La timidezza è vissuta spesso come un carico ingrato, come un intralcio, come una cattiva disposizione di natura, che ostacolerebbe, che metterebbe a rischio la possibilità di esprimersi al meglio e di cogliere pienamente le opportunità del vivere. Un fattore di svantaggio dunque in una lettura a senso unico, tant'è che l'auspicio più diffuso è di superarla, come se il superamento della timidezza segnasse un passaggio di crescita, una conquista. La timidezza è infatti spesso motivo di autosvalutazione, come se equivalesse a un non pieno e adeguato sviluppo, maturazione. C'è la convinzione che sia un segno di minor forza, di acerba insicurezza e per questo è facilmente motivo di minore e compromessa autostima in chi porta dentro se stesso questa impronta del sentire. In realtà, dove non ci si lasci dettare legge e chiudere lo sguardo da una concezione, tutta a rimorchio dei luoghi comuni, dei gusti e delle stime di valore più diffuse e prevalenti, che se fanno statistica non fanno per questo scienza e verità, che premia come qualità ideali estroversione, sicurezza e disinvoltura, facilità di contatto e scioltezza di parola, simpatia e solarità e altra pappa simile (pronta da mandare giù, senza necessità di capire), concezione che implicitamente e che anche manifestamente svaluta e boccia come inadeguate tutte le espressioni diverse, come la timidezza, che non vanno in quella direzione ritenuta ideale, si può riconoscere nel proprio sentire con impronta di timidezza ben altro da ciò che dettano i pregiudizi comuni e personali. La timidezza ha l'intento e la capacità di segnalare, il segnale arriva da dentro se stessi forte e chiaro, che c'è soggezione al giudizio e alla valutazione dell'autorità esterna, allo sguardo altrui, che c'è dipendenza, l'inclinazione cioè a farsi dire ciò che vale e che va manifestato di sè, a assecondarlo per portare a sè conferma e sostegno di approvazione, a rincorrere come validi i modelli esterni, a temere di incorrere nella cattiva resa e figura. La timidezza vuole dunque dare indicazione calda e cocente, stimolo forte e insistito a tenere conto di questa presa e vincolo dipendente, di questa consegna di se stessi così forte all'autorità esterna, per prenderne visione, per lavorarci sopra. Il vissuto di timidezza dà segnali mirati, sapientemente mette all'ordine del giorno, indirizza la ricerca su qualcosa di centrale, su un nodo decisivo. Nello stesso tempo il vissuto di timidezza rende l'esperienza del timore reverenziale, del piegarsi a quell'autorità del giudizio e dello sguardo altrui, sofferta, dolorosa, sempre incalzante in presenza di altri. Lo sottolinea mostrando quanto è forte la necessità di proteggersi, di darsi riparo. Vale la pena di aprire qui una riflessione sul rapporto col sentire, riflessione che più volte è rilanciata nei miei scritti. Nella attenta riscoperta di ciò che la timidezza sa dire e suggerire come base e terreno vivo di scoperta, di presa di coscienza, emerge il valore del rapporto col proprio sentire in tutte le sue espressioni naturali, spontanee, anche le meno gradite. Il sentire è risorsa essenziale da non trascurare e da valorizzare, sentire che invece, anzichè essere attentamente e fedelmente ascoltato, abitualmente, soprattutto se ha parvenza di non essere conforme a ciò che è più atteso e gradito, è tirato per i capelli, giudicato sbrigativamente, tenuto sotto custodia e controllo, reso oggetto di commento, di manipolazioni e di pretese. Il nostro sentire è la nostra interiorità che intelligentemente ci interroga, ci dice, non comprendere questo significa ridurre in modo netto, compromettere le nostre possibilità di presa di visione e di pensiero, rimanendo in balia della iniziativa del pensiero razionale, che, da solo e dissociato dal sentire, offre solo illusorie spiegazioni valide e chiarimenti, in realtà già incanalati nel pensato consueto, nel preso in prestito da fuori, da idee comuni e prevalenti, quelle che appunto, come dicevo prima, fanno rapida giustizia sommaria della timidezza, che, trattata come ostacolo e insufficienza, è radicalmente travisata e bistrattata, quando in verità ha ben altro valore e capacità di dire. Ma torniamo a guardare con attenzione e senza preconcetti dentro l'esperienza del sentire timido, per farci mostrare cosa rivela. E' un sentire, quello della timidezza, cui si accompagna spesso senso di inadeguatezza, di infelice realizzazione, che rischia di essere predominante, anche se a ben vedere non è univoco ciò che dice l'esperienza viva della timidezza. Se infatti l'aspirazione a non essere come naturalmente e spontaneamente si è e si sente nel proprio della timidezza, pare di indiscutibile validità, vedendo in altri, a differenza e paragone con se stessi, i campioni da imitare, invidiati quando appaiono liberi da freni e da ritrosie, quando sciolti e disinvolti, con l'apparenza di chi sa vivere e prendersi il meglio delle occasioni di ben figurare, emergere e afferrare gioie e soddisfazioni, nello stesso tempo assieme a una simile aspirazione c'è la sensazione, adottando quel metro e premendo su di sè per ottenere quelle stesse espressioni e prestazioni, di imporre a se stessi un che di forzato e coercitivo, che obbliga a andare contro il corso e la corrente naturale, a assumere altro, a dover indossare altri panni, a camuffarsi, a nascondere l'originale, a averne vergogna oltre che ripudio. La timidezza, assieme a soggezione e a timore dell'altrui giudizio, preso a regola e a arbitro della propria vita, è forza di legame con se stessi, anche se in contemporanea a marcata spinta a dissociarsi, a prendere le distanze da sè, a assumere altro come nuova e diversa uniforme da indossare, addirittura come diverso stampo del proprio essere, cui aderire e dentro cui riplasmarsi fino nell'intimo. La spinta a inseguire e a farsi dettare come essere e nello stesso tempo la sensazione di forzare, di plagiare se stessi, la percezione che c'è un vincolo di natura che, per quanto lo si voglia superare, non mostra certo di cedere e svanire facilmente, è la consegna della timidezza. Insomma nella timidezza c'è il segnale della soggezione dipendente, della spinta a dare prova e a superarsi per assecondare le pretese dell'autorità esterna per averne in cambio convalida e per far proprie le sue promesse e contemporaneamente c'è la percezione acuta del suo essere una pretesa in contrasto e in strappo da sè. Anche se oscurate e stravolte le ragioni del vincolo a se stessi, perchè la chiave di lettura è quella che, in adesione al pensato più comune, vede deficit e mancanza di espressioni ritenute valide e garanti del proprio buon rendimento, del proprio saper vivere e del possesso di capacità e qualità adeguate, in realtà, a starci attenti nelle mosse del sentire timido c'è tutt'altro che insipienza, inettitudine e incapacità. Se la timidezza ad esempio non consente pronta espressione di parola, tanto cercata pur di riuscire a dire, per paura di apparire altrimenti vuoti, è perchè la parola, se vuole essere portatrice di senso, deve fondarsi su qualcosa che intimamente avvicinato e compreso (questo ha i suoi tempi e i suoi perchè, non può avvenire a comando), consente di dire, può dare motivo e persuasione di dire qualcosa che ha un senso e che ha senso comunicare, per non parlare a vanvera o inventare discorsi modellando il dire in accordo, per i contenuti e per la forma, con ciò che l'interlocutore può apprezzare. La timidezza non consente espansività e quant'altro è considerato espressione di buona disposizione d'animo, di cordialità, di sentimenti o presunti tali ben impostati e modellati su tutto ciò che è considerato valido, gradito e ottimale, perchè i sentimenti non si inventano, non si recitano, non si vendono e non si mercanteggiano, devono pur avere una radice vera, un fondamento e essere legati a qualcosa che è maturato dentro e in concordanza piena con se stessi, che ha ragion d'essere valida e sincera. La timidezza fa valere le ragioni dell'autentico, di ciò che ha fondamento vero, che non è un artefatto. Ho scritto di recente sull'argomento dell'originale e dell'artefatto. La timidezza è terreno di incontro, di scontro tra le ragioni dell'autentico, di ciò che originalmente, traendo linfa e origine dentro sè, vuole formarsi e vivere e le ragioni dell'artefatto. Una cosa è spendersi per dare buona prova, per simulare ciò che piace, una cosa è apparecchiare, mettere in tavola, riprodurre ciò che è concepito come buono e di valore e degno di buona considerazione, altra cosa è cercare dentro sè le ragioni, le basi, le radici di espressioni umane non messe su artificialmente, ma cariche di vero, di autentico, di consapevole. Tutt'altro che un'espressione deficitaria, c'è un principio di salute e di saggezza nel corpo vivo della timidezza, anche se mescolata e in tensione con la pretesa di dare buona prova, che cerca di spargere diffidenza e discredito su ciò che nella timidezza segna un vincolo tutt'altro che insano e sgangherato con le ragioni dell'autentico e del rispetto per ciò che è intimo, che intimamente si fa valere. Se si impara a rispettare per ciò che racchiude e a valorizzare la timidezza, che non è certo lì per caso, che non si fa valere per caso, si può trovare dentro questa esperienza interiore così complessa e ricca, che rischia di essere liquidata solo come un difetto e una palla al piede, tanto su cui lavorare per conoscersi e per conoscere, per comprendere questioni di natura rilevante inerenti il modo di intendere la propria crescita e la realizzazione della propria vita. Una cosa è spingere se stessi verso la prestazione e la corsa regolata da altro da sè senza discernimento, per averne premio e convalida, altra cosa è riservare a sè il compito e la facoltà di comprendere e di assecondare lo sviluppo di ciò che vale, che richiede anche frenarsi, la timidezza come abbiamo visto frena, trattiene non per caso, ma con lo scopo intelligente di ascoltarsi di darsi occasione di scoperta, per cercare e trovare con base e fondamento di accordo con se stessi chiarimenti e risposte necessarie per procedere con autonoma capacità di vedere, di comprendere e di guidarsi. Una cosa è farsi portare e farsi dire (scorciatoia, soluzione facile e immediata da afferrare e consumare), una cosa è affidarsi e ossequiare l'autorità esterna dei giudizi e delle regole condivise, per indirizzare non solo le scelte, il destino, le mete da raggiungere, ma persino per farsi regolare e dettare le espressioni di sè più intime inerenti sentire e sentimenti, per ricevere da questa autorità apprezzamento e conferma, altra cosa, ben altra cosa, è mettere al centro come condizione imprescindibile il vincolo a se stessi come natura da rispettare, come fondamento vivo e essenziale per trovare da sè autonomamente, per cercare dentro di sè le proprie risposte e ragioni d'esistenza comunque non prescindendo, non rinnegando, ma viceversa valorizzando il proprio sentire nelle sue declinazioni vere, sentire che, come la timidezza, con intelligenza dice, saggiamente coinvolge, indirizza lo sguardo e conduce a capire. Consegnarsi ad altro per farsi dettare e riconoscere presunta maturità e capacità di vivere e di crescere o tenere stretta a sè la facoltà e la capacità di capire e di capirsi, di comprendere da sè, di riconoscere con i propri occhi, fedelmente a se stessi, in unità col proprio intimo vero, cosa ha senso e valore, cosa, in consonanza con se stessi e coerentemente con le proprie originali risorse e qualità, vuole vivere, tradursi e realizzarsi, questa è la posta in gioco. La timidezza è ben altro che un difetto di funzionamento.
domenica 30 marzo 2025
mercoledì 26 marzo 2025
L'ansia, il cammino stretto
Perché insiste e cosa vuole quest'ansia? Dà un impietoso
senso di costrizione, di respiro stretto, di mancata distensione, forse...forse
perché non c’è motivo di rilassarsi, forse perché lì in questa stretta di
allarme e di apprensione, c’è la necessità di vedere, più che di passare oltre,
di rallentare e di fermarsi per capire, più che di evadere e di andare via
sciolti. Non dà libertà questa pressione che non molla, toglie libertà? La
prima impressione è questa e in nulla sembra favorevole, anzi pare una maledizione,
una storpiatura, un modo infelicissimo e sbagliato di stare al mondo. Sarà per
un deficit, sarà la conseguenza di qualche fattore sfavorevole, di un trauma
patito, di un infelice condizionamento esterno attuale o di origine remota, che
interiormente ha sconvolto e distorto il più normale e fisiologico sviluppo di
crescita personale, tutto questo si va a pensare meno che questa ansia oggi
voglia dire, che lo sappia intelligentemente fare. Andiamo al punto. Vaneggia e blatera il
sentire con quest'ansia cocciuta, tanto da poter essere considerato assurdo,
senza valido motivo nel suo suonare senza tregua la sirena d’allarme, nel suo
fare il guastafeste? Va riconosciuto che non è affatto facile convivere con una
realtà interna così spigolosa, che non dà respiro. Ma c’è da chiedersi è
davvero una molestia? Standoci attenti, qualcosa dentro, nel profondo potrebbe
aver buon motivo di disturbare il quieto vivere, di procurare questa fitta
pena? Forse quest’inquietudine dolorosa non intossica, ma vuole dire, non
intende privare, ma vuole dare, non impedisce il cammino, ma lo segna stretto,
per (co)stringere a capire. Fare opposizione, combattere ciò che, visto subito
come ostacolo e disturbo, sembra solo menomare e togliere è risposta comune,
comunissima e pure assai convinta, resa tale anche dal supporto di mentalità
comune che invoca come ideale la condizione di liberazione da pesi interiori, resa
ancora più saldamente convinta dalla presenza non irrilevante di apparati di
cura, di schiere di curanti pronti a
dare aiuto nel verso del dispensare rimedi di ansiolitici e di tecniche di
superamento dell’ansia. Si parte poi male, da una posizione tutt’altro che
favorevole nel confronto con la parte intima di se stessi, con cui ora risulta
così difficile convivere. Ci si è abituati infatti a avere visione di se stessi
come di un’entità sostanzialmente chiusa nei confini della cosiddetta parte
conscia, il resto di intimo, di sentire e di ciò che si svolge interiormente lo
si pensa come un corollario, di cui a volte è problematico il controllo, ma appunto
si tratta di controllarlo, di tenerlo a bada, di spiegarlo con qualche rapido
ragionamento, niente di più. Dunque non ha certo centralità l’interiorità,
pensata come una appendice del proprio essere, come una realtà minore che viene
e deve stare a rimorchio e che va in qualche modo gestita, cui soprattutto non
va dato peso quando non sta alle aspettative, quando nel sentire dissona,
perché tanto è una componente “irrazionale”. Si è impegnati a seguire ben altra
onda e richiamo da quello intimo, cui si chiede di stare al passo e nei ranghi
e di non dare problemi. Ma l’interiorità di cui si è portatori e che è parte
viva e essenziale del proprio essere, anche se come tale non è riconosciuta e
ammessa, non è ciò che si presume e si pretende, un’appendice, una coda, un
seguito gregario, che più di tanto non può e non sa produrre e portare. La
parte intima e profonda, lo si constata con mano quando le si dà spazio e
ascolto degno come nel corso dell’analisi,
sa però vedere bene e senza preconcetto, è la parte di se stessi che
continuamente segnala nel sentire, nel seguito di emozioni, stati d’animo,
vissuti e elabora in modo ancora più approfondito nei sogni, il vero di ciò che
si sta vivendo, è la parte che non tenta fughe, che non se la racconta a
piacimento come spesso e volentieri fa la parte conscia, è la parte che
viceversa sa e vuole raccontarla nel verso del vero. L’interiorità sa essere
sincera e soprattutto affidabile, senza compiere sul conto del senso di ciò che
si fa e si vive distorsioni o manipolazioni di comodo, dunque sa essere acuta e
veritiera, sa vedere della propria condizione e sorte oltre il proprio naso, in
modo attento, nitido, esteso e lungimirante. Sapendo vedere, perché sveglia,
perché non invischiata nella inerzia del procedere abituale e del pensiero
annesso, interessato solo al quieto vivere o a favorire il procedere secondo
programma della parte conscia, si prodiga a dare richiami, a mettere in campo
ciò che sa, a provocare, quando è tempo e la situazione lo merita e lo richiede,
una stretta, a esercitare un forte richiamo, a dare con l’ansia che insiste e
che non dà tregua, a volte con lo scossone tremendo dell’attacco di panico, un
sonoro segnale di allerta. Se non avvisasse per tempo, senza fare tanti
complimenti, le cose potrebbero mettersi male e in perdita o con rischio di
perdita grave. In superficie, nella parte conscia, ci si pretende accorti e
"svegli" e invece spesso si è ottusi nel rigirare e confermare sempre
le stesse idee e posizioni, più o meno volutamente svagati circa ciò che si sta
facendo realmente di se stessi, circa il proprio procedere e la sua consonanza
o meno con se stessi. Si è, in superficie e col ragionamento, comunque in
ritardo rispetto al proprio profondo, che non cessa di tenere tutto dell'esperienza
passo dopo passo ben unito e sotto sguardo attento, senza distrazioni, senza
concessioni alla pia illusione e all’autoinganno, al rinvio, al lasciar andare
senza cura. Ansia, respiro stretto, perché ogni goccia di respiro diventi
consapevolezza e non evasione e ripetizione, ascolto e confronto schietto e non
elusione e vana consolazione. Vedere, aprire gli occhi sul vero costa, ma
salva. Se si tratta di cominciare a veder chiaro, a rimettere assieme
l‘insieme, senza semplificazioni, omissioni e sviste, se si tratta di mettersi
in mano consapevolezza utile e fidata, motore di libertà e di forza di vivere e
non di sopravvivere, ben venga il guastafeste, l’inconscio che non “dorme“,
che, pungolando e incalzando, non fa "dormire"! E’ un paradosso, ma
nemmeno durante il sonno l’inconscio tace, anzi profitta della resa della testa
ragionante e del silenzio della circostante fiera di cose e di eventi esterni,
per pensare, a voce alta, per condividere nei sogni con tutto l’essere i suoi
pensieri.
domenica 23 marzo 2025
I campioni della giusta causa
E' modalità che seduce, che appassiona, che infervora, soprattutto che conviene, quella che carica e scaglia la critica tutta all'esterno, perchè il negativo sia solo roba altrui, perchè a sè spetti solo di splendere di virtù morale e di pensiero illuminato, casomai col desiderio di impartire lezione, di educare, di fissare per tutto e per tutti cosa sia valido, corretto, evoluto. E' una gara sui principi più giusti portata avanti da chi di sè non vuole vedere se non la purezza più immacolata, di chi gongola di presunta superiorità di pensiero e di morale, di chi mai si è preoccupato e occupato di conoscersi nel vero, di fare chiarezza, al di là di quel che vuole farsi credere, su cosa sente davvero, su cosa lo muove nelle sue affermazioni e prese di posizione, su ciò a cui mira e che vuole procurare a se stesso. E' la corsa infaticabile a eccellere di chi, sempre all'erta, non perde occasione di segnalarsi come bravo, di tessere belle trame di ragionamento, badando bene a tenere lo sguardo lontano da sè, per ottenere il mirabile risultato di farsi coscienza critica di ogni negativo, di chi ha fatto e fa uso di ogni pretesto, preso da vicende e da esperienze altrui, per darsi la patente e la tempra di persona giusta, che più giusta non si può, che denuncia, che afferma le idee più valide, le più corrette. Sempre pronti a dare prova di possedere i più retti principi e i più degni valori, fanno una gran tenerezza questi campioni del pensiero più progredito e giusto. Bravi scolaretti da dieci e lode, non perdono occasione per alzare la manina per dire che sanno, per segnalare alla maestra, all'autorità del pubblico giudizio, da cui sono così docilmente dipendenti, che conoscono la risposta giusta, il comportamento giusto. Hanno infatti antennine ben sviluppate, con cui sanno captare qual'è il comandamento di giornata, il decalogo dei valori del momento e lì si sintonizzano e prontamente, acquiescenti e disciplinati, allineano il loro pensiero per farsene convinti e accesi paladini, per dare, impeccabili sempre, buona e eccellente prova di merito. Peccato che, assieme a tutto questo buon odore di purezza e di virtù, portino dentro di sè il fiele del bisogno, per garantirsi posizione elevata, di denigrare, di sminuire, di stigmatizzare chi deve svolgere, a loro onore e beneficio, la parte del retrivo, dell'infimo, dell'ignorante. Li si vede ovunque i campioni della giusta causa dall'impeccabile fiero orgoglio, li si vede in modo esemplare in politica, li si vede, da pulpiti e su palcoscenici vari, in tv, sui giornali, in rete, li si vede quotidianamente attorno a sè, ma, quel che più conta, non è da trascurare la possibilità di vederli mettendosi allo specchio, impresa, che, se da un lato può risultare ingrata, dall'altro offre le migliori possibilità di analisi attenta e di fedele scoperta del vero.
sabato 15 marzo 2025
L'analisi: chi conduce chi?
Premetto che si impiega il termine analisi per definire
una varietà disparata di approcci e di esperienze in ambito psicoterapeutico assai
diverse tra loro, anche agli antipodi. Nel mio scritto parlo dell’analisi e del
percorso analitico, come da tanti anni da analista propongo e pratico, che
mette al centro il rapporto col profondo, che riconosce a questa parte del
proprio essere un ruolo essenziale e decisivo nella conoscenza di se stessi e
nel promuovere la propria autentica realizzazione. E’ motivo di sorpresa per
chi inizia questo tipo di percorso analitico ritrovarsi non già nella posizione
di chi col ragionamento cerca di condurre il discorso, di dirigere l’attenzione
verso ciò che considera importante e centrale per capire se stesso, ma nella
posizione di chi è guidato nel percorso di conoscenza da una parte di se
stesso, parte intima e profonda, fino ad allora trattata e pensata più come
oggetto di indagine che come soggetto di discorso. Compiere questa inversione è
fondamentale e apre uno scenario totalmente nuovo. Chi arriva in analisi è
convinto di poter definire già il campo della ricerca, i punti cruciali, le
questioni che lo riguardano. L’aspettativa è di indagare più attentamente e in
profondità, preferibilmente nel passato remoto, per arrivare a mettere in luce
i fattori condizionanti e le presunte cause, fatte risalire a responsabilità di
altri preferibilmente, del proprio malessere. L’idea, se presente, circa
l’inconscio è che questa parte profonda di sè, vista fino a quel momento come
oscura e inaccessibile, possa attraverso
l'analisi rendere finalmente riconoscibili episodi critici e verità della
propria biografia nascoste, rimosse e tenute dentro questa sorta di
contenitore, di strato profondo della psiche, perché troppo dolorose o
inammissibili alla coscienza, che dove finalmente emerse e riportate alla
consapevolezza segnerebbero una svolta, la liberazione da blocchi e da trappole
interiori limitanti e distorcenti il proprio sviluppo e benessere. Sottesa
all'impiego di questa teorizzazione, al favore per questa rappresentazione
dell'inconscio, la posizione vittimistica, la tesi, del tutto conservativa e
deresponsabilizzante verso se stessi che dice: se non ci fossero state
condizioni avverse e sfavorevoli, se non avessi subito questo o quell'altro per
traumi o accidenti, per negligenze o per negativa opera e influenza d'altri e
d'altro, non mi sarebbe toccato di patire sino a oggi disagi, di rimanere
invischiato nel malessere e tutto di me e del mio procedere (che non è in
discussione) sarebbe filato liscio e con garanzie per il mio benessere e la mia
libertà di espressione. L’inconscio, chiamato dentro una simile tesi a dare
sostegno coerente a questa posizione vittimistica verso se stessi, in realtà è
di ben altro avviso e di ben altro è portatore e capace. Nel percorso analitico
di cui parlo lo si può nitidamente vedere, toccare con mano e apprezzare.
L’inconscio è prima di tutto laboratorio e genesi di pensiero, non spiantato e
aggregato al pensato comune, ma riflessivo e capace di vedere nell’esperienza i
significati veri, il senso. L’inconscio è la risorsa interiore di cui si
dispone e del cui valore e potenziale si è in genere ignari, in grado di
indirizzare in modo del tutto nuovo e inatteso la conoscenza di se stessi,
portandola fuori dal circuito chiuso dei soliti convincimenti e ragionamenti,
per condurla sul terreno fecondo della scoperta del vero. Se gli si dà spazio e
parola l’inconscio sa dire e orientare la ricerca con sapienza incomparabile.
Lo fa magistralmente con i sogni. Esercita inoltre la sua funzione guida
regolando tutto il corso del sentire, della vicenda interiore. Nulla di ciò che
viviamo interiormente è casuale, è accidentale, dettato e condizionato, in una
meccanica relazione di causa e effetto, da eventi e da stimoli esterni e basta.
In ciò che proviamo, in ciò che prende forma nel sentire c’è sempre uno scopo,
c'è la capacità propositiva di segnalare, di dire. Se si porta attento sguardo sul sentire, si
può vedere ciò che il vissuto, lo stato d’animo, l’emozione scrive e descrive,
delinea, sa portare a riconoscere, toccandolo con mano, sensibilmente. Fare
intima esperienza, sentire è il modo più efficace di conoscere, se una cosa la
si vive la si può comprendere. A far la differenza quando, con l'intento di
capirsi, ci si mette in rapporto col proprio sentire, è la capacità di
osservazione, che richiede tenere a freno la tendenza a agire, a mettere in
campo subito il commento e la spiegazione, per arrivare viceversa e
gradualmente, proprio affidandosi alla guida del sentire, alla scoperta, alla
comprensione. L’inconscio modula il sentire, lo plasma, lo indirizza offrendo
così basi e terreno vivo e efficace di scoperta di verità, compensando le
insufficienze, spesso le distorsioni del pensiero e dello sguardo cosciente,
non raramente parziale e astratto, incline alla ripetizione e al preconcetto,
catturato dalla superficie degli accadimenti, in difficoltà nella messa a fuoco
dei significati più intimi e profondi dell'esperienza. L'inconscio, animando il
quadro interiore, spingendo avanti le emozioni, plasmando gli stati d’animo, modulando
il sentire, vuole rendere visibili le implicazioni più vere dell'esperienza.
L’inconscio, se ascoltato in queste espressioni vive della propria vita
interiore, sa aprire nuove trame e sviluppi di conoscenza, corregge i
fraintendimenti, spesso di comodo, funzionali a dare a se stessi rassicurazione
e conferma nelle proprie convinzioni e tesi, messi in campo dalla parte
razionale, che pure si illude di essere molto affidabile, in contrapposizione
con la presunta cecità e irrazionalità delle emozioni, nel chiarire le cose,
nel garantire obiettività. L'inconscio non solo interviene nel sentire, nella
regolazione di tutto il succedersi degli eventi interiori, delle emozioni,
degli stati d'animo, delle pulsioni, per dare base e terreno sicuro di ricerca
e di scoperta del vero, ma offre per la conoscenza di se stessi un contributo
eccellente nei sogni, dove esalta la sua funzione guida. Lì mostra capacità
mirabile di condurre a vedere dentro se stessi, lì trova espressione tutta la
sua autonomia, maturità e profondità di sguardo e di pensiero. L’inconscio non
è appiattito sulle cose, sulla visione preconcetta, è autonomo da vincoli,
dalle aspettative della parte razionale, non è intrappolato dentro i circuiti
di pensiero soliti e automatici. L’inconscio ha saputo e sa compiere lo stacco
riflessivo, vedere ciò che è coinvolto nella nostra esperienza e nel nostro
procedere, i modi, i perché, ciò che ci spinge, anche in ciò che tentiamo di
eclissare o camuffare. L’inconscio non è interessato a risolvere, a far
procedere le cose senza intoppi, a far venir a capo in fretta di eventuali
difficoltà, pur di procurarsi beneficio immediato, l'inconscio vuole la visione
nitida di quel che c’è in gioco, di quel che in ogni frangente e passaggio
dell’esperienza, anche e soprattutto se difficile, si rende riconoscibile di
noi stessi. L’inconscio vuole che non ci nascondiamo a noi stessi. C’è
nell’inconscio una tempra e una forza di iniziativa che possono davvero
sorprendere chi non lo conosce, chi non si conosce in questa parte profonda di
se stesso. Posso dire che l’inconscio, che da tanti anni ascolto in svariate
vicende interiori e percorsi analitici, mostra una sorta di proprietà e di
tratto che ricorre, pur nella diversità dei cammini, sempre unici da individuo
a individuo. L’inconscio non accetta la fatalità del condurre la propria vita nel
modo sostanzialmente passivo dell’andar dietro, del modellarsi secondo altro, anche
se ignorato ai propri occhi e travestito
da protagonismo, dell’insistere nella simbiosi con l’esterno come unica idea di
vita. Si parla infatti spesso di realtà, di senso di realtà, riconoscendo come
tale solo ciò che è esterno, concreto, già concepito, in qualche modo già
sistemato, ordinato, fruibile, percorribile e dato. Reale è però qualsiasi
movimento di presa di coscienza, di nuova conoscenza che partorisca qualcosa di
nuovo, che faccia vivere qualcosa di inatteso. Siamo realtà noi stessi, se non
ci mortifichiamo nella ripetizione d’altro, siamo realtà in ciò che possiamo
generare nella presa di coscienza, far vivere dentro di noi e che da lì
possiamo progettare, sviluppare. L’inconscio, che è la nostra stessa matrice,
custode di ciò che siamo e che abbiamo potenzialità di comprendere, di
tradurre, di percorrere, di far vivere, di mettere al mondo, non compie la
rinuncia, non accetta un’esistenza che non tenga conto di questa capacità di
pensiero originale e di questa tensione creativa propria, un'esistenza che si
riduca a fare il verso ad altro già detto, concepito e organizzato, a venerarlo
come la Realtà cui aderire e su cui plasmarsi. Tanto malessere interiore che in
varie forme scuote, disturba il quieto vivere di non pochi, nasce da questa
tensione profonda a non rinunciare mai a guardare dentro se stessi, a non dare
nulla per scontato, a non rinunciare a riconoscersi come soggetti, come
artefici della propria vita. L’inconscio non dà comunque ricette pronte e
ingenue di cambiamento. L’inconscio non induce a compiere salti, non asseconda
affatto la tendenza ad aggirare la difficoltà, l'interrogativo, a semplificare
o a omettere. Il processo conoscitivo deve essere completo, maturo,
responsabile, davvero capace di aprire gli occhi, di non ignorare, di trovare
risposte valide e complete, per non fare illusori passi avanti o semplici
fughe. L’inconscio non promuove cambiamenti fragili e contradditori, ambigui o
insostenibili, nulli nella sostanza. L’inconscio è maestro e, sogno dopo sogno,
svolge un’analisi completa, guida in un percorso conoscitivo originalissimo e
nello stesso tempo di straordinaria lucidità, veridicità e profondità. Nulla,
come l’inconscio nei sogni, sa essere altrettanto libero da ripetitività e da
preconcetto, nulla sa coniugare in pari modo acume di sguardo, libertà e forza.
L’inconscio esalta la vita, perchè esalta il pensiero, che sa cercare e
riconoscere l'intimo significato vero, senza posa. L’inconscio è infaticabile e
non cessa mai di dare spinta alla conoscenza, alla conoscenza che fa ritrovare
il senso, che avvicina a se stessi, che rende capaci di incontro col respiro e
con la complessità ricca della vita. Non ho mai incontrato tanta indomabile
voglia di aprire e di conoscere come nell’inconscio. L’inconscio non fa sconti,
non culla illusioni e autoinganni, la verità è sempre al centro delle sue cure,
la verifica attenta passo dopo passo, combinata a eccezionale lungimiranza. Chi
si affida al proprio inconscio ha la più affidabile delle guide e il miglior
maestro per conoscersi, per conoscere, per arricchirsi. Una fonte interna, una
risorsa propria straordinaria. Ignorarlo, vuoi per ignoranza del suo
potenziale, vuoi per diffidenza, senza avere l’occasione di conoscerlo come può
accadere in una buona esperienza analitica, è davvero una occasione persa,
l’occasione di arricchirsi di sé. Nel percorso analitico, che ho delineato e di
cui ho esperienza, tutto, proprio tutto si scopre e si genera a partire dalla
proposta e dall’iniziativa della parte profonda di se stessi. Non si dà parola
a altro, non ci si rifà a altro come guida e come fonte di conoscenza, in
un'analisi ben fatta non si dà a niente e a nessuno, a nessuna figura di
presunta autorità o scuola di pensiero, delega di fornire spiegazioni e lumi,
in ogni caso impropri e fuorvianti, oltre che non necessari. L'inconscio, la
parte profonda di ognuno sa dare infatti magistralmente, nella forma più
appropriata e approfondita, la più rispondente alle necessità di ognuno, ciò
che è necessario per lo sviluppo della conoscenza, per il processo di
trasformazione e di crescita di cui si ha potenzialità, nella forma più
originale e consona a se stessi. Qual'è il compito dell'analista? L’analista
svolge bene la sua funzione quando, consapevole di cosa può offrire all'altro
aprendolo al rapporto col suo profondo, lo sa accompagnare nella ricerca,
incoraggiando e favorendo in lui il formarsi e la crescita della capacità di
ascolto e di dialogo con la sua interiorità, mettendo al centro sempre la
proposta che viene dall’inconscio, cui prima di tutto spetta parola e guida. E’
una funzione delicata quella svolta dall’analista, vista l’importanza della
posta in gioco, che è far sì che l’altro si congiunga alla sua interiorità e ne
rispetti la proposta, ne comprenda e ne traduca fedelmente gli intenti, senza
favorire invece costruzioni di pensiero e travisamenti utili solo a riportare
tutto nel giro abituale dei convincimenti soliti e opachi al vero, nella presa
della pratica dipendente, della adesione e rincorsa cioè di ciò che è dato
comunemente per scontato, nell’imbuto del dare prova in cambio del sostegno
esterno e del premio di considerazione e approvazione degli altri. Il lavoro
dell’analista, se ben svolto nel rispetto e a garanzia dell’altro, non si
avvale del ricorso a spiegazioni e a interpretazioni già pronte, poco importa
se tratte da insigni maestri e da riverite scuole, che, facili da usare,
risulterebbero comunque, come dicevo, improprie e fuorvianti, malamente
sostitutive di ciò che, originale e unico, oltre che di ottima fattura, nel
dialogo col suo profondo l’altro può trarre da sè. Per l'analista c’è un lavoro
artigianale da fare, che certamente richiede non poco impegno di tempo e di
energie e che nello stesso tempo ripaga di scoperte uniche e feconde, un lavoro
consono a una ricerca che rispetti e rispecchi l’originale della proposta
interiore di ognuno, che sappia accompagnare l’altro a stabilire un rapporto
sempre più aperto e intimo, un ascolto e un dialogo sempre più sintono con la
sua parte profonda. L’inconscio traccia e dirige con mano ferma e capace il
percorso di scoperta e di trasformazione, che conduce l’individuo a diventare
se stesso, non una immagine da mostrare, non una copia d’altro. L’analista ha
il compito, passo dopo passo, di dare all’altro spunti di ricerca consoni a ciò
che il suo profondo intende proporgli sia nei sogni che nei vissuti,
coinvolgendolo nella ricerca, facendo sì che via via se ne renda sempre più
partecipe attivo e capace. Coltivare con cura con la guida del proprio
inconscio e portare a maturazione, lungo un percorso unico, la scoperta della
verità di se stesso, diverrà per l’individuo il fondamento della sua personale
autonomia, della capacità e della passione di generare e di far vivere, senza
il bisogno dipendente di conferme, di apprezzamenti e di sostegni esterni, il
proprio, originale e autentico.
sabato 1 marzo 2025
Le ragioni del malessere
(Rimetto in primo piano questo mio
scritto di alcuni anni fa) Perché succede, cosa vuole questo malessere interiore,
questo tormento? Spesso chi lo vive lo tratta con preoccupazione crescente e
con insofferenza. Teme sia, oltre che un ostacolo, una minacciosa presenza. Lo
vive come un accidente sfavorevole, una sorta di corpo estraneo, che
lavorerebbe contro i propri interessi, pur così interno, intimo, addentro il
proprio essere. E' convinzione assai diffusa che il malessere sia provocato o
indotto da circostanze e da condizionamenti sfavorevoli, che sia la
manifestazione o la conseguenza di un meccanismo, fisico o psicologico, logoro
o guasto. Dirò subito che il malessere interiore, nelle sue diverse possibili
espressioni, tutte significative e da comprendere attentamente, è viceversa la
manifestazione di una forte, risoluta presa di posizione interna della parte
intima e profonda, che non vuol tacere, che vuole che la verità e l'attenzione
a se stesso diventino per l'individuo questioni centrali e esigenze
prioritarie. Pensa che sia un’anomalia, vuoi la manifestazione di un meccanismo
guasto, vuoi la conseguenza di un distorto modo di vedere la realtà e di
reagire, vuoi ancora una pena intima indotta da qualcosa, esterno a sè, nocivo,
risalente al passato o attuale, chi, pur con diverse spiegazioni circa il
presunto "guasto", concepisce la superficie come fosse il tutto.
Pensa al guasto e alla necessità della riparazione per la ripresa del normale,
chi pensa la modalità solita e presente di esistere e di procedere come l’unica
possibile, chi non comprende il malessere interiore come intervento e
espressione, non cieca, del profondo. Liquida sbrigativamente il malessere
interiore come disturbo e basta, chi pensa che emozioni, vissuti, sentire e
vita interiore, che tutto ciò che non è ragionamento e volontà, sia solo un
accessorio irrilevante e subalterno, un po’ colorito, ma poco o nulla
affidabile quanto a intelligenza e a capacità di dare orientamento. Nel nostro
essere il profondo, l'inconscio c’è e non è certo presenza di poco peso e
valore. Tutto ciò che accade nel nostro sentire e nel corso della nostra
esperienza interiore è governato, in modo mirato e intelligente, dal nostro
inconscio, è sua voce, non è affatto casuale, non è semplice risposta
automatica, riflessa a situazioni e a stimoli esterni. Che accada di sentire
inquietudine, timore e apprensione insistenti e pervasivi, persistente pena,
senso di fragilità, di vuoto, di infelicità e quant’altro definito come ansia,
depressione o altrimenti, non è frutto del caso, non è traduzione
meccanica di logorio subito, nè sgangherato modo di reagire, non è insana o
abnorme risposta, è viceversa lucida e consapevole, ferma e irremovibile
espressione di capacità e di volontà interiore e profonda, di una parte non
irrilevante di se stessi, di intervenire perché si guardi dentro di sè,
nell‘intimo vero, cosa sta accadendo della propria vita, perché non ci siano
stasi e assenza di consapevolezza, lontananza da se stessi e passivo
adattamento. Basta, con l'aiuto giusto, di chi sappia guidare ad avvicinarsi a
se stessi e al proprio mondo interiore, risolversi a cercare rapporto,
ascolto e dialogo con se stessi e col proprio profondo, basta risolversi a
dargli voce, a riconoscergli voce, senza squalificarlo in partenza come
dannoso, negativo o malato, perché il malessere, perchè l'intimo sentire faccia
ben intendere e vedere cosa sa, cosa riesce efficacemente e puntualmente a
evidenziare, a far conoscere di se stessi, a smuovere. Basta disporsi, come si
è aiutati e incoraggiati a fare dentro una buona esperienza analitica,
all’ascolto, aperto e disponibile, senza pregiudizi, alla ricerca del senso
piuttosto che del rimedio che spazzi via, con impazienza e ciecamente, tutta
l’esperienza interiore disagevole, per rendersi conto (sempre meglio via
via che dialogo e ricerca procedono), che non c’è guasto e meccanismo rotto,
che non c’è caos o irrazionalità dentro se stessi, che il malessere non è
maledetta sorte o accidente, patologia o altro, ma specchio per vedersi e per
capire. E' potente richiamo, invito fermo a lavorare su di sé, a prendere
coscienza di come si è e di come si procede, di ciò che manca, che va
finalmente costruito, che mai finora è stato cercato e costruito. Non ci sono
cause e responsabilità da cercare altrove da se stessi, in altro e in altri,
come odiosi impedimenti al proprio star bene, non c'è stupida incapacità di
vivere normalmente e felicemente, c'è semmai prima di tutto consapevolezza da trovare,
senza sconti e senza equivoci, del proprio stato attuale, verità anche scomode
da riconoscere e da non rimpallare. L'inconscio, sia con le tracce vive del
sentire sia coi sogni, non tace nulla e cerca l'intimo vero, il senso, non usa
nè pregiudizio nè camuffamento. L'inconscio, che richiama in modo così forte
l'individuo alla partecipazione al dentro prima che al fuori, esercita una
spinta formidabile, che, se saputa comprendere e condividere, offre visione
lucida e appassionata, consapevolezza profonda di sè e del proprio da mettere
al centro e a fondamento della propria vita. L'inconscio col malessere
interiore smuove e turba il quieto vivere per uno scopo riconosciuto nel
profondo del proprio essere come irrinunciabile: far vivere se stessi, il proprio
potenziale vero. Per realizzare questo scopo, non già in tasca e traducibile in
un attimo, come spesso si pretende, è necessaria una graduale e profonda
trasformazione. Ci sono fondamenta nuove da gettare, nuovo rapporto da creare
pazientemente con se stessi, nuove scoperte, originali e utili, anzi
essenziali, da fare dentro sè e col proprio sguardo, ci sono vicinanza al
proprio sentire, comprensione intima e unità d’essere con se stessi, mai
possedute e mai cercate, da trovare e rafforzare finalmente. Era sufficiente
infatti in precedenza, prima della stretta più decisa del malessere, andare per
la strada segnata, fare come si usa in genere e in genere si dice, bastava quel
riferimento comune, bastava un po’ di ordine mentale regolato dal ragionamento,
che chiarisce e oscura contemporaneamente ciò che fa comodo oscurare o che non
si comprende, bastava tutto questo per sentirsi a posto e "normali".
Capitava in realtà, non raramente, che il proprio sentire complicasse
l'esperienza, che inserisse elementi dissonanti, veri richiami per vedere le
cose più nitidamente, per non trascurare implicazioni, non certo dettagli
insignificanti, ma tutto questo lo si trattava come un inutile rumore di fondo,
come fastidiose interferenze di una parte emotiva "irrazionale". Era
sufficiente darsi un pò di quieto vivere, di adattamento, bastava variare
qualche luogo, abitudine o altro per convincersi che la questione decisiva per
il proprio "star bene" fosse solo la scelta delle circostanze e delle
persone giuste, delle opzioni esterne che avrebbero cambiato tutto per sè,
deciso le proprie fortune in bene o in male. Bastava un pò di allineamento al
modello comune, un pò di parvenza di buon funzionamento, di possesso delle cose
o delle espressioni ritenute in genere irrinunciabili o da molti apprezzate,
non importa se portandosi interiormente mille segnali diversi e incompresi, non
importa se senza mai sentirsi davvero su terreno saldo di consapevolezza, su
sostegno di desiderio profondo, di corrispondenza con se stessi. Procedere
in quel modo bastava alla parte di sé cosiddetta conscia, ma non bastava di
certo alla parte profonda, meno illusa dalle apparenze, meno preoccupata di
stare in linea e al passo con la normalità, meno timorosa di perdere quel
treno, più preoccupata di non perdere se stessi. Quel che sto dicendo lo dico
dopo lunga ricerca e dialogo col profondo, dopo aver fatto cammino di ascolto e
di ricerca con chi accompagno da oltre trent’anni nella ricerca di comprensione
della radice del perché, del senso e dello scopo del proprio malessere
interiore. Quando davvero gli si dà retta, come si fa in una buona esperienza
analitica, il profondo prende a dire subito il perché e il senso del malessere.
Bisogna ascoltarlo sia dentro il sentire, che il profondo muove e orienta, sia
nei sogni. Da subito nei sogni l’inconscio comincia a far vedere dov’è la
ragione del malessere e della crisi, da subito conduce a vedersi allo specchio
nel proprio modo d’essere e di procedere, da subito comincia a evidenziare i
nodi mai avvicinati, i vuoti, le illusorie verità che non reggono, da subito,
con grandi forza e fiducia, apre il cantiere della costruzione del proprio
originale modo di essere, di esistere, di pensare e di progettare. E’ un
cantiere dove serve fare un lavoro serio e paziente, perché la normalità è
maschera o vestito già confezionato che basta indossare, mentre essere
individui pensanti di pensiero e di visione propria e coerente con se stessi
richiede molto, molto di più e comprensibilmente. Si pensa la psicoterapia e la
si pratica spesso come officina di riparazione per tornare normali, per trovare
da qualche parte qualche ipotetica causa attuale o preferibilmente remota, che
avrebbe ingrippato il meccanismo. Non c’è, per ciò che, pur difficile e
sofferto, vive oggi interiormente, da cercare causa o fattore avverso di
cui si sia o si sia stati vittime, c’è semmai da comprendere ciò che l’intimo
sentire oggi dice e fa vedere di se stessi. C'è da intendere ciò che la
propria interiorità spinge, attraverso sentire e sogni, a formare di
consapevolezza, di pensiero proprio e di progetto, che finora sono mancati e
che sono prezioso e indispensabile bagaglio, per non perdere davvero scopo e
valore della propria vita. So che questa mia lettura del significato della
crisi e del malessere interiore, non filosofica o inventata, ma frutto di
esperienza e di confronto con l’intima esperienza e sofferenza, di dialogo e di
lavoro quotidiano col profondo, non coincide con l‘immediata attesa di molti
che vivono disagio interiore, che chiedono, come proprio bene, prima di
tutto l'annullamento del malessere e la normalizzazione, come so che non è
omogenea a modi assai frequenti di intendere la cura, il prendersi cura di chi
vive simili esperienze interiori. L’atteggiamento curativo, che, in apparenza
benevolo e favorevole, cerca il rimedio, che col farmaco vuole sedare o
mitigare, che con prescrizioni e suggerimenti vuole riplasmare i comportamenti
e le reazioni, abbattere "l'ostacolo" interiore o che va a caccia di
ipotetiche cause per costruire una sorta di spiegazione logica del perché del
malessere, per tornare a chiudere il cerchio, lasciando tutto, del procedere e
del rapporto con se stessi, come prima, rischia, malgrado le buone intenzioni,
di diventare una barriera, se non una vera pietra tombale messa sopra una parte
di sé intima e profonda, tutt’altro che malintenzionata, certamente non
compresa nella sua intenzione e non valorizzata nella sua capacità propositiva.
Rischia di perpetuare paura e incomprensione di se stessi, di ciò che vive
dentro se stessi, di bloccare sul nascere o di non favorire, come la spinta
interiore richiede, un necessario, utilissimo processo di cambiamento, di
rinnovamento. Prendersi davvero cura di sè significa aprire a se stessi e
scoprire che ciò che di sè si temeva può diventare la fonte, il fondamento
della propria salvezza, del proprio vero benessere.
mercoledì 26 febbraio 2025
A proposito di cause remote e di traumi infantili
Ogni esperienza che ci appartiene, anche del nostro
passato, è parte integrante della nostra storia, è momento del nostro cammino,
perciò è importante, a condizione però, quando la si riavvicina, di
riconoscerne il contenuto originale. Ogni episodio e momento anche remoto della
nostra esperienza va rispettato in ciò che realmente è stato, in ciò che nel
suo accadere ha visto svolgersi e muoversi dentro di noi, nel nostro sentire,
per coglierne il vero significato. Se lo sguardo con cui si torna a quei momenti
è in partenza segnato dalla necessità di trovare segni di violazioni, di
nefasti condizionamenti e di turbamenti subiti, rapidamente letti e acquisiti
come lesivi la propria integrità psichica, capaci di dare soddisfazione alla
attesa ti trovare il nucleo, la (presunta) causa di un malessere interiore oggi
vivo e difficile da sopportare e da comprendere, la distorsione nella
conoscenza di sè passata e presente finisce per avere il sopravvento. Questa
modalità di impiegare il passato a beneficio di una presunta conoscenza del
presente è non solo parecchio diffusa, tant'è che chi cerca aiuto psicologico
parte molto spesso da questa attesa, ma trova sostegno in non poca psicoterapia
in uso. Che disagi e malesseri attuali siano la automatica e fatale conseguenza
di circostanze ed esperienze negative del passato, soprattutto in ambito
familiare o di veri e propri traumi infantili, più o meno rimossi, va
riconosciuto che è ipotesi e spiegazione assai cara a un certo tipo di
psicoanalisi e di pratica psicoterapeutica. Soprattutto è ipotesi e spiegazione
cara a chi vive la propria sofferenza interiore come carico indebito e ostacolo
al vivere quieto o "normale“, a chi volentieri accetterebbe di scovare
nella propria storia da qualche parte la causa del “male“. Che nel proprio
passato ci siano stati condizioni non facili, passaggi aspri e dolorosi,
incontro con pressioni e interventi avversi, con modalità manipolatorie,
autoritarie e tutt'altro che rispettose messe in atto da altri, con atmosfere
tutt'altro che serene, questo non significa aver esaurito in questo la
conoscenza di sè, che invece ha necessità di ritrovare e di porre al centro
dell'interesse cosa nelle diverse vicende, anche le più critiche, è successo
dentro se stessi, cosa si è mosso interiormente, le proprie risposte.
Quest'ultimo è il cuore dell'esperienza da non trascurare, è il filo intimo che
dice di sé, che può restituire a se stessi di ogni vicenda vissuta, anche la
più difficile, l’originalità di contenuto e di significati personali che è
importante recuperare. Impiegare le esperienze passate, peraltro spesso così
inappropriatamente e strumentalmente trattate, per farne il perno di una tesi
che vuole spiegare le ragioni del malessere presente come conseguenza e segno
del perdurare dell'influenza negativa di traumi e di cattivi condizionamenti
passati, non permette di certo di riappropriarsi nè del proprio passato e ancor
mento di capire il proprio presente. Per quanto riguarda quest'ultimo, il modo
di pensare e di rapportarsi a se stessi, che considera il malessere interiore
come afflizione di cui si sarebbe vittime e che avrebbe origine da causa più o
meno remota, ignora che ciò che oggi si pone interiormente con vivacità o
intransigenza come segnale di crisi va ascoltato in ciò che dice oggi, che
casomai è riferito a modi d'essere e di procedere inveterati ma attuali, ad
esempio a problemi di lontananza da sè, di mancata unità tra il proprio pensare
e il proprio sentire, a mancata intima rispondenza di ciò che si porta avanti,
più coerente con altro che con se stessi. Vivere in simbiosi con altro fuori di
sé è infatti una modalità d'esistenza assai diffusa, che fa credere che tutto
vada cercato fuori, che la realtà sia solo quella disegnata là fuori e pensata
comunemente. Ne conseguono l'allineamento e la rincorsa del
"normale", l'orrore di non stare al passo con gli altri, il rifiuto
immediato di accogliere ogni richiamo o freno o intralcio che venga da dentro.
C’è un modo di procedere assai diffuso che è sostanzialmente passivo e
gregario, assai più di quanto non piaccia credere e ammettere, più regolato da
sguardo comune e da autorità esterna che da proprie autonome scoperte, che
costerebbero per essere raggiunte passaggi interni difficili, che
richiederebbero saperli vivere, patire e capire. Capire se stessi, capire come
si procede e con quali toppe e controtoppe, con quali insufficienze, per dirla
con un eufemismo, di conoscenza di chi si è veramente e che si potrebbe
scoprire ascoltando il proprio sentire, ansie comprese, senza omissioni e
fughe, tutto questo è spesso compito ancora non svolto. Se stessi è territorio
ancora inesplorato, incompreso, mai coltivato tenendo unito pensare e sentire.
Parlo di un lavoro di conoscenza di se stessi, tutt’altro che inutile o
inessenziale, che è ben altro dal far ragionamenti su di sé, che danno di se
stessi solo una visione parziale e accomodata, spesso ipocrita, oltre che
sterile. Insomma, partendo dalla sofferenza e dalla crisi interiore aperta e
attuale, c’è più da costruire, da creare, da sviluppare di nuovo e di proprio,
che da giustificare in ragione di traumi subiti e pregressi. Il malessere
interiore, la sofferenza nelle sue diverse espressioni, mai casuali, sempre
significative ed eloquenti, se sapute leggere ed ascoltare e non giudicare come
malate e incasellate nei vari tipi e sottotipi, per farne oggetto di
prescrizione farmacologica e non, è una potente leva o spina nel fianco per
spingere a cercare cambiamenti e trasformazioni, che richiedono un serio lavoro
su se stessi. La tesi del trauma come origine e causa della sofferenza e della
crisi è spesso tesi di comodo, che non sa comprendere che c’è più da costruire
il nuovo, che non c’è mai stato e che ancora non c’è, che trovare una remota
causa del male, che avrebbe impedito il "normale" sviluppo e lo
"star bene", reclamati come ovvi e rivendicati come diritto, a
prescindere da ciò che ancora non si è dato a se stessi e alla propria crescita
vera.
mercoledì 19 febbraio 2025
Senza gli altri non si è nulla?
Il rapporto con se stessi è reso abitualmente sterile e vano. Sembra addirittura ovvio che sia impossibile trarre da sè, dal proprio intimo null'altro che non sia il bisogno di altro da cercare fuori. Dall'esperienza nulla pare traibile e riconoscibile che non sia la cronistoria, il resoconto in superficie dei fatti e delle alterne vicende della relazione con gli altri. Il tutto letto con l'impiego della logica convenzionale, delle attribuzioni di significato, delle chiavi di lettura del pensato comune, che già dice e indirizza il pensiero, senza necessità di un lavoro di ricerca e di scoperta del vero, di ciò che di se stessi originalmente rivelano le proprie esperienze, che non sia il lavorio, più o meno macchinoso, del ragionamento che variamente combina e ricombina i pezzi di un discorso di cui non deve rendere ragione dei fondamenti di cui si avvale, dei significati di cui fa impiego, che paiono scontati. E' un lavorio e una gestione del pensiero che spesso e volentieri, tenendo lo sguardo puntato sull'esterno, cerca in altri le responsabilità e che altrettanto volentieri mette al riparo da ammissioni scomode, da interrogativi e da aperture di ricerca poco gradite. L'apparente soddisfazione per un simile lavorio di pensiero, per ciò che produce, è pari al nulla davvero compreso del contenuto dell'esperienza, al nulla da sè creato, al nulla verificato con i propri occhi e puntualmente. Il pensiero viaggia libero, la simulazione, di capire e di sapere cosa si sta dicendo, non è riconosciuta come tale e così si può vivere felici e contenti, si fa per dire. Da fuori non arrivano obiezioni, semmai c'è un'azione corale che premia e convalida il pensiero che svolazza, considerato e ben frainteso come pensiero che ha fondamento e credibilità. Intanto interiormente cosa succede? Non è detto che la parte intima e profonda regga il gioco, semmai accade che metta in campo nel sentire, in moti e sensazioni, in complicazioni emotive che senza chiedere permesso si infilano nel corso dell'esperienza, sottolianeature e accenti che vogliono essere spie, tracce vive di qualcosa che è il sotteso dell'esperienza, ciò che ne rivela il volto vero, non l'apparenza che fa comodo pensare. Cosa si cerca, dentro quali vincoli, con quali scopi, quali i punti problematici e contradditori in tutto ciò di cui si è artefici nell'esperienza? Proprio questo è al centro dell'attenzione del profondo, proprio questo vuole rendere tangibile. Sta di fatto però che la parte conscia poco si interessa di raccogliere questi contributi interiori, più interessata a far quadrare e a far quadrato nelle sue convinzioni. Perciò il rapporto con se stessi è reso abitualmente sterile e vano, il dialogo interiore non prende forma, il luogo intimo dell'incontro e dell'ascolto della propria interiorità non si ravviva e non svela la sua centralità e la ricchezza di cui è capace e tutto, sguardo e attese, si rivolge, torna a girare intorno all'esterno, unica fonte, unica risorsa, unico luogo di realtà possibile. A quel punto ecco che affermare che senza gli altri non si è nessuno diventa verità sacrosanta, detta senza pudore e con gran convincimento. In realtà senza dialogo interiore che renda visibile il vero e che affranchi dall'apparente e dall'artefatto si è tutt'altro nel rapporto con gli altri che presenza autentica e affidabile, si è portatori di bisogno di accorpamento in altro, di movimenti di aggregazione tutt'altro che accompagnati da presa di visione e da consapevolezza del loro significato vero. L'attaccamento a un'altra persona, per fare un primo esempio, casomai mosso dalla necessità di non rimanere soli e esclusi dal beneficio della cosiddetta normalità, dell'essere pari a altri, con l'altro casomai visto in grado di portare a sè quello che o meglio il sostituto improprio di quello che da sè, consono e fedele a se stessi, è più difficile coltivare, formare e fare vivere, diventa ai propri occhi, col generoso apporto della retorica dei sentimenti, amicizia, oppure innamoramento e amore. Cosa realmente si sta facendo verso se stessi e cosa si cerca realmente nell'altro vanno a finire volentieri in cantina, perchè la retorica dei sentimenti e del racconto cui piace credere, ben supportato da idee comuni, hanno facile corso. Poco importa che poi compaiano malumori, gelosie, sottili rivalità e risentimenti, pretese o prepotenze, scarso o nullo senso di vicinanza vera, sensazioni di vuoto, di aridità e di svuoto, così come altre amare scoperte poco gradite, sarà ancora la retorica dei sentimenti a mettere in salvo, a ricacciare tutta la responsabilità su altro da sè, parlando di delusioni, di scelta della persona sbagliata e via dicendo. Dedicarsi agli altri in difficoltà o svantaggiati o considerati tali, giusto per fare un altro esempio, diventa virtuoso a prescindere da ciò che si sa portare, che si va a mettere nel rapporto e a cercare. Privi di filo di verità su se stessi, mai cercato e tessuto con cura, c'è da dubitare che si possa portare altro che costruzioni retoriche e movimenti non limpidi, in cui casomai è più il beneficio portato a se stessi, nel dare qualche riempimento alla propria esistenza, nel segnalarsi al proprio e all'altrui sguardo come meritevoli, virtuosi, nel compiacersi di essere i capaci, che il vero interesse di conoscenza, di ascolto e di attenzione verso l'altro visto come soggetto e non soltanto come oggetto d'assistenza bisognoso, che si fa valere, che la retorica della cosiddetta dedizione o dell'amore verso il prossimo sa comunque ben vestire e camuffare. Sono solo alcuni esempi di ciò che, vuoti di guida e di conoscenza interiore di se stessi, si finisce per portare o per creare fuori, in un fuori reso centro vitale e realtà dentro cui cercare ogni cosa. L'inconscio ce la mette tutta per dare stimoli di vera crescita personale di cui avere cura prioritaria, per mettere prima di tutto in crisi e in discussione, per trasformare il pensiero da spiantato, retorico e imbrogliato a pensiero ben fondato, capace di stare a ciò che l'esperienza dice e rivela di se stessi, sincero, autentico, trasparente senza veli e remore, base e condizione perchè ogni affermazione che si fa si sappia da cosa trae origine e su che cosa è ben piantata. L'invito, le sollecitazioni che il profondo con continuità, a volte con forte intensità, rivolge attraverso ciò che muove nel sentire e, a saperli intendere, attraverso i sogni, a convergere e a avvicinarsi al proprio intimo, a cercare dentro sè e in unità con la propria interiorità, come sarebbe responsabile fare per non portare in giro artefatti, per coltivare invece scoperte di verità e consapevolezza, non è in genere e facilmente raccolto. Senza questo accade allora che affermazioni come quella che dice che senza gli altri non si è nulla hanno campo libero e acquistano persino dignità e valore di alta consapevolezza e matura.
domenica 16 febbraio 2025
L'impresa più avvincente
Far vivere se stessi è l'impresa più avvincente e anche
la più difficile. E' la più umanamente ricca, perchè non risolve l'esistenza
nello stare al passo col movimento comune, nel riprodurne gli argomenti, i
modelli e gli ideali, nel cavalcarne l'onda, con più o meno ambizione di
distinguersi. E’ impresa che non aspira a dare al mondo la conquista encomiabile,
la prestazione da applauso, ma a generare, a far vivere e crescere la propria
originale creatura di pensiero e di progetto. E' avvincente questa impresa
perchè nel suo compimento ogni espressione è vera e non simil vera, non ha
anima artificiale, non trova linfa, nutrimento e appoggio in altro, la gioia è
vera, la passione genuina, il credo sa da quale intimo seme è nato. Nello
stesso tempo è impresa difficile e senza limiti impegnativa, perchè nulla è
risparmiato, nè fatica, nè dolore, ma ogni tribolazione è testimone e è parte
di un processo di creazione vera, che non trova e non cerca sostegno,
contropartita o consolazione in altro che non sia il rispetto e la fedeltà a se
stessi, il desiderio di far vivere il proprio e autentico, senza
strumentalizzazione per piacere e per compiacere, senza secondi fini e senza
compromessi. Non si è soli in questa impresa perchè la parte profonda del
proprio essere non ha altro intento, altra passione, altra lucida aspirazione
che non sia quella di riconsegnare a sè la vita e il pensiero, non ceduti a
altra matrice e autorità, a altro uso che non sia la ricerca del vero e nel
fedele e pieno rispetto del corso interiore naturale, di un modo proprio, da
dentro se stessi sapientemente segnato e regolato, di raggiungere la conoscenza
di se stessi e di ciò di cui si è portatori, senza prendere lezione da altro,
senza l'attesa di farsi in qualche modo confermare e ben volere, applaudire e
gratificare. L'inconscio è maestro di vita e di autonomia. Far vivere se stessi
è quanto incoraggia e spinge a perseguire e a amare, stimolando a lavorare
sulla propria esperienza, a impiegare la capacità di aprire lo sguardo e di
formare con la guida del proprio sentire non costruzioni razionali spiantate,
ma pensiero vivo e fondato, stando dentro e assecondando il proprio cammino
interiore originale, che è cammino di ricerca, coltivando le proprie scoperte,
incessantemente, senza piegare e strumentalizzare le proprie aspirazioni al
conseguimento del cosiddetto successo, inseguendo la prestazione meritevole e
ripagata da considerazione e plauso esterni e altrui. Il mio lavoro mi ha
permesso e ancora mi permette di aiutare l'altro a condividere con la sua parte
intima e profonda il desiderio e l'impegno di compiere l'impresa più
avvincente. Come analista do l'apporto necessario per favorire e rendere
possibile il suo avvicinamento a se stesso e il suo ascolto senza preconcetto
della sua parte profonda, parte di sè che in partenza gli è sconosciuta e verso
cui c'è solo l'attesa che assecondi e comunque non intralci le idee, i
propositi e le mire consuete. Se all’inizio l’intento di chi entra in analisi è
di trattare la crisi e il malessere
interiore, che lo hanno spinto a cercare aiuto, come segno, in buon accordo col
pensiero comune, di una anomalia, di una condizione sfavorevole e limitante di
cui liberarsi, cui attraverso l’analisi, indagando nel suo passato, trovare la
causa originaria, preferibilmente esterna a sè, per metterlo a tacere, può
invece, incoraggiato a un ascolto fedele, andare alla scoperta, passo dopo
passo sgombrando il campo da spiegazioni
e da interpretazioni che gli sono usuali e preconcette, di ciò che il suo
sentire, anche difficile e sofferto, davvero vuole e sa comunicargli e portare
alla luce, riscoperto non come minaccia o segno di alterato funzionamento, ma
come richiamo, stimolo, tramite e guida per vedere il vero della propria condizione
e del proprio modo di procedere, dove di autentico e di originalmente proprio,
generato da sè e in unità con se stesso, c'è poco per non dire nulla. Rotto il
pregiudizio e scoperta la validità e l'affidabilità della proposta interiore,
via via, sotto la guida del profondo, principalmente esercitata attraverso i
sogni, prende volto agli occhi di chi è coinvolto nel cammino di analisi il
significato e si rende tangibile e coinvolgente il fascino dell'impresa di far
vivere se stesso, di coltivare e di far crescere il proprio originale e
autentico. Far vivere se stessi e non incallirsi nella difesa e
nell'attaccamento al corso abituale, dove, pur con l'illusione di essere
artefici e protagonisti di scelte e di pensieri, di fatto ci si muove nella
dipendenza dall'insieme già ordinato e concepito che circonda e che fa da
guida, da garante e da tutore, ma anche da autorità che dirige e limita, che dà
i confini della visione di se stessi e del proprio possibile, è impresa
impegnativa, ma è risposta e aspirazione degna e a misura dell'umano di cui si
è portatori. Una vita non da fuori sostenuta, vidimata e resa credibile, ma una
vita vera con sviluppo e creazione originale è ciò che dal profondo si è spinti
e incoraggiati a concepire e a amare. Ci si potrebbe chiedere se è questione
che pesi e che valga davvero questa del far vivere se stessi, se non basti ciò
che si ritiene sia già insito nel procedere solito. Cosa c'è in gioco di
importante che meriti considerazione? Procedere nel modo consueto richiede
spesso e volentieri mancata apertura e intesa con la parte intima di se stessi,
in gran parte trascurata e sconosciuta, all'occorrenza messa sotto tutela
perchè non intralci, travisata e sottomessa a giudizio e a valutazione come
fosse portatrice di inadeguatezza, di insufficienze, di difettoso
funzionamento, quando mette in campo vissuti, stati d'animo, risposte emotive
nella forma di paure, inquietudini, freni e impacci, malumori, visti come
intralci inopportuni, come segni di inadeguatezza e di insufficiente capacità
di resa, pregiudizialmente considerati come anomalie, quando in realtà
denunciano e vogliono dare occasione di aprire gli occhi, di riconoscere la
verità di un modo d'essere e di procedere tutt'altro che autonomo e fedele a se
stessi. Questa profonda distorsione del rapporto con se stessi non è poca cosa.
Senza l'aiuto e la condivisione con la propria interiorità di una riflessione
su se stessi, senza comprensione della verità del proprio modo di interpretare
e condurre la propria vita, si viaggia ciechi e persuasi che tutto corrisponda
a propria intraprendenza e realizzazione quando invece si è dentro un corso
passivo, guidato da altro, affidato a altro che da fuori pare dare conferma che
tutto va bene, che nella normalità è garantita la propria buona sorte. La
propria vita rischia dunque di percorrere strada segnata, di replicarne
sterilmente la logica e i contenuti,
poco importa se in alcuni casi con la persuasione di dire la propria con idee
contro e con esercizio di critica, che da un lato nell'oggetto della critica
trovano comunque terreno e sponda,
recinto e limiti su cui poggiare, che dall'altro si rifanno spesso e volentieri
a corrente di pensiero contro e alternativo già pronto e in uso, strada per nulla corrispondente a quella della
propria realizzazione vera e per giunta senza averne mai consapevolezza. Lo
spreco della propria vita, resa, fuor di illusioni, inutile e sterile copia
d'altro o la sua realizzazione autentica sono la posta in gioco. Far vivere se
stessi e non nella forma apparente e fasulla è la questione che conta. Non è
altro che per questo che l’inconscio agita interiormente le acque, solleva la
crisi, alimenta il malessere interiore, a ragion veduta, considerando la
questione decisiva, da non omettere, da non tenere sotto silenzio, stimolando l’insieme
dell’individuo a prendere in mano la propria sorte, a compiere il lavoro di presa
di coscienza e di profondo cambiamento necessari. Far vivere se stessi nella
forma passiva e apparente non richiede lavoro su di sé se non nella pretesa e
nello sforzo di produrre prestazione e resa secondo modelli e guide già
definite, cercare la propria realizzazione vera richiede ben altro lavoro in
unità con se stessi, attingendo alla propria fonte interiore e formando e
portando a sviluppo le basi del proprio autentico. Far vivere se stessi
autenticamente può, se si vuole, essere riconosciuta come l’impresa che conta,
la più umanamente impegnativa e coinvolgente, la più consona e consonante col
proprio intimo e profondo, la più libera, la più avvincente.
domenica 9 febbraio 2025
L'incredibile
Nel proprio intimo e nel vivo delle proprie esperienze interiori accade l'incredibile, proprio ciò che il comune pensiero intende a rovescio e con non poca fede cieca e persuasione ferrea, che non dà adito a dubbi. Accade che l'interiorità con tutto ciò che propone, anche sofferto e affatto piacevole, si prenda cura delle sorti e dell'interesse dell'individuo, che lo induca a avvicinarsi a sè, a leggere con attenzione la sua esperienza, a non trascurare ciò che è abituato a ignorare, la ricerca della verità di se stesso, dei suoi modi di porsi e di procedere, di stare in rapporto a se stesso, di spendersi nella vita. Se da un lato l'imperativo è di confermarsi, di non perdere colpi, di rimettere in pista le soluzioni, di rinnovare l'attacamento a ciò che sembra dare garanzie di riuscita e di vantaggioso procedere, dall'altro la parte profonda non perde colpi nel coinvolgere la parte cosiddetta conscia, che spesso di conscio ha solo l'imperativo di non fermare la sua corsa, in un attento esame e verifica, per capire, per vedere chiaro, per restituire a se stessi l'onere e la potenzialità di conoscersi, di conoscere e non di persistere nella marcia solita con i soliti argomenti a sostegno, quelli che la cultura d'insieme e la mentalità comune contribuiscono a accreditare, a dirigere, a orientare. Da dentro, dal proprio intimo e profondo, il primo imperativo, la prima preoccupazione è di aprire gli occhi, di dotarsi di capacità di visione propria e indipendente dai modi comuni di intendere, ben applicata alla propria esperienza da conoscere, da capire e da valorizzare, fedelmente a ciò che racchiude e che è capace di rivelare. Per essere gregari, al seguito e ben adesi a veicoli di conoscenza e a principi di senso, a codici di valore già pronti e stampati, illusi di avere autonomia pur su impianto d'altro, che già dice e garantisce, che esonera dal cercare da sè e dentro sè le basi della conoscenza, non c'è tanto da fare se non tenere su la costruzione pur spiantata e salvaguardarne la coesione e la resa. La parte profonda dell'individuo, non ci sta, vuole spingere a aprire gli occhi, a formare basi affidabili e a mettere assieme conoscenze, scoperte di significato tratte da sè e dal proprio di esperienza e di capacità di visione e di pensiero. L'interiorità dà occasione ben favorevole, con ciò che nel sentire propone funge da terreno valido e fecondo per coltivare il pensiero autonomo, ben piantato su base di esperienza e di ricerca della verità che le è insita. Non è abitualmente compresa, riconosciuta e rispettata in ciò che sa intelligentemente dare. L'interiorità se ne sente dire di tutti i colori, non solo dai luoghi comuni del pensiero diffuso, ma spesso e volentieri anche dalle pretese scoperte e dalle teorie della cosiddetta scienza, circa l'essere, nelle sue espressioni e proposte le più difficili e dolorose, solo segno e prova di cattivo stato, di incapacità, di deficit da correggere e superare, portatrice di insidie e di trappole, di anomali sviluppi e di tendenze dannose, espressioni e proposte in realtà tutt'altro che storte e malate, ma ben mirate a rendere puntualmente visibile il vero, a smuovere e a fecondare il pensiero, a non farlo stare seduto sul preconcetto. L'ignoranza della sua capacità di fare da pungolo e da guida validissima per un attento lavoro su se stessi rischia di regnare sovrana. L'ignoranza, non della luna, ma di ciò di cui è portatrice la propria interiorità, rischia di avere il sopravvento, non alimentando di certo, lo si comprende quando si va a scoprire, al rovescio dei luoghi comuni, l'incredibile di cui è capace, il proprio bene.
sabato 8 febbraio 2025
Il lavoro dell'inconscio
(Ripropongo
oggi questo mio scritto, perchè ritengo possa aiutare a comprendere ciò che
l'inconscio può offrire e a sentire più vicina questa parte preziosa e
irrinunciabile del nostro essere)
L'inconscio
interviene di continuo nella nostra esperienza, sia attraverso i vissuti (il
nostro sentire) e governando nel suo insieme il corso della nostra vicenda
interna, sia in modo privilegiato, illuminando il nostro cammino interiore, con
i sogni. Contro i tentativi, avvalendoci dell'iniziativa e del filtro della
razionalità, di mantenere sostanzialmente intatta e a noi compiacente la nostra
visione di noi stessi (tanti accadimenti interiori fastidiosi o imbarazzanti
passati sotto silenzio, lasciati scorrere via o fraintesi e manipolati a
piacimento col ragionamento), l'inconscio non ha pudore, "pietà" o
riserbo di intervenire e di insistere, senza chiedere permesso e
sorprendendoci, perché di noi sappiamo, vediamo, cogliamo ciò che importa, il
vero. L'inconscio è attivo perché non rimaniamo passivi o altro da noi stessi.
Per passività intendo il quieto aderire al dato e al pensato comune e abituale,
la riproduzione di un pensiero e di una visione di noi stessi che, se anche in
apparenza convincenti e verosimili, in realtà altro non fanno se non ripetere
ciò che già è stato concepito e detto, ciò che ci torna comodo credere.
L'inconscio è la parte di noi che agisce e che lavora perché non evadiamo da
noi stessi, perché sappiamo di noi, perché transitiamo nelle pieghe del nostro
essere, perché vediamo, anche a costo di ferirci e di soffrire, ciò che ci
spetta, ciò che ci è necessario conoscere. Nulla di ciò che si propone a noi
nel nostro sentire è casuale, bensì è traccia e guida per prendere contatto e
conoscenza viva di aspetti del nostro essere, del nostro modo di procedere, di
questioni, anche non semplici, che abbiamo vitale necessità di elaborare, di
capire. L'inconscio suggerisce e offre di continuo attraverso il sentire
spunti, occasioni, crea trame e sviluppi utili per capire. Il lavoro
dell'inconscio raggiunge il suo apice creativo nei sogni, che, se ben intesi,
analizzati e compresi, si rivelano impareggiabili mezzi per guardare dentro noi
stessi, per conoscere, per crescere. Se compreso e fatto proprio l'aiuto
dell'inconscio è assolutamente decisivo per trovare il proprio spessore umano e
di pensiero, per scoprire le proprie vere potenzialità e il proprio progetto.
Accade però che, ignari e impreparati a tutto questo, ci si senta non di rado
delusi o semplicemente disturbati da ciò che succede dentro se stessi, che si
giudichino le esperienze interiori (che per intero l'inconscio regola e
dirige), quando discordanti dalle attese o disagevoli, come inopportune, come
limitanti, come dannose, arrivando, se insistono, a definirle un
disturbo, una patologia. Diffusa e prevalente la tendenza a escogitare, a farsi
consigliare, a applicare rimedi, spiegazioni che aiutino a ripianare, a
mettere a tacere l'esperienza interiore scomoda e sofferta. La psicoterapia
stessa è spesso cercata e non di rado nasce con simili auspici, in
contrapposizione a parte di sé interna vissuta come nemica, con desiderio di
disarmarla, di rimetterla in riga o di erigere una sicura barriera contro ciò
che sembra solo molesto, pericoloso e incoerente. L'inconscio non si fa
plagiare e zittire. Se aveva ragione di smuovere, di porre in crisi la
stabilità interiore per favorire sviluppi, processi conoscitivi nuovi,
cambiamenti necessari, se inascoltato e incompreso, seguiterà nel tempo e con
rinnovata forza a riaprire la ferita, pur col rischio che si torni ottusamente
a parlare di semplice ripresa del disturbo, di "ricaduta" di malattia
e che si torni a schierarsi contro l'iniziativa interiore anziché disporsi ad
ascoltarla e a capire. Nel rapporto con esperienze interiori difficili e
sofferte il vero problema, la vera insufficienza o anomalia non è nel
(presunto) corso sbagliato o insano di ciò che si prova, che si vive
interiormente, anche se doloroso e accidentato, ma sta nel non essere capaci di
entrare in rapporto e in dialogo con la propria esperienza interiore, con
l'inconscio, sta nel non avere ancora capacità e opportunità di capire.
Cominciare a fidarsi della propria interiorità, fino ad aprirsi totalmente e
senza preclusioni al proprio corso interiore, imparare ad ascoltare la voce e a
cogliere l'intima proposta del proprio sentire, capacitarsi dello straordinario
lavoro svolto dal proprio inconscio dentro i sogni, intenderlo, capirlo,
assimilarlo, farlo proprio, seguire con attenzione il percorso di ricerca e di
trasformazione tracciato dall'inconscio attraverso il succedersi dei sogni e
dei vissuti... questo un'esperienza analitica ben fatta cerca, fa vivere e
realizza. L'inconscio apre crisi, movimenta il quadro interiore, rompe
equilibri, per condurci con fermezza, costi quel che costi, verso noi stessi,
verso la nostra capacità vera di vedere con i nostri occhi, di pensare, un
pensare che abbia guida e fondamento dentro ciò che sperimentiamo intimamente,
che sia comprensione fedele della nostra esperienza. Il nostro inconscio spinge
perché, non ignari di ciò che siamo e che possiamo, mettiamo al mondo il
nostro. Come analista da oltre vent'anni lavoro avendo per maestro l'inconscio.
Se aiuto l'altro a rivolgersi alla sua interiorità, all'ascolto del suo
profondo, so di non fargli acquisire un armamentario inutile di formule e di
spiegazioni, so di non condannarlo a rimanere vittima del suo corto respiro e
pensiero, ingabbiato dentro una visione di sé e delle sue possibilità precostituita
e chiusa, ma so di avvicinarlo alla fonte della sua conoscenza e della sua
rinascita come individuo davvero autonomo, capace di trovare la sua guida
dentro se stesso e di dare volto e contenuto propri alla propria vita.
(16/4/2007)
sabato 1 febbraio 2025
Le emozioni
Le emozioni chiedono di essere prima di tutto
avvicinate e comprese da chi le vive. Spesso prevale invece la pretesa e
l'attesa di dare loro espressione, come se non ci fosse altro scopo utile e
interessante che mettere fuori ciò che si prova, come se non ci fosse da
chiedere a se stessi, da perseguire altro che di avere coraggio o meno,
disinvoltura o meno di farlo. E’ ricorrente l’invito a non tenersi tutto dentro
di emozioni e stati d’animo, come se questo, particolarmente se il sentire è arduo e non piacevole, recasse a sè solo danno o come se
andasse sprecato, se non espresso e messo fuori, il valore e il potenziale di
ciò che si prova. Le emozioni, gli stati d'animo, ogni moto interiore non ha
contenuto e significato banale di evidente e immediata comprensibilità,
non è la copia e la ripetizione di altro analogo, di cui si presume di
conoscere già il significato. Ogni emozione, moto interiore, ogni vissuto ha un
significato e un intento originali e unici, ha un senso, vuole rendere
tangibile e riconoscibile qualcosa di vero di se stessi, mai scontato o
presumibile. E' frequente, per non dire abituale, distinguere e contrapporre emozioni positive e negative, con ciò ribadendo la pretesa dominante e regolatrice, che si vorrebbe detenere rispetto al corso e all'iniziativa della propria parte intima, che si vorrebbe pilotare e subordinare. Rispetto a emozioni, a stati d'animo, a esperienze interiori stigmatizzate come negative scatta prontamente e risalta la posizione difensiva e contemporaneamente offensiva verso e contro ciò che di intimo non si sa comprendere, con cui non si ha matura familiarità e capacità di incontro e di dialogo. Ogni proposta interiore ha intento e capacità di coinvolgere nella presa di visione del vero, reso sensibile, riconoscibile, a patto di volerlo avvicinare, recepire e vedere. Il sentire che si declina proponendo sollecitazioni, momenti e percorsi tracciati nel proprio sentire non facili, offre il terreno, pur difficile, il più corrispondente alla necessità di prendere contatto e visione del vero, con la necessità di aprire gli occhi, è tutt'altro che esperienza negativa, segnata da anomalia e da cattivo stato. Purtroppo, confinandosi nell'angusto di ciò che si considera normale e a sè favorevole, spesso modellato sull'esempio e sul pensiero comune, si finisce per dare addosso, per temere ciò che invece interiomente e per iniziativa della parte profonda di se stessi vuole essere un contributo per prendere consapevolezza, per dotarsi di capacità di comprensione di se stessi, senza limiti e barriere, senza remore, anche se la scoperta del vero può non risultare comoda. Definire negativa o senza senso, senza ragionevole motivo e utilità, un'intima sensazione e stato d'animo, pensare che vada corretto e superato è risposta e modalità segno di lontananza dal proprio intimo, di incapacità di rapporto con se stessi e di non conoscenza del significato della propria vita interiore. Che lo si faccia con un'emozione e con uno stato d'animo, che lo si faccia con un sogno, distinguendo un bel sogno da un sogno brutto, dal cosiddetto incubo, prontamente liquidato come negativo e da dimenticare, anche se è un fior di sogno con straordinaria capacità, messa in atto dal profondo, di promuovere la presa di coscienza e la conoscenza di sè, applicare questa distinzione e mettere già in atto una risposta discriminante e cieca, è ciò che di certo non favorisce il dialogo fecondo con se stessi, l'apprezzamento della validità, dell'opportunità e dell'affidabilità di ogni proposta della propria interiorità, del proprio profondo. Ogni momento e espressione della propria vita interiore, ogni
emozione interviene non casualmente, racchiude una proposta e un suggerimento
che ogni volta vanno intesi nel loro originale e unico, perciò ogni emozione va
avvicinata e partecipata intimamente da chi la vive e non prontamente liquidata
e messa fuori, va ascoltata con attenzione e senza impazienza perché sia
compresa. E' intelligenza assai fine quella del sentire, è l'intelligenza dell'inconscio, della parte profonda di se stessi, che per intero lo modula e lo dirige, che vuole guidare alla
consapevolezza, nulla di sparato per caso, nulla di avulso e di meccanico, come
accade con i pensieri costruiti col ragionamento. Ciò che il sentire, ciò che
le emozioni e i moti interiori sanno svelare è molto vicino e corrispondente a
se stessi, è fondato, è vero. Il comune pregiudizio è che le emozioni non abbiano dalla loro lucidità e intelligenza, che siano risposte automatiche, viscerali, un pò rozze, viziate di parzialità e di miopia, prive di accortezza, riservando invece la facoltà di accorta e lucida visione al pensiero razionale. Si pensa che le emozioni rischino di confondere la visione, tant'è che si usa dire che le cose per essere ben comprese vanno viste a mente fredda e non sull'onda delle emozioni. Che le emozioni non vadano liquidate e velocemente trattate, ma ascoltate e ben intese attentamente e fedelmente nel loro dire, che non è affatto cieco e banale, bensì oltremodo intelligente, è una necessità da rispettare, che non vadano rivestite subito di significato scontato e convenzionale è altrettanto importante. Quando invece, è prassi molto comune, le emozioni sono trattate e spiegate sbrigativamente con presunzione di saperne già il significato, dato per ovvio e evidente, quando sono messe velocemente da parte con l'arbitrio di fissarne i limiti di affidabilità, per consegnare al pensiero razionale il compito e la facoltà del chiarimento e dell'approfondimento del significato dell'esperienza, assai facilmente viene fuori da queste produzioni razionali tutt'altro racconto e storia rispetto al vero dell'esperienza. Il pensiero razionale senza la guida e il supporto del sentire, per quanto estro e acume si convinca di mettere in campo, non può fare altro infatti che rimescolare il già detto e concepito con la fatale conseguenza di produrre idee incongrue e senza attinenza col contenuto vero dell'esperienza, che proprio il sentire ha capacità di mettere in luce. La questione dunque è la comprensione e la valorizzazione di quanto le emozioni sanno dare e dire. Pensare di tenerle o sotto controllo o di disporne come si fa con un ciò che si ritiene minore e subalterno da governare e usare a discrezione, è veramente sciocco oltre che deleterio, perchè amputa le proprie possibilità di conoscenza di se stessi e del vero insito nella propria esperienza. Il maluso, sarebbe meglio dire il maltrattamento esercitato in vario modo sulle emozioni e l'arbitrio sul loro conto trovano sostegno nel modo comune e ritenuto normale di considerarle. Scaricare, sfogare, mettere fuori, liberarsi di emozioni soprattutto se difficili, autorizzandosi a farlo perchè le sensazioni poco piacevoli sono senza appello giudicate nemiche e dannose, è tutt'altro che modalità rara. Questo, che pare sensato e utile, equivale a sbarazzarsi di un che di prezioso che ha da dire e che vuole portare più vicino a sè e alla verità, significa farne
solo uno scarto, un rifiuto da buttare. Accade poi e non raramente che le emozioni siano usate per compiacere, per attrarre
consenso, per ottenere vantaggi, che siano enfatizzate o addirittura
manipolate o recitate per simulare ciò che piace, che stupisce, per coprire e
mistificare ciò che è più autentico. Sia che ci si voglia sfogare, che ci si voglia
liberare, scaricando ciò che interiormente pare sgradito, che malamente si
giudica a sè dannoso e insopportabile solo perchè risulta poco piacevole, sia
che si dia priorità all'istanza di manifestare e di esprimere il proprio
sentire, di manipolarlo in ossequio e in conformità ai gusti correnti, che premiano la cosiddetta spontaneità, l'estroversione, la trasparenza e la solarità o altre amenità simili, rispetto a quella di rispettarne il corso originale, di rimanergli fedele, di difenderlo e di custodirlo nell'intimo per ascoltarlo con
attenzione, per comprendere ciò che le proprie emozioni autentiche vogliono davvero condurre a
capire, si rischia di fare sciupio di una risorsa fondamentale. Si rischia, senza avere consapevolezza di ciò che si sta facendo e del danno che ci si sta arrecando, di scaricare nei rifiuti, di banalizzare e
di fraintendere, di manipolare e di strumentalizzare, per trarne vantaggio d'immagine e per disciplina di consenso, qualcosa di sè di intimo e di prezioso, da cui viceversa, se saputo salvaguardare, rispettare e acquisire nelle sue autentiche forme e
intenzioni, valorizzare nella sua capacità di dire e far capire, si può ricevere tantissimo in termini di conoscenza di se stessi, di sviluppo di autonomia di pensiero e di capacità di governo della propria vita.
domenica 26 gennaio 2025
Conoscere se stessi
La via per conoscere se stessi è quella dell’incontro col
proprio intimo e profondo, dell'ascolto della propria interiorità, non quella
basata sull'impiego unilaterale del pensiero razionale, che, senza stretto
legame col sentire e senza la sua guida, illude chi ne fa uso di conoscersi
attraverso qualche costruzione logica, in apparenza coerente. E' frequente in
questi casi cercare sostegno e guida in libri e in teorie varie, nutrendo la
persuasione di trovare sicuro fondamento per la conoscenza di se stessi nella
autorità di qualche presunto esperto o maestro, che sul terreno della
psicologia sia il capostipite o il discepolo di un indirizzo classico o l’esponente
di nuove scuole non fa differenza, considerato capace di garantire spiegazioni
valide e attendibili, come ci fosse attorno all’esperienza e alla realtà
interiore un sapere capace di anticipare, ovunque e per chiunque, le risposte,
un sapere che sa già, valido per tutti ed esauriente. Senza rapporto con se
stessi, senza ricerca viva, senza ascolto e dialogo con la propria interiorità,
senza sviluppo di capacità riflessiva che permetta, non di parlargli sopra, ma
di aprire gli occhi su ciò che il proprio sentire rende tangibile e
riconoscibile, nessuna conoscenza fondata e affidabile è possibile. La vicenda
interiore di ogni individuo è singolare, sa dove condurre, è capace, ben
guidata dal profondo, di offrire la base viva di una conoscenza unica e mai
scontata. Col sentire, col succedersi, mai casuale, di emozioni, di stati
d'animo, di spinte interiori, che, momento dopo momento, accompagnano
l'esperienza e, in modo superlativo, con i sogni, il profondo, magistralmente,
sa tracciare il cammino di ricerca e offrire il nutrimento, che ovviamente va
saputo fedelmente intendere, fare proprio e assimilare, alla conoscenza di se
stessi, che, così vera e consona a se stessi, non può essere raggiunta in
nessun altro modo e attinta a nessuna altra fonte. Anzi, il rischio, prendendo
da altra fonte le risposte, incamerandole e rimasticandole col ragionamento, è
di produrre lontananza da sè, incomprensione con se stessi. Questa di porre al
centro e a fondamento della conoscenza intima e personale il rapporto e
l'ascolto della interiorità, del profondo, è la scelta che prima di tutto ho
fatto con me stesso. Senza la mia personale esperienza analitica, senza il
lavoro su di me, senza ricerca viva continua e esercizio di riflessione e di
dialogo con la mia interiorità, non avrei potuto e non potrei offrire nulla, se
non costruzioni artificiali, casomai apprezzate, ma sterili e avulse dalla
verità intima e viva, non avrei portato nella mia vita e nel mio lavoro se non
chiacchiera o tecnica presa e appresa da qualche parte e mestiere. Mi sono
proposto nell’esperienza analitica con l’altro, di non dire e di non introdurre
nulla che non si rendesse riconoscibile nel vivo della sua vicenda interiore.
In ogni momento cerco di passare attraverso esperienza viva e ascolto, per evitare
che prenda il sopravvento il pensiero preso da altra fonte e riplasmato col
ragionamento, pensiero ingannevole che oscura e che non lascia accogliere e
valorizzare ciò che, passo dopo passo, il corso della vicenda interiore sa e
vuole proporre e dire. Propongo all’altro di avvicinarsi a se stesso, di
rivolgersi sempre alla sua esperienza interiore come sicura base e veicolo di
incontro con se stesso e di scoperta del vero, incoraggio la fiducia nella sua
interiorità come guida e maestra, dandogli modo di scoprire e di toccare con
mano che tale è e sa essere. Se non avessi aperto e se non aprissi di continuo
agli svolgimenti e alla dialettica interiore, se non mi fossi educato a questa
apertura e valorizzazione dell’interiorità, partendo dal rapporto e dal dialogo
con la mia interiorità, sarei finito e finirei fatalmente per esportare, per
girare sull'altro e per rinsaldare in lui un atteggiamento manipolativo, spesso
già presente in lui, nei confronti delle vicende e delle vicissitudini
interiori, di impaziente bisogno di tenerle a bada e di risolverle, di
spiegarle col ragionamento e non di imparare riflessivamente a raccoglierne
ogni volta, in ogni momento la proposta e l'intelligenza insita. E’ un
atteggiamento manipolativo che rischia di essere presente e di porsi a
fondamento di non poche psicoterapie, tanto in apparenza benevolo e soccorrevole,
tanto in apparenza rivolto a intendere e a capire l’esperienza intima, quanto
in realtà capace di segnare lontananza e rottura con l’interiorità, che non è
oggetto da indagare, su cui esercitare un lavorio di spiegazioni e di
interpretazioni, che ancora meno è oggetto da correggere e da risistemare con
pregiudizio circa ciò che sarebbe valido e funzionale ottenere, ma soggetto
vivo che, sapientemente e accortamente, in tutte le sue espressioni anche le
meno piacevoli e facili, comunica e dice
ciò che è di vitale importanza comprendere di se stessi, che è l’unica fonte capace
di formare, di indirizzare e nutrire la conoscenza di se stessi, la scoperta
del vero. Il rischio è, pur con la parvenza di un lavoro di presa di
consapevolezza, di rendere ancora più forte una sostanziale incomunicabilità
con se stessi. Senza scoperta di verità e di significati passando attraverso se
stessi, attraverso vero e rispettoso ascolto e dialogo con la propria
interiorità, si finisce fatalmente, sia facendo da sé, sia non poche volte con
l’aiuto di una psicoterapia, per avvalersi e per far valere preconcetti,
risposte automatiche e preconfezionate, non riconosciute come tali, accreditate
invece come valide, intrappolandosi nella ricerca di risposte e di spiegazioni
pronte o artificiali del ragionamento e non profondamente e originalmente
proprie, non fondate sul proprio sentire. Senza stretto vincolo con l'esperienza
interiore e senza riconoscere e valorizzare la sua funzione guida, è fatale nel
rapporto con le difficoltà interiori la rincorsa a cercare antidoti e soluzioni
liberatorie, che in realtà sono atto liberatorio verso e contro se stessi,
altro dalla ricerca dell‘incontro e del dialogo con ciò che vive dentro se
stessi, dall’ascolto e dalla scoperta di ciò che il proprio profondo sta
proponendo e promuovendo, che, anche quando arduo e sofferto, è il solo capace,
consono a se stessi e da se stessi profondamente originato, di dare contenuto
vero e senso alla propria vita.
mercoledì 22 gennaio 2025
L'intento dei sogni
Non è raro che un sogno tocchi particolarmente la
sensibilità del sognatore e lasci in lui una traccia, un seguito, capace di
influenzarne l'umore, la giornata. Che vogliano incidere è nelle intenzioni dei
sogni, di tutti i sogni, anche di quelli che non hanno così forte impatto. C'è
in ogni caso volontà di coinvolgere, di persistere, di ottenere ascolto. Perché
possano incidere davvero è necessario però che i sogni siano compresi e
acquisiti in ciò che intendono comunicare e dire, cosa non facile, poco
probabile purtroppo per come vengono abitualmente intesi e letti. Dei sogni si
pensa spesso ciò che non sono. I sogni non sono fantasie, non sono espressione
di desideri inappagati, sono pensiero, di cui l'inconscio è capace, acutissimo
e calzante, il più adatto a descrivere la situazione interiore di chi sogna, a
porgli questioni di capitale importanza e di estrema attualità per lui. Se si
leggono i sogni in chiave concreta e banale, riferendo tutto sempre al rapporto
con l’esterno, con gli altri, adagiandosi su modi di pensare e di intendere i
significati convenzionali, cosa che capita frequentissimamente, non li si
comprende affatto. I sogni usano il linguaggio simbolico, il più adatto e
valido per guardare dentro se stessi, per
riconoscere la propria realtà oltre la crosta di superficie dei fatti e portandosi
oltre la logica comune, oltre la barriera del proprio pensare solito, in larga
parte chiuso su se stesso e preconcetto. Ad esempio la presenza nel sogno di
una persona non significa che si sta parlando di lei concretamente, della sua
incidenza nella propria vita, della relazione con questa persona e delle
problematiche che ne derivano. La presenza della persona nel sogno, andando a
cercare e tenendo conto di ciò che la caratterizza agli occhi del sognatore, dà
volto e serve a ritrarre una modalità, un atteggiamento, un’espressione che in
quella persona è più marcato e più facilmente riconoscibile, ma che appartiene
alla personalità del sognatore. L'inconscio non vuole parlare di quella persona
là fuori e delle questioni di rapporto con lei, ma, inserendo la sua presenza
nel sogno, vuole dare volto, rendere riconoscibile una modalità, un aspetto
della personalità del sognatore e far comprendere il modo in cui agisce all’interno
di se stesso e in cui è trattata sempre all’interno di se stesso. Lo scopo che
persegue l’inconscio nei sogni è sempre la conoscenza di se stessi, di ciò che
si svolge interiormente, che è proprio ciò che è fuori dallo sguardo abituale
del sognatore, tutto puntato all’esterno di sé e fortemente incline a far
discendere e dipendere tutto da cause e
da fattori esterni. Per intero in tutti i suoi componenti, siano persone,
animali, luoghi o cose, il sogno descrive simbolicamente parti vive del
sognatore. I sogni non sono affatto caotici e privi di costrutto, non sono un
insieme disorganico e casuale di frammenti di ricordi, di fatti della giornata
che ritornano e che l'inconscio registra e rilancia passivamente, non sono produzioni
fantasiose, sono elaborazioni di pensiero estremamente attento, affatto vago e
buttato lì in modo sparso e disordinato. Il pensiero che l'inconscio vuole
comunicare e guidare a formare attraverso il sogno è lucidissimo e di estrema
precisione, nulla è inserito nel sogno, fin nei più minuti particolari, per
caso. Tutto organicamente all'interno di un sogno compone un pensiero, un
significato, che certamente non è di immediata comprensione e riconoscibile con
la presa razionale, perchè non è omogeneo e parte di ciò che il sognatore è
abituato a pensare, ma viceversa segna la conquista di una visione più
approfondita e vera. Il sogno ha capacità, se inteso fedelmente e compreso, di
aprirgli gli occhi in modo nuovo, non condizionato da preconcetti e da
interessi che non siano di riconoscere il vero. Il sogno non arriva mai per
caso, non arriva sotto la spinta e l'urgenza di un movente esterno, di un
accadimento, di una causa capace dall’esterno di determinarlo. Il respiro e
l'orizzonte del sogno vanno ben oltre l’incidenza e la contingenza dei fatti
quotidiani, semmai l'inconscio sa valorizzare momenti dell'esperienza, che sa
richiamare nel sogno, per ciò che sanno rivelare di se stessi, inserendoli
dentro una trama di riflessione e di pensiero che vanno ben oltre. Non c'è
sogno che non sia capace di dare risalto a ciò che è importante e decisivo da
riconoscere per il sognatore, che non sappia porre al centro la riflessione su
se stesso, l'individuazione dei nodi fondamentali della sua vita da chiarire e
da sciogliere. Non c'è nulla di più vero, reale e rispondente alle necessità di
presa di coscienza e di crescita di un individuo, dei suoi sogni in ciò che
vogliono rendergli riconoscibile di se stesso, nelle questioni che vanno a
rischiarare. Il pensato o meglio il preconcetto comune è che se da un lato c’è
la realtà con i suoi temi, con le sue necessità e urgenze, dall’altro ci sono i
sogni che parlano d’altro un po' fuori dal mondo, un po' etereo e senza base e
rispondenza con ciò che più conta e tocca da vicino la sorte di ognuno. Nulla
di più falso, di meno corrispondente a ciò che i sogni sono e hanno capacità e
intento di dire e di dare. Semmai rispetto a una visione quotidiana della
cosiddetta realtà, che non rivela ciò che è implicato per ognuno, ciò che è
cruciale, i sogni vanno proprio a toccare i punti vitali, a svelare ciò che
ognuno sta facendo di se stesso, i suoi modi di procedere, le questioni insolute,
le implicazioni vere. Il racconto che ognuno fa di se stesso e della propria
esperienza poggia su idee e fa suo l’impiego di schemi, di attribuzioni di
significato convenzionali, che non corrispondono affatto alla verità insita
nella propria esperienza. C’è poi la tendenza a sorvolare, a aggiustare i significati
dell’esperienza che si vive e di ciò di cui si è autori e responsabili, a
renderlo conforme a ciò che più rassicura. I sogni non seguono questa tendenza,
viceversa portano lo sguardo nell’intimo vero e non rinviano la presa di
coscienza di ciò che è conseguente a scelte e a modi di procedere abituali.
Niente di astratto e etereo, niente di fantasioso, il pensiero promosso dai
sogni è il più vicino e reale possibile. Se in ogni singolo sogno è racchiusa
intelligenza di ciò che sta accadendo all’individuo, non c’è discontinuità o estemporaneità
di iniziativa dell’inconscio di sogno in sogno. Ci sono sogni che a volte
insistono e si ripetono nel tempo, sogni ricorrenti che se battono e ribattono
sullo stesso tasto significa che quello è un punto fondamentale da affrontare e
da acquisire. Al di là di questo,
scorrendone tutta la produzione, i sogni fatti di seguito nel tempo, questo
anche considerando l’intero arco di vita, sono tutti interconnessi, non c'è un
susseguirsi di sogni casuale, c'è un filo che li lega, c'è uno sviluppo di
ricerca che li vede uniti e in consonanza tra loro. I sogni, in concordanza con
tutto ciò che si svolge interiormente sul terreno del sentire, di entrambi,
sogni e sentire, è ispiratore l’inconscio, contribuiscono in modo decisivo a
chiarire le ragioni e il senso del malessere interiore, della crisi che ha
investito l’individuo, a farne comprendere e a promuoverne lo scopo. Il
percorso di avvicinamento a se stessi, di scoperta e di conoscenza di se
stessi, di presa di visione del vero, di profonda trasformazione che ne deriva,
come accade nel corso dell’esperienza analitica, di una valida e ben condotta
esperienza analitica, è indirizzato, alimentato con grande maestria e saggezza
dai sogni, che esercitano un ruolo guida fondamentale e imprescindibile. Non ci
sono sogni negativi o brutti, che, al di là dell’apparenza, se compresi, si
rivelino tali, anzi incubi e sogni cosiddetti brutti hanno un alto potenziale
comunicativo, racchiudono una capacità di illuminare, di dare consapevolezza,
senza nulla tacere o addomesticare per comodo nella ricerca del vero, che non
ha eguali, perciò, se intesi e fatti propri nel loro autentico significato,
sono prezioso alimento per la propria crescita. Quando nel vivo di un’esperienza
vissuta in sogno ci si trova a vivere un che di angoscioso, di tremendo, di inquietante
anche in forma estrema, capita che presto al risveglio ci si dica che per
fortuna si trattava solo di un sogno, con ciò provando o rischiando di
cancellare ciò che l’inconscio ha voluto e saputo rendere così tangibile e
coinvolgente. Non si è trattato di una falsa percezione, di una paura
irrazionale, di una angoscia dettata da un momento di particolare debolezza o
stress, come si usa dire, ma nel sogno ha voluto rendersi riconoscibile
qualcosa di assolutamente vero, che va saputo intendere non nella chiave
concreta, ma per ciò che significa nella verità del proprio modo di condurre la
propria vita e il rapporto con se stessi. Se si impara a intendere, a rendersi
familiare e a fare proprio il linguaggio interiore, come accade dentro e
attraverso l’esperienza analitica, se si smette di guardare solo l’esterno, di rimasticarne
la logica e di leggere tutto con le
lenti del preconcetto, i sogni sanno essere le guide e l’alimento più valido
per capire, per conoscersi, per leggere la propria vita e il cammino che si sta
facendo.