sabato 6 aprile 2024

L'analisi: chi conduce chi?

Premetto che si impiega il termine analisi per definire una varietà disparata di approcci e di esperienze assai diverse tra loro. Nel mio scritto parlo dell’analisi e del percorso analitico, come da tanti anni da analista propongo e pratico, che mette al centro il rapporto col profondo, che riconosce a questa parte del proprio essere un ruolo essenziale e decisivo nella conoscenza di se stessi e nel promuovere la propria autentica realizzazione. E’ motivo di sorpresa per chi inizia questo percorso analitico ritrovarsi non già nella posizione di chi col ragionamento cerca di condurre il discorso, di dirigere l’attenzione verso ciò che considera importante e centrale per capire se stesso, ma nella posizione di chi è guidato nel percorso di conoscenza da una parte di se stesso, parte intima e profonda, fino ad allora trattata e pensata più come oggetto di indagine che come soggetto di discorso. Compiere questa inversione è fondamentale e apre uno scenario totalmente nuovo. Chi arriva in analisi è convinto di poter definire già il campo di ricerca, i punti cruciali, le questioni che lo riguardano. L’aspettativa è di indagare più attentamente e in profondità, preferibilmente nel passato remoto, per arrivare a mettere in luce i fattori condizionanti e le presunte cause, fatte risalire a responsabilità di altri preferibilmente, del proprio malessere. L’idea, se presente, circa l’inconscio è che possa attraverso l'analisi rendere finalmente riconoscibili episodi critici e verità della propria biografia nascoste, rimosse e tenute dentro questa sorta di contenitore, di strato profondo della psiche, perché troppo dolorose o inammissibili alla coscienza, che dove finalmente emerse e riportate alla consapevolezza segnerebbero una svolta, la liberazione da blocchi e da trappole interiori limitanti e distorcenti il proprio sviluppo e benessere. Sottesa all'impiego di questa teorizzazione, al favore per questa rappresentazione dell'inconscio, la posizione vittimistica, la tesi, del tutto conservativa e deresponsabilizzante verso se stessi che dice: se non ci fossero state condizioni avverse e sfavorevoli, se non avessi subito questo o quell'altro per traumi o accidenti, per negligenze o per negativa opera e influenza d'altri e d'altro, non mi sarebbe toccato di patire sino a oggi disagi, di rimanere invischiato nel malessere e tutto di me e del mio procedere (che non è in discussione) sarebbe filato liscio e con garanzie per il mio benessere e la mia libertà di espressione. L’inconscio, chiamato dentro una simile tesi a dare sostegno coerente a questa posizione vittimistica verso se stessi, in realtà è ben altro e di ben altro è portatore e capace. Nel percorso analitico di cui parlo lo si può nitidamente vedere, toccare con mano e apprezzare. L’inconscio è prima di tutto laboratorio e genesi di pensiero, non spiantato e aggregato al pensato comune, ma riflessivo e capace di vedere nell’esperienza i significati veri, il senso. L’inconscio è la risorsa interiore di cui si dispone e del cui valore e potenziale si è in genere ignari, in grado di indirizzare in modo del tutto nuovo e inatteso la conoscenza di se stessi, portandola fuori dal labirinto dei soliti convincimenti e ragionamenti, per condurla sul terreno fecondo della scoperta del vero. Se gli si dà spazio e parola l’inconscio sa dire e orientare la ricerca con sapienza incomparabile. Lo fa magistralmente con i sogni. Esercita inoltre la sua funzione guida regolando tutto il corso del sentire, della vicenda interiore. Nulla di ciò che viviamo interiormente è casuale, è accidentale, dettato e condizionato, in una meccanica relazione di causa e effetto, da eventi e da stimoli esterni e basta. In ciò che proviamo, in ciò che prende forma nel sentire c’è sempre un intento e una capacità di segnalare, di dire.  Se si porta attento sguardo sul sentire, si può vedere ciò che il vissuto, lo stato d’animo, l’emozione scrive e descrive, delinea, sa portare a riconoscere, toccandolo con mano, sensibilmente. Fare intima esperienza, sentire è il modo più efficace di conoscere, se una cosa la si vive la si può comprendere. A far la differenza quando, con l'intento di capirsi, ci si mette in rapporto col sentire è la capacità di osservazione, di tenere a freno il commento e la spiegazione, per arrivare viceversa e gradualmente, proprio con la guida del sentire, alla scoperta, alla comprensione. L’inconscio modula il sentire, lo plasma, lo indirizza offrendo così basi e terreno vivo e efficace di scoperta di verità, compensando le insufficienze, spesso le distorsioni del pensiero e dello sguardo cosciente, non raramente parziale e astratto, incline alla ripetizione e al preconcetto, catturato dalla superficie degli accadimenti, in difficoltà nella messa a fuoco dei significati più intimi e profondi dell'esperienza. L'inconscio, spingendo avanti le emozioni, il sentire, che se ascoltato sa rendere visibili le implicazioni più vere dell'esperienza, sa aprire nuove trame e sviluppi di conoscenza, corregge i fraintendimenti, spesso di comodo, funzionali a dare a se stessi rassicurazione e conferma nelle proprie convinzioni e tesi, messi in campo dalla parte razionale, che pure si illude di essere molto affidabile, in contrapposizione con la presunta cecità e irrazionalità delle emozioni, nel chiarire le cose, nel garantire obiettività. L'inconscio non solo interviene nel sentire, nella regolazione di tutto il succedersi degli eventi interiori, delle emozioni, degli stati d'animo, delle pulsioni, per dare base e terreno sicuro di ricerca e di scoperta del vero, ma offre per la conoscenza di se stessi un contributo eccellente nei sogni, dove esalta la sua funzione guida. Lì mostra capacità mirabile di condurre a vedere dentro se stessi, lì trova espressione tutta la sua autonomia, maturità e profondità di sguardo e di pensiero. L’inconscio non è appiattito sulle cose, sulla visione preconcetta, è autonomo da vincoli, dalle aspettative della parte razionale, non è intrappolato dentro i circuiti di pensiero soliti e automatici. L’inconscio ha saputo e sa compiere lo stacco riflessivo, vedere ciò che è coinvolto nella nostra esperienza e nel nostro procedere, i modi, i perché, ciò che ci spinge, anche in ciò che tentiamo di eclissare o camuffare. L’inconscio non è interessato a risolvere, a far procedere le cose senza intoppi, a far venir a capo in fretta di eventuali difficoltà pur di procurarsi beneficio immediato, vuole la visione nitida di quel che c’è in gioco, il senso, vuole che non ci nascondiamo a noi stessi. C’è nell’inconscio una tempra e una forza di iniziativa che possono davvero sorprendere chi non lo conosce, chi non si conosce in questa parte profonda di se stesso. Posso dire che l’inconscio, che da tanti anni ascolto in svariate vicende interiori e percorsi analitici, mostra una sorta di proprietà e di tratto che ricorre, pur nella diversità dei cammini, sempre unici da individuo a individuo. L’inconscio non accetta la fatalità del diventare passivi, dell’andar dietro, del modellarsi secondo altro, dell’insistere nella simbiosi con l’esterno come unica idea di vita. Si parla infatti spesso di realtà, di senso di realtà, riconoscendo come tale solo ciò che è esterno, concreto, già concepito, in qualche modo già sistemato, ordinato, fruibile, percorribile e dato. Reale è però qualsiasi movimento di presa di coscienza, di nuova conoscenza che partorisca qualcosa di nuovo, che faccia vivere qualcosa di inatteso. Siamo realtà noi stessi, se non ci mortifichiamo nella ripetizione d’altro, siamo realtà in ciò che possiamo generare nella presa di coscienza, far vivere dentro di noi e che da lì possiamo progettare, sviluppare. L’inconscio, che è la nostra stessa matrice, ciò che siamo e che abbiamo potenziale di comprendere, di tradurre, di percorrere, di far vivere, di mettere al mondo, non compie la rinuncia, non accetta un’esistenza che non tenga conto di questa capacità di pensiero originale e di questa tensione creativa propria, un'esistenza che si riduca a fare il verso ad altro già detto, concepito e organizzato, a venerarlo come la Realtà cui aderire e su cui plasmarsi. Tanto malessere interiore che in varie forme scuote, disturba il quieto vivere di non pochi, nasce da questa tensione profonda a non rinunciare mai a guardare dentro se stessi, a non dare nulla per ovvio, a non rinunciare a riconoscersi come soggetti, come artefici della propria vita. L’inconscio non dà comunque ricette pronte e ingenue di cambiamento. L’inconscio non induce a compiere salti, non asseconda affatto la tendenza ad aggirare la difficoltà, l'interrogativo, a semplificare o a omettere. Il processo conoscitivo deve essere completo, maturo, responsabile, davvero capace di aprire gli occhi, di non ignorare, di trovare risposte valide e complete, per non fare illusori passi avanti o semplici fughe. L’inconscio non promuove cambiamenti fragili e contradditori, ambigui o insostenibili, nulli nella sostanza. L’inconscio è maestro e, sogno dopo sogno, svolge un’analisi completa, guida in un percorso conoscitivo originalissimo e nello stesso tempo di straordinaria lucidità, veridicità e profondità. Nulla, come l’inconscio nei sogni, sa essere altrettanto libero da ripetitività e da preconcetto, nulla sa coniugare in pari modo acume di sguardo, libertà e forza. L’inconscio esalta la vita, perchè esalta il pensiero, che sa cercare e riconoscere l'intimo significato vero, senza posa. L’inconscio è infaticabile e non cessa mai di dare spinta alla conoscenza, alla conoscenza che fa ritrovare il senso, che avvicina a se stessi, che rende capaci di incontro col respiro e con la complessità ricca della vita. Non ho mai incontrato tanta indomabile voglia di aprire e di conoscere come nell’inconscio. L’inconscio non fa sconti, non culla illusioni e autoinganni, la verità è sempre al centro delle sue cure, la verifica attenta passo dopo passo, combinata a eccezionale lungimiranza. Chi si affida al proprio inconscio ha la più affidabile delle guide e il miglior maestro per conoscersi, per conoscere, per arricchirsi. Una fonte interna, propria e straordinaria. Ignorarlo, vuoi per ignoranza del suo potenziale, vuoi per diffidenza, senza avere l’occasione di conoscerlo come può accadere in una buona esperienza analitica, è davvero una occasione persa, l’occasione di arricchirsi di sé. Nel percorso analitico tutto, proprio tutto si scopre e si genera a partire dalla proposta e dall’iniziativa della parte profonda di se stessi. Qual'è il compito dell'analista? L’analista svolge bene la sua funzione quando, consapevole di cosa può offrire all'altro aprendolo al rapporto col suo profondo, lo sa accompagnare nella ricerca, incoraggiando e favorendo in lui il formarsi e la crescita della capacità di ascolto e di dialogo con la sua interiorità, mettendo al centro sempre la proposta che viene dall’inconscio, cui prima di tutto spetta parola e guida. E’ una funzione delicata quella svolta dall’analista, vista l’importanza della posta in gioco, che è far sì che l’altro si congiunga alla sua interiorità e ne rispetti la proposta, ne comprenda e ne traduca fedelmente gli intenti, senza favorire invece costruzioni di pensiero e travisamenti utili solo a riportare tutto nel giro abituale dei convincimenti soliti e opachi al vero, nella presa della pratica dipendente, della adesione e rincorsa cioè di ciò che è dato comunemente per scontato, nell’imbuto del dare prova in cambio del sostegno esterno e del premio di considerazione e approvazione degli altri. Il lavoro dell’analista, se ben svolto nel rispetto e a garanzia dell’altro, non si avvale del ricorso a spiegazioni e a interpretazioni già pronte, facili da usare, ma improprie e fuorvianti. Per l'analista c’è un lavoro artigianale da fare, che certamente richiede non poco impegno di tempo e di energie e che nello stesso tempo ripaga di scoperte uniche e feconde, un lavoro consono a una ricerca che rispetti e rispecchi l’originale della proposta interiore di ognuno, che sappia accompagnare l’altro a stabilire un rapporto sempre più aperto e intimo, un ascolto e un dialogo sempre più sintono con la sua parte profonda. L’inconscio traccia, guida con mano ferma e capace, il percorso di scoperta e di trasformazione, che conduce l’individuo a diventare se stesso, non una immagine da mostrare, non una copia d’altro. L’analista ha il compito, passo dopo passo, di dare all’altro spunti di ricerca consoni a ciò che il suo profondo intende proporgli sia nei sogni che nei vissuti, coinvolgendo l’altro nella ricerca, facendo sì che via via se ne renda sempre più partecipe attivo e capace.  Coltivare con cura con la guida del proprio inconscio e portare a maturazione, lungo un percorso unico, la scoperta della verità di se stesso, diverrà per l’individuo il fondamento della sua personale autonomia, della capacità e della passione di mettere al mondo e di far vivere il proprio, originale e autentico.

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