Cercare se stessi attraverso gli altri, cercare la
propria identità attraverso lo sguardo altrui, fondandola su ciò che gli altri
possono o potrebbero riconoscere e apprezzare, è esperienza e modalità
tutt'altro che rara. Cercare appoggio e fare riferimento agli altri per
misurare quanto si vale, per fare verifiche attorno alla propria capacità di
riuscita, per stabilire quanto si sa stare al mondo, per fare palestra e per
darsi la misura dei progressi raggiunti, cercando nuove prove e allineamenti a
quella che è considerata dai più la normalità o il successo, la miglior
realizzazione, cercare negli altri l’essere ben voluti, per trovare alimento di
fiducia e di incoraggiamento, per accendere dentro se stessi una parvenza di
calore interno, è modalità la più diffusa, è ormai la regola. Mancando di un
interlocutore interno, mai cercato, di una scoperta di significati fatta
attraverso sè e il proprio sentire, mancando della capacità di riflettere, di
mettersi allo specchio, di condividere la ricerca del vero con se stessi,
mancando di capacità e di interesse a avvicinarsi a se stessi, di ascoltare e
di dialogare con la propria interiorità, per capire e per veder scaturire e
riconoscere fondato convincimento e vera passione, senso di vicinanza e di
calore vero nella apertura sincera, nello scambio fecondo, nel senso di
profonda unità e intesa col proprio intimo, diventa fatale cercare tutto là
fuori negli altri. Diventa fatale aspettarsi che arrivino da loro, da fonte
esterna, spunti e occasioni per capire e per capirsi, conferme e approvazioni
per mettere su autostima, per vedersi capaci di qualcosa di degno, per
considerarsi protagonisti, si fa per dire, di qualcosa che abbia credito e
valore, che arrivino affetto e segni di predilezione e di attaccamento per riceverne
una sorta di calore interno di cui, per lontananza da se stessi, dal proprio
intimo, ci si sente privi. Le provviste prese da fuori per dare alimento a
esigenze vitali di autostima, di fiducia in se stessi e nel valore di ciò che
si sta facendo e portando avanti, di ricerca di calore, colmano malamente, sono
impropri sostituti dell'originale, surrogati di ciò che la propria crescita
autentica in unità con se stessi, col proprio intimo e profondo, del cammino che ne potrebbe scaturire,
potrebbe generare. Accade però che si fraintenda, che si torni senza posa a
cercare il sostituto piuttosto che l'originale, perchè più a pronto uso e di
più facile presa, perchè il modello dipendente, ben camuffato come valida prova
di realizzazione di sè, di completamento normale della propria esistenza, è prevalente attorno a sè, è esempio e
testimonianza comune. Non è difficile prendere comunque visione del fatto che,
accanto alle apparenti soddisfazioni, gratificazioni tratte da presa dipendente
su altro, c'è della dipendenza il fatale rovescio della medaglia. La dipendenza
dagli altri e dall'esterno, se promette di dare incoraggiamento, sostegno,
gratificazione e un che di tangibile su cui contare come saldo appoggio e concreta
realizzazione di sè e della propria vita,, può diventare opprimente e
tirannica, insidiosa e minacciosa, con la paura di sbagliare, di fare brutta
figura, di deludere le attese, di essere mal giudicati, di essere colti in
fallo, devianti dal retto o ideale, secondo sguardo e concezione comune e
prevalente, procedere. C'è la paura nei legami di cosiddetto affetto, amicizia
o amore, di perdere l'attenzione, la predilezione e il ben volere dell'altro,
col rischio di precipitare nell'ombra del rifiuto e del disvalore, nel gelo del
senso di abbandono. E' il risvolto negativo della dipendenza, del cercare di
farsi portare e dare sostegno e conferma, apporto vitale di incoraggiamento,
calore e ben volere, da altro nella ricerca della propria identità, dei propri
perchè, nella lettura dei significati della propria vita, nella definizione e
nella scelta dei propri scopi, nella ricerca di fiducia in se stessi e nel
proprio valore, nella ricerca di un senso di calda unità, inseguita fuori e non
dentro e con se stessi. Si ignora quanto sarebbe possibile, fondandosi su di
sé, avvalendosi del rapporto con la parte di se stessi intima e profonda, del
contributo prezioso di ciò che ci accade nell'intimo, dell’esperienza, sempre
attiva e presente ad ogni passo, di vissuti e di emozioni. E’ esperienza quella
interiore, che spesso è tenuta in subordine, che è distorta e fraintesa,
particolarmente quando ardua e sofferta nelle sue espressioni, da modi di
trattarla e di intenderla, anche questi di derivazione comune, che, anziché
ascoltarla e farle dire il suo originale, le sovrappongono giudizi e
spiegazioni scontate. E’ esperienza che merita tutt’altro, perché non è affatto
insignificante e priva di valore, perché è viceversa la potenziale fonte
primaria e essenziale, sempre e in ogni sua espressione, di ricerca di senso e
di verità, guida insostituibile e terreno elettivo per capire, per capirsi, per
trovare terreno caldo di unità e di intesa e di fiducioso affidamento.
Certamente, se verso ciò che si sente si comincia a fare solo opera di
selezione e si ha pretesa di fare pulizia, distinguendo quel che sarebbe
normale e sensato da quel che invece sarebbe eccesso, stranezza o patologia,
con l'aiuto di un catalogo di collezioni di sintomi e di etichette di
patologie, allora tutto va a quel paese. Se l'esperienza interiore, con tutto
quello che spontaneamente propone nel sentire, anzichè guida affidabile per
orientarsi e per capire, diventa appendice trascurabile, se, quando difficile e
sofferta, diventa ai propri occhi roba buona solo per essere cacciata nello
stampino di una sindrome, di un quadro di patologia, allora la ricerca muore e
il prezioso di sè, che cerca di farsi capire e vivere, che vorrebbe e che
saprebbe dare dono di pensiero, di profonda intesa e vicinanza, finisce
miseramente in discarica come il peggio di cui disfarsi. La dipendenza, la
modalità del farsi dire e portare, di farsi compensare nelle proprie esigenze
vitali, da altro non cesserà finchè non ci si renderà capaci di valorizzare e
di coltivare la risorsa interiore del sentire, di quella parte del proprio
essere che sola può svolgere il compito di guidare e di dare alimento alla
formazione di un pensiero proprio, alla costruzione della propria autonomia. E’
in gioco la ricerca e la costruzione della propria pienezza di individui,
capaci di generare pensiero, di aprire nuove strade e non di consumare e di
prendere tutto l’essenziale da fuori, capaci di proporsi agli altri come
soggetti e, dove lo si voglia, dove lo si senta possibile e condivisibile, come
gli interlocutori di un dialogo attento e sincero, di uno scambio profondo e
fecondo e non come le parti complici di legami di dipendenza sterile e
impotente.
lunedì 27 dicembre 2021
La dipendenza
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