sabato 6 dicembre 2025

La sofferenza interiore

Ripropongo oggi questo mio scritto di alcuni anni fa, con qualche integrazione.                                    Accade spesso che chi vive un'esperienza di malessere, di sofferenza interiore si rapporti a questa con allarme misto a fastidio e a insofferenza, dando per certo che ciò che sta vivendo gli sia soltanto sfavorevole o nemico. La richiesta e l'auspicio sono in genere di ripristinare al più presto la condizione precedente la crisi, di dissolvere quella realtà interna così difficile e temuta, di sostituirla con una giudicata più vivibile, affidabile e "positiva". L'esperienza interiore dolorosa viene di fatto allontanata da sè come peste e trattata come cosa, grossolanamente equiparata ad altre appartenenti e sperimentate da altri e come tale volentieri catalogata e infilata, con il suggerimento e con la benedizione di qualche terapeuta, in una casella diagnostica o pseudo tale. Tutto diventa allora uguale (ansia, panico, depressione, fobia ecc. ecc.), un dato oggettivo amorfo e impersonale, che non significa e che non rivela più nulla di se stessi, che non dice, cui non si fa dire se non di essere un disturbo, un eccesso, una distorsione, una patologia, da mettere a tacere, da liquidare possibilmente. In realtà l'esperienza interiore disagevole e sofferta, che chi ne fa esperienza teme e ripudia, cui cerca di opporre un antidoto o un rimedio, non importa quale, dal tentativo di non darle peso e di distrarsi fino a quello di provare a metterla a tacere con gli psicofarmaci, pur di ingabbiarla e di liberarsene, è parte viva del suo sentire, non assimilabile affatto a ciò che altri sperimenta, come ci fosse una cosa, ansia o depressione o altro, che come guasto o cosa rotta, si ripropone sempre uguale in tutti. Ben lungi dall'essere una anomalia o un disturbo, la sofferenza interiore è una voce, è prima di tutto intima esperienza, tentativo di prendere, pur con fatica e con travaglio, visione e consapevolezza di qualcosa di importante e, se attentamente ascoltata, se ben intesa e compresa, si rivela essere tutt'altro che ostile e deleteria. E' viceversa guida affidabile e sicura per capire, per capirsi, sempre che lo si voglia, che non si preferisca invece chiudere gli occhi, rimanere lontani da sè e dal vero, da ciò che urge conoscere per non procedere all'oscuro. Imparare ad ascoltare e a comprendere il proprio sentire, fin nelle sue pieghe più tormentate o "strane", essere aiutati a confrontarsi e a dialogare con la propria interiorità, a capirla nel suo linguaggio vivo, è conquista molto importante, anzi decisiva per chi vive una simile esperienza, tutt'altro nelle sue ragioni e nel suo scopo che assurda e senza senso, tutt'altro che una patologia o una abnormità, che può fare solo danno. Questa la vera "cura". Solo questo incontro col proprio sentire, accolto senza preclusioni e senza pregiudizi in tutte le sue espressioni e non l'opposizione preconcetta al dolore, può infatti avvicinare a sè e far superare la frattura che divide da se stessi, può sanare la dissociazione, il disaccordo tra ciò che si pensa e che si vuole perseguire e ciò che si vive interiormente. Solo la conquista della capacità di ascolto e di dialogo con la propria interiorità può rendere chi è coinvolto nella sofferenza interiore consapevole ed arricchirlo di qualcosa di intimamente vero, che urge, che la sua crisi interiore ha aperto e sta rilanciando con forza, che non può, che la parte intima e profonda del suo essere vuole che non sia ignorato o trascurato. Se quel sentire disturba, forse disturba in primo luogo il quieto e programmato procedere, dove il conducente spesso è incurante, non senza rischi, di sapere cosa realmente sta facendo di se stesso, verso che cosa si sta spingendo. Prima di squalificare e di porsi in modo ostile contro il proprio sentire, sarebbe bene essere molto cauti. Non c'è nulla di ciò che sperimentiamo interiormente, che possa essere considerato sbagliato, che, se ascoltato e compreso si riveli davvero anomalo, eccessivo o più semplicemente assurdo o inopportuno e ancor meno che mostri di essere nemico o sfavorevole. Semmai può esserci dissonanza e disaccordo tra ciò che in superficie si vorrebbe credere di se stessi e ciò che nel proprio profondo è riconosciuto come vero, tra ciò che si vorrebbe, spesso ottusamente, confermare e mantenere uguale e ciò che si sente intima, profonda e vitale necessità di riconoscere nel suo significato vero, tra ciò che rigidamente si vuole accreditare e mantenere di se stessi e ciò che più intimamente si riconosce necessario e importante trasformare e di nuovo, più corrispondente a sè, far nascere e vivere, costruire. Per chi è investito dalla sofferenza interiore, il vero problema non sta in ciò che vissuto interiormente non andrebbe per il verso giusto e normale e che perciò andrebbe tolto di mezzo o risanato, ma è viceversa nella sua chiusura, nella diffidenza e nel pregiudizio negativo verso tutto ciò che interiormente gli risulta sofferto e scomodo. Questa risposta alla sofferenza interiore è omogenea e tutt'uno con l'atteggiamento più diffuso e con l'opinione prevalente tra le persone circa l'intollerabilità e la nocività di ciò che è interiormente doloroso e disagevole, con l'idea che, in presenza di un sentire sofferto, vada prima di tutto e in fretta cercato il rimedio rispetto alla comprensione e alla presa di coscienza di ciò che l'esperienza interiore sta cercando di condurre a capire. E' l'idea incoraggiata e confermata anche dall'offerta curativa, che in non piccola parte punta proprio a trattare come anomalo e disfunzionale ciò che interiormente risulta doloroso, insolito e discorde con il quieto vivere e procedere abituale, con l'idea comune di normalità. La capacità di entrare in rapporto con le emozioni, col sentire, con le esperienze interiori è spesso negli individui mancante o è presente in una forma distorta. La distorsione è nell'approccio razionale, che vede la pretesa dell'individuo di chiarire dall'alto le sue esperienze, le sue vicende interiori con lo strumento del ragionamento, che presume di essere lucido e affidabile, ma che, visto con occhio attento, non fa che rimescolare e riversare sul conto dell'esperienza e dei vissuti cose già pensate, che difendere, più di quanto si sia disposti ad ammettere, personali interessi e convinzioni di comodo, oltre che avvalersi di schemi e di attribuzioni di significato preconfezionate e di uso comune. Con questa modalità di pensiero si è spesso abituati a trattare ciò che accade interiormente come un oggetto da spiegare e da interpretare, anzichè come esperienza viva e voce da ascoltare, da cui farsi dire e guidare a aprire gli occhi, a capire. Il malessere interiore vuole indurre a soffermarsi su di sè, a prendere visione del proprio modo di procedere, a cogliere lo stato del rapporto, spesso della lontananza dal proprio intimo sentire, dalla propria vita interiore, senza il cui apporto non c'è possibilità di orientamento e di visione propria e fondata. L'approccio razionale intrecciato e ben stretto alla preoccupazione di portarsi velocemente fuori dal malessere interiore, tutt'uno con l'idea che vada tolta una minaccia e un ostacolo al proprio vivere e procedere considerati fuori discussione validi e da salvaguardare, spinge molti a sviluppare tesi circa l'origine della sofferenza interiore, da subito intesa come pena e danno di cui si sarebbe vittime, causati da qualcosa di sfavorevole in atto o accaduto nella propria vita. E' soluzione molto frequente e cara non solo a chi patisce sofferenza interiore, ma anche a chi se ne prende cura, far risalire il malessere a presunte cause, attuali o preferibilmente remote, di traumi patiti, di carenze o di condizionamenti sfavorevoli subiti, che avrebbero lasciato segno e alterato il personale modo di sentire e di reagire. Il sentire attuale, la sofferta esperienza interiore non sono di fatto accolti e ascoltati in ciò che intelligentemente e provvidenzialmente vogliono comunicare e condurre a capire di se stessi, non sono compresi nel loro intento di evidenziare nodi decisivi da affrontare, di mettere in primo piano la conoscenza di se stessi, del proprio modo di procedere. Non se ne comprende il senso, ci si tiene ben lontani, per effetto di pregiudizio e di predisposizione negativa, dal riconoscere nel proprio sentire, pur doloroso e  poco piacevole,  l'intento e la capacità, tutt'altro che ostile e deleteria, di esercitare guida alla conoscenza più matura di se stessi, di dare impulso vivo a trasformazioni importanti, utili e necessarie. Il proprio sentire, la propria esperienza interiore difficile e sofferta diventano oggetto di un discorso che li vuole vedere come esperienza interiore e sentire anomali, frutto di patologia o al più, cercando di trovare loro un perchè, come conseguenza negativa d'altro, dell'agire di qualcosa, sfavorevole e nocivo, traumatico e penoso, che da qualche parte, a conferma e a suggello della tesi precostituita del danno subito, si finirà, non poche volte con l'aiuto e il sostegno della stessa psicoterapia, pur per trovare nella biografia personale. Ci si dota così di una costruzione logico razionale, che pare soddisfacente, che illude di aver capito, che in qualche modo sembra rincuorante e capace di placare la tensione, anche se, capita spesso, la propria interiorità, riconoscendo non recepito il proprio messaggio e non accolta e condivisa la propria proposta, non cesserà di farsi avanti, di sollecitare, di alimentare nuova inquietudine interiore. L'esperienza interiore viva è stata resa infatti muta, al sentire attuale non è stata concessa parola, sul loro conto si è imposto un discorso e un'indagine, viziate da preconcetto e predisposizione negativi, utili solo a tentare di liberare il campo dalla loro presenza come disturbo indebito. Non è un caso che si compia una simile manipolazione e distorsione del significato dell'esperienza interiore, che di fatto, parlandole sopra e facendole dire quel che si presume, ci si mantenga sordi e incapaci di rispettare e di lasciar parlare l'intimo sentire. La mancanza di capacità vera di ascolto e di dialogo con la propria esperienza interiore è legata al fatto che negli anni, nel processo di crescita personale, è sempre stata in primo piano la ricerca dell'adattamento alle circostanze esterne, la preoccupazione di apprendere da fuori, da istruzione, da esempio, da modelli  e cultura condivisa, mentre la vita interiore è stata considerata solo un'appendice subalterna, un seguito emotivo, una sorta di eco di vicende esterne, con l'attesa e la pretesa che non creasse intralci, che assecondasse la ricerca dell'intesa con gli altri, la capacità operativa e i propositi di riuscita così come intesi e celebrati dal senso comune. Così condizionati dalla propria incapacità di ascoltarsi, di entrare in rapporto rispettoso con la propria esperienza interiore, di intendere e di capire il significato originale, intimo e vero, dei propri stati d'animo e del proprio sentire, nel frangente difficile si è disarmati di fronte alla crisi e al malessere interiore da cui si è investiti. Si reagisce con sospetto e con paura, si concepisce spesso come favorevole solo il ritorno allo stato abituale, la liberazione da inquietudini e da disagi interiori, visti come inutili e odiosi intralci. Privi della capacità di intendersi con se stessi, di entrare in sintonia con la propria interiorità, di cogliere utilmente il significato e lo scopo di ciò che il proprio sentire sta comunicando con tanta forza e intensità, ci si chiude difensivamente e ci si preclude la scoperta di ciò che, affidabile, utile e prezioso, la propria interiorità ha intenzione e capacità di proporre, di offrire. A molti, che vivono un'esperienza di sofferenza interiore, purtroppo non è suggerita e mostrata questa possibilità e opportunità, a molti non è offerto l'aiuto necessario, non per fuggire e contrastare, non per provare a domare con farmaci o con tecniche varie o a liquidare il malessere interiore con spiegazioni di presunte cause che vorrebbero essere liberatorie e esaustive, ma per imparare ad andare incontro fiduciosamente, a capire intimamente e a far propria la proposta della propria interiorità. Le acque interiormente non si agitano mai per caso o inutilmente. 

mercoledì 3 dicembre 2025

Capire i sogni

Ho già scritto sui sogni, ma voglio tornare sull'argomento, perchè i sogni sono ciò di cui è impossibile fare a meno per conoscere se stessi, a meno di consegnare la conoscenza a ipotesi frutto di ragionamento e a spiegazioni, che, pur se in apparenza coerenti e verosimili, raccontano di se stessi ciò che sembra, ma che non è. Nei sogni c'è la più stretta aderenza a noi stessi, nulla è taciuto. I sogni sono diario di bordo e bussola di un ininterrotto viaggio di scoperta, sono il prodotto di un lavorio di ricerca di consapevolezza, di un'attività di pensiero della parte profonda di noi stessi, che non sta ferma, che non rimbambisce nell'adattamento e nel far proprio ciò che non ci corrisponde, che ci dà solo illusoria convinzione di esistere e di capire. Si pensa a volte che nei sogni confluisca, quasi in automatico e meccanicamente, l'esperienza diurna, rimasugli, pezzi sparsi, un che di disaggregato senza nesso e senza senso, oppure che rimangano le tracce di ciò che più ci ha colpito, che ha turbato la nostra mente. Altri pensa che nei sogni ci siano desideri inconfessati. Altri ancora pensa che i sogni facciano previsioni e sappiano dare indizi sul futuro. Soprattutto si pensa che i sogni parlino di noi unicamente in relazione e in rapporto con altro che sta fuori, con gli altri. I sogni parlano di noi e svelano, configurano uno scenario inaspettato, danno corpo e consistenza, rendono visibile e mettono in primo piano qualcosa che per molti non esiste, che non è concepito, cioè il rapporto che abbiamo con noi stessi, quanto accade nella relazione col nostro intimo. Tutto il dire dei sogni è un dire di noi, di come siamo, di come ci rapportiamo a ciò che sentiamo e che continuamente vive dentro di noi, di come procediamo nell'esperienza, mossi da che cosa, affidati o vincolati a che cosa che detta e regola i nostri passi. Lo sguardo dell'inconscio è riflessivo, guarda all'interno, coglie e riconosce il vero dell'esperienza, non è appiattito sulla sua superficie, non è tenuto imbrigliato dal comune modo di pensarla, non è asservito alla necessità di risolvere e di fare, bensì a quella di veder chiaro, di capire. Nei sogni c'è la rappresentazione attenta non dei fatti, non la ripresa e la conferma delle costruzioni di pensiero che si è abituati a mettere sopra i fatti, sopra gli accadimenti dell'esperienza per spiegarla, ma l'attenzione è rivolta  a come si conduce l'esperienza, osservando e chiarendo, dando volto a ciò da cui si è mossi, da quali istanze, in che modo, a che scopo, con quali eventuali contrasti interni. In definitiva nei sogni è ritratto il cuore dell'esperienza, ciò che rivela, più in profondità, il vero di noi stessi, non l'apparente e ciò che fa comodo vedere. Tutte le presenze e le figure che compaiono nei sogni, siano essi persone, animali o cose, danno simbolicamente volto a parti di noi, a modalità, a espressioni, a istanze e a potenzialità che ci appartengono. I sogni dicono del nostro modo di procedere, della strada che stiamo seguendo. I sogni segnalano non di rado lo stacco dalla "terra", la lontananza cioè dal terreno vivo del proprio intimo sentire e dell'esperienza interiore che in ogni istante accompagna la propria esperienza,  parlano perciò non di rado  di esperienze di volo, di vertigine e di sensazioni improvvise di precipitare, segno che si è sospesi, che c'è uno stacco, una lontananza dalla base viva e dal vero di se stessi, che drammaticamente può svelarsi. Per descrivere l'iniziativa del profondo, che cerca di raggiungerlo e la percezione timore che l'individuo  ha di ciò che vive profondamente dentro se stesso, parlano di assalti e di inseguimenti di figure che paiono "malintenzionati" o ladri (per cominciare a capirsi è necessario essere privati, derubati di convinzioni e di certezze tanto rassicuranti quanto ingenue e improprie), parlano di acqua che incute timore, di acqua che avanza minacciosa, che dilaga...sono solo esempi di una rappresentazione del rapporto/non rapporto dell'individuo con se stesso, con la propria interiorità, di come sia viva e presente la questione del confronto col proprio profondo, di come il proprio profondo non rinunci alla propria iniziativa, a farsi avanti. Il respiro e l'orizzonte di ricerca e di sguardo dei sogni è ampio a comprendere e a farci comprendere cosa stiamo abitualmente, nei modi del nostro procedere, facendo di noi stessi, che l'inconscio vuole spingerci a chiarire, a vedere senza veli, nello stesso tempo, aprendo la strada a ciò che potremmo, onorando il nostro essere individui potenzialmente capaci di pensiero autonomo, di sviluppo di qualcosa di originale e consono a noi stessi. L'inconscio nei sogni è guida ispiratrice e motivante un profondo cambiamento, da individui passivamente al seguito e consumatori di moduli di pensiero già pronti e in uso, non importa se rimasticati e ricombinati  con qualche parvenza di originalità, sostenuti e guidati da tutto ciò che già pronto e concepito può dare supporto e indirizzare scelte e modi di vivere e di realizzarsi, a individui, a esseri umani invece capaci, non di certo in un batter di ciglia, ma lavorando con pazienza e cura il proprio terreno, in stretta unità col proprio profondo, di generare pensiero proprio, scoperte di significato e di valore fondate e verificate con i propri occhi e, su queste basi, di dare compimento a percorsi e a realizzazioni proprie e davvero originali, autentiche e coerenti con se stessi, non dettate da imitazione, da paragone o competizione con altri. I sogni non tacciono nulla, sono guide di ricerca attente a svelare ciò che, pur non gradito, dona consapevolezza, fa emergere verità. Dicevo del farsi dire e dare come condizione base del proprio pensare e fare, che non è certo scoperta  ben accetta, che mette in crisi tante illusioni di autonomia. L'inconscio evidenzia questa modalità del dare rapida soddisfazione all'esigenza di capire e di capirsi portando a sè risposte tratte da idee già formate e convalidate da mentalità comune, ritraendo simbolicamente questa modalità  con situazioni nel sogno in cui ci si mette a tavola a consumare cibo cucinato e pronto, a ristorante o in mensa e comunque dandosi riempimento con nutrimento, con cibo che non è frutto di ciò che di proprio, tratto dal proprio corso d'esperienza, dal proprio sentire, lavorato e coltivato, elaborato e cucinato diventi pensiero proprio di cui nutrirsi. Altri e altro provvede a dare nutrimento, altra cucina mette in tavola da consumare ciò che orienta e guida il pensiero, che fa da modello e dà risposte come idee condivise e prevalenti, come sapere e come cultura, altro appaga la richiesta di pronta soddisfazione. Ben altro da questo bisogno di trovare pronto soddisfacimento e dalla abitudine a farsi dire e indirizzare nei pensieri e nelle aspirazioni da altro che orienta, che educa e istruisce, è il desiderio e il proposito di trarre da sè e da lavoro su se stessi, sul proprio terreno d'esperienza, aprendo e facendosi guidare e dire dal proprio sentire, anche da quello difficile e poco piacevole, senza preclusioni, pensiero e visione, scoperte di significato. I sogni sono dunque attentissimi a dare spunti e occasioni di riflessione e di presa di coscienza, anche scomoda, ma necessaria per favorire crescita vera. Niente e nessuno è maestro e guida attenta e affidabile, promotore di crescita e di realizzazione personale autentica e matura, come sa esserlo il proprio inconscio. I sogni, lo si vede, lo si vive e constata nel cammino dell'analisi, di un'analisi ben fatta, sono capaci di indirizzare la ricerca e la trasformazione nel verso di passare da essere copia d'altro a divenire pienamente se stessi, con tutti gli attributi umani originali e autentici che si posseggono e che si ignorava che risiedessero dentro se stessi, con tutta la ricchezza di una visione e di un pensiero proprio che si ignorava di poter generare. Ho detto dell'essere copia d'altro, può sembrare drastica e liquidatoria questa affermazione, così forte è l'attaccamento e tante le illusioni di dire la propria e di realizzare se stessi nella forma abituale e conosciuta, ma di se stessi cos'è possibile mettere e ritrovare, agendo dentro uno stampo di idee e di riferimenti, di attribuzioni di significato, di grammatica di pensiero, di guide alla espressione e realizzazione di sè ben apprese, assimilate e nel tempo esercitate, se non qualcosa che comunque riempie quello stampo e ne riproduce i limiti e la forma? L'inconscio sa vedere ciò che la parte conscia non sa e non è affatto incline a vedere, con i sogni conduce passo dopo passo a riconoscere il vero della propria condizione e del proprio modo di procedere, con i sogni apre tutt'altro scenario, conduce a ritrovare dentro di sè, a concepire, a costruire le basi di pensiero, a alimentare la passione per la autentica realizzazione di sè. Ridurre i sogni a desideri irrealizzati o a ricettacolo di esperienze quotidiane più o meno incisive significa non capire la portata dell'iniziativa e del pensiero profondo. L'inconscio è intelligenza pura, nel senso che non ricalca stancamente il già detto e concepito, ma viceversa dà volto e riscatto al pensiero riflessivo (che non c'entra nulla col riflettere nella forma del ragionare e del parlare sopra e sul conto dell'esperienza), autonomo e fondato, che vuole vedere, come guardandosi allo specchio, cosa c'è nella propria esperienza, cosa  dice e rivela di se stessi. L'inconscio  non rinuncia mai a cogliere il vero, a cercare il senso in profondità, costi quel che costi, a combattere l'eclissi dell'intelligenza vera, che è l'unica leva e il fondamento della autonomia e della libertà dell'individuo, di cui l'inconscio è promotore instancabile. Capire un sogno significa intenderlo nel suo verso, nelle sue intenzioni, nei suoi modi di formare e di tradurre il pensiero. Ogni sogno ha un contenuto e racchiude una proposta unica e originale, i simboli presenti, che siano luoghi, eventi, cose, persone o animali si avvalgono per tradurre il loro significato di ciò che chi ha fatto il sogno ha vissuto e che vede come attributi e qualità caratterizzanti tutte questi elementi, che siano persone, animali o cose. Per capire un sogno è necessario un lavoro di recupero di tutti questi riferimenti, senza trascurare alcun dettaglio presente nel sogno. Gli esempi di alcuni contenuti che possono proporsi nei sogni e del loro significato, che ho portato in questo scritto, vogliono soltanto far comprendere il tipo di sguardo e di linguaggio usato dall'inconscio, non vogliono far intendere che esiste una lettura pronta e automatica, scontata del significato dei sogni. Ogni sogno è un'opera unica da imparare ogni volta a scoprire in ciò che di unico sa e vuole dire. Nel corso dell'analisi l'individuo scopre poi che i suoi sogni fatti di seguito nel tempo hanno un legame l'uno con l'altro, segnano passo dopo passo, sogno dopo sogno, un percorso conoscitivo e alimentano un processo di cambiamento e di crescita personale assolutamente originali, consoni alle sue più profonde e vere necessità. I sogni dunque, che come nient'altro sanno portare alla conoscenza di se stessi e a costruire le basi della propria autentica realizzazione, vanno trattati con molta cura. Se i significati dei sogni li si incanala e costringe dentro i soliti schemi, dentro le solite attribuzioni di significato date per scontate, se li si incastra nel già pensato e nella logica abituale, si fa solo dire loro ciò che piace e che si suppone, in sostanza li si travisa e li si mortifica. Purtroppo li si spreca. L'inconscio non cesserà certo di dire ciò che pensa, non si assoggetterà alla rigidità, alla presunzione e all'inerzia del pensiero conscio ragionato, ma non capire i suoi messaggi peserà come una grande occasione persa per ritrovarsi e per cominciare a vedere chiaro dentro se stessi.

domenica 30 novembre 2025

Il volto sano del malessere interiore

Non sono mai casuali le espressioni del malessere interiore. Non sono mai il segno di un guasto, di un modo di sentire anomalo e alterato, non sono espressioni di patologia come si dà per scontato. Sono sempre esperienze interiori significative, valide e capaci di svelare nodi decisivi, verità essenziali. Vediamo qualche esempio. Il senso di vuoto, la perdita di interesse per tutto, il senso di oppressione di una vita che ormai non dà spazio se non a un senso di impotenza e di inadeguatezza, la paralisi crescente dell'esistenza nella fissità del dolore, dello sconforto, la visione di sè come inutile presenza e senza valore, tutto ciò che fa sentenziare depressione, è deragliamento nella patologia o dice e svela, vuole svelare e dire? Calato il sipario, spente le luci della scena (e chi se non l'inconscio ha l'ardire di provocare tutto questo?) cos'altro c'è interiormente, cos'altro resiste autonomamente, al di là del beneficio dell'applauso, della considerazione altrui e della loro convalida, che sappia tenere su la persuasione di una costruzione che si presumeva salda, ma in realtà fasulla, rimediata e costruita a arte su misura e nella forma dei gusti e del benvolere altrui? Arriva il momento della verifica senza sconti, senza trucchi e senza inganni, senza falsa persuasione e iniezioni a salve di credo e di fiducia, mai oggetto di verifica, tenute in piedi e confortate solo da assenso di mentalità comune. Una vita in appoggio a altro e riempita di legami e di dedizione a questo e a quello per averne in cambio il ritorno di non patire solitudine e senso di vuoto, di incassare un senso di utilità che si avvale di qualche legame dipendente, può arrivare a mettersi, a essere messa da volontà profonda, allo specchio per vedere non già la validità degli appigli e dei presunti contenuti di valore presi in prestito, ma la sostanza di un nulla sinora tratto e generato da sè. Patologia quella che emerge o impietosa e, se ben compresa, prima base di verità da cui partire, base salda di verità, con i propri occhi e dolorosamente verificata per invertire la rotta, per disporsi finalmente a costruire da sè qualcosa che abbia fondamento proprio e senso? Se rivolgiamo lo sguardo a un'altra possibile espressione del malessere interiore, in cui la morsa del controllo ossessivo, della tenuta in ordine precisa e senza sgarro, del tenere a bada e scongiurare esiti temibili e sciagurati, sono ferrei imperativi, possiamo non vedere che una simile piega non è certo incoerente con un'impostazione di vita in cui tutto deve girare in efficienza e il dentro non deve fare scherzi, avere l'obbligo di assecondare, di non procurare sorprese? Cosa rivela dunque questa esasperata e minuziosa ingegneria del controllo? In una forma estrema, persino grottesca, possiamo vedere l'isolamento e la prepotenza della macchina razionale, a cui, confidando tanto nella sua capacità e affidabilità, è stato dato il compito di guidare l'esistenza, testa razionale che non sa ascoltare, che non vuole se non darsi conferme, che con rigore matematico combina i pensieri sulla base e nelle guide del pensato comune e dei significati già ben codificati, che per ciò che concerne il rapporto col sentire, con emozioni e spinte interiori, lo concepisce solo come scarico immediato, come sfogo, che perciò si industria con ogni mezzo a tenere sotto sequestro e presa stretta per non rischiare di finire male, nel disordine, nel pericolo di deriva. E che dire dell'ansietà che serpeggia, che a tratti ingrossa, che non dà più tregua, che persino erompe fragorosamente negli attacchi di panico? Se c'è uno scricchiolio, l'ansia lo fa sentire, nella costruzione abnorme, non fedele a se stessi, pur se normale secondo mentalità corrente, di una vita, di un modo di concepirne e di tradurne la realizzazione, che, in ossequio a altro che, preso da fuori, da esempio e da credo comune, che ha fatto e fa da modello e guida, non rispetta e non rispecchia ciò che da sè, lavorando su di sè, potrebbe essere compreso, generato e fatto vivere, questo segnale intimo è assurdo e segno di un cattivo sentire e senza senso? Se questo scricchiolio con segnale di pericolo per ciò che comporta deviare da se stessi, non far vivere l'autentico di sè, sostituendolo, come si sta facendo con perseveranza con altro improprio e alieno, insiste e non dà tregua e non concede quiete, se fragorosamente l'attacco di panico segnala la dissociazione e la lontananza dalla vita intima, dalla stesse basi biologiche del proprio essere, del cuore e del respiro, che potrebbero non essere più certe, negarsi persino, minacciare di non dare più passivo seguito e sostegno vitale, come si dava per scontato, a ciò che profondamente non è riconosciuto come genuino e autentico, possiamo pensare che tutti questi segnali siano abnormi e malati, privi di significato e di scopo? Nel malessere, nelle sue espressioni non c'è patologia e devianza, bensì forza di verità che vuole emergere, forza ben orientata da una parte profonda che, a differenza della parte conscia, che preferisce ignorare e darsi tesi e persuasioni di comodo, sa e vuole porre in primo piano il vero, che non accetta di lasciare libero corso a modi di procedere e a piani di realizzazione di se stessi che non hanno fondamento e senso. Se c'è verità da trarre e spinta al cambiamento di sguardo su di sè e di consapevolezza prima di tutto, in esperienze interiori abitualmente considerate guasti, anomalie e pericoli interiori da cui difendersi e a cui porre riparo, questo mette in discussione il modo abituale di considerarle e di intendere il prendersi cura di sè. Quanto è saggio e favorevole trattare simili esperienze interiori, certamente non agevoli, dolorose, ma non per questo assurde e patologiche, esperienze certamente non facili da intendere se non si è aiutati a comprenderne il linguaggio e il vero significato, trattarle come presenza malata da curare, da manipolare e zittire a suon di correttivi farmacologici, trattarle con psicoterapie che mettono in campo, come fossero verità di scienza, giudizi di disfunzionalità, bollando tutto come un sentire distorto e dannoso da raddrizzare, oppure andare alla ricerca di presunte cause dell'intimo sofferto in infelici precedenti dell'infanzia, in traumi e roba simile, sempre pensando che ci sia in atto un guasto da spiegare e risanare, fare tutto questo quanto è saggio e favorevole? C'è tanto da riscoprire sul significato vero della vita interiore, c'è tanto da rivedere per non correre il rischio di fraintendimenti non certo innocui, anche se sotto l'egida della benevola cura e delle presunte verità della cosiddetta scienza.

domenica 23 novembre 2025

Si può

Si può fare dell’intima sofferenza non la minaccia da combattere e da cui fuggire, ma viceversa l’occasione, il punto di incontro vivo ritrovato con se stessi, la via d’ingresso per cominciare a comunicare con la propria interiorità, con la parte di sé, intima e profonda, che ha scelto di non stare inerte e zitta e che, smuovendo l'interno anche vivacemente e non dando tregua, ha in realtà intenzione di comunicare, di dare. Dove, rinunciando a contrastarla o a metterle sopra giudizi o spiegazioni, le si dà apertura e ascolto, come si impara a fare in una buona esperienza analitica, questa parte viva del proprio essere si rivela capace di dire e di dare tanto.  Dentro il malessere interiore non si è in balia di uno stato anomalo e malato, ma si è alle prese con l’iniziativa della propria interiorità che proprio con quel sentire arduo e sofferto, così incisivo, esercita forte presa e fermo richiamo a portare l’attenzione su di sé, un’attenzione altrimenti sempre rivolta a non perdere contatto e posizioni con l’esterno, dando tutto per scontato e già definito nella conoscenza di se stessi, del significato e delle possibilità realizzative della propria vita. Il malessere non è segno di fragilità e di patologia, semmai è segno di salute del proprio essere per lo scopo che sa e che vuole perseguire, per l'intento che ha il profondo di se stessi di dare spinta e occasione per mettere mano alla propria vita. L’intento è di  vederne senza veli lo stato attuale, di mettersi allo specchio nella propria modalità di procedere, di riconoscere dentro quali vincoli e perseguendo quali scopi ci si muove, spesso più omogenei e fedeli a altro che a se stessi, di cui poco o nulla si conosce. L'intento del profondo è di spingere a prendere visione e consapevolezza del proprio modo di stare in rapporto, spesso in lontananza, col proprio intimo, per andare a scoprire della propria vita, in unità, in ascolto e in dialogo con tutto il proprio essere, il significato vero e originale e le possibilità, consoni e corrispondenti a sè. Tutto questo si rende ben riconoscibile nel corso dell'esperienza analitica, lasciando parlare l'intimo, imparando a comprenderne la voce e il linguaggio, ascoltando e seguendo fedelmente le tracce del sentire e soprattutto imparando a comprendere i sogni, che sono il prodotto più avanzato del pensiero del profondo, dentro cui l'inconscio svela con grande maestria passo dopo passo cosa c'è in gioco nella crisi che si è aperta interiormente e quali sono le scoperte su se stessi da fare e i nodi da sciogliere. Si pensano e si trattano le condizioni di malessere, di crisi e di sofferenza interiore come stati anomali, di alterazione e compromissione del modo e  del corso normale e sano, da contrastare e da risanare, casomai da giustificare e da spiegare pensando a cause e a turbative esterne di cui si sarebbe stati vittime, non se ne conosce e riconosce il volto maturo, di spinta a uscire da una condizione non certo matura di inconsapevolezza e di lontananza da se stessi, dal vero di se stessi. La parte profonda è proprio su questo terreno che prende iniziativa, che vuole segnare una cesura nel solito modo di procedere e di pensarsi, un fermo per guardarci dentro, per riaprire tutto, per mettersi nelle condizioni di trovare il vero e l’autentico di se stessi. La risposta è in genere quella di considerare anomalo e minaccioso lo stato interiore segnato da crisi e da malessere, di considerare le espressioni del disagio come segni di difettoso funzionamento, pronti a correre ai ripari, esercitando cura verso se stessi nella forma della ricerca del sollievo, dell'evasione, cercando aiuto che procuri armi e soluzioni per mettere a tacere, per trovare rimedi e aggiustamenti, per darsi e per farsi dare spiegazioni di ipotetiche cause, ricercate il più spesso nel passato remoto, in torti patiti, in traumi subiti, ritenuti cause di guasti che prolungherebbero i loro effetti nel presente, di una sofferenza di cui si auspica di liberarsi finalmente per stare bene. E’ uno stare bene, tanto esaltato e ben voluto, che in realtà si fonda e si traduce in uno stato di disunione, di disaccordo col proprio intimo, di cui si ha più diffidenza e timore, verso cui c’è più pregiudizio e insofferenza che capacità di ascolto e di intesa. E’ un modo di pensare e di trattare le vicende intime che ognuno applica a se stesso e che ha dalla sua una persuasione molto diffusa e comune. E’ raro che sia compreso cosa c’è all’origine e cosa c’è in gioco nel malessere interiore, quale sia il suo scopo. Si pensa che ci siano nelle espressioni del malessere interiore solo i segni di un alterato stato interiore cui provvedere, per ridare continuità e togliere pesi e intralci al corso abituale, ignorando che il malessere e la crisi vogliono aprire la strada a un diverso, profondamente diverso rapporto con se stessi, con la propria parte intima, capace di rinnovare profondamente il proprio essere e la propria vita. Formare e sviluppare la capacità di accogliere, di ascoltare, di comunicare con parte viva e profonda di se stessi è dunque la conquista da fare, che tanto è fondamentale e decisiva per l'andamento e per la qualità della propria vita, quanto è solitamente trascurata e sottovalutata. Se c'è un'anomalia nel proprio stato è proprio nella mancata unità e nella incapacità di incontro, di ascolto e di dialogo col proprio intimo, di cui si ignora tutto, il linguaggio, l'intento e le potenzialità. Tutto si è imparato in anni e anni nel corso della propria vita tranne che a rivolgersi a se stessi, a ascoltarsi, a capire il linguaggio delle proprie emozioni e dei propri stati d’animo, a scoprire il potenziale e il valore, l’affidabilità del proprio sentire, a comprendere che i propri sogni notturni sono ben di più e ben altro che i residui sparsi dell'esperienza diurna o costruzioni immaginarie ingenue e di nessun valore, ma potentissime guide di pensiero e di conoscenza, a intendere che i confini del proprio essere, delle proprie potenzialità conoscitive e di realizzazione vanno ben oltre quelli dell'esercizio del pensiero ragionato, della volontà e della capacità di agire. Tutto questo, il recupero di una unità e di una capacità di rapporto con l'intimo e profondo di se stessi va costruito e coltivato. Se ci si è esercitati solo a trattare il rapporto col mondo esterno e a riconoscere e a rincorrere solo occasioni esterne, va costruita la capacità di entrare in rapporto col proprio mondo interno, con ciò che vive e che di continuo si propone dentro se stessi. Quello interiore non è un mondo fragile e di nessuna consistenza, nel proprio intimo e profondo c’è la parte di se stessi più attenta a cogliere senso e implicazioni della propria esperienza, meno incline alla dispersione e alla fuga, c’è un potenziale di forza d'animo e di pensiero che non ci si aspetta. Si può andargli incontro, stabilire un rapporto, far sì che possa dare a se stessi ciò di cui si ha profonda necessità. Senza il contributo di questa parte preziosa di se stessi, che purtroppo tanto è essenziale, quanto è facilmente e abitualmente sottovalutata e fraintesa nel suo significato, si è esposti al rischio di non capire nulla di se stessi, di non avere occhi per vedere il vero, che, anche se scomodo, fa crescere e dà forza, di non avere guida per orientarsi, di rimanere ingabbiati nella visione che considera realistico e possibile solo ciò che è già comunemente concepito e dato. Senza questa unità con se stessi, orfani del proprio intimo, incapaci di un dialogo aperto e fecondo con la propria interiorità, si è inclini a cercare sostegno e compensazione in altro per avere una parvenza di stabilità e di contatto vitale, di vicinanza. La paura della solitudine, vissuta come terra arida e come vuoto, spinge di continuo a legarsi e a fondersi con altro e con altri, allontanando sempre più la possibilità di un rapporto aperto e sincero, caldo e fecondo con se stessi e di conseguenza di un rapporto autentico e rispettoso, non strumentale con chiunque. Non si può essere se stessi se non si è uniti a se stessi. Se, come è inevitabile, vista l’inesperienza, si rende necessario l’aiuto di chi introduca al dialogo con se stessi, di chi sappia aiutare a formare e a far crescere capacità di ascolto e di incontro con la propria interiorità, per ritrovare finalmente il filo di un discorso proprio e per tesserlo con cura perché diventi bussola per orientarsi e terreno saldo su cui poggiare, ciò non minerà, ma arricchirà soltanto la propria crescita. Far ricorso a un simile aiuto non intaccherà la propria autonomia, ma contribuirà viceversa a farle trovare il suo più valido e solido fondamento: il legame e il rapporto con la propria interiorità, l'unità con se stessi. Si può, basta volerlo.

domenica 2 novembre 2025

Chi cura chi?

Sembra scontato, pare una certezza incrollabile. In presenza di un'esperienza interiore difficile e sofferta ciò che pare utile e necessario è risolvere quel disagio, rimettere le cose al dritto di una condizione che lo veda risolto, superato. Ecco l'idea di cura che appare necessaria, valida, auspicabile. Ciò che interiormente, nel sentire, si ritiene non andare per il verso giusto va tolto di mezzo, superato. Lo si può fare con rimedi che cerchino di zittire o di rovesciare quel sentire come con l'impiego di farmaci, che siano antiansia o antidepressivi, l'importante che siano anti ciò che si prova e che siano nelle intenzioni capaci di correggere e lenire o condizionare il sentire perchè soddisfi l'istanza di ritrovarsi possibilmente meno limitati e presi da sensazioni e stati d'animo che paiono solo negativi, disturbanti, in qualche misura invalidanti. Lo si può fare ricorrendo a psicoterapie che prevedano l'impiego di tecniche per tenere a bada, per tentare di smontare ciò che, giudicato anomalo e disfunzionale, farebbe appunto, senza alcuna base di senso, senza alcuna valida ragion d'essere, solo danno. La cura può anche cercare di dare spiegazione del perchè di quel sentire difficile e sofferto e in questo caso il territorio di caccia, la risorsa preferita è il passato ricostruito come teatro di traumi e di infelici condizionamenti subiti, che avrebbero avuto la responsabilità, la colpa di compromettere, di guastare il sano equilibrio psichico, di lasciare una sorta di pecca che non dà tregua, che insidia, che compromette il quieto e sano vivere. E' il trionfo del cosiddetto buon senso suffragato, ben sorretto e puntellato da ciò che è considerato e che si autoproclama scienza. C'è sapore di scienza nei farmaci prescritti da specialisti. Come non considerarli atti di scienza cui dare delega in bianco e fiducia? Oltretutto sono atti che promettono di dare soddisfazione a una richiesta di cui si è portatori, di correggere e risanare ciò che già da sè, prima che lo confermi il dottore, si considera non normale, malato e fonte di danno. Se poi si sceglie la psicoterapia dell'aggiustamento, analogo è il mandato al terapeuta di aiutare a rimettere le cose a posto. Se si vanno a cercare le cosiddette cause, anche qui il presupposto che ci sia qualcosa di cui si è stati vittime nel passato preferibilmente, è già nel pensiero e nell'atteggiamento vittimistico di chi dà mandato al terapeuta di guidare l'indagine per indagare e fare presa su qualche perchè, su qualche causa. La cosiddetta scienza va in soccorso delle attese più comuni e le consolida. Tutto gira a dovere in un'unica direzione e l'idea della cura come aggiustamento e liberazione da una condizione infelicemente patita e da cui essere tratti in salvo trova piena conferma. Salvo che ciò che in tutto questo agire contro il malessere interiore nelle sue diverse espressioni, in soccorso e in rincorsa della cosiddetta normalità e di un procedere che non paghi prezzi di sofferenza e di intralcio al quieto o sano vivere, avviene senza mai dare veramente ascolto a quel sentire intimo e sofferto, senza prendere visione della natura, dei fondamenti di quell'attaccamento alla cosiddetta normalità, senza una verifica attenta di cosa sià per sè quello stato di normalità. La visione che si ha di se stessi chiude sostanzialmente i confini del proprio essere nella parte cosiddetta conscia di capacità di conoscenza fondata sul ragionamento e di capacità decisionale fondata sull'esercizio della volontà. Ci sono certo tangibili come parte di sè le emozioni, gli stati d'animo, il sentire, le spinte di desiderio, le pulsioni, ma questa è considerata una sfera inferiore, segnata, a proprio giudizio, da automatismi, da una qualche cecità, da spinte da tenere comunque sotto controllo, cui non è concesso di valere più di tanto come intelligenza e valida e affidabile intenzionalità. Si porta dentro di sè un mondo che in realtà non si conosce affatto e verso cui si impiegano solo pregiudizi comuni. Se agli inizi della propria vita si era in più stretta unità col proprio sentire, via via l'affidamento a altro del compito di istruire e modellare la propria crescita ha reso sempre meno familiare e sempre più trascurato il rapporto, l'ascolto e il dialogo con la propria interiorità, cui semmai si è sovrapposto qualche insegnamento, qualche dottrina o morale che ha preso piede come autorità regolatrice. Questa condizione di progressivo distanziamento e mancata cura del rapporto diretto e intimo col proprio sentire, l'abitudine più a dare spiegazioni e a esercitare giurisdizione di controllo su proprio sentire che a riservargli attento ascolto, è la base, la premessa per ritrovarsi, quando la propria esperienza interiore diventa difficile, disagevole e sofferta, nella più sfavorevole delle condizioni, di incapacità di ascolto e di dialogo. E' una incapacità non riconosciuta però come tale, perchè si è creato il callo dell'esercizio ripetuto del pregiudizio e del controllo, dell'attitudine a gestire il dentro di sensazioni e stati d'animo vissuti piuttosto che a ascoltarne la voce, a riconoscerne l'importanza, a averne rispetto, a verificarne il valore e l'affidabilità, di cui non si è fatta ahimè esperienza e scoperta alcuna. Ricostruendo le basi del rapporto col proprio intimo e imparando, come accade in una valida esperienza analitica, a intenderne il linguaggio, a riconoscerne l'originale proposta, ecco che si possono fondare le basi del prendersi cura di sè e non nel verso del dare contro parte intima di se stessi, perchè pare che blateri o dia qualcosa di negativo da combattere e rigettare. Andando all'ascolto diventa possibile scoprire che anzi proprio quel sentire giudicato anomalo e espressione di un malo funzionamento è invece la proposta intima capace di condurre a aprire gli occhi a avvicinare al vero, a restituire capacità di sintonia con se stessi e di visione lucida, che sa dare libertà e autonomia di pensiero. Ciò che si pensava dovesse essere corretto e sanato diventa viceversa la vera cura, ciò che guidato dal profondo di se stessi sa prendersi cura di se stessi, cura che restituisce capacità di visione e matura consapevolezza. Chi cura chi è dunque un buon interrogativo, fondamentale, valido  e pertinente, anche se tanta della cosiddetta scienza e del cosiddetto buon senso sono ben lontani dall'intenderne il senso.

sabato 18 ottobre 2025

L'impresa più avvincente

Far vivere se stessi è l'impresa più avvincente e anche la più difficile. E' la più umanamente ricca, perchè non risolve l'esistenza nello stare al passo col movimento comune, nel riprodurne gli argomenti, i modelli e gli ideali, nel cavalcarne l'onda, con più o meno ambizione di distinguersi. E’ impresa che non aspira a dare al mondo la conquista encomiabile, la prestazione da applauso, ma a generare, a far vivere e crescere la propria originale creatura di pensiero e di progetto. E' avvincente questa impresa perchè nel suo compimento ogni espressione è vera e non simil vera, non ha anima artificiale, non trova linfa, nutrimento e appoggio in altro, la gioia è vera, la passione genuina, il credo sa da quale intimo seme è nato. Nello stesso tempo è impresa difficile e senza limiti impegnativa, perchè nulla è risparmiato, nè fatica, nè dolore, ma ogni tribolazione interiore, ogni proposta del sentire, mai ripudiata, anche la più difficile, è testimone e fondamento vivo di un processo di creazione vera, che non trova e non cerca sostegno, contropartita o consolazione in altro, ma che trova ragione, alimento e forza unicamente nel rispetto e nella fedeltà a se stessi. Nel desiderio di far vivere il proprio e autentico, nella passione, nella gioia di vederlo nascere e crescere viene meno l'interesse e l'intento di strumentalizzare ogni scoperta, ogni presunto passo di crescita, ogni conquista per riscuotere l'apprezzamento e il plauso altrui. Viene meno questa necessità, altrimenti inevitabile quando si dà compimento a qualcosa, che già all’origine è scelto e plasmato per persuadere, per convincere lo sguardo altrui e per piacere, qualcosa che, senza riconoscimento e gratificazione presi da fuor, non sta su, non sembra raggiungere il suo scopo. Cadono i secondi fini, le aspettative e tutto il lavorio per godere del beneficio dell'apprezzamento altrui, vengono meno i tatticismi e i compromessi, ben altro prende vita, ben altra ricchezza, che non richiede mercato e valorizzazione esterna. Non si è soli in questa impresa, perchè la parte profonda del proprio essere non ha altro intento, altra passione, altra lucida aspirazione che non sia quella di riconsegnare a sè la vita e il pensiero, non ceduti a altra matrice e autorità, a altro uso che non sia la ricerca del vero e nel fedele e pieno rispetto del corso interiore naturale, di un modo proprio, da dentro se stessi sapientemente segnato e regolato, di raggiungere la conoscenza di se stessi e di ciò di cui si è portatori, senza prendere lezione da altro, senza l'attesa di farsi in qualche modo confermare e ben volere, applaudire e gratificare. L'inconscio è maestro di vita e di autonomia. Far vivere se stessi è quanto incoraggia e spinge a perseguire e a amare, stimolando a lavorare sulla propria esperienza, a impiegare la capacità di aprire lo sguardo e di formare con la guida del proprio sentire non costruzioni razionali spiantate, ma pensiero vivo e fondato, stando dentro e assecondando il proprio cammino interiore originale, che è cammino di ricerca, coltivando le proprie scoperte, incessantemente, senza piegare e strumentalizzare le proprie aspirazioni al conseguimento del cosiddetto successo, inseguendo la prestazione meritevole e ripagata da considerazione e plauso esterni e altrui. Il mio lavoro mi ha permesso e ancora mi permette di aiutare l'altro a condividere con la sua parte intima e profonda il desiderio e l'impegno di compiere l'impresa più avvincente. Come analista do l'apporto necessario per favorire e rendere possibile il suo avvicinamento a se stesso e il suo ascolto senza preconcetto della sua parte profonda, parte di sè che in partenza gli è sconosciuta e verso cui c'è solo l'attesa che assecondi e comunque non intralci le idee, i propositi e le mire consuete. Se all’inizio l’intento di chi entra in analisi è di trattare la crisi e  il malessere interiore, che lo hanno spinto a cercare aiuto, come segno, in buon accordo col pensiero comune, di una anomalia, di una condizione sfavorevole e limitante di cui liberarsi, cui attraverso l’analisi, indagando nel suo passato, trovare la causa che ne sarebbe all’origine, preferibilmente esterna a sè, per metterla a tacere, può invece, incoraggiato a un ascolto fedele, andare alla scoperta, passo dopo passo sgombrando il campo da  spiegazioni e da interpretazioni che gli sono usuali e preconcette, di ciò che il suo sentire, anche difficile e sofferto, davvero vuole e sa comunicargli e portare alla luce. Può così scoprire che il suo sentire pur così arduo non è affatto una minaccia o un segno preoccupante di alterato funzionamento, ma un richiamo, lo stimolo, il tramite e la guida, valida e intelligente, per vedere il vero della propria condizione e del proprio modo di procedere, dove di autentico e di originalmente proprio, generato da sè e in unità con se stesso, c'è spesso assai poco, per non dire nulla. Rotto il pregiudizio e scoperta la validità e l'affidabilità della proposta interiore, via via, sotto la guida del profondo, principalmente esercitata attraverso i sogni, prende volto agli occhi di chi è coinvolto nel cammino di analisi il significato e si rende tangibile e coinvolgente il fascino dell'impresa di far vivere se stesso, di coltivare e di far crescere il proprio originale e autentico. Far vivere se stessi e non incallirsi nella difesa e nell'attaccamento al corso abituale, dove, pur con l'illusione di essere artefici e protagonisti di scelte e di pensieri, di fatto ci si muove nella dipendenza dall'insieme già ordinato e concepito che circonda e che fa da guida, da garante e da tutore, ma anche da autorità che dirige e limita, che dà i confini della visione di se stessi e del proprio possibile, è impresa impegnativa, ma è risposta e aspirazione degna e a misura dell'umano di cui si è portatori. Una vita non da fuori sostenuta, vidimata e resa credibile, ma una vita vera con sviluppo e creazione originali è ciò che dal profondo si è spinti e incoraggiati a concepire, a promuovere e a amare. Ci si potrebbe chiedere se è questione che pesi e che valga davvero, se non è forse pretesa di troppo questa del far vivere se stessi, se non basti ciò che si ritiene sia già insito nel procedere solito. Cosa c'è in gioco di importante che meriti considerazione? Procedere nel modo consueto richiede spesso e volentieri mancata apertura e intesa con la parte intima di se stessi, in gran parte trascurata e sconosciuta, all'occorrenza messa sotto tutela perchè non intralci, travisata e sottomessa a giudizio e a valutazione come fosse portatrice di inadeguatezza, di insufficienze, di difettoso funzionamento, quando mette in campo vissuti, stati d'animo, risposte emotive nella forma di paure, inquietudini, freni e impacci, malumori, visti come intralci inopportuni, come segni di inadeguatezza e di insufficiente capacità di resa, pregiudizialmente considerati come anomalie, quando in realtà denunciano e vogliono dare occasione di aprire gli occhi, di riconoscere la verità di un modo d'essere e di procedere tutt'altro che autonomo e fedele a se stessi. Questa profonda distorsione del rapporto con se stessi non è poca cosa. Senza l'aiuto e la condivisione con la propria interiorità di una riflessione su se stessi, senza comprensione della verità del proprio modo di interpretare e condurre la propria vita, si viaggia ciechi e persuasi che tutto corrisponda a propria intraprendenza e realizzazione quando invece si è dentro un corso passivo, guidato da altro, affidato a altro che da fuori pare dare conferma che tutto va bene, che nella normalità è garantita la propria buona sorte. La propria vita rischia dunque di procedere nel segno e con l’implicazione di una profonda e radicale disunione con la parte intima e profonda di se stessi, vista come componente oscura da controllare e da tenere a bada, e non come base e risorsa fondamentale per trovare se stessi e l’orientamento e le risposte necessarie per governarsi, per esercitare la propria libertà e autonomia di pensiero e di progetto. Così privi di unità con se stessi, incapaci di riconoscere e ti attingere alla risorsa intima e profonda, alla propria risorsa di pensiero e di progetto autonomi e a se stessi pienamente consoni e connaturali, è fatale affidarsi, per darsi orientamento, per formare pensiero e per nutrire aspirazioni, a guida e a esempio esterni di mentalità, di modelli, di soluzioni e risposte già formate e condivise dai più. Diventa fatale  percorrere strada segnata,  replicarne sterilmente  la logica e i contenuti, poco importa se in alcuni casi con la persuasione di dire la propria con idee contro e con esercizio di critica, che da un lato nell'oggetto della critica trovano comunque  terreno e sponda, recinto e limiti su cui poggiare, che dall'altro si rifanno spesso e volentieri a corrente di pensiero contro e alternativo già pronto e in uso,  strada per nulla corrispondente a quella della propria realizzazione vera e per giunta senza averne mai consapevolezza. Lo spreco della propria vita, resa, fuor di illusioni, inutile e sterile copia d'altro o viceversa la sua realizzazione autentica sono la posta in gioco. Far vivere se stessi e non nella forma apparente e fasulla è la questione che conta. Come tale può prendere peso e rilevanza se la si intende. Può allora collocarsi al centro del proprio interesse, delle proprie aspirazioni. E' proprio per questo, per porre al centro la questione e tutto ciò che ne può nascere e conseguire, che l’inconscio agita interiormente le acque, solleva la crisi, alimenta il malessere interiore, a ragion veduta, considerando la questione decisiva, da non omettere, da non tenere sotto silenzio, stimolando l’insieme dell’individuo a prendere in mano la propria sorte, a compiere il lavoro di presa di coscienza e di profondo cambiamento necessari. Far vivere se stessi nella forma passiva e apparente non richiede lavoro su di sé se non nella pretesa e nello sforzo di produrre prestazione e resa secondo modelli e guide già definite, cercare la propria realizzazione vera richiede ben altro lavoro in unità con se stessi, attingendo alla propria fonte interiore e formando e portando a sviluppo le basi del proprio autentico. Far vivere se stessi autenticamente può, se si vuole, essere riconosciuta come l’impresa che conta, la più umanamente impegnativa e coinvolgente, la più in felice accordo e consonante col proprio intimo e profondo, la più libera, la più avvincente.

martedì 23 settembre 2025

Le ragioni del malessere

(Rimetto in primo piano questo mio scritto di alcuni anni fa)                                             Perché succede, cosa vuole questo malessere interiore, questo tormento? Spesso chi lo vive lo tratta con preoccupazione crescente e con insofferenza. Teme sia, oltre che un ostacolo, una minacciosa presenza. Lo vive come un accidente sfavorevole, una sorta di corpo estraneo, che lavorerebbe contro i propri interessi, pur così interno, intimo, addentro il proprio essere. E' convinzione assai diffusa che il malessere sia provocato o indotto da circostanze e da condizionamenti sfavorevoli, che sia la manifestazione o la conseguenza di un meccanismo, fisico o psicologico, logoro o guasto. Dirò subito che il malessere interiore, nelle sue diverse possibili espressioni, tutte significative e da comprendere attentamente, è viceversa la manifestazione di una forte, risoluta presa di posizione interna della parte intima e profonda, che non vuol tacere, che vuole che la verità e l'attenzione a se stesso diventino per l'individuo questioni centrali e esigenze prioritarie. Pensa che sia un’anomalia, vuoi la manifestazione di un meccanismo guasto, vuoi la conseguenza di un distorto modo di vedere la realtà e di reagire, vuoi ancora una pena intima indotta da qualcosa, esterno a sè, nocivo, risalente al passato o attuale, chi, pur con diverse spiegazioni circa il presunto "guasto", concepisce la superficie come fosse il tutto. Pensa al guasto e alla necessità della riparazione per la ripresa del normale, chi pensa la modalità solita e presente di esistere e di procedere come l’unica possibile, chi non comprende il malessere interiore come intervento e espressione, non cieca, del profondo. Liquida sbrigativamente il malessere interiore come disturbo e basta, chi pensa che emozioni, vissuti, sentire e vita interiore, che tutto ciò che non è ragionamento e volontà, sia solo un accessorio irrilevante e subalterno, un po’ colorito, ma poco o nulla affidabile quanto a intelligenza e a capacità di dare orientamento. Nel nostro essere il profondo, l'inconscio c’è e non è certo presenza di poco peso e valore. Tutto ciò che accade nel nostro sentire e nel corso della nostra esperienza interiore è governato, in modo mirato e intelligente, dal nostro inconscio, è sua voce, non è affatto casuale, non è semplice risposta automatica, riflessa a situazioni e a stimoli esterni. Che accada di sentire inquietudine, timore e apprensione insistenti e pervasivi, persistente pena, senso di fragilità, di vuoto, di infelicità e quant’altro definito come ansia, depressione o altrimenti, non è frutto del caso, non è  traduzione meccanica di logorio subito, nè sgangherato modo di reagire, non è insana o abnorme risposta, è viceversa lucida e consapevole, ferma e irremovibile espressione di capacità e di volontà interiore e profonda, di una parte non irrilevante di se stessi, di intervenire perché si guardi dentro di sè, nell‘intimo vero, cosa sta accadendo della propria vita, perché non ci siano stasi e assenza di consapevolezza, lontananza da se stessi e passivo adattamento. Basta, con l'aiuto giusto, di chi sappia guidare ad avvicinarsi a se stessi e al proprio mondo interiore, risolversi a cercare rapporto, ascolto e dialogo con se stessi e col proprio profondo, basta risolversi a dargli voce, a riconoscergli voce, senza squalificarlo in partenza come dannoso, negativo o malato, perché il malessere, perchè l'intimo sentire faccia ben intendere e vedere cosa sa, cosa riesce efficacemente e puntualmente a evidenziare, a far conoscere di se stessi, a smuovere. Basta disporsi, come si è aiutati e incoraggiati a fare dentro una buona esperienza analitica, all’ascolto, aperto e disponibile, senza pregiudizi, alla ricerca del senso piuttosto che del rimedio che spazzi via, con impazienza e ciecamente, tutta l’esperienza interiore disagevole,  per rendersi conto (sempre meglio via via che dialogo e ricerca procedono), che non c’è guasto e meccanismo rotto, che non c’è caos o irrazionalità dentro se stessi, che il malessere non è maledetta sorte o accidente, patologia o altro, ma specchio per vedersi e per capire. E' potente richiamo, invito fermo a lavorare su di sé, a prendere coscienza di come si è e di come si procede, di ciò che manca, che va finalmente costruito, che mai finora è stato cercato e costruito. Non ci sono cause e responsabilità da cercare altrove da se stessi, in altro e in altri, come odiosi impedimenti al proprio star bene, non c'è stupida incapacità di vivere normalmente e felicemente, c'è semmai prima di tutto consapevolezza da trovare, senza sconti e senza equivoci, del proprio stato attuale, verità anche scomode da riconoscere e da non rimpallare. L'inconscio, sia con le tracce vive del sentire sia coi sogni, non tace nulla e cerca l'intimo vero, il senso, non usa nè pregiudizio nè camuffamento. L'inconscio, che richiama in modo così forte l'individuo alla partecipazione al dentro prima che al fuori, esercita una spinta formidabile, che, se saputa comprendere e condividere, offre visione lucida e appassionata, consapevolezza profonda di sè e del proprio da mettere al centro e a fondamento della propria vita. L'inconscio col malessere interiore smuove e turba il quieto vivere per uno scopo riconosciuto nel profondo del proprio essere come irrinunciabile: far vivere se stessi, il proprio potenziale vero. Per realizzare questo scopo, non già in tasca e traducibile in un attimo, come spesso si pretende, è necessaria una graduale e profonda trasformazione. Ci sono fondamenta nuove da gettare, nuovo rapporto da creare pazientemente con se stessi, nuove scoperte, originali e utili, anzi essenziali, da fare dentro sè e col proprio sguardo, ci sono vicinanza al proprio sentire, comprensione intima e unità d’essere con se stessi, mai possedute e mai cercate, da trovare e rafforzare finalmente. Era sufficiente infatti in precedenza, prima della stretta più decisa del malessere, andare per la strada segnata, fare come si usa in genere e in genere si dice, bastava quel riferimento comune, bastava un po’ di ordine mentale regolato dal ragionamento, che chiarisce e oscura contemporaneamente ciò che fa comodo oscurare o che non si comprende, bastava tutto questo per sentirsi a posto e "normali". Capitava in realtà, non raramente, che il proprio sentire complicasse l'esperienza, che inserisse elementi dissonanti, veri richiami per vedere le cose più nitidamente, per non trascurare implicazioni, non certo dettagli insignificanti, ma tutto questo lo si trattava come un inutile rumore di fondo, come fastidiose interferenze di una parte emotiva "irrazionale". Era sufficiente darsi un pò di quieto vivere, di adattamento, bastava variare qualche luogo, abitudine o altro per convincersi che la questione decisiva per il proprio "star bene" fosse solo la scelta delle circostanze e delle persone giuste, delle opzioni esterne che avrebbero cambiato tutto per sè, deciso le proprie fortune in bene o in male. Bastava un pò di allineamento al modello comune, un pò di parvenza di buon funzionamento, di possesso delle cose o delle espressioni ritenute in genere irrinunciabili o da molti apprezzate, non importa se portandosi interiormente mille segnali diversi e incompresi, non importa se senza mai sentirsi davvero su terreno saldo di consapevolezza, su sostegno di desiderio profondo, di corrispondenza con se stessi.  Procedere in quel modo bastava alla parte di sé cosiddetta conscia, ma non bastava di certo alla parte profonda, meno illusa dalle apparenze, meno preoccupata di stare in linea e al passo con la normalità, meno timorosa di perdere quel treno, più preoccupata di non perdere se stessi. Quel che sto dicendo lo dico dopo lunga ricerca e dialogo col profondo, dopo aver fatto cammino di ascolto e di ricerca con chi accompagno da oltre trent’anni nella ricerca di comprensione della radice del perché, del senso e dello scopo del proprio malessere interiore. Quando davvero gli si dà retta, come si fa in una buona esperienza analitica, il profondo prende a dire subito il perché e il senso del malessere. Bisogna ascoltarlo sia dentro il sentire, che il profondo muove e orienta, sia nei sogni. Da subito nei sogni l’inconscio comincia a far vedere dov’è la ragione del malessere e della crisi, da subito conduce a vedersi allo specchio nel proprio modo d’essere e di procedere, da subito comincia a evidenziare i nodi mai avvicinati, i vuoti, le illusorie verità che non reggono, da subito, con grandi forza e fiducia, apre il cantiere della costruzione del proprio originale modo di essere, di esistere, di pensare e di progettare. E’ un cantiere dove serve fare un lavoro serio e paziente, perché la normalità è maschera o vestito già confezionato che basta indossare, mentre essere individui pensanti di pensiero e di visione propria e coerente con se stessi richiede molto, molto di più e comprensibilmente. Si pensa la psicoterapia e la si pratica spesso come officina di riparazione per tornare normali, per trovare da qualche parte qualche ipotetica causa attuale o preferibilmente remota, che avrebbe ingrippato il meccanismo. Non c’è, per ciò che, pur difficile e sofferto, vive oggi interiormente, da cercare causa o fattore avverso di cui si sia o si sia stati vittime, c’è semmai da comprendere ciò che l’intimo sentire oggi dice e fa vedere di se stessi.  C'è da intendere ciò che la propria interiorità spinge, attraverso sentire e sogni, a formare di consapevolezza, di pensiero proprio e di progetto, che finora sono mancati e che sono prezioso e indispensabile bagaglio, per non perdere davvero scopo e valore della propria vita. So che questa mia lettura del significato della crisi e del malessere interiore, non filosofica o inventata, ma frutto di esperienza e di confronto con l’intima esperienza e sofferenza, di dialogo e di lavoro quotidiano col profondo, non coincide con l‘immediata attesa di molti che vivono disagio interiore, che chiedono, come proprio bene,  prima di tutto l'annullamento del malessere e la normalizzazione, come so che non è omogenea a modi assai frequenti di intendere la cura, il prendersi cura di chi vive simili esperienze interiori. L’atteggiamento curativo, che, in apparenza benevolo e favorevole, cerca il rimedio, che col farmaco vuole sedare o mitigare, che con prescrizioni e suggerimenti vuole riplasmare i comportamenti e le reazioni, abbattere "l'ostacolo" interiore o che va a caccia di ipotetiche cause per costruire una sorta di spiegazione logica del perché del malessere, per tornare a chiudere il cerchio, lasciando tutto, del procedere e del rapporto con se stessi, come prima, rischia, malgrado le buone intenzioni, di diventare una barriera, se non una vera pietra tombale messa sopra una parte di sé intima e profonda, tutt’altro che malintenzionata, certamente non compresa nella sua intenzione e non valorizzata nella sua capacità propositiva. Rischia di perpetuare paura e incomprensione di se stessi, di ciò che vive dentro se stessi, di bloccare sul nascere o di non favorire, come la spinta interiore richiede, un necessario, utilissimo processo di cambiamento, di rinnovamento. Prendersi davvero cura di sè significa aprire a se stessi e scoprire che ciò che di sè si temeva può diventare la fonte, il fondamento della propria salvezza, del proprio vero benessere.

sabato 13 settembre 2025

Il male oscuro: la depressione

Chi si confronta con la sofferenza depressiva, con un lago di infelicità, con la sensazione che nulla abbia più colore, che di se stessi non ci sia più nulla che vale, che non ci sia più credo e spinta vitale possibile per sè, dentro un tutto solo opprimente, teme che si sia aperta una voragine, che non ci sia più nulla di se stessi, solo un male oscuro. E' proprio con queste parole "male oscuro" che si chiama abitualmente quel dolore che scava, che non cede, che stronca ogni iniziativa, che spegne tutti i desideri e affonda ogni speranza. Eppure quel male, che pare solo togliere, spegnere e negare qualsiasi anelito vitale, ha in sè altro. Anche se così doloroso e impietoso, senza limiti e radicale, non è affatto detto che sia un insano modo di vedere e di sentire, che non colga in profondità e che non dica il vero. Una vita cercata e inseguita ponendosi in appoggio e a rimorchio d'altro ha di fatto chiuso, ha lasciato intentate altre strade, ha lasciato cadere altre possibilità, più impegnative, ma anche più connaturate, più interiormente vive, non ha certo fatto sì che il proprio originale fosse cercato e riconosciuto, che fosse coltivato, che fosse portato alla luce e fatto crescere. Una vita condotta facendo affidamento più su altro e su credo comune che sul proprio sguardo, facendosi portare e ispirare nell'assumere modi e soluzioni che le avrebbero dato completezza e dignità, a volte persino di apparente ottima riuscita e pregio, piuttosto che investire, casomai con più dispendio di tempo, di impegno e di coraggio, su propria ricerca, sul dare credito e portare a maturazione e a compimento  proprie idee e convinzioni, non può che andare incontro a verifica circa la sua debole, anzi assente radice interna, valida, forte, irriducibile. Se una simile vita, affidata a altro e copia d'altro a cui si è ispirata e omologata, zoppica, se infine interiormente non è più sorretta e non sta più in piedi, se va incontro a spegnimento, perchè di accensione vera, che non fosse calore o entusiasmo al traino e col sostegno di altro,  non ha mai fruito, non può fare meraviglia. La depressione è onesto bilancio e sguardo, che non maschera più le falle, che non nasconde più i vuoti e gli artifici, che anzi li mette a nudo. Si ha un bel da dire, così ci provano le persone vicine a stimolare e a incoraggiare, che ci sarebbero validi motivi per risollevarsi, per rilanciare la fiducia in se stessi, la motivazione e la voglia di vivere, che ci sarebbero i perchè per non sentirsi così infelici, facendo riferimento a cose, a realizzazioni fatte, a affetti, a legami, ma la parte intima sincera dice che manca alla vita condotta sinora ciò che potrebbe renderla riconoscibile come la propria vita, come la propria storia con un suo costrutto, un'opera originale, un che che non si dissolva, che si possa sinceramente amare e che si possa sentire vicino, caldo e vicino davvero. La risposta è dunque volta a negare che quel dolore, che quella condizione d'animo così penosa abbia un senso, l'intento è di estrometterla, di tornare a riconoscere come vita e a attaccarsi con ogni mezzo a ciò che nel vissuto ha preso così inesorabilmente a appassire. E' una reazione propria e comune, sostenuta da cure e da curanti che danno conferma alla necessità e alla utilità di ripristinare, di risollevare, contrastando e cercando di non cedere a quei vissuti, considerati semplicemente malati. Non è concepito e riconosciuto affatto che ci sia spinta e proposta di verità dentro quel sentire, che quello sia un passo decisivo di scoperta di verità da compiere per riconoscere il volto e i fondamenti di una vita autentica da alimentare, da far crescere. Al più, quando si cerchi di dare una ragione, di capire quella sofferenza, è frequente che si vada a chiamare in causa qualche responsabilità esterna, qualche trascorso infelice di cui si sarebbe stati vittime. Non si concede credito a quel sentire così penoso di essere voce e testimone di una verità che investe la responsabilità del proprio modo di condurre la propria vita, che chiede di rendersi disponibili  a una verifica importante, senza riserve, senza veli. Se si è vissuto o, forse sarebbe meglio dire, simulato di vivere, casomai facendo e agendo, ma dentro ruoli e parti, sì ben svolte, in alcuni casi persino con grande e acclamato successo, ma prese in prestito, rese credibili da considerazione, da stima e da pensiero comune, se si sono portate e legate a sè le vite altrui, che sia un familiare, il compagno/a o i figli o altro a cui ci si è votati e vincolati per stare su, che cosa si è creato davvero di cui ci si possa sentire artefici, a cui ci si possa rivolgere per riconoscere che la propria vita ha valore,  consistenza e volto autentico e proprio, per trovare un filo vero di passi compiuti, di fatiche e di errori e di presa di coscienza e di crescita a partire da errori, un filo di scoperte, di credo proprio, di passioni originali? Da una verità amara si può comunque finalmente ripartire, che la si veda e la si acquisisca è l'intento del profondo che dà forma e forza a una condizione interiore così severa e in apparenza solo distruttiva. Una verità dolorosa e amara, se ben riconosciuta, lucidamente e senza sconti e fughe fatta propria, è infatti il necessario tramite e il saldo punto di partenza per cominciare a ritrovarsi, molto meglio e ben diversamente dal tornare a stare appesi a illusioni, da cui prima o poi si tornerà a precipitare al suolo. In questo la depressione è coraggiosa, oltre che saggia, perchè in modo onesto e sincero, dando accesso al vero, offre un punto di partenza valido e affidabile, purchè non le si spari addosso, giudicandola semplicemente insana e malata, senza ascoltarla e valorizzarla, per rilanciare, per gonfiare ancora l'illusorio, il facile, comodo, ingenuo illusorio. Il profondo, che consegna una simile dolorosa quanto sincera verità su se stessi e su quanto sinora fatto della propria vita, ha tutta l'intenzione e la capacità, dove si crei sintonia e gli si dia accordo nell'aprire finalmente gli occhi e nel proposito di invertire la rotta, di fare sul serio, stavolta facendo leva su impegno di intelligenza e di ricerca proprie e non su risorse prese in prestito e appoggiandosi a altro e a altri, di sostenere e di alimentare  una simile svolta epocale, con pazienza, con determinazione, con coraggio. Il profondo sa dare le guide e le occasioni per formare finalmente visione e idee proprie, sentite, comprese, in sintonia con se stessi, l'inconscio, che espone alla verità senza sconti, vuole aprire la strada alla rinascita su basi salde, originalmente proprie e vere. La cura, il prendersi cura su questo può fare conto per essere vera cura e per non limitarsi a essere tentativo di rilancio e di recupero di una vita cui, al di là delle illusorie solide parvenze, in quella forma manca l'essenziale per essere tale, per stare su, per credere in se stessa. La depressione, un'esperienza interiore dolorosa e impietosa come poche, fermamente mossa e così plasmata dal profondo, non certo senza intelligenza e senza scopo, chiede imperiosamente di essere ascoltata. L’aiuto vero è da cercare in chi sappia intendere il valore e il senso di una sofferenza così radicale e dare contributo di spunti di ricerca e sostegno al confronto con un sentire così arduo, che non chiede di essere messo a tacere e sostituito, ma ascoltato, per aprire la strada a un cambiamento di vitale importanza e necessità. Vista come patologia o come caduta da cui essere tratti in salvo e risollevati, per tornare a abbracciare il solito, nella sostanza tali e quali a prima, non trova di certo l'ascolto e la rispondenza che cerca, non vede raccolto il suo invito tanto difficile quanto profondamente sano.

domenica 7 settembre 2025

Il potere del marchio

E' sorprendente come risulti gradita e ben considerata da parte di chi vive un'esperienza di disagio e di sofferenza interiore l'operazione di vedersi attribuire un'etichetta riconosciuta come atto di scienza. Pare risolvere ogni dubbio circa il significato di ciò che sta provando, di cui sta facendo intima esperienza. Fatta equivalere alla diagnosi in medicina, sembra dare a chi la riceve certezze, la certezza di sapere da quale presunto morbo sarebbe afflitto, in qualche modo traendo conforto, nel tribolato confronto con la sua esperienza interiore difficile e sofferta, dalla possibilità, vidimata, certificata dalla diagnosi dell'esperto, di incasellarla come disturbo e come guasto, di stigmatizzarla come accidente e carico negativo di cui, dopo l'etichettamento diagnostico, con più persuasione considerarsi vittima e volersi liberare. L'etichetta diagnostica pare offrire un ulteriore vantaggio, perchè ritenere di avere comune sorte con altri, pur essi inseriti nella stessa casella della stessa presunta patologia, sembra in qualche modo dare rassicurazione e rincuorare. La delega a altri di sancire da esperto o presunto tale cosa sia ciò che l'individuo sta vivendo nell'intimo è il primo passo di una delega più ampia fatta al terapeuta diagnosta, di prendersi cura di sé, esercitando un ruolo di arbitro nel dire come provvedere, che farmaci o soluzioni adottare. Tutto questo, la presa di distanza dal proprio che vive dentro se stesso, il disimpegno dal difficile confronto con la propria vicenda interiore, dal compito di capire se stesso nella parte intima e profonda, di comprendere ciò che la propria interiorità attraverso il malessere vuole comunicare e far intendere, sembra dare sollievo, garantire un vantaggio, sembra un modo valido e favorevole di prendersi cura di sè. D’altra parte la propria vita interiore, ciò che nel sentire si muove e si propone passo dopo passo nella propria esperienza quotidiana, non ha avuto di certo nel tempo, nella vita di molti, della stragrande maggioranza, un posto di rilievo. Considerando sempre le proprie emozioni, il proprio sentire come conseguenza di cause e di fattori esterni e non come voce della parte intima e profonda, come richiamo e proposta rivolti alla parte cosiddetta conscia, il rapporto col proprio intimo, col proprio sentire è stato e è di convivenza poco attenta. Un rapporto fatto di attenzione saltuaria verso sensazioni e stati d’animo, a cui, quando più marcati, è destinato qualche commento, deduzione e spiegazione, che, affidate all’arbitrio del ragionamento, per quanto in apparenza plausibili, fatalmente nulla hanno a che vedere con ciò che quel sentire vuole comunicare, con ciò che potrebbe essere raccolto e inteso se si fosse portata a maturazione capacità di ascolto, di comprensione del linguaggio interiore. Intendersi con la parte intima di sé non è stata e continua a non essere per molti la priorità. Nel percorso di crescita è stato e è il legame e lo scambio con l’esterno, con gli altri al centro del proprio apprendimento, del proprio sguardo e delle proprie preoccupazioni e attenzioni. Ciò che vive interiormente è considerato solo una coda, un’eco di accadimenti esterni, un loro seguito su cui prevale l’intento di tenerlo in qualche modo a bada e a rimorchio. Quando dunque le cose interiormente si fanno difficili, poco piacevoli e insistenti la reazione è quella di allarmarsi, di mettersi da subito sulla difensiva e sulla controffensiva, di reagire contro una sorta di minaccia, di peso molesto, finendo per consegnare quell’esperienza al titolare di una cura, perché gli dia una definizione e da lì un trattamento, possibilmente rapido e risolutivo. La possibilità di scarico di ciò che interiormente impegnativo e che già in partenza, prima dell'incasellamento diagnostico, era considerato un guasto e una presenza molesta, una volta ottenuta la cosiddetta diagnosi, la diciturina di sindrome o di patologia tal dei tali, è confortata, autorizzata e incentivata dalla scienza, da chi ne sarebbe esponente e depositario, che autorizza a rigettare come patologia ciò che di sè è difficile da sostenere e da comprendere. In presenza di una esperienza interiore certamente sofferta e all'inizio di difficile comprensione, sarebbe importantissimo essere aiutati a avvicinarla, a ascoltarla e a capirla in ciò che dice. Dopo l'etichettamento come patologia col suo bel nome l'auspicio viceversa è soltanto di metterla a tacere, di combatterla e di debellarla. L'operazione diagnostica di incasellamento di una complessa e personalissima esperienza interiore in una categoria o casella del patologico anche se comporta la conseguenza, non certo lieve, di affossare ogni fiducia in ciò che vive dentro se stessi, anche se in una forma così insolita e difficile da reggere, è però tutt'altro che sgradita, anzi è benvoluta, riverita e accreditata come capace, oltre che di riaprire una possibilità di salvezza, di spiegare tutto, di dare definizione, volto definitivo, di fare chiarezza. Magia delle parole di sapore tecnico che illudono che ci sia scienza e conoscenza dove invece scatta solo un'operazione di grossolana descrizione delle apparenze, sostenuta da pregiudiziale distinzione tra ciò che è ritenuto valido, sano, accettabile e normale e ciò che invece è, senza ombra di dubbio, collocato nella serie delle cose anomale, devianti dalla norma, diligentemente distinte e catalogate in varie caselle diagnostico descrittive. Capire se stessi, scoprire che nulla di ciò che si prova è insensato e privo di capacità di dire, di favorire l'avvicinamento a se stessi e la presa di coscienza di qualcosa di importante, è possibile con l'aiuto giusto. E' la parte profonda del proprio essere a muovere il malessere, in una forma niente affatto casuale, per spingere e impegnare a fermarsi, a aprire gli occhi sulla propria condizione vera, fuori da illusioni, a vedere ciò che nel modo di procedere, di pensare e di pensarsi abituale è totalmente ignorato, travisato, non compreso. Non c'è nulla nelle proprie vicende e vicissitudini interiori che non sia capace di dire e di dare consapevolezza utile e fondata, che non abbia questo scopo. E' la fiducia nella propria interiorità che va conquistata, scoprendo appunto, a dispetto della insofferenza, dell'allarme e del timore verso ciò che genera e propone, che invece tutto ciò che si sente e che si sperimenta interiormente ha sempre, anche nelle sue espressioni meno facili e in apparenza, solo in apparenza, abnormi, un senso, dice, vuole condurre a capire, a capirsi. Solo l'aiuto volto a ascoltarsi e a comprendere il linguaggio della propria interiorità può offrire questa opportunità, può permettere di non porsi in fuga o in guerra col proprio intimo. Prendersi cura di sè senza creare dissidio e disunione con ciò che si vive interiormente, senza alimentare paura e diffidenza verso parte intima di se stessi, traendo viceversa occasioni di crescita dalla propria crisi e sofferenza, è possibile.

sabato 30 agosto 2025

Ingenuità e incanto

Com'è facile la presa, la capacità di persuasione e di coinvolgimento di quanto nella realtà esterna è  organizzato e predisposto a indirizzare e a dare soluzione a necessità di crescita e di realizzazione personale, quando, ignari di sè, digiuni di scoperte proprie, si è pronti a farsi istruire e dire, stimolare e variamente condurre e soddisfare! Ogni potenziale espressione di se stessi, prima ancora di essere autonomamente compresa, prima di riconoscerne dentro e in unità con se stessi il volto e il significato, trova pronta traduzione in un sistema organizzato, in un modo di concepire l'individuo, le sue necessità, i modi della sua crescita e della sua realizzazione, in uso e ampiamente condiviso. Scatta così, come fosse ovvia e naturale, l'adesione a altro da sè che offre l'aggancio, che mette a disposizione la definizione, le guide e la soluzione pronta, oltre che le verifiche e le convalide, che diventa la base e il volano per espressioni di se stessi, per il perseguimento di traguardi, che non sembrano richiedere altro che capacità di selezione tra opzioni già definite e capacità di esecuzione. Non sembra esserci necessità e possibilità di riservare  a sè il compito e la facoltà di generare alla radice le risposte, ma solo di applicare ciò che già è definito, che è già concepito. Nel modo di procedere più comune e abituale le espressioni di sè nel verso dell'intelligenza, delle abilità varie, della sensibilità, dei sentimenti e degli affetti e di quant'altro vanno dimostrate, applicate, messe in campo, non hanno necessità di essere trattenute a sè per essere intimamente riconosciute, per essere con pazienza coltivate fino a prendere volto originale e forma consona, corrispondente a sè. Essere sprovvisti di forza di legame e di intesa con se stessi, conseguente al non avere trovato dentro e attraverso di sè risposte originali e congeniali, al non averle cercate e coltivate, fa da slancio a abbracciare in un moto di irresistibile attrattiva ciò che sembra dare occasione di espressione e di realizzazione propria, che anzi sembra esserne la traduzione  più ovvia e naturale. E' una risposta ingenua, che vede il cortocircuito della intelligenza, la rottura del vincolo a vedere con i propri occhi, a concepire da sè, a convalidare per presa di visione propria e verificata un'idea, un'affermazione, un proposito, che non è una pretesa di troppo o fantascienza, ma  che è ciò che spetterebbe all'individuo umano perchè possa considerarsi tale. Accade invece che il movimento passivo e senza riserve a aderire, a farsi portare e dire, si compia e non raramente, che non sia riconosciuto come tale, anzi che appaia come prova di intraprendenza, come corso ovvio e naturale, nella normalità, finendo per trovare nel "così fan tutti" ancora più forza di persuasione. Tutto finisce per declinarsi e per muoversi dentro dei canali stretti, pur dentro un'apparente quadro di libere scelte e variopinte. Conoscere diventa a senso unico istruirsi, acculturarsi, casomai viaggiare per ampliare i propri orizzonti, gioire diventa fruire di uso e consumo di piattaforme del divertimento, di quanto è offerto di godibile, di quanto è esaltato di feste organizzate, di appuntamenti da non perdere e di legami da afferrare e di cui non essere privi, la realizzazione personale e la conquista di traguardi significativi diventano la corsa alla carriera, alle promozioni e agli attestati vari e a quanto dà segno di merito e di raggiungimento di qualche traguardo o primato. Senza dimenticare che c'è poi, per alcuni a complemento, per altri a consolazione, la conquista mediata e per procura abbracciando una bandiera, tifando per un qualche eroe sportivo, sposando un credo, una ideologia con ben imbanditi valori e ideali. Senza scordare che, per uscire dalla noia dell'appiattimento del gusto e dell'interesse, c'è la tv o la rete, c'è la vita dei famosi da spiare a compensazione di una vita, la propria, lasciata nelle secche dell'inconsapevolezza e dell'abbandono. Com'è bello e seducente il mondo, che offre tante risposte e soluzioni pronte e che diventa e si autoproclama come la realtà, la realtà in assoluto, riconosciuta e celebrata come imprescindibile e elettivo luogo dove stare per stare nella vita, tenendo lì ben attiva la presenza e l'attaccamento, come se null'altro possa esistere e essere riconosciuto come reale e degno di essere abitato, coltivato, amato e fatto vivere e crescere! Certo, in questo modo di condursi e di interpretare la propria vita non c'è il motore della passione autentica, non c'è la gioia e la persuasione profonda, che non ha bisogno di conferme e di attestati di merito esterni, di far vivere qualcosa di intimamente riconosciuto come proprio e di valore. La contropartita diventa allora il far bella mostra di ciò che ai più piace, la rassicurazione di essere ben dotati secondo ciò che è ammirato e considerato giusto e degno. In sostanza avviene una sorta di baratto implicito, anche se inconsapevole, tra il valore e il gusto della autonomia, del far vivere qualcosa di tratto, di generato da sè e che si ama sinceramente e disinteressatamente, tra la realizzazione di sè autentica e la realizzazione pilotata e venduta al consenso, trainata dalla convalida e dall'approvazione comune, cosa che riesce a incantare, a sedurre, a convincere. Ingenuità e incanto sono dunque le leve di un modo di intendere e condurre l'esistenza di cui ci si può considerare soddisfatti. C'è una parte di se stessi che però non si fa incantare, che non cade nell'irretimento delle false persuasioni e di comodo dentro cui spesso si trincera la parte conscia, c'è una parte che sa vedere e distinguere il vero dal fasullo, l'autentico dal posticcio, l'apparente autorealizzazione da ciò che è e che vale realmente, che sa riconoscere il risucchio dell'umano nel programmato e già plasmato. E' la parte intima e profonda del proprio essere, è l'inconscio, che non ha intenzione di rinunciare a rendere acutamente visibile il vero, che non intende desistere dal proporre e dal promuovere altro dall'andare dietro e dal farsi governare da soluzioni e da risposte pronte, che rilancia con insistenza  l'idea "folle" di cercare dentro sè risposte e punti chiave di orientamento, di portare a maturazione autonoma visione, di non concedere a altro di menare le danze. E' l'idea folle di diventare creatori di un proprio pensiero e scopritori di una idea di vita e di un progetto autonomi e forti di sostanza, di lucida consapevolezza e di  risorse proprie. Questa parte non desiste, dà segnali continui nel sentire e offre con i sogni, preziosissima risorsa, pensiero vero che guarda dentro e in profondità, non ammaestrato e non fotocopia del comune pensato. E' la parte intima e profonda, è l'inconscio che spinge verso la consapevolezza, che non asseconda ingenuità e incanto, leve e garanzie del perdersi nel realizzarsi dentro e secondo stampo. Non ha altra ragione e altro senso il malessere interiore, che il profondo anima e acutizza, non ha altro scopo, anche se stravolgerne la lettura e il significato e considerarlo disturbo o patologia da sanare è operazione assai frequente, normale. Ci si potrebbe chiedere perchè l'inconscio fa tante storie, perchè interviene in modo così forte. Ne vale la pena? Perchè non lascia che la vita scorra senza intralci così com'è? E' così importante la questione che solleva? Se si esce dall'idea che stare in pace e proseguire come d'abitudine sia la cosa più desiderabile e si comprende che il rischio è di diventare e ciecamente  solo copia d'altro, spegnendo ogni possibilità di aprire gli occhi sul vero, di cercare e di far scaturire da sè le risposte, le ragioni e gli sviluppi della propria vita e non di farsele consegnare e dettare, si può cominciare a comprendere, a condividere l'intento e la spinta del profondo. Più frequentemente però la lettura data al malessere interiore è di ben altro tipo e percorre altre strade. Non è certo raro che la terapia, che sia quella farmacologica o che sia una psicoterapia, spesso poco cambia, incapace e mal disposta a comprendere il significato di ciò che si svolge interiormente, soprattutto nelle sue espressioni più ardue e dolorose, facendo leva su criteri di giudizio circa ciò che sarebbe motivato o immotivato, disfunzionale o valido e funzionale, sano o  patologico, concepisca solo il recupero, il riassesto. E' un prendersi cura che ignora l'origine profonda, che non concepisce e non riconosce lo scopo del malessere, ciò a cui tende. Non è raro, ne è la fatale conseguenza, che l'azione di rabbercio di terapie varie, che le scoperte, date per decisive e illuminanti, delle presunte cause della sofferenza  interiore, frutto in realtà dell'idea preconcetta che la sofferenza, che il malessere interiore sia la conseguenza di un guasto da danno psicologico patito, che la fiducia data alla bontà e all'efficacia del lavoro di riaggiustamento, lascino intatto il quadro di insieme, che confermino l'incomprensione di ciò che il profondo voleva e insiste nel dire e smuovere. La risposta, in presenza di nuovi e ripetuti segnali di malessere, che spesso non mancano di riproporsi, l'inconscio infatti non desiste, è in genere di serrare i ranghi, di provare a combattere le presunte "ricadute" di una presunta patologia che non recede, non comprendendo che il riproporsi del malessere interiore segnala con forza che non ci sono stati ascolto, corrispondenza e comprensione delle questioni e delle necessità rilanciate dal profondo del proprio essere, che non ignora, che sa vedere ciò che la parte conscia non sa e non vuole riconoscere. Il profondo non rinuncia infatti, pur dopo tentativi di risoluzione della crisi che ha promosso e alimentato, crisi mal intesa e travisata, non compresa nelle sue ragioni e non assecondata nei suoi scopi, a spingere con forza, smuovendo il sentire, tornando a agitare il quadro interiore. Il suo scopo, non certo malefico e irragionevole, è di far aprire gli occhi dell'individuo sulla verità del proprio stato e del proprio modo di procedere, è di smuovere il suo pensiero dalla inerzia delle certezze prese in prestito, è di porre in primo piano la necessità di trarre da sè, di costruire in unità con tutto il proprio essere (l'inconscio è pronto a dare il contributo che più conta) le fondamenta della personale realizzazione autentica e non artificiale e illusoria, modellata e tenuta su da altro.

venerdì 29 agosto 2025

Il lavoro dell'inconscio

(Ripropongo oggi questo mio scritto, perchè ritengo possa aiutare a comprendere ciò che l'inconscio può offrire e a sentire più vicina questa parte preziosa e irrinunciabile del nostro essere)

L'inconscio interviene di continuo nella nostra esperienza, sia attraverso i vissuti (il nostro sentire) e governando nel suo insieme il corso della nostra vicenda interna, sia in modo privilegiato, illuminando il nostro cammino interiore, con i sogni. Contro i tentativi, avvalendoci dell'iniziativa e del filtro della razionalità, di mantenere sostanzialmente intatta e a noi compiacente la nostra visione di noi stessi (tanti accadimenti interiori fastidiosi o imbarazzanti passati sotto silenzio, lasciati scorrere via o fraintesi e manipolati a piacimento col ragionamento), l'inconscio non ha pudore, "pietà" o riserbo di intervenire e di insistere, senza chiedere permesso e sorprendendoci, perché di noi sappiamo, vediamo, cogliamo ciò che importa, il vero. L'inconscio è attivo perché non rimaniamo passivi o altro da noi stessi. Per passività intendo il quieto aderire al dato e al pensato comune e abituale, la riproduzione di un pensiero e di una visione di noi stessi che, se anche in apparenza convincenti e verosimili, in realtà altro non fanno se non ripetere ciò che già è stato concepito e detto, ciò che ci torna comodo credere. L'inconscio è la parte di noi che agisce e che lavora perché non evadiamo da noi stessi, perché sappiamo di noi, perché transitiamo nelle pieghe del nostro essere, perché vediamo, anche a costo di ferirci e di soffrire, ciò che ci spetta, ciò che ci è necessario conoscere. Nulla di ciò che si propone a noi nel nostro sentire è casuale, bensì è traccia e guida per prendere contatto e conoscenza viva di aspetti del nostro essere, del nostro modo di procedere, di questioni, anche non semplici, che abbiamo vitale necessità di elaborare, di capire. L'inconscio suggerisce e offre di continuo attraverso il sentire spunti, occasioni, crea trame e sviluppi utili per capire. Il lavoro dell'inconscio raggiunge il suo apice creativo nei sogni, che, se ben intesi, analizzati e compresi, si rivelano impareggiabili mezzi per guardare dentro noi stessi, per conoscere, per crescere. Se compreso e fatto proprio l'aiuto dell'inconscio è assolutamente decisivo per trovare il proprio spessore umano e di pensiero, per scoprire le proprie vere potenzialità e il proprio progetto. Accade però che, ignari e impreparati a tutto questo, ci si senta non di rado delusi o semplicemente disturbati da ciò che succede dentro se stessi, che si giudichino le esperienze interiori (che per intero l'inconscio regola e dirige), quando discordanti dalle attese o disagevoli, come inopportune, come limitanti, come dannose, arrivando, se  insistono, a definirle un disturbo, una patologia. Diffusa e prevalente la tendenza a escogitare, a farsi consigliare, a applicare rimedi, spiegazioni che aiutino a ripianare, a mettere a tacere l'esperienza interiore scomoda e sofferta. La psicoterapia stessa è spesso cercata e non di rado nasce con simili auspici, in contrapposizione a parte di sé interna vissuta come nemica, con desiderio di disarmarla, di rimetterla in riga o di erigere una sicura barriera contro ciò che sembra solo molesto, pericoloso e incoerente. L'inconscio non si fa plagiare e zittire. Se aveva ragione di smuovere, di porre in crisi la stabilità interiore per favorire sviluppi, processi conoscitivi nuovi, cambiamenti necessari, se inascoltato e incompreso, seguiterà nel tempo e con rinnovata forza a riaprire la ferita, pur col rischio che si torni ottusamente a parlare di semplice ripresa del disturbo, di "ricaduta" di malattia e che si torni a schierarsi contro l'iniziativa interiore anziché disporsi ad ascoltarla e a capire. Nel rapporto con esperienze interiori difficili e sofferte il vero problema, la vera insufficienza o anomalia non è nel (presunto) corso sbagliato o insano di ciò che si prova, che si vive interiormente, anche se doloroso e accidentato, ma sta nel non essere capaci di entrare in rapporto e in dialogo con la propria esperienza interiore, con l'inconscio, sta nel non avere ancora capacità e opportunità di capire. Cominciare a fidarsi della propria interiorità, fino ad aprirsi totalmente e senza preclusioni al proprio corso interiore, imparare ad ascoltare la voce e a cogliere l'intima proposta del proprio sentire, capacitarsi dello straordinario lavoro svolto dal proprio inconscio dentro i sogni, intenderlo, capirlo, assimilarlo, farlo proprio, seguire con attenzione il percorso di ricerca e di trasformazione tracciato dall'inconscio attraverso il succedersi dei sogni e dei vissuti... questo un'esperienza analitica ben fatta cerca, fa vivere e realizza. L'inconscio apre crisi, movimenta il quadro interiore, rompe equilibri, per condurci con fermezza, costi quel che costi, verso noi stessi, verso la nostra capacità vera di vedere con i nostri occhi, di pensare, un pensare che abbia guida e fondamento dentro ciò che sperimentiamo intimamente, che sia comprensione fedele della nostra esperienza. Il nostro inconscio spinge perché, non ignari di ciò che siamo e che possiamo, mettiamo al mondo il nostro. Come analista da oltre vent'anni lavoro avendo per maestro l'inconscio. Se aiuto l'altro a rivolgersi alla sua interiorità, all'ascolto del suo profondo, so di non fargli acquisire un armamentario inutile di formule e di spiegazioni, so di non condannarlo a rimanere vittima del suo corto respiro e pensiero, ingabbiato dentro una visione di sé e delle sue possibilità precostituita e chiusa, ma so di avvicinarlo alla fonte della sua conoscenza e della sua rinascita come individuo davvero autonomo, capace di trovare la sua guida dentro se stesso e di dare volto e contenuto propri alla propria vita. (16/4/2007)