domenica 25 ottobre 2020

Il presunto bene

Il malessere interiore è il terreno del conflitto tra la parte di sè profonda, che vuole spingere a aprire lo sguardo su ciò che si sta facendo di se stessi, sul proprio modo di procedere, a comprenderne il vero senza risparmio e senza omissioni o aggiustamenti di comodo e l'altra parte di sè, quella cosiddetta conscia, che sinora ha dettato la direzione da seguire, che ribadisce il già noto, che serra le fila e che si dispera alla sola idea di uscire dal seminato solito, che di fronte al malessere vuole solo il ritorno alla condizione precedente la crisi, che ripete con intransigenza che non c'è altra vita che si possa concepire che non sia nei confini e nella logica  del già conosciuto, elevato a assoluto, a realtà unica possibile. E' profondamente distorcente la verità dei fatti giudicare come espressione di malattia e di disturbo ciò che accade all'interno del malessere interiore, deducendo dal fatto che è arduo e non piacevole o doloroso che sia espressione di alterazione e motivo di danno. Questo atteggiamento e modo di sentenziare, non certo minoritario, è frutto della arbitrarietà e dell'ottusità di una concezione dell'uomo che vincola l'idea di salute psicologica alla cosiddetta normalità, all'essere conformi nei modi di sentire, di intendere e di procedere agli schemi e ai modelli abituali e prevalenti, consacrati come gli unici validi e a norma, normali appunto. Psicofarmaci, psicoterapie cognitivo comportamentali, solo per fare alcuni esempi, sono risposte e dispositivi pronti a intervenire per tentare di "raddrizzare" lo stato interiore e per far sì che tutto interiormente cessi di recare disturbo e si rimetta a funzionare nel verso di ciò che è considerato normale e efficiente. Grati a simili interventi volti a rimettersi in pista nel modo solito, ci si compiace di aver zittito o piegato la propria interiorità a disciplinarsi, almeno così ci si illude che sia e che perduri, perchè in realtà nulla riesce a piegare e a zittire il profondo, che non cessa e non cesserà mai di interferire, di far valere interiormente la sua iniziativa, di far sentire la sua voce, seppure fraintesa e inascoltata, seppure trattata e bistrattata come guasto, disfunzione e patologia. A fin di presunto bene ci si può fare molto male. Contrastare e trattare come nemica parte di sè che ha tutt'altra intenzione e scopo che di far danno, imbavagliare la voce interiore pensando che sia eccesso e debolezza, irrazionalità da cui proteggersi, senza capire che è guida affidabile per entrare nella scoperta del vero e nella occasione di rigenerare su basi proprie il proprio pensiero e la propria vita, ritrovando piena unità con se se stessi, è la peggior cattiva sorte cui ci si possa destinare. La cura spesso segna e consolida la disunione di se stessi, il ripudio come fosse uno sgorbio del proprio intimo, il rigetto come fosse malata e deleteria di una parte di sè e di una proposta interiore estremamente valida e salutare, capace, se accolta e compresa, se intelligentemente condivisa e saggiamente coltivata, di riportare la propria vita davvero nelle proprie mani. Troppi fraintendimenti e luoghi comuni offuscano lo sguardo e sono pronti a procurare a se stessi, in nome del proprio presunto bene, danni non da poco.