prevalere la voglia di disfarsi della difficoltà e del momento critico su quella di ascoltarsi, di confrontarsi con pazienza e con attenzione con se stessi, con la propria interiorità. In queste circostanze ciò che la propria interiorità rende acuto è visto più come intralcio, come cattivo funzionamento da superare e possibilmente spazzare via, come accidente da temere e combattere che come momento vivo di incontro con la parte intima di se stessi. Nessuna fiducia che ciò che si sta provando possa dire qualcosa di importante, di centrale, che sappia e che voglia comunicare, nessuna idea di rapporto, di possibile dialogo con la propria interiorità. D’altra parte si è così abituati a procedere tenendo in posizione marginale e subalterna tutto ciò che di se stessi esula da ragionamenti e da iniziative della parte che funge da testa che conduce, che è comprensibile che la risposta a ciò che interiormente si è reso più difficile sia di cacciare via e mettere a tacere come una molestia o come un preoccupante cattivo stato ciò che si sente, che si è convinti possa solo recare a se stessi danno. Dunque il rapporto con se stessi prende spesso una forma, ha un suo svolgimento, a ben vedere, tutt'altro che esaltante e però non pare questione rilevante, non la si riconosce come tale, perciò non diventa tema di attenzione e di riflessione. Non solo non è una priorità, ma non è motivo degno di attenzione, ancora meno di preoccupazione e di cura. Quel che conta è non perdere il legame con la cosiddetta realtà, che è sempre cosa che sta là fuori. Più importante e di interesse vitale è occuparsi del rapporto con gli altri, visto appunto come teatro principale della propria esistenza, luogo dove si addensano le personali attese, gli entusiasmi, anche se fugaci, oltre che le recriminazioni, le pene e i tormenti. E' del rapporto con gli altri, con altro che sta fuori che ci si ostina a occupare e a discutere, è lì che si riconduce tanto o tutto di se stessi, come se la propria vita e la propria personale cifra fossero lì raccolte e messe in gioco. Addirittura c'è un'etica, non da pochi condivisa e propugnata, che biasima il dare peso, il rivolgere interesse al proprio stato e l'occuparsi troppo di se stessi, il tutto giudicato come segno di egoismo e di egocentrismo, di rimuginazioni sterili e di ripiegamenti insani, per esaltare viceversa il valore morale e ideale del dare interesse e attenzione agli altri. Si ignora che ciò che si rivolge all'altro è della stessa pasta e qualità di ciò che si rivolge a se stessi, che ciò che si fa verso l'altro è né più né meno ciò che si è abituati a fare verso se stessi. Se si è incuranti di ascoltare e incapaci di intendere cosa il proprio sentire dice, se gli si mette sopra, spacciandosele per riflessione e chiarimento, spiegazioni costruite razionalmente, spesso di comodo, che, dando peso e centralità a condizioni e a condizionamenti  esterni e a responsabilità altrui, chiudono lo sguardo su se stessi, anziché aprirlo, come si potrà essere capaci con l'altro di ascoltarlo e di incoraggiarlo a ascoltarsi e a riconoscere con trasparenza e fedelmente ciò che il suo sentire vuole fargli sensibilmente riconoscere e capire di se stesso? Se si è ostili a ciò che interiormente risulta doloroso, se si è in fuga e pronti a cercare ogni mezzo per evadere, per aggirare o per dissolvere il proprio sentire spiacevole, sostenuti dall'idea che stare bene significhi (affermato come un principio di salute e rivendicato come un diritto) non portare pesi interiori e non patire tensioni, come si potrà dare all'altro, se a sua volta proporrà disagi e esperienze interiori difficili, risposta diversa dal cercare di sostenerlo nello sforzo e nella petizione di trarsi presto fuori e al riparo dal suo sentire disagevole e sofferto, di cui si considera vittima e che vive come ostile? Nel dialogo con l'altro, come si è abituati a fare con se stessi, sarà fatale assecondare e dare manforte alla tendenza dell'altro a costruire spiegazioni del suo malessere, in apparenza logiche e coerenti, che, puntando lo sguardo più all'esterno che all'interno, spiantate e senza accordo con ciò che il suo sentire vorrebbe fargli comprendere, lo aiuteranno soltanto a procurarsi temporanee rassicurazioni e conferme di ciò che è solito e che gli è gradito credere, non certo a avvicinarsi a se stesso e a prendere coscienza del vero. Quel che si fa con l'altro è né più né meno quello che si fa con se stessi, non si cambia magicamente, non ci si può inventare in presenza dell'altro qualcosa di diverso da ciò che si è prodotto nel confronto vivo con se stessi, con la propria esperienza. Dedicarsi a se stessi, lavorare su se stessi, portare a maturazione un rapporto aperto e dialogico con la propria interiorità, è prioritario e decisivo, muta la qualità delle proprie risposte possibili a se stessi e di conseguenza anche all'altro, ben contro e diversamente dall'ingenuo credo di chi, non pochi, sostiene che occuparsi di se stessi sia angusto e sterile e che viceversa occuparsi di altri o del prossimo liberi chissà quali migliori sentimenti e orizzonti di pensiero e ideali.

Nessun commento: