Il modo comune di concepire l'individuo e la sua realizzazione ne prevede e ne sancisce l'essere monco. Pur passando inosservato e non compreso, lo stato dell'individuo, che concentra le sue attese su ciò che la sua parte pensante razionale e la sua volontà possono produrre e che relega la parte intima e che si esprime nel sentire, nell'insieme della vicenda interiore, nei sogni, a un ruolo subalterno e accessorio, è di sostanziale menomazione. Se il sentire e ciò che si propone nel corso interiore è in gran parte tenuto sotto traccia o ignorato, se c'è l'attesa che si concili con le posizioni del pensiero razionale e con i suoi propositi, accade che la parte più vitale, capace e preziosa del proprio essere non abbia voce in capitolo, che anzi sia trattata con pretesa e prepotenza regolatrice che rende mal accetta qualsiasi sua espressione dissonante. Diventa così un peso sgradito e è svalutato come sentire difettoso e da correggere il sentire che si declini come disagio, ansietà, senso di afflizione, sfiducia e abbattimento o altro che non sia gradito o che deluda le aspettative. Viceversa sono esaltate con compiacimento espressioni del sentire che premino e confermino le attese, che godano del ben volere e della stima comuni, che stiano al passo e in accordo con gli orientamenti e i propositi abituali, un sentire non di rado incoraggiato, quasi sospinto, se non addirittura artefatto. Completamente travisata e ignorata la capacità che ha l'intimo di dire, di dare guida e orientamento, indispensabili per non andare a rimorchio di schemi e di principi comuni e consolidati, per non rigirarsi nel labirinto del preconcetto e delle idee solite e di fabbricazione razionale, avulse e astratte, spesso di comodo e spiantate. Solo la parte intima e profonda del suo essere ha capacità di riportare l'individuo a se stesso e al vero, al cuore della sua vicenda, di dargli, con tutte le declinazioni del sentire e della vicenda interiore, anche le meno piacevoli e le più sofferte, i fondamenti e le guide della conoscenza veritiera di se stesso e di ciò che è implicato nella sua vita. Solo la sua interiorità è capace, se ascoltata e intesa fedelmente nel suo dire, di condurre l'individuo a comprendere come sta procedendo e regolato da cosa, di portarlo a vedere, a riconoscere e a comprendere non in astratto, ma per intima esperienza e su terreno vivo, ciò che sta facendo di se stesso, a capire da sè e col proprio sguardo, senza il suggerimento d'altri e il ricorso a teorie e a spiegazioni in uso, i veri significati, a scoprire e a verificare cosa è davvero importante e perchè, ciò che vale e è desiderabile e appassionante realizzare, far vivere coerentemente con se stesso. Senza l'apporto e la guida della parte intima e profonda, di cui va scoperto con cura e con lavoro paziente il valore e il potenziale, questo è ciò che dà una buona esperienza analitica, si è individui monchi, che con una forma di pensiero, razionale e orgogliosamente scissa da tutto ciò che è intimo e profondo, non orientata, plasmata e nutrita da intima guida, non può che cercare guida e indirizzo fuori, nel concepito comune e abituale. Il paradosso dell'individuo, che, per esprimersi al meglio e liberamente, ritiene opportuno e necessario disciplinare, a volte tacitare e correggere, in ogni caso rendere innocua la sua parte intima e profonda, fa vedere a che grado di irragionevole assurdo possa portare l'esaltazione come valido e normale dello stato monco, non riconosciuto come tale, come menomazione del proprio essere, come condanna a procedere nella vita senza testa vera, senza pensiero proprio e fondato, senza progetto originale. Nella condizione monca menomata altro non è possibile se non stare a un copione già scritto, recitare la parte assegnata, pur con le mille illusioni di agire e di dire la propria autonomamente. Perseguire scopi e risultati validi diventa allora inseguire successo e riuscita riconoscibile e apprezzabile dagli altri e da autorità esterna, cercare la propria realizzazione si traduce nell'eseguire a menadito ciò che è già scritto e prescritto nell'esempio e nel pensato comune come traguardi da raggiungere, come tempi da rispettare e come modi previsti per dare compimento alla propria crescita. Non c'è che dire, l'individuo monco, che si compiace della sua normalità, dello stare ben in riga con ciò che è concepito dai più e da tante voci come valido e giusto, come positivo e favorevole, finisce per compiacersi del suo stato menomato della parte del suo essere che gli sarebbe essenziale per diventare e per realizzarsi come individuo pensante per davvero e capace di dirigersi autonomamente, di generare il proprio, di non essere soltanto copia d'altro, convalidato da fuori, ma senza accordo e unità di intenti con tutto se stesso.
mercoledì 19 aprile 2023
giovedì 8 dicembre 2022
Significato e valore dei sogni
Il significato dei sogni è generalmente frainteso, il loro valore, ciò che sanno dire e dare, è ampiamente sottovalutato. La parte profonda della nostra psiche ha una capacità di sguardo sulla nostra esperienza e di elaborazione di ciò che racchiude e implica, che non ha pari e corrispondenza nella elaborazione e nella modalità di sguardo e di pensiero della nostra parte conscia. I sogni non sono residui e tracce in ordine casuale e sparso di esperienze diurne, non sono fantasiose creazioni. Non rispettano, non ricalcano i modi e la logica dei processi di pensiero razionali, che è più ciò che, portando in genere lo sguardo sul fuori e non sul dentro, contribuiscono a coprire o a ignorare dell'intimo vero della propria esperienza e di se stessi, di ciò che svelano, finendo così per rinsaldare nella testa quanto c'è di preconcetto e che piace e conforta pensare. Con un rigore e con una lucidità esemplari, i sogni sono l'espressione di una capacità di osservazione e di una volontà di ricerca del vero e di approfondimento che non hanno pari. Non c'è approssimazione, non c'è salto logico, c'è viceversa nei sogni precisione e completezza di analisi dell'esperienza, di ricerca rivolta a capire noi stessi, capacità di individuare e di dare risalto ai nodi e alle questioni cruciali e vere, che, quando adeguatamente compresa e onorata, non può che suscitare ammirazione fortissima oltre che sorpresa. I sogni sono la guida insostituibile in un percorso di analisi, sono il veicolo della conoscenza, rigenerano su basi fondate e affidabili, senza forzature e manipolazioni indebite e di comodo, il pensiero di chi ha scelto di aprirsi alla ricerca della verità di se stesso. Rompono l'abitudine al pensiero senza contatto e fedele corrispondenza col sentire, all'impiego di attribuzioni di significato prese dall'uso comune e il cui credito deriva non da scoperta e da verifica proprie ma da consuetudine e da garanzie date da autorità altra da sè, per condurre a vedere su base viva e di esperienza vissuta, a conoscere con scoperte di significato fondate e interamente riconosciute con i propri occhi alla radice e verificate. I sogni sono guida maestra di pensiero, nascono da una matrice di umano, il più evoluto, che portiamo dentro di noi, che non rinuncia mai a aprire gli occhi e a voler far vivere espressione genuina e originale di ciò che ci è connaturato e possibile. I sogni lavorano per riscattarci da visione opaca e contraffatta, da modi di intendere la nostra vita all'insegna dell'adattamento e del passivo impiego di ciò che è comune e già concepito, confondendo la nostra realizzazione con la capacità di percorrere strade già segnate e di comune credito. I sogni sono l'espressione della spinta insopprimibile, che profondamente ci appartiene, a cercare di comprendere e a far vivere il nostro, senza rinuncia a avvicinare e a prendere visione anche di ciò che può risultarci scomodo vedere. I sogni sono anima saggia e intelligente, che ci dà occasione di prendere contatto con la vita vera, di rendere vivo e sentito il valore dell'intesa con noi stessi, della scoperta fatta con le nostre forze e con i nostri occhi e del far nascere creatura di pensiero e di progetto nostri, ben più appassionanti e di pregio della gratificazione di apparire bravi o meritevoli agli occhi altrui. I sogni sono maestri di umanità vera e matura.
sabato 3 dicembre 2022
Confrontarsi con la crisi
L La scelta più deleteria, quando si è alle prese con sofferenza e crisi interiori, è porsi da subito in combattimento con quanto interiormente si sta provando, che, anche se spiacevole, debilitante e compromettente la propria consueta modalità di procedere, non per questo è una calamità, un che di ostile a sè e di nocivo. Tutto interiormente prende forma in un modo niente affatto inconsulto, il sentire pur doloroso e arduo, non è la conseguenza o l’espressione di un meccanismo guasto. C'è una parte intima e profonda del nostro essere che ha consapevolezza di quanto si debba capire e trasformare di se stessi. Questa parte di se stessi ha capacità di visione ben superiore e più lucida di quella messa a disposizione dalla parte razionale, cui in genere ci si affida per la formazione dei propri abituali convincimenti e modi di pensarsi e di pensare. Le crisi non si aprono mai per caso, sempre hanno una necessità d'essere e perseguono uno scopo di cambiamento assolutamente utile, oltre che indispensabile. Si ignorano in genere il significato e lo scopo degli eventi interiori, non solo nella mentalità comune, ma anche in quella di non pochi terapeuti, pronti da subito a aggredire l'esperienza interiore sofferta e disagevole come fosse una patologia da sanare e comunque un ostacolo da superare e non un fermo invito a avvicinarsi a se stessi, a conoscersi, a ripensarsi, a portare a compimento un processo di crescita personale sinora ignorato o malinteso come semplice adattamento e allineamento a schemi e parametri comuni. Ognuno ha necessità di trovare le proprie ragioni d'esistenza, le proprie risposte, il proprio modo di vedere e di concepire la propria vita, pena il rischio di perdersi nell'apparentemente buono e giusto delle strade già segnate dalla cosiddetta normalità. Entrare creativamente nella propria crisi interiore, imparare a capire cosa il proprio sentire dice, mettersi in contatto e in dialogo con la propria interiorità, capace di dare, di dire e di comunicare tanto di utile e prezioso, sia attraverso le emozioni, gli stati d’animo, non importa se difficili e poco piacevoli, che attraverso i sogni, sorgente di pensiero e guida di ricerca e di scoperta del vero di formidabile intelligenza e affidabilità, anzichè combatterla come fosse presenza ostile, inaffidabile e malata con farmaci e quant'altro, cominciare a fidarsi, a trovare intesa con il proprio intimo, scoprire che la crisi si è aperta per dare opportunità e non per toglierne, è cammino non facile da percorrere in cui serve un aiuto valido e capace. Curare, aiutare l'altro a prendersi cura di sè per favorire l'incontro e l’intesa con se stesso, con la parte intima e profonda di se stesso che inizialmente mette in crisi il procedere solito per aprire una stagione di cambiamento è una cosa, curare per spegnere e zittire ciò che interiormente è considerato anomalo e nocivo, per riportare allo stato solito, da cui è nata la crisi e l'urgenza di un profondo rinnovamento, è tutt’altra cosa. Questa seconda modalità di cura, purtroppo non poco diffusa, rischia di creare divisione con se stessi, di alimentare e rafforzare sfiducia nel proprio intimo, vissuto come meccanismo guasto, oltre che impedire di raccogliere tutto il nuovo e il positivo che il cambiamento sollecitato e innescato dalla crisi interiore vorrebbe produrre. Entrare dunque nel confronto e nel dialogo con se stessi, compiere il cammino di ricerca, di scoperta del vero e di trasformazione guidato dal proprio profondo, facendosi aiutare per questo scopo, per uscire più forti e coesi con se stessi, arricchiti di ciò che la crisi ha saputo promuovere, questo è possibile oltre che auspicabile.
martedì 2 agosto 2022
Cosa ti stai facendo?
Alle prese con un'esperienza interiore
critica e sofferta, sembra che tu ti rapporti alla parte intima di te stesso,
al tuo sentire come se fosse una cosa estranea, un oggetto da tenere a bada,
persino da temere e da combattere e non l'espressione più autentica e la voce
più profonda del tuo essere da avvicinare e ascoltare. Impegnato a cercare qua
e là qualche spiegazione, accorgimento o stratagemma per riuscire a contrastare
il tuo sentire, a liberartene in ciò che di disagevole ti propone, ti tieni a
distanza da ciò che provi, non lo accogli, non lo ascolti. C’è una questione
centrale relativa al soffrire, al dolore. Se il tuo sentire, che ti accompagna in
ogni istante, ansie e cadute di umore compresi e non esclusi, tu lo sapessi far
tuo, se lo riconoscessi come tua esperienza e cammino interiore, come tuo modo aperto
di percepire, come tua volontà di addentrarti e di prendere rapporto vivo col
vero che ti riguarda, proprio come ti accade nell’esperienza concreta quando
tocchi con mano un oggetto per conoscerlo da vicino o come quando, camminando a
piedi nudi, senti al meglio e riconosci il terreno, come esponendo la pelle al
contatto, come aprendo gli occhi e il cuore…ecco che non potresti certo
rifiutarti a nulla di ciò che vivi intimamente, nemmeno al dolore, a esperienza
sofferta, perché la verità non tollera che ci siano preclusioni, perché la
conoscenza di te stesso non può piegarsi alla regola o alla petizione che tutto
debba svolgersi dentro di te, in conformità a modelli astratti e convenzionali,
in modo facile, prevedibile e lineare, che debba uniformarsi a presunti
svolgimenti normali dell’esperienza. Se vuoi “essere” e fedelmente a te stesso,
se vuoi conoscere fondandoti su tua esperienza viva, passando attraverso te
stesso e non facendoti dire, non puoi mettere dinnanzi a tutto la regola del
dover essere secondo gradimento e senso comune, pretendendo che il tuo corso
interiore debba svolgersi secondo aspettative e principi comuni, che debba
essere “normale“. La cosiddetta normalità è una petizione di principio
concepita da menti corte, che vedono come possibile e ovvio solo l'adattamento
a condizioni date e che assumono il conformismo, l’andar dietro a pensieri e a
modi di procedere comuni, come norma e guida, che dell’interiorità vera e dell’essere
individui originali, fedeli al proprio essere e pensanti in proprio, non sanno
vedere e concepire nemmeno l’ombra. Mi riferisco non solo al modo comune e
diffuso di pensare le questioni e le vicende interiori, ma anche a quello di
non pochi, di troppi presunti esperti e curanti della psiche. Qui torniamo alla
questione di partenza: quante volte senti dire e ti ripeti che l’ansia è
immotivata, che toglie, che limita, che non dovrebbe esserci, che altro
dovrebbe esserci! L’esperienza interiore viva dice, rivela, disegna nel vivo le
questioni da vedere, rende tangibile e cocente una verità via via da
raccogliere e da saper riconoscere. Serve imparare a vedere dentro e attraverso
l’esperienza viva, serve dare fiducia alla propria interiorità e aprire gli
occhi su ciò che propone e che sollecita, imparando la riflessione, che è
capacità di vedere dentro l’esperienza, di vedere cosa dice nell’intimo un
vissuto, un’emozione. Anziché imparare a congiungersi al sentire, che come
piede nudo messo a terra dice dove si è e cosa si sta percependo in quel dove
della propria esperienza, si comincia invece a sparare contro presunti cattivi
modi di sentire, a parlare di ansie immotivate ed eccessive, di risposte
interiori disfunzionali, patologiche, oppure si va altrove dal luogo vivo
dell’esperienza per cercare nel passato qualche triste o problematica
esperienza, qualche trauma psichico, con l’attesa di trovare là la fonte di
tutti i mali, come se ciò che si sta provando nel presente fosse la conseguenza
di qualche pena nascosta o spina dolorosa che perdura. Sempre a credere che la
normalità di presunti equilibri immobili sia e debba essere la regola, sempre a
pensare che se c’è disagio si sia vittime di un fastidio o di un torto, che si
patiscano gli effetti sfavorevoli di un danno, di una distorsione subita,
casomai di origine remota! Quando inizia e prende piede un malessere, un
disagio, una crisi, quando tutto interiormente si smuove e si complica è assai
più probabile che tutto ciò accada perché il profondo sta spingendo, con
lucidità d’intenti e con determinazione, per un serio recupero di capacità di
vedere e di capire, di spaccare il guscio vuoto di un modo di vivere solo
tirato e regolato da adattamento e imitazione, senza nulla di sé, piuttosto che
si sia malcapitati, per effetto di qualche evento o causa esterna avversi, in
un brutto episodio o parentesi da superare o che si stia riaccendendo una ferita
del passato. Purtroppo la miopia e l’ignoranza del significato e degli scopi
che persegue la vita interiore sono oltremodo diffusi, malamente sostituiti da
facili pregiudizi o da cervellotiche teorie e spiegazioni che nascono
all’interno e che riportano tutto nell’alveo dei principi e delle comuni
concezioni. Nulla però è irreversibile. Il recupero della tua piena e totale
capacità di sentire, il recupero della tua capacità di avvicinarti a te, di non
negarti a ciò che vive in te, imparando a vedere dentro e attraverso ciò che
provi, che il tuo sentire ti offre, senza esclusioni, includendo proprio tutto,
è scopo possibile e perseguibile. Conquistare, coltivare e far crescere la tua
capacità di ascolto e di intesa con la tua interiorità è la questione centrale da
intendere, è il cambiamento cruciale da perseguire, se vuoi superare la
disunione con te stesso, se vuoi conoscere davvero chi sei e realizzare te
stesso. E’ utile, anzi indispensabile che tu venga aiutato a renderti
disponibile a ciò che senti, senza preclusioni, a dotarti di capacità
riflessiva, che ti renda possibile attingere alla tua esperienza intima. Ciò
che manca, l’ho detto in molti miei scritti, è proprio questo: la capacità
riflessiva (che non c’entra nulla col ragionare e confezionare spiegazioni sul
conto di ciò che accade interiormente), che permette di dialogare con
l’esperienza interiore, di ascoltarla e di intenderla fedelmente in tutto ciò
che dice, incluse quelle che si chiamano e catalogano freddamente come ansie, attacchi
di panico, fobie, umor depresso o altro. Trarre dalla tua esperienza interiore
viva il suo intimo significato, ciò che disegna e dice, che non è mai
sciagurato o malato, bensì valido a prendere coscienza del vero, a formare la
tua visione di te stesso e della vita, questo urge e ti serve, questo può farti
crescere e darti intesa profonda e unità con te stesso. Questo ti farebbe
uscire dalla paura di te stesso, di ciò che vive in te, di ciò che senti.
Sparare contro il tuo sentire con farmaci o con altro o fare del tuo sentire
solo il pretesto per fare lunghi giri di indagine e di ragionamento per trovare
ipotetiche cause con l’intento comunque di smontare ciò che ancora non
comprendi di te stesso è ipotesi infelice. Combattere e pretendere di mettere a
tacere il tuo sentire, mezzo validissimo e risorsa preziosa per avvicinarti a
te, per vedere e per capirti, non è certo il meglio che tu possa desiderare per
te stesso.
mercoledì 1 giugno 2022
L'inatteso
E' in genere considerato desiderabile l'ingresso nella propria vita dell'inatteso capace di rigenerarla, di offrire novità e opportunità. Desta però sorpresa negativa e timore, spesso provoca risposta diffidente e ostile, l'inatteso che prende forme sgradite e giudicate prontamente sfavorevoli e minacciose, tanto da negargli da subito apertura e curiosità. Mi riferisco all'inatteso del malessere interiore, di una crepa nell'umore, di una tensione fatta di paura e di forte apprensione, che insiste, che non concede quiete e sicurezza. In questi casi l'inatteso è giudicato subito una minaccia, un disturbo, un accidente nemico. Va però capito il senso di questo inatteso sgradito, il suo significato e scopo, anche se il senso comune, che ha stanza anche dentro se stessi, gli è da subito schierato contro e con giudizi senza appello. Se il proprio modo di procedere, saputo leggere nella sostanza vera, portando lo sguardo oltre l'abbaglio dell'illusione, è un procedere su percorsi già segnati, facendosi guidare nel proprio modo di intendere e di volere da esempio e da modelli comuni, da altro già organizzato e strutturato, facendosi dire, assecondando in modo docile e gregario, cosa seguire, cosa pensare e come intendere le cose, può farsi sentire dentro se stessi imperiosa e dura, fastidiosa quanto pervicace la presa di un sentire che ha ben preciso intento, che, seppure visto come un impiccio, un inciampo, un cedimento di forze e di stabilità, vuole imporre uno stacco, perchè è tempo di aprire gli occhi su ciò che si sta facendo di se stessi, sul proprio stato, di cominciare a vedere da sè, a concepire da sè, senza affidamento cieco. E' tempo di capire se nella vita, nella propria vita, si ha del proprio da svolgere e da realizzare, che casomai non è un prodotto già pronto da usare come un oggetto che si può trovare fatto e confezionato al supermercato. E' un proprio, il proprio sguardo sulla vita e la scoperta del suo significato, il proprio intimo progetto, che, senza pretese di immediata comprensione e definizione, va avvicinato, coltivato, stavolta non andando dietro e facendo il verso a qualcun altro, ma imparando a ascoltare ciò che si sente, imparando a seguire ciò che la propria interiorità traccia come percorso vivo di stati d'animo e di emozioni, di vissuti da abitare, seguire, intimamente comprendere, senza fare gli schizzinosi, senza lagnarsi e senza maledire la sorte se sono vissuti scomodi o poco piacevoli, quel che conta è che in quella forma sappiano dire, far capire. L'intera proposta interiore va saputa avvicinare, intendere e valorizzare, fatta di sentire e di sogni notturni. Non sono solo preziosi, ma anche insostituibili nella ricerca i sogni, autentici fari per comprendere direzione e senso dell'intera vicenda interiore di cui si è portatori. Si è abituati a pensare che la “realtà” sia il sistema di cose, di pensato e organizzato che sta là fuori, che si viva la vita solo aderendo e stando infilati in quella fiera, dimenticando o ignorando che reale può diventare ogni conquista di consapevolezza, ogni pensiero nuovo che nasce dentro e con se stessi. Intimamente concepito, senza ingenuità e senza impazienza, ma coltivando quel rapporto con se stessi e con la propria interiorità, che pochi sanno rispettare, considerare importante, davvero valorizzare, ogni pensiero intimamente e profonadamente originato e ispirato, ogni scoperta, guidata dal profondo, diventano base e leva di nuova realtà possibile. Sulla strada della ricerca interiore, spesso all'origine non voluta e non cercata, bensì spinta e imposta da malesseri e da crisi interiori, che, inaspettatamente, spingono con forza a dare più peso al dentro sè che al fuori, è possibile che si vada incontro all'inatteso, che davvero ha capacità di rigenerare e di offrire novità importanti e opportunità prima incredibili, che venga incontro e si renda comprensibile ciò che prima era inconcepibile, soprattutto perchè si continuava a dar retta ad altro, a sintonizzarsi col fuori piuttosto che col dentro. Andare verso se stessi, indugiare nell'ascolto e nel dialogo con la propria interiorità, non è un preoccupante o insano ripiegare, come spesso si pensa, tant'è che la sollecitazione prevalente è quella di uscir fuori, di investire e di rilanciare verso l'esterno le attese. Andare verso se stessi è la vera e unica occasione per rinascere protagonisti della propria vita e non gregari. Bisogna far le cose bene, trarre il meglio di occasioni di crescita dall’incontro e dal dialogo con la propria interiorità, senza paura dello spazio dato al contatto con se stessi. Dove spesso si teme ci sia solo pericolo di isolamento e di sradicamento dal reale, c’è la possibilità dell’esatto contrario. Senza aver trovato radici dentro sé, senza accordo con se stessi, senza visione propria, senza bagaglio proprio di idee vive e pienamente consapevoli, non si va da nessuna parte. Senza non rimane che continuare, un po’ illusi e un po’ rintronati, a farsi portare in fiera.
martedì 31 maggio 2022
Esistenze fragili
E' dentro forme di vita in apparenza salde e valide, al di sotto dell'apparenza fragili per mancanza di coesione, di fondamento di unità con se stessi, che nel tempo e ripetutamente si rende percettibile la paura, a volte con intensità conclamata, altre volte in modo più sfumato o attutito dalla distanza interposta nei confronti del proprio intimo da chi ne è interiormente coinvolto. Si tratta di una paura affatto immotivata e stupida, di certo non malamente e proditoriamente immessa da traumi pregressi o da vicissitudini sfavorevoli, come si è soliti ritenere. E' viceversa il segnale intelligente e testimone di verità prodotto dalla parte profonda di se stessi, che non tace l'insostenibile inconsistenza e aleatorietà dell'essere, quando malamente formato nello stampo del comune modo di intendere e di procedere, quando in nulla frutto e figlio di un legame con se stessi, di una maturazione vera. Questa paura, che già in passato poteva prendere una simile piega, ha di recente trovato più facilmente e su più larga scala occasione di incanalarsi nella paura di malattia, un binario rigido dentro cui la paura pare trovare scarico e soddisfazione, controllo e sistemazione stabile, quasi irremovibile. Difendersi da virus e da minacce invisibili, rafforzare le protezioni sembra il miglior modo di prendersi cura di sè, ristabilendo con sè una sorta di premuroso contatto, offrendo a se stessi una tutela che sembra, anche per insistita raccomandazione e per benedizione di schiere di sedicenti esperti e tutori del bene pubblico, benefica, oltre che prudente, accorta, intelligente. In realtà la distorsione è compiuta. La paura, che già da tempo serpeggiava e incalzava, aveva come scopo di segnalare che lo stato abituale del proprio modo di essere e di procedere era (pericolosamente) inaffidabile, inadeguato, non consono a se stessi, improprio, fondato più su consenso altrui e su assecondamento d'altro e comune che su consapevolezza e su autonoma capacità di orientamento e di scelta, una costruzione fragile, segno di incompiutezza e di mancata crescita vera. Ora la paura, tradotta e risolta come incentivo a procurarsi scudo per tenere intatto e immune il proprio stato, è tradita nel suo intento, fraintesa completamente nel suo significato e scopo originario e vero. Regressiva questa difesa della propria integrità a oltranza, regressivo l'investimento nella protezione dell'esistenza vigilata e cullata nel suo elementare stato di conservazione e di persistenza. Esistenze fragili blindate e protette.
giovedì 26 maggio 2022
Il rischio vero
Ogni individuo porta dentro sè una ricchezza, una fonte vitale di conoscenza e di libertà, una leva di crescita e di autonomia, di cui in genere non è consapevole. Facendo conto solo su una parte di se stesso, cosiddetta razionale, che, scissa dal legame e dal rapporto con la propria interiorità, di cui ignora il potenziale e che relega nel ruolo subalterno, non può che risultare impotente nel generare pensiero originale e fondato e che abbia senso vero. In queste condizioni l'individuo, da un lato si pone da subito e persiste in un atteggiamento ciecamente operativo, proteso a darsi prontamente, senza concedersi il tempo e l'occasione di ascoltarsi e di capire, soluzioni e risposte, dall'altro queste risposte, privo com'è, senza l'apporto fondamentale del suo profondo, da cui è scisso e lontano, della capacità di generarle, le va fatalmente a prendere in prestito da altro e da altri eretti a autorità che sa e che può istruire. Modellando il suo pensiero e le sue risposte su un sapere, su un modo di concepire e di attribuire significati già codificato, di cui non è artefice e che non ha verifica alcuna da parte sua, l'individuo si abitua a coniugare e a comporre idee e propositi, che traggono incentivo e forza persuasiva più da fuori che da dentro se stesso, privi come sono di relazione e di fondamento vivo con e dentro se stesso. Volgendo a senso unico lo sguardo all'esterno, l'individuo prende da lì, già disegnati e definiti, i temi e i binari di ricerca. Assumendo come modello e guida ciò che già è allestito, concepito e disponibile all'uso e al consumo, cerca e rincorre lì le sue occasioni di autorealizzazione, le sue fortune. La propria identità, la definizione di chi si è, l'espressione di sè passano così attraverso il filtro e le convalide comuni, diventano assunzione e esecuzione di ruoli, di parti riprodotte e recitate, diventano ciò che comanda, che rimanda e che si aspetta l'esterno, il senso comune e il sapere costituito, cui è dato il potere di sorreggere, confermare e premiare come di correggere, disciplinare e bocciare. La dipendenza da ciò che da fuori tiene le fila e regge tutto l'impianto, diventa il fulcro dell'esistenza, dipendenza camuffata, occultata ai propri occhi, per darsi l'illusione di essere artefici e protagonisti della propria vita recitata e eterodiretta. L'interiorità non sta zitta, accompagna con i suoi commenti nel sentire, con le sue elaborazioni e approfondimenti nei sogni, un simile percorso di presunta realizzazione, nella sostanza di perdita di se stessi, di inconsistenza pur dentro una messe di proclami e di apparenti successi. L'interiorità mette sul terreno dell'esperienza, attraverso sensazioni e vissuti, intralci, segni di scricchiolii, paure, sensazioni di malcerto animo, ansia che non recede, senso di vuoto e di scoramento, segnali indicatori di quanto non corrispondente a sè e gratuito, sorretto solo da guide e da conferme esterne, non sta su, non ha fondamento, non ha affidabilità, non ha consistenza alcuna. Il fallimento, il bluff, l'illusoria autorealizzazione preoccupa non poco il proprio profondo, che perciò non cessa di interferire. La risposta è di trattare questi segnali accorti e intelligenti, tutt'altro che improvvidi o ostili, come robaccia, come scorie e difetti di funzionamento da tenere a bada, come limiti da superare, come disturbi da correggere, come disfunzioni che si è pronti a spiegare, anche con l'aiuto di qualche esperto, come conseguenza di una qualche causa esterna condizionante e sfavorevole o di qualche remoto trauma. L'elaborazione più comune del malessere interiore, così come la sua cura, fanno sì che ciò che dal profondo reclama ascolto, vuole aprire una crisi, perciò un profondo cambiamento, un'inversione di tendenza nel modo di pensare e di condurre la propria vita, dove finalmente si affermi la necessità di fermarsi, di capirsi, di riconoscere il vero del proprio modo di procedere, di non darlo per scontato, di trovare ben diverso fondamento, dentro e in stretto legame e scambio con la propria interiorità, alle proprie idee e aspirazioni, non venga compreso, anzi che venga travisato e rigirato nella solita direzione del marciare dritti nel verso della dipendenza, persuasi in questo e confortati dall'idea che così fan tutti o la maggioranza. La ricchezza che si porta dentro di sè, l'intelligenza del proprio profondo, che spinge e che sollecita la verifica, che vorrebbe coinvolgere e aprire la strada del proprio ritrovarsi e della propria libertà di pensiero e di scelta, continua a essere a rischio di non essere compresa.
lunedì 27 dicembre 2021
La dipendenza
Cercare se stessi attraverso gli altri, cercare la
propria identità attraverso lo sguardo altrui, fondandola su ciò che gli altri
possono o potrebbero riconoscere e apprezzare, è esperienza e modalità
tutt'altro che rara. Cercare appoggio e fare riferimento agli altri per
misurare quanto si vale, per fare verifiche attorno alla propria capacità di
riuscita, per stabilire quanto si sa stare al mondo, per fare palestra e per
darsi la misura dei progressi raggiunti, cercando nuove prove e allineamenti a
quella che è considerata dai più la normalità o il successo, la miglior
realizzazione, cercare negli altri l’essere ben voluti, per trovare alimento di
fiducia e di incoraggiamento, per accendere dentro se stessi una parvenza di
calore interno, è modalità la più diffusa, è ormai la regola. Mancando di un
interlocutore interno, mai cercato, di una scoperta di significati fatta
attraverso sè e il proprio sentire, mancando della capacità di riflettere, di
mettersi allo specchio, di condividere la ricerca del vero con se stessi,
mancando di capacità e di interesse a avvicinarsi a se stessi, di ascoltare e
di dialogare con la propria interiorità, per capire e per veder scaturire e
riconoscere fondato convincimento e vera passione, senso di vicinanza e di
calore vero nella apertura sincera, nello scambio fecondo, nel senso di
profonda unità e intesa col proprio intimo, diventa fatale cercare tutto là
fuori negli altri. Diventa fatale aspettarsi che arrivino da loro, da fonte
esterna, spunti e occasioni per capire e per capirsi, conferme e approvazioni
per mettere su autostima, per vedersi capaci di qualcosa di degno, per
considerarsi protagonisti, si fa per dire, di qualcosa che abbia credito e
valore, che arrivino affetto e segni di predilezione e di attaccamento per riceverne
una sorta di calore interno di cui, per lontananza da se stessi, dal proprio
intimo, ci si sente privi. Le provviste prese da fuori per dare alimento a
esigenze vitali di autostima, di fiducia in se stessi e nel valore di ciò che
si sta facendo e portando avanti, di ricerca di calore, colmano malamente, sono
impropri sostituti dell'originale, surrogati di ciò che la propria crescita
autentica in unità con se stessi, col proprio intimo e profondo, del cammino che ne potrebbe scaturire,
potrebbe generare. Accade però che si fraintenda, che si torni senza posa a
cercare il sostituto piuttosto che l'originale, perchè più a pronto uso e di
più facile presa, perchè il modello dipendente, ben camuffato come valida prova
di realizzazione di sè, di completamento normale della propria esistenza, è prevalente attorno a sè, è esempio e
testimonianza comune. Non è difficile prendere comunque visione del fatto che,
accanto alle apparenti soddisfazioni, gratificazioni tratte da presa dipendente
su altro, c'è della dipendenza il fatale rovescio della medaglia. La dipendenza
dagli altri e dall'esterno, se promette di dare incoraggiamento, sostegno,
gratificazione e un che di tangibile su cui contare come saldo appoggio e concreta
realizzazione di sè e della propria vita,, può diventare opprimente e
tirannica, insidiosa e minacciosa, con la paura di sbagliare, di fare brutta
figura, di deludere le attese, di essere mal giudicati, di essere colti in
fallo, devianti dal retto o ideale, secondo sguardo e concezione comune e
prevalente, procedere. C'è la paura nei legami di cosiddetto affetto, amicizia
o amore, di perdere l'attenzione, la predilezione e il ben volere dell'altro,
col rischio di precipitare nell'ombra del rifiuto e del disvalore, nel gelo del
senso di abbandono. E' il risvolto negativo della dipendenza, del cercare di
farsi portare e dare sostegno e conferma, apporto vitale di incoraggiamento,
calore e ben volere, da altro nella ricerca della propria identità, dei propri
perchè, nella lettura dei significati della propria vita, nella definizione e
nella scelta dei propri scopi, nella ricerca di fiducia in se stessi e nel
proprio valore, nella ricerca di un senso di calda unità, inseguita fuori e non
dentro e con se stessi. Si ignora quanto sarebbe possibile, fondandosi su di
sé, avvalendosi del rapporto con la parte di se stessi intima e profonda, del
contributo prezioso di ciò che ci accade nell'intimo, dell’esperienza, sempre
attiva e presente ad ogni passo, di vissuti e di emozioni. E’ esperienza quella
interiore, che spesso è tenuta in subordine, che è distorta e fraintesa,
particolarmente quando ardua e sofferta nelle sue espressioni, da modi di
trattarla e di intenderla, anche questi di derivazione comune, che, anziché
ascoltarla e farle dire il suo originale, le sovrappongono giudizi e
spiegazioni scontate. E’ esperienza che merita tutt’altro, perché non è affatto
insignificante e priva di valore, perché è viceversa la potenziale fonte
primaria e essenziale, sempre e in ogni sua espressione, di ricerca di senso e
di verità, guida insostituibile e terreno elettivo per capire, per capirsi, per
trovare terreno caldo di unità e di intesa e di fiducioso affidamento.
Certamente, se verso ciò che si sente si comincia a fare solo opera di
selezione e si ha pretesa di fare pulizia, distinguendo quel che sarebbe
normale e sensato da quel che invece sarebbe eccesso, stranezza o patologia,
con l'aiuto di un catalogo di collezioni di sintomi e di etichette di
patologie, allora tutto va a quel paese. Se l'esperienza interiore, con tutto
quello che spontaneamente propone nel sentire, anzichè guida affidabile per
orientarsi e per capire, diventa appendice trascurabile, se, quando difficile e
sofferta, diventa ai propri occhi roba buona solo per essere cacciata nello
stampino di una sindrome, di un quadro di patologia, allora la ricerca muore e
il prezioso di sè, che cerca di farsi capire e vivere, che vorrebbe e che
saprebbe dare dono di pensiero, di profonda intesa e vicinanza, finisce
miseramente in discarica come il peggio di cui disfarsi. La dipendenza, la
modalità del farsi dire e portare, di farsi compensare nelle proprie esigenze
vitali, da altro non cesserà finchè non ci si renderà capaci di valorizzare e
di coltivare la risorsa interiore del sentire, di quella parte del proprio
essere che sola può svolgere il compito di guidare e di dare alimento alla
formazione di un pensiero proprio, alla costruzione della propria autonomia. E’
in gioco la ricerca e la costruzione della propria pienezza di individui,
capaci di generare pensiero, di aprire nuove strade e non di consumare e di
prendere tutto l’essenziale da fuori, capaci di proporsi agli altri come
soggetti e, dove lo si voglia, dove lo si senta possibile e condivisibile, come
gli interlocutori di un dialogo attento e sincero, di uno scambio profondo e
fecondo e non come le parti complici di legami di dipendenza sterile e
impotente.
domenica 26 dicembre 2021
Lo sbilanciamento
Ora sei sbilanciato verso l'esterno. A reggere le tue sorti sinora è stata la parte di te operativo razionale, che, facendo tutto da sè, senza relazione con la parte intima e profonda di te stesso, non ha potuto che cercare di garantirti di stare su e di produrre risposte e soluzioni (che hai considerato) valide, facendo conto e trovando appoggio in una visione della vita e delle tue possibilità realizzative già pronte e definite da ciò che hai trovato organizzato all'esterno e sostenuto dal senso comune. C'è una sorta di funzione regolatrice e di controllo che opera in te e che, ben accordata con la visione comune, ti governa e dirige per farti stare dentro il programma designato, per non violare i limiti della cosiddetta normalità, per riportarti dentro quel recinto. E' gioco forza che tu subisca questa giurisdizione, perchè originalmente e coerentemente con te ancora non hai generato risposte tue. Per realizzare questo, essenziale e imprescindibile è l'incontro e il rapporto con la tua interiorità, che sola può darti le guide e il nutrimento per conoscere te stesso, per trovare, per generare il tuo pensiero, la scoperta di significati veri e originali e la passione per ciò che riconoscessi tuo e coerente con te. Non è per caso che la tua parte profonda ti investe di vissuti di ansia, per farti capire la sconnessione da te, dal tuo intimo, per farti comprendere che, senza radice e senza legame e dialogo col tuo profondo, sei senza stabilità, senza base salda e affidabile, senza bussola e senza orientamento autonomi, col rischio di diventare solo l'esecutore di un disegno non tuo, preso da fuori, costretto a seguire percorsi già segnati. Ora, illudendoti di trarti in salvo e di afferrare il meglio per te, stai cercando di contrastare le paure e le ansietà, che intimamente non ti danno tregua, per riuscire a stare dentro i percorsi già segnati, per ottenere efficienza e validità di funzionamento dove ti vedi intralciato e vacillante. Se l'ansia ti fa vacillare, se l'attacco sferrato dal tuo profondo diventa più veemente, come con gli attacchi di panico, è per farti intendere, in modo quasi imperativo, che hai una priorità da rispettare, quella di rivolgere finalmente lo sguardo a te, al dentro, per fondare sull'incontro con la tua interiorità la riscoperta di te stesso e di tutto ciò che ti serve per essere individuo autonomo e pensante di pensiero tuo e aderente a te. La risposta tua è stata sinora invece di cercare di combattere l'ansia e quant'altro che interiormente ti ha fatto e che ti fa da intralcio e che non asseconda i tuoi propositi, per riuscire invece a tirare dritto, per ottenere di essere efficiente nel tuo procedere avulso da te. La visione comune ti dà conferma e conforto in questa scelta di provare a sconfiggere l'ansia e i richiami interiori, è comune l'idea che l'ansia sia un disturbo o una disfunzione da correggere, perchè è comune l'idea che tutto sia già a posto nel verso di ciò che è abituale, normale, già concepito, a pronto uso. Dentro di te c'è il richiamo a convergere con te stesso, a cercare nel dialogo con la tua interiorità tutto ciò che ti serve per rimediare allo sbilanciamento di cui ti parlavo all'inizio, per trovare il centro e il fulcro dentro di te, formando, in accordo e con la guida del tuo profondo, il tuo originale di pensiero e di visione di te e della tua vita, di scoperta di ciò che ha significato e valore vero, per diventare artefice della tua vita, del tuo progetto. Imparare, con l'aiuto necessario, a comprendere la proposta interiore, scoprendo che nulla che vive in te, ansia compresa, è privo di senso, imparare a ascoltare e a dialogare con la tua interiorità è ciò che ti serve se vuoi perseguire lo scopo non di tornare, con l'illusione di essere libero, nel recinto solito, ma di renderti davvero libero, trovando finalmente accordo e unità di intenti con te, con tutto il tuo essere.
domenica 31 ottobre 2021
La ricerca del vero
La ricerca del vero di se stessi è pratica e
aspirazione rara, in genere prevalgono la ricerca dell'adattamento, del
rimedio, della soluzione che garantiscano la continuità dell'abituale, l’uniformità
col comune, supportate dal lavorio della parte razionale, che, gira e rigira,
dà solo conferme a ciò che si vuole e che si gradisce credere di se stessi e
della propria condizione. Dettate queste condizioni di stabilità e di
continuità, come fossero regole di normalità, al proprio modo di essere e di
procedere, ne consegue che sconfiggere l’ansia e rendersi liberi da tutto ciò
che risulta interiormente scomodo siano la petizione e la pretesa più diffusa e
ricorrente. Simili risposte e richieste se sembrano a chi le sostiene scontate
e a sè favorevoli, in realtà rivelano che dell’esperienza interiore che si vive
e di ciò che realmente significa e vale ben poco si conosce e spesso tutto si
fraintende. Se dentro di sè c'è inquietudine, se questa non dà tregua, il
motivo non è un cattivo stato interiore conseguente a pressioni esterne nocive
o a traumi pregressi. La ragione e il senso di quell’esperienza viva interiore,
certamente poco gradita, perché poco piacevole oltre che insolita, è che lì
dentro c'è il richiamo e la forte presa su tutto il proprio essere della parte
profonda di sè, ben più attenta a non perdersi nell'illusorio della parte
conscia di superficie, a fare chiarezza su se stessi. In quel sentire, pur così
disagevole, c'è il possibile specchio per guardarsi in volto e per riconoscere
il vero, senza impazienza e pretesa di mettere sopra quanto provato
interiormente spiegazioni costruite razionalmente, disponendosi viceversa a
farsi dire e condurre dal proprio intimo vissuto, fino a vedere e a
riconoscere, mettendo in campo capacità di ascolto e sguardo riflessivo,
l’intima traccia di verità che il sentire sta offrendo e rimarcando in modo
così intenso. Un incontro e non uno scontro con la propria interiorità, che va
svolto con pazienza e con gradualità, perchè le falsità di comodo, anche le più
sofisticate costruite con la destrezza dei ragionamenti, ce le si racconta in
fretta, mentre il vero, in accordo e con la guida del proprio profondo, è
scoperta più impegnativa e con tempi di maturazione che non si possono
limitare. Accade però spesso che l'invocazione di eliminare prontamente ogni
intima tensione, squalificata come disturbo e anomalia, come peso
insopportabile e come malattia, si alzi forte e perentoria come una condanna
senza appello rivolta alla parte di se stessi, intima e profonda, che non tace,
che non vuole tacere, che incalza senza posa. Dunque bisogna decidersi, se fare
gli gnorri e continuare a sparare impunemente contro ciò che interiormente
vuole spingere con forza verso verifiche e scoperte all'insegna del vero di se
stessi, della propria condizione, del proprio modo di procedere o se cominciare
a rispettare la parte di sè, intima, che col sentire risulta sì scomoda,
intralciando e disturbando il quieto vivere e procedere, ma che accortamente e
saggiamente interviene e non dà tregua per far aprire gli occhi. Se il quadro
interiore è così mosso significa che tutto a posto non è, che tutto o tanto è
finalmente da capire di se stessi, senza veli. Se si squalifica e si scarica tutto
ciò che è sofferto e disagevole del proprio intimo, trattandolo come assurdo e
malato, ci si può fare solo danno. Non fa danno l'ansia e quanto interiormente
non concede tregua. Racchiude una proposta importante, che non vuole essere
ignorata, che produrrebbe un gran bene se fosse ascoltata e compresa. A fare
male e serio danno è solo l'ignoranza, il passare oltre, l'ottusa e cocciuta
pretesa che tutto interiormente debba soltanto raddrizzarsi, funzionare a senso
unico di marcia, disciplinarsi a dare sostegno e a accordarsi con l'abituale,
consueto e normale procedere, come si pensa facciano tutti, buttando via il
richiamo interiore alla ricerca del vero di se stessi, che, se corrisposto,
renderebbe capaci di dare finalmente alla propria vita il proprio contenuto e
volto.
martedì 3 agosto 2021
I percorsi della paura
E' comprensibilmente difficile confrontarsi con vissuti, con emozioni come la paura, l'ansia e con tutto ciò che interiormente non concede quiete. La risposta di chi vive simili esperienze è molto spesso di insofferenza per qualcosa che è inteso come un intralcio, un difettoso modo di sentire, un disturbo che pare solo togliere opportunità e benessere, arrecare soltanto danno. La cosiddetta scienza è pronta a assecondare questa idea della nocività e della natura irregolare di simili esperienze, già presente e diffusa nell'opinione comune, provvedendo a dare definizione e a fornire etichetta a ciò che, collocato in qualche categoria diagnostica e casella dell'anomalo e del patologico, sembra trovare finalmente un volto e predisporsi a essere trattato come disturbo da contenere, da contrastare e eliminare. Così facendo si compie una operazione che, a prima vista benevola e assennata, ha in realtà rilevanti implicazioni e notevoli conseguenze tutt'altro che favorevoli. Da un lato un'esperienza interiore singolare e unica, così intima e vicina, è pregiudizialmente misconosciuta nel suo valore, non rispettata nella sua unicità e non valorizzata nella sua capacità di dire e di svelare, ripudiata e cacciata come corpo estraneo nel cestino di qualcosa di anomalo e alterato, tipico e comune, dall'altro l'aspettativa, confermata e incoraggiata nell'individuo dalla "scienza", diventa contenere e chiudere, risolvere e tenere lontano da sè ciò che, se compreso, si rivelerebbe essere tutt'altro che nemico e deleterio. La paura, dentro questo movimento di rifiuto, quando è resa oggetto di spiegazioni, è fatta prontamente risalire a condizionamenti e a cause esterne, remote o attuali. Ciò che non è colto e inteso è che la paura è un richiamo interno, che origina dalla parte profonda del proprio essere, che lancia con acutezza e imprime nell'intimo del proprio sentire il segnale di un insostenibile stato nel proprio modo di procedere e di stare in rapporto con se stessi. Non c'è nulla di anomalo e di insensato in uno stato interiore, che perchè doloroso e spiacevole, non per questo è sinonimo di disturbo e di patologia. Semmai, nella parte profonda del proprio essere c'è grande accortezza e capacità di leggere lo stato vero delle cose, di non tacerlo, di aprire una crisi interiore su punti decisivi e su necessità irrinunciabili e inderogabili cui provvedere finalmente, c'è volontà insopprimibile di esercitare forte richiamo di attenzione e d'allarme per mobilitare tutto l'essere dell'individuo, per spingerlo a confrontarsi con se stesso e a cercare chiarimento e risposte. La paura, l'ansietà che non dà tregua, dà un segnale congruo e valido, intelligente e opportuno se, a dispetto di ciò che la parte conscia vuole farsi credere, ci si trova nella sostanza in una condizione delicata e critica, pericolosa, perchè insoddisfacente la necessità di avere visione chiara, veritiera e non truccata (tenuta su principalmente da appoggi e da convalide esterne) di se stessi e del proprio modo di condursi e poi di attrezzarsi per coltivare e sviluppare autonomia di pensiero e di governo della propria vita, di cui si è, malgrado le illusioni, mancanti. Sotto pressione interna di ansietà e di inquietudine, di paura, non si è dunque malauguratamente vittime di minacce o di condizioni sfavorevoli dettate dall'esterno, non si è malati di un cattivo funzionamento interno, ma si è investiti dal richiamo molto forte e intelligente, che proviene dal proprio profondo, a prendere visione di una condizione che è insostenibile, che, se anche difesa sino a oggi come normale e valida, fa paura. E' una condizione che non può fare stare tranquilli per la sua inadeguatezza rispetto all'esigenza di essere non passivi e a rimorchio (anche se convinti del contrario) di modelli e di modalità di pensiero prevalenti e date, ma dotati di autonomia, di capacità prima di tutto di capirsi e di vedere la verità del proprio stato, di capacità di ascoltarsi e di intendersi con se stessi, con la propria interiorità, condizione essenziale per trarre da sè le proprie risposte, il proprio pensiero, fondamento necessario della conquista della capacità di autogoverno, di governo della propria vita. L'esterno ha il suo peso, di cui bisogna certamente tenere conto, su cui è importante impegnare il proprio sguardo attento e critico, evitando di farsi portare e dirigere come gregari da un pensiero comune o impartito da presunti esperti, ma per fare questo, senza cadere nell'ideologia, nelle automatiche deduzioni e nel dare addosso solo al fuori, che rischierebbe di annebbiare tutto, è fondamentale avvalersi delle proprie risorse e guide interiori che sono il sentire, i vissuti, che puntualmente e senza imbrogli sanno dare il terreno vivo e affidabile su cui fondare il proprio pensiero, la ricerca che non ometta mai di riconoscere non solo le responsabilità altrui ma anche le proprie, condizione necessaria per produrre a partire da sè i veri cambiamenti. I vissuti sono l'espressione di intelligenza interna, tesi a fare luce prima di tutto su ciò che dentro e con se stessi è critico e problematico, che è fondamentale e prioritario capire, mettere finalmente sotto il proprio sguardo e all'ordine del giorno. Ciò che si sente non è la semplice e lineare conseguenza di situazioni e dell'agire di fattori esterni, che ne condizionerebbero l'insorgenza e che ne fisserebbero i limiti e il significato; i propri vissuti, che insorgono anche indipendentemente da circostanze esterne, hanno comunque, pur in presenza di stimoli e di condizionamenti esterni, autonomia e capacità propositiva, che va ben oltre l'idea e l'orizzonte convenzionale. L'anima e l'intelligenza che plasma il sentire, le emozioni e gli stati d'animo, è nel proprio profondo, ciò che si sente ha spessore e intenzionalità, capacità di dire e di svelare, di portare a prendere consapevolezza di aspetti decisivi e di nodi importanti della propria vita, di cui si è in genere ignari. La possibilità e il rischio di fraintendere il significato della paura, di farle prendere e di alimentare direzioni altre rispetto al suo senso, a ciò che vuole far capire e allo scopo che vuole perseguire, sono sempre presenti. Che sia il prendersela con i genitori o con altri considerati responsabili di aver minato e compromesso o di guastare nel presente la propria esistenza e il presunto diritto al quieto vivere e sereno, che sia la paura di malattie, che, non intesa nel suo significato più profondo, presa alla lettera (cioè nell'accezione più concreta) si fossilizza come tale, traducendosi e risolvendosi in visite e in richieste di esami medici ripetuti, paura, che così trattata, la minaccia del virus di turno e l'uso che se ne fa, giusto per stare alla attualità, spingono alle stelle, tante sono le possibilità di rendere la paura qualcosa che, deviato dal suo scopo e incanalato su percorsi anomali, non va a fare certamente il proprio interesse, semmai va a accordarsi con interessi altri, che delle paure sanno fare uso per trarne benefici e tornaconti. La paura, che esercita pressione interiormente, ha un senso e persegue uno scopo, è spiacevole mal interpretarla, farne cattivo uso, un impiego che allontana ancora di più da se stessi, che rende passivi e deboli, che rende ottusi e poco vigili, spenti di intelligenza propria, di volontà e di capacità di capirsi e di capire su tutti i fronti. Quando la paura involve e degenera e si incista nel terrore di perdere la continuità e la permanenza dello stare nella dimensione solita, nella modalità del tirare avanti, del continuare in un procedere dove quel che più conta è proseguire sine die senza domande di fondo, ignorando, non aprendo gli occhi per cercare il senso di ciò che si è fatto e che si sta facendo di se stessi e della propria vita, ecco che si è solo impietriti e chiusi, restii al pensiero vero e fondato, al coraggio della verità, assuefatti e attaccati al mero sopravvivere e alla simulazione del vivere sostenuta e incoraggiata da gradimento e da convalida comuni, piuttosto che animati da desiderio di vivere davvero. Vivere cioè da individui veri, umanamente compiuti non nell'apparenza, ma nella sostanza, vivere per far vivere ciò che, trovato il coraggio di cercare dentro se stessi e di vedere con i propri occhi, passando attraverso esperienza intima e riflessione proprie, si è scoperto avere davvero significato e valore e non vivere per possedere ciò che è comunemente considerato normale e desiderabile, per ottenere e difendere con i denti stabilità e sicurezza. La ricerca del vero, la messa in crisi di ogni autoinganno e di ogni mistificazione attorno alle ragioni vere di ciò che si è fatto nella propria vita e che si sta facendo, spesso per adeguarsi a ciò che è comune, spesso per assicurarsi qualche vantaggio e comodo, contrabbandandolo per altro di più gradito, onorevole e ben accetto ai propri occhi, la scoperta, non indolore, del vero della propria storia e della propria condizione, è il passo fondamentale per riscattarsi, per risvegliare la consapevolezza del significato e del valore della propria vita. Per bene intendere e per dare risposta congrua alla paura, all'ansità, all'inquietudine interiore, non fraintese, non deviate dal loro scopo di far aprire gli occhi e di far riconoscere il limite di una esistenza scollata da se stessi e senza fondamento personale vero, costruita non su coscienza e conoscenza proprie, ma su imitazione e sullo stare al sicuro nell'adattamento, deviata e incistata nella paura di finire, di morire materialmente, è necessario il coraggio della verità. La paura preme a lungo interiormente e scuote per far intendere il rischio di morire, pur da vivi, come esseri umani, come pensiero e passione, come individui capaci di aprire strade e percorsi unici di conoscenza e di realizzazione a modo proprio, per consapevolezza propria, di creare con la propria vita e presenza nel mondo qualcosa di originale, capaci di gioire di vivere per questo e non della garanzia di essere normali e del compiacimento di possedere ciò che hanno tutti. Oggi la corsa senza fine, divenuta motivo e tema unico esistenziale, a proteggersi da rischi di malattia trova sostegno e rinforzo e è figlia di una paura degenerata nell'assillo, che supera e oscura ogni altra passione e preoccupazione, di mettersi al sicuro e di mettere al sicuro la continuità elementare, la persistenza materiale del proprio stare al mondo, prendendo per buona e assecondando ogni prescrizione, senza chiedersi nulla, andando a rimorchio del pensiero più propagandato e celebrato, consumando e rimasticando idee già pronte, ingollando spiegazioni, raccomandazioni, che troppi presunti scienziati e pretesi protettori del bene comune sanno, non certo disinteressatamente, propinare, bene che ognuno potrebbe cercare, con qualche sforzo di riflessione e impegno personale di ricerca, di capire e di definire da sè.
domenica 11 luglio 2021
Il pensiero in affitto, la vita in affitto
Il possesso di pensiero proprio purtroppo non è bene diffuso. Poco o nulla sentita e riconosciuta come tale dall'individuo, per la sua parte profonda è viceversa una questione di capitale importanza, la questione delle questioni, cuore e anima di ogni crisi e sofferenza interiore. Il profondo ha la vista lunga, non cede all'inganno e alla seduzione di un pensiero, che vorrebbe essere riconosciuto come creatura propria, quando invece trova cardine e guida nel pensato dato e comune, che comunque, anche quando in apparenza elaborato originalmente, è di altra genitura, non della propria. Se il pensiero, se la visione non sono scaturiti da sè, se non si fondano su intima esperienza, che sola è capace di calare nel vero, non saranno certo le teorie rimasticate col ragionamento e prese da libri e dal pensato di pretesi studiosi e esperti di questo e di quello, a garantire che la vita in tutte le sue espressione non diventi e non si consolidi come vita presa in prestito, tenuta stretta come fosse propria, in realtà modellata e modulata secondo copione già scritto. Nella vita in affitto, presa e riprodotta da modello già pronto, conoscere diventa istruirsi e apprendere, gioire equivale a fare proprio ciò che, già confezionato e esaltato nel pensiero e nell'agire comune, sembra promettere il meglio e dare la soddisfazione più attesa, approfondire e ampliare la conoscenza diventa leggere o viaggiare, essere liberi si traduce nel fare vacanza da se stessi, nello staccare da vincoli sempre visti come esterni e a sè estranei e avversi, mai riconosciuti come vincoli interni, legati a modalità proprie, che è responsabilità e libertà propria, se non rifuggiti e ignorati, se visti da vicino e compresi, trasformare profondamente e radicalmente. Soltanto l'avvicinamento a se stessi e l'incontro e il dialogo con la propria interiorità, possibiltà tanto disconosciuta quanto disertata, perchè staccati dal resto che sta fuori si teme solo di perdersi e di languire, può portare alla scoperta del vero, alla comprensione di ciò che vale e del suo perchè, alla capacità di generare il proprio pensiero, di fondare così e di liberare la propria capacità di governare le proprie scelte e di decidere la direzione della propria vita. Ci si educa a essere bisognosi di risposte e di soluzioni pronte, a pronto uso, da consumare e da mettere rapidamente in atto, si rende credibile solo questo, il resto, se non ci si precipita a dare prova della validità dai più considerata, se non ci si dà soddisfazione e riempimento secondo ciò che offre il mercato, è giudicato solo incapacità e inadeguatezza, autoesclusione e perdita, disgrazia e condizione sfigata. Se non stai dentro il flusso comune, del consumo di vita organizzata e comune, se non dai prova di ciò che il coro dice e riconosce valido e normale, sei solo in ritardo o incapace. Consumare e riprodurre è la regola, reale e realistico diventa solo ciò che è organizzato e concepito, riconoscibile dai più. Generare richiede mentalità e animo tutt'altri da quelli del consumatore di vita presa in affitto, richiede i modi e i tempi del coltivare e del far crescere, non certo quelli del velocista della risposta pronta, richiede passione autentica di scoprire, di vedere con i propri occhi, sviluppo di intelligenza vera, ben altra dall'intelligenza illusoria di chi, come bravo scolaretto, si ingegna a dare prova di sapere la lezione che piace e che stupisce, che cattura il bel voto e la lode. La vita presa in affitto detta legge e squalifica ogni diversa aspirazione, giudicata velleitaria nel migliore dei casi, perdente e risibile nella maggioranza dei casi. Costruire da sè il proprio pensiero, cercando visione del vero, preferendolo alla consapevolezza venduta e ubriaca che considera credibile e affidabile solo ciò che corre dietro e che fa il verso all'idea diffusa e prevalente, che trae forza dall'essere confermato e considerato da platea e gusto comune, sono impresa e proposito nuovi e inediti, impegnativi, che però il profondo di ognuno non rinuncia a porre all'ordine del giorno, a sobillare interiormente, non dando tregua, rendendo il quadro interiore inquieto e sofferto. La vita vera, autenticamente propria, è la conquista che il profondo reclama, è la questione delle questioni che sottende ogni malessere interiore. Per la cosiddetta scienza ufficiale nel malessere interiore ci sono solo da riconoscere anomalie, segni di cattivo e infelice adattamento e cattivi funzionamenti, da spiegare con questo e con quello, da correggere con l'intento di rimettere tutto in corsa come sempre e per il verso solito. Se ci si affranca dal pensiero in affitto, si comprende che il malessere interiore dice tutt'altro che di essere un guasto da sanare, dice che il guasto è la vita presa in affitto e la rinuncia a cercare vita propria, a generare e a sviluppare pensiero proprio, che ne è l'anima e il perno.
sabato 1 maggio 2021
La responsabilità della cura
C’è un rischio di incuranza nella cura. L’incomprensione
del significato dell’esperienza interiore, particolarmente quando questa assume
caratteristiche ostiche, difficili, dolorose, complicate e inaspettate, il
ricorso immediato all’impiego di categorie come normale o no, sano o malato,
per sentenziarne e deciderne subito, senza ombra di dubbi, la qualità, il
significato e il destino, può gettare le basi di una cura, che, pur con le
dichiarate migliori intenzioni, rischia di tradursi nel suo contrario. Il nostro
essere non è un insieme omogeneo. Nelle parti della nostra psiche che non sono
regolate da controllo, da intenzionalità e guida razionale, nelle nostre
emozioni, stati d’animo, spinte interiori, trova espressione e segnala la sua
presenza la componente profonda del nostro essere tutt'altro che
insignificante. Ciò che spesso crea problema è la dissonanza tra quanto
pensiamo, giudichiamo utile, valido e desiderabile e quanto intimamente
sentiamo, che casomai contrasta, non asseconda, non dà manforte e anzi sembra
indebolire, intralciare la compattezza dell’agire, la sua linearità ed
efficacia. L’idea che ci sia una parte, definita irrazionale, del proprio
essere, che non sa stare nei ranghi, che non sa capire l’utilità o la necessità
del proposito, sembra spiegare e chiudere il discorso su questa discordanza tra
pensiero e volontà da una parte e sentire dall'altra. La componente del sentire
e di quanto si muove nello spazio interiore è definita irrazionale con un
particolare accento, intendendo spesso con questo, non già che abbia (sempre e
comunque) capacità di dire con un linguaggio e con modalità diverse da quelle
del pensiero razionale, ma non per questo non valide, non sensate, non
affidabili, bensì che sia un'espressione (particolarmente se dissona e non
accontenta le attese e le previsioni della parte cosiddetta conscia e
razionale) poco o affatto lucida e
attenta, capricciosa, debole, scomposta, dettata da ragioni un po’ infantili,
in balia di paure di troppo, di tentazioni di fuga o di ricerca d’altro,
indisciplinata alla regola del puntare sullo scopo utile e vantaggioso,
conveniente e dovuto. In una simile impostazione, tutt’altro che rara, sono
date per certe e indiscutibili la supremazia e miglior affidabilità della guida
e del controllo razionale. Con un atteggiamento di superiorità della parte
razionale così marcato e con una sua predisposizione negativa così
intransigente e in apparenza motivata e convincente verso tutto ciò che non le
è docile e omogeneo, la sorte che spetta alla componente interiore, quando
avanza, non casualmente e non senza fondamento, una proposta disagevole e
dolorosa, è di essere combattuta e resa oggetto, nel nome della cura, di
pretese di normalizzazione, vuoi con i farmaci, chiamati possibilmente a
togliere, zittire e rovesciare il quadro interiore, rendendolo non disturbante
e conciliante, vuoi con psicoterapie direttive, in cui qualcuno detta il come
del raddrizzamento e della normalizzazione, cercando di correggere, di
abbattere paure o altro giudicato spazzatura, impedimento o distorto
(disfunzionale nel gergo tecnico) modo di reagire e di pensare. Manipolazioni
tutte suggerite come fossero valido e scontato prendersi cura di sé, ovvio
andare verso il benessere. Nel sentire, nelle paure, nella complessa e difficile
esperienza interiore, da subito distanziata da sé come minaccia, da subito
trattata con sospetto e pregiudizio, c’è in realtà la guida fedele e saggia per
ritrovarsi, per cominciare a calarsi con sguardo attento e intelligente,
profondo e onesto dentro la propria vita, dentro i propri nodi da chiarire e
sciogliere. L’interiorità non semplifica e non chiude gli occhi, dice e svela,
dà il supporto per vedere e per comprendere, per compiere l’operazione nuova e
inedita del capire se stessi, senza omissioni. I vincoli e i supporti su cui
poggia la propria vita, il proprio modo di esistere trovano nel sentire
complicato, penoso, pungente o afflittivo, modo di evidenziarsi. Sarebbe segno
di maturità dell’individuo, che voglia rendersi consapevole, libero e responsabile
verso se stesso, guardare dentro il proprio modo di procedere, ciò che sta
facendo di sé. L’interiorità vuole questo, vuole dare stimolo e supporto a una
visione consapevole. La crisi, il disagio interiore sono e racchiudono questa
intenzione, non altro. Se l'individuo non ha dimestichezza con l'esperienza
interiore, l'aiuto che gli serve è di essere sostenuto e accompagnato
nell'avvicinamento a sè, imparando, anzichè a fuggire o a scaricare, a reggere
la tensione di esperienze interiori sofferte per capire cosa gli stanno
comunicando. Ciò che gli serve è di essere aiutato ad acquisire e a sviluppare
capacità di ascolto, di sguardo riflessivo per vedere ciò che la sua
interiorità gli sta svelando nel sentire, per comprendere ciò dentro cui, anche
nei percorsi interiori più accidentati, l'intima esperienza lo sta calando, per
comprenderne il senso, per farne sue tutte le occasioni di crescita. Il fatto
che la richiesta iniziale di chi cerca aiuto sia di superare, di venir fuori
dall'esperienza interiore dolorosa, non implica che assecondare, che provare a
soddisfare la pretesa di metterla a tacere e di ricondurla a norma sia sensato
e favorevole all'interesse di chi è coinvolto da intima sofferenza.
L’interiorità peraltro, malgrado si tenti di manipolarla e di metterla in riga,
non si fa zittire, non cede alla pretesa di togliere di mezzo ogni intralcio al
tirar dritto, consapevole com'è che tirare dritto con un bagaglio zero di
conoscenza vera di se stessi e dei propri vuoti di crescita, autentica e non di
facciata, da colmare non è certo buona sorte e accettabile. E’ irresponsabile
rivolgersi all’interiorità come fosse deficiente, come fosse un meccanismo da
raddrizzare e da correggere, senza capire ciò di cui, intelligentemente e
saggiamente, è promotrice e portatrice. E’ irresponsabile da parte del diretto
interessato e non è certo espressione di buona cura di se stesso, agirle contro
e ancor di più è una scelta carica di responsabilità per chi si proponga come
curante l'assecondare e promuovere un simile atteggiamento e intervento
sull'interiorità, senza capire nulla del linguaggio interiore e di ciò che la
sofferenza interiore vuole aprire e favorire. Nel tempo tutto ciò che si è
fatto per zittire o per tenere sotto controllo l’esperienza interiore, si
tradurrà per l'individuo nell'aver perso l’occasione del proprio ritrovarsi e
crescere, del mettersi in mano la vita, la propria vita. Ci sono storie di
individui che per anni e anni si impasticcano di ansiolitici o di
antidepressivi pur di mettere a tacere e combattere ciò che ai loro occhi e con
complicità di non pochi curanti è inteso e fatto vivere come una minaccia, un
disturbo, una patologia. Triste destino di combattere come nemica e di
amputarsi della parte di sè, che, se compresa e resa anima e veicolo di presa
di coscienza, saprebbe liberare se stessi e la propria vita dall’inutilità e
dal fallimento. Parlo, senza mezzi termini, di fallimento pensando a una vita
che non ha visto l’individuo ritrovarsi unito e in sintonia con se stesso,
carico finalmente di consapevolezza dei propri veri mezzi e scopi. Se si mette
mano al mondo interiore, parte preziosa e fondamentale della vita di un
individuo, è necessario sapere cosa si sta facendo. Ci sono ad esempio oggi
molti giovani, anche se la riflessione svolta sin qui non è certo limitata a
loro, che da dentro se stessi ricevono, attraverso segnali di crisi e di
sofferenza interiore, sollecitazioni a avvicinarsi a sé, per prepararsi a
compiere il cammino della vita non in modo passivo e sprovvisti di guida
interna. Con questo intento il disagio interiore bussa presto alla loro porta.
E’ in gioco qualcosa di importante, il destino di questi giovani, la loro
possibile intesa e unità con se stessi, la crescita interiore, personale di cui
hanno necessità e che non è certo già risolta. Spesso soli in ciò che
internamente vivono e lontani ancora da sé, trovano nel loro malessere
interiore la spia e la richiesta di calarsi in intimità con se stessi, di
conoscersi, di capirsi, per non essere, anche in vista di scelte future
decisive, in balia di un procedere a rimorchio dei più e di ciò che è
prevalente, che rischia di essere tale. Se la risposta non è l'aiuto ad
avvicinarsi a se stessi e ad ascoltarsi, a scoprire e a valorizzare la loro
interiorità, a trovare dentro e attraverso il loro sentire chiarimenti
fondamentali e necessari, ma sono psicofarmaci spazza via o aiuti di tipo
psicologico, psicoterapie che si traducono in tentativi di aggiustamento e di
normalizzazione, come se le loro paure fossero insensate oppure frutto di
cattivi adattamenti o conseguenza automatica di sfavorevoli condizionamenti
esterni, il rischio di lasciarli di nuovo soli e privi di guida interna è forte
oltre che grave, anzi è fatale.
mercoledì 28 aprile 2021
Non fa danno
La vita interiore, il suo linguaggio, ciò che propone, lo
scopo che persegue sono ben altro e si collocano in tutt'altra prospettiva
rispetto al modo abituale e comune di considerare e di trattare l'esperienza
interiore. Frequentemente chi è investito da malessere interiore da un lato non
ha strumenti per capire ciò che la sua interiorità sta cercando di dirgli e di
condurlo a conoscere, dall'altro non si astiene dal sovrapporre e dall'imporre
a ciò che sente rapide spiegazioni e sbrigativi giudizi, che, riportando e
forzando tutto dentro schemi già noti, non sanno rispettare e comprendere il
significato originale e lo scopo di ciò che sta vivendo interiormente. Accade
così che da una parte l'individuo cerchi spesso in primo luogo di stare al sicuro
e nella conferma del suo modo di condursi e di pensarsi, ritenendo che tutto
interiormente debba svolgersi concordemente con le sue attese, senza sorprese e
"normalmente", mentre dall'altra la sua interiorità, la parte intima
e profonda di se stesso (che, pur non essendo affatto irrilevante, è in genere
misconosciuta nel suo valore e nella sua affidabilità) spinge invece per fargli
fare, attraverso tutto ciò che nel sentire mette in movimento all'interno del
suo spazio interiore, esperienza significativa che lo porti a aprire gli occhi
su se stesso, a conoscersi davvero, al di là delle apparenze. L'attività del
profondo, i segni della sua presenza sono incessanti. Se durante la notte,
quando non c'è nulla che distrae e che porta via, quando nel sonno la parte
conscia si ritrae, la parte profonda ha l'incontrastato prevalere e nei sogni
fa sentire la sua voce, offrendo perle di ingegno e stimoli a guardare dentro
se stessi, di giorno non cessa di far sentire la sua presenza, regolando stati
d'animo e emozioni e tutto ciò che il sentire propone. Il proprio sentire,
l'insieme degli svolgimenti interiori, tutto guidato dal profondo, vuole
indirizzare la consapevolezza, dare base e terreno valido su cui poggiare per
capire, per entrare nel vivo e nel vero della propria esperienza, per
riconoscere il proprio stato e modo d'essere. Anche se contrastante con le
proprie attese e preferenze, il sentire non dice cose assurde, anche se
spiacevole e fastidioso, non mostra segni di anomalia, parla con un linguaggio
che non è quello concreto e convenzionale. E' necessario imparare a conoscere
le particolarità di questa parte di se stessi, a comprenderne lo specifico
linguaggio, ben diverso da quello razionale, se si vuole far proprio ciò che
sta dicendo e che vuole far capire, se si vuole evitare di liquidare come
malfunzionante o disfunzionale ciò che non si ha capacità di comprendere nel
suo vero significato e valore. Per potersi avvicinare a se stessi e per non
rimanere sulla difensiva nei confronti della propria interiorità, per scoprire
che l'esperienza interiore difficile e sofferta non è una minaccia da
contrastare, una fonte di danno, bensì un contributo e una guida fondamentale
per capirsi e per crescere, si ha necessità di essere aiutati a comunicare con
se stessi. Ci vuole una mentalità diversa rispetto a quella solita e comune per
capire le vicende interiori, per non fraintenderle, per non correre il rischio
di ridurre tutto a questione di mancato funzionamento normale, etichettando ciò
che non rispecchia i canoni di presunta normalità semplicemente come
espressione di un guasto, come malato. Ciò che si spaccia per evidenza, l'idea
che ciò che è sofferto e spiacevole interiormente sia dannoso e contrario ai
propri interessi, svela solo l'incapacità di capire l'esperienza interiore.
Siamo individui complessi, fatti non solo di superficie razionale, ma anche di
vita e di intelligenza profonde. La parte profonda di noi stessi bussa, a volte
con molto vigore e insistenza, vuole farsi ascoltare, vuole coinvolgere tutto il
nostro essere, lo fa coi sogni, lo fa con vissuti e con esperienze interiori,
anche ben poco agevoli, come l'ansia, a volte con richiami potentissimi e
estremi come gli attacchi di panico, si tratta di imparare a ascoltarla e a
intenderla, a dialogare con essa. La parte profonda del proprio essere,
tutt'altro che primitiva, sprovveduta o cieca come si pensa sia tutto ciò che
non è di matrice razionale, non è curante di mantenere la corsa, di inseguire
l'adattamento, l'efficienza nel condursi avanti secondo i criteri resi scontati
solo perchè abituali e ricorrenti. Il profondo è curante di capire cosa si sta
facendo di se stessi e perchè, di aprire a tutto l'essere una simile
riflessione, di comprendere le proprie vere potenzialità, di rompere il legame di
dipendenza da altro che sembra dare le guide e i limiti, ma di fondare su basi
proprie di consapevolezza il proprio modo di procedere e i propri scopi.
Invocare come condizione positiva e ideale l'assenza di tensione interiore,
cercare di evadere da ciò che si sente giudicandolo anomalo e nocivo quando
doloroso e difficile, affidarsi a rimedi che allontanino e che mettano a tacere
ciò che si prova è come dissociarsi da se stessi, è come erigere un muro contro
parte viva di sè, che ha tutt'altra intenzione che di recare confusione e
danno, che ha ben altra e forte potenzialità e capacità di dare rispetto a ciò
che comunemente si pensa. Un percorso, quando ben fatto, di analisi serve
proprio a questo, non a rimettere tutto in riga per insistere nel solito modo
di concepire il proprio bene e il proprio procedere a senso unico, ma a trovare
capacità di incontro e di dialogo col proprio profondo, a intendere ciò che il
proprio sentire e i propri sogni sanno dire e guidare a conoscere in modo
aperto e senza veli di se stessi, a trasformare per non essere ciechi
ripetitori di senso comune e prevalente, ma creatori del proprio pensiero e del
proprio destino. E' un percorso che consente di scoprire, di toccare con mano
che, quando si impara a ascoltarlo e a comprenderlo fedelmente, non c'è fonte
di danno in tutto ciò che vive e si propone interiormente. Solo l'ignoranza, la
non conoscenza e la lontananza da se stessi, spesso sostenuta da presunzione di
sapere cosa interiormente sia ammissibile e non, normale e non, può fare danno,
serio danno.
domenica 18 aprile 2021
La vita interiore, capire senza preconcetti
E’
molto diffusa la tendenza a fare uso disinvolto e sicuro di diagnosi e di
autodiagnosi, unito all’idea di malattia, della sofferenza interiore come
disturbo e intralcio. Supporre malattia, dell'anima o del cervello, nei confronti di parte di sè con cui, volendo, procurandosi l’aiuto necessario e
utile, si potrebbe cercare incontro e dialogo, impegnativo, ma
possibile, credo sia l'equivalente della pretesa di capire un altro individuo,
di dirne, senza entrarci in rapporto e in ascolto. Voglio però ora considerare
non tanto ciò che accade a chi si ferma subito e confida solo nella chimica
come arma e correttivo del proprio sentire, che ormai tratta come presenza
nemica, come patologia da scacciare, salvo ritrovarselo cocciuto e ribelle
dietro ogni angolo e piè sospinto, non perché perfido, ma semplicemente perché
non ci sta a farsi imbavagliare e bistrattare. Voglio ora considerare quel che
può accadere a chi cerchi di avvicinare le cose in altro modo, a chi decida di
impegnarsi a capire. Anche qui accade non di rado che la scelta di capire
discenda e sia tutt’uno con la pretesa di scovare l’inghippo, la causa del
"male", il perché del patimento, che dovrebbe avere alle spalle
qualche esperienza e fattore avverso, qualche spina mai tolta. Si torna anche
in questo caso a supporre, a definire a priori, a pensare l’esperienza
interiore e lo stato ideale con preconcetto. L’approccio stesso all’esperienza
interiore, ai propri vissuti, al proprio sentire, risentono di un simile
preconcetto. Capita che l’esperienza interna e vissuta venga guardata
sbrigativamente, per andar presto a spiegare, a cercare ipotetici perché.
Questo è un modo assai frequente di procedere e di pensare, significativo di una
difficoltà, spesso di un vuoto d'esperienza di rapporto con le vicende
interiori e di ricerca. Seguire il percorso interiore, impegnarsi, accettando
il coinvolgimento pieno nell'esperienza interna, ad avvicinare senza
pregiudizio, ad ascoltare e a fare proprio quello sguardo intimo, è cosa
certamente inusuale, come lo è la capacità di riflessione vera. Spesso si
intende la riflessione semplicemente come rielaborazione e riordino di
pensieri; è già più raro che si intenda la riflessione come il sostare con più
attenzione sull'esperienza in corso, sull'esperienza vissuta. Anche in
quest'ultimo caso di fatto la riflessione spesso si traduce nel lavorio del
ragionamento, che, in separata sede rispetto al vissuto, al sentire, costruisce
ipotesi e spiegazioni sul suo conto, confeziona un vestito cui fare stare
dentro, adattare cio' che si sente, che interiormente si sperimenta. La
quadratura del ragionamento, unico appiglio per non ritrovarsi persi o in balia
dell'incertezza, spesso tanto offre momentanea quiete e dà apparente
soddisfazione quanto coincide, a starci ben attenti, con la sensazione di non
aver trovato vero incontro col sentire, di cui, malgrado il tentativo di
spianarlo o di metterlo in gabbia, si continua a percepire l'estraneità,
l'essere altro e potenzialmente ribelle rispetto al marchingegno della
spiegazione e del chiarimento costruiti, escogitati. Persino la psicoterapia e
il chiarimento o la presunta presa di coscienza che in essa si cerca e si
sviluppa, rischia non di rado, se affidata allo sforzo di spiegare facendo leva
su teorie già fatte e pronte e su sforzi o acrobazie del ragionamento, di
cadere nella stessa trappola. Purtroppo succede che rispetto a cio' che accade
interiormente si sia pronti e inclini in partenza ad applicare mezzi e strategie
per accomodare, per riportare le cose al dritto, supponendo di aver già chiaro
quale debba essere il verso giusto, normale delle cose. Frequentissima la
ricerca, attraverso lo scandaglio di esperienze del proprio passato, di
qualcosa che finalmente faccia trovare la presunta causa di tutto, del
"distorto" modo d’essere e di percepire, dello stato d’afflizione
interno che non dà quiete. Non appena all’orizzonte compare qualcosa che
verosimilmente potrebbe spiegare, giustificare, essere la chiave di volta, ecco
che finalmente pare d’aver trovato il perché liberatorio. Peccato che tutto
questo lavorio nasca e sia conseguenza di un preconcetto circa il significato
dell’esperienza e della sofferenza interiore, che tutto il lavorio di ricerca
si muova stando dentro riferimenti e pregiudizi soliti, che il chiarimento sia
più un ragionato, pur sottilmente, teorema, che una vera scoperta. La
sofferenza interiore non è affatto scontato, come invece pare ai più, che sia
sintomo, segnale di un danno patito, di cui, rintracciate l’origine e le cause,
ci si possa liberare, riportando così dentro se stessi quiete e equilibrio,
benessere. Spesso la sofferenza interiore è frutto e espressione di iniziativa
del proprio profondo, è rottura di equilibri, per generare qualcosa che non
c’è: prima di tutto avvicinamento a se stessi, capacità di capirsi, costruzione
di un proprio modo di vedere e di conoscere, che non ci sono, capacità, che non
c’è, di autogoverno, di farsi interpreti di sé, di avere pensiero e capacità di
condursi autonomi, che rompano con il sostanziale fare leva e rimasticare idee
e modalità comuni, con la dipendenza da convalida e da considerazione altrui,
con la dipendenza dall’offerta di soluzioni preconfezionate e percorsi segnati.
La sofferenza interiore è soprattutto proposta, specchio di verità per
conoscere se stessi e il proprio stato e modo di procedere, è pungolo e guida
di ricerca, inizio di ricerca e di trasformazione. Comprenderla non è facile,
ma offrendole ascolto e non pregiudizio è possibile. Purtroppo la ricerca e la
concezione della cura in ambito psicologico coincidono non di rado con
l'elaborazione di un'ingegneria di risposte e di soluzioni volte, protese dal
principio a mettere in ordine, a sistemare, a manipolare, a contrastare, correggere,
piuttosto che ad ascoltare e a capire veramente la vita e l’esperienza
interiore. In partenza e a priori l’idea che questo modo d’essere e di sentire
o corso d’esperienza interna sia anomalo, che quell’altro sia inopportuno, che
quest’altro ancora sia il più conveniente e giusto. Che presunzione! La psiche
pero' è fatta di espressioni continue che sfuggono, che non stanno dentro lo
schema, è fatta di ostinata intraprendenza e pressione profonde che non si
fanno zittire. L'interiorità che si presume di spiegare e all’occorrenza di
mettere in riga, dice, sollecita, produce, anche in modo disturbante o
dissonante rispetto a gusti o attese, torna a premere anche se inascoltata,
anche se, quando torna decisa a bussare, si parla di “ricaduta” di malattia. E’
raro che le si dia retta, che ci si impegni in un incontro disponibile e
attento con la propria interiorità, nel suo ascolto vero. Purtroppo è persino
possibile che ci siano esperti della psiche e della sua "riparazione"
che hanno avuto accesso più a libri e a insegnamenti, ad apprendimento di
tecniche, che, prima di tutto, al rapporto con la propria interiorità, con cui
non hanno avuto e non hanno esposizione, contatto, apertura vere. L'interiorità
apre percorsi, non casualmente, non disordinatamente o insensatamente, traccia
solchi che, se seguiti e compresi, se riconosciuti in cio' che dicono, che
mostrano, che rivelano, offrono la possibiltà preziosissima di avvicinarsi a se
stessi, di lavorare su se stessi, di vedere con i propri occhi cose importantissime
e di vitale importanza per sè . Se si impara a cercare l'intimo di cio' che si
sente, se si impara a lasciarsi prendere e segnare dal sentire e nello stesso
tempo a cercare di prendere visione di cio' che lì dentro, in cio' che si sta
provando, sta prendendo forma e si sta rivelando di se stessi, ecco che si fa
riflessione vera (come guardandosi dentro uno specchio), ecco che il dialogo
con sè, con la propria interiorità, con cio' che dice anche di sofferto,
comincia a ricomporsi. Non è facile, ma è possibile. Non accade in un attimo,
bisogna lavorarci tanto e a lungo, con pazienza e coraggio, con estrema cura.
Può diventare necessario e utile farsi aiutare a formare e a sviluppare questa
capacità di incontro e di dialogo con se stessi, con la propria interiorità da chi sappia farlo. Se si fa
questo si ha occasione di scoprire che l'interiorità, che la propria
interiorità dice, anima, rivela, crea, anche passando per percorsi insoliti o
accidentati, ma necessari, illuminanti, veri, opportuni, intelligenti. Si puo'
smetterla di fare ipotesi da fuori o congetture circa cio' che è o che vale la
sofferenza o circa le sue ipotetiche cause e se ne comprende la proposta, il
messaggio vero. Si puo' fare. Non c'è cosa che ho scritto che non venga da
rapporto con l'esperienza interiore, mia prima di tutto e d'altri con cui da
molti anni mi confronto, nel tentativo di sostenerne lo sforzo di aprirsi a se
stessi, di prendersi cura di se stessi.
domenica 11 aprile 2021
Accade che il tuo profondo scelga in modo diverso dalla tua volontà
Accade che il tuo profondo scelga in modo diverso dalla
tua volontà, che non concordi con il perseguimento di ciò che la parte di te
cosiddetta conscia vorrebbe ottenere, persuasa che l’ideale, che lo scopo da raggiungere
sia, ad esempio, quello di vivere libero da tensioni, da inquietudini giudicate
anomale e non dovute, insieme al possesso immediato della sicurezza, della
capacità di reazione pronta, di perseguimento dell'obiettivo che pare, per idea
tua e comune, valido e desiderabile, favorevole. Capita che alla parte di te
profonda non sfugga la necessità di un diverso modo, non apparente, non affidato
a guide e a conferme esterne, ma ben fondato su conoscenza profonda di te, di realizzare
te stesso. Capita che il tuo profondo non ignori del tuo stato presente e del
tuo modo di condurti i vuoti, la mancanza di scoperte di significato e di
valore tue, di un tessuto vivo di pensiero non dissociato dall’intima
esperienza, ma fondato su vissuti, su sentire, la necessità e la priorità di formarlo, di svilupparlo, perché essenziale,
non per dare prova, non per dimostrarti all'altezza delle comuni e abituali
pretese, ma per avere del tuo che ti guidi e sostenga, un tuo in cui tu creda e
in cui ti riconosca, che diventi modo di procedere, scelte e progetto che vuoi
realizzare. Oggi avere fiducia in te è quasi una pretesa, lo vivi come un
diritto, come se si trattasse di un'ovvietà, come se i giochi fossero già
fatti, come se un pò d'anagrafe e di esperienze fatte di per sè dovessero già
darti forza e maturità di risposta nelle diverse situazioni. Al tuo profondo
preme la sostanza, non cade vittima delle illusioni, se la fiducia in te va
fondata su reale possesso di risposte tue, guadagnate da incontro e da
confronto con te, da scoperta con i tuoi occhi di significati che abbiano
radice in ciò che vivi dentro l’esperienza, che senti, che non siano quelli
presi in prestito, già codificati e comuni, subito disponibili per essere usati
e rimasticati, ridetti senza capire alla radice nulla, ecco che il tuo profondo
non ci sta e vuole per te e con te un percorso, casomai più lungo e graduale,
più impegnativo, ma certamente più appassionante, oltre che promettente, per
conquistare capacità tua autonoma di pensiero e di scelta. Non è uno sfizio
questa autonomia, è la base per esistere, per non essere gregario rispetto a
principi e a idee comuni, per essere pensante e capace di concepire il tuo,
coerentemente con te stesso, è la base per sentirti appassionatamente
consapevole di ciò che dici e che ti proponi e libero di non infilarti nel
percorso segnato da altri e da altro, ma di intraprendere e seguire percorso
tuo originale e verso scopo tuo, da te compreso e concepito. Capita che il tuo inconscio,
che il tuo profondo ti neghi percezione di sicurezza e di fiducia, per
rifondarle su basi nuove, per non insistere nell'andare avanti con fiducia
fittizia e immeritata, non agli occhi altrui, ma ai tuoi. Capita che il tuo profondo
ti spunti l'arma della replica pronta, della parola e dell'affermazione
efficaci, per far sì che, tacendo, incassando la tensione, tu ti chieda cosa
quella domanda ha mosso in te, cosa significa dare risposta e alla ricerca di
che cosa, di tradurre qualcosa in cui credi davvero e che davvero comprendi e
puoi sostenere o sforzandoti solo di convincere altri, sventando cattivo
giudizio, meritando buona considerazione. Al tuo profondo preme la tua crescita
vera e sostanziale, non gliene frega di vittorie di pirro, di buone riuscite in
pubblico, di successi del cavolo, che non hanno sotto davvero la capacità di
concepire idee fondate e appropriate all’esperienza vissuta, di pensare
autonomamente e non di rimasticare roba incompresa. E’ una capacità che va
formata e sviluppata gradualmente, è la capacità di capire e di capirti, che si
fonda sul non tacerti nulla, anche se scomodo, è la capacità di formare
qualcosa di tuo, di tessere filo di pensiero tuo. La visione del profondo è
straordinariamente più saggia e lungimirante di quella della parte cosiddetta
conscia, che spesso, pretendendo di fare da sola, si fa bastare illusioni e che
è così incline al cieco aderire a modelli prevalenti, all'impazienza. L'ansia e
quant'altro che interiormente crea instabilità, che segnala crisi e che non dà
quieto vivere, vogliono proprio rilanciare la tensione del cambiamento,
mostrare crepe, invitare con forza, talora con prepotenza, come con gli
attacchi di panico, alla priorità dell'avvicinamento a se stessi, del lavoro su
se stessi, rispetto al cieco andare avanti con pretesa che tutto sia già a
posto. Quando coinvolti da disagio e da malessere interiore, è
frequentissima, come fosse reazione ovvia, la risposta vittimistica, fatta di
tutto un susseguirsi di lagne, di recriminazioni, di attacchi ostili all'ansia
e a quant'altro interiormente di disagevole vissuto, liquidato come
disturbo e squalificato come patologia, fraintendendone e ignorandone il vero
significato e valore di forte richiamo al compito di guardare dentro se stessi
e di formare quel che ancora non c'è: consapevolezza e tessuto umano e di
pensiero propri, unità con se stessi. Hai la responsabilità verso te stesso di
fare una scelta. Puoi continuare a metterti al riparo da dubbi, cercando
conforto nell'idea di malattia e di cura che tolga di mezzo, come fosse un
disturbo, ciò che interiormente ti coinvolge e non ti dà tregua o viceversa
puoi scegliere, raccogliendo l’invito e la proposta che origina dal tuo
profondo di prenderti davvero cura di te e delle tue necessità di crescita e di
trasformazione profonda. Puoi scegliere se impegnarti a costruire, col
contributo di chi sappia aiutarti a metterti in sintonia e in ascolto del tuo
profondo, a comprenderne il linguaggio e la proposta, le basi della tua vera
realizzazione, della tua, non apparente e illusoria, capacità di dire la tua
alla vita, di generare e di mettere al mondo il tuo o rivendicare, in nome di
un malinteso benessere, il rapido ritorno alla normalità e alla continuità
solita, a quello di cui disponevi e che eri prima che la crisi e il malessere,
che l'iniziativa del tuo profondo ti coinvolgessero.
domenica 7 marzo 2021
L'unità con se stessi
E’ molto spiacevole e, a pensarci bene, inaccettabile e
tristissimo convivere con la parte intima e profonda di se stessi, che non è certo
insignificante, senza trovare con lei intesa e comprensione, vivendola anzi
come parte nemica, come oscura minaccia, da cui guardarsi. Le espressioni della
propria vita interiore sono a volte difficili da capire, sembrano solo togliere,
sconvolgere, fare danno e minare la propria sicurezza, in una parola sembrano
essere nocive e basta. Non è vero. Nulla di ciò che si sperimenta interiormente
è casuale e insensato, solo negativo e inaffidabile, nulla soprattutto lavora
contro se stessi. Il punto decisivo, se si vuole comprendere il significato
vero della propria esperienza interiore, è un altro, è che si ha dentro e nel proprio
profondo capacità di visione lucida, non condizionata da illusioni e da
interessi di autoconferma, di ciò che si è e che è importante capire,
riconoscere, di ciò che è necessario costruire e mutare, per non perdersi, per
non proseguire il proprio cammino di vita in modo in apparenza stabile e
quieto, ma, casomai nella sostanza, sterile e fallimentare, infelice. Accade
allora che dentro di sè questa parte, che è parte viva di se stessi (non va mai
dimenticato!), prenda iniziativa, a volte forte, interiormente vistosa e
sensibile, per spingere con decisione a entrare in contatto con qualcosa di
meno evidente e scontato di quel che si vede e che si concepisce col
ragionamento, ma che certamente ha più peso e rilevanza per sè di ogni altra
cosa, di ogni ricerca della semplice continuità o del beneficio del quieto
vivere. Insomma, il malessere non è mai un accidente negativo, una disgrazia,
la semplice espressione di una debolezza o di un eccesso di vulnerabilità
personali, non è un agitarsi scomposto, un meccanismo che impazza, è semmai il
contrario, l’espressione di una ferma e lucida iniziativa interiore, per indurre
a dare priorità alla riflessione su se
stessi, a portare lo sguardo su di sè, per guidare a scoprire e a costruire
qualcosa di nuovo e che è profondamente riconosciuto necessario, anzi
essenziale. Dal punto di vista di questa parte viva e profonda di se stessi non
è prioritario stare bene in apparenza e procedere indisturbati, ma vedere con
occhio attento, riflessivo la propria condizione e il proprio modo di
procedere, per raggiungere consapevolezza vera, fondamento del cambiamento e
della crescita personali, non di facciata, ma di sostanza, della conquista
della capacità di fare propria la propria vita, di conoscere prima e poi di esprimere
il meglio e il vero di se stessi. Questa parte profonda del proprio essere, non
ha paura di mettere le cose in discussione e sottosopra, di creare a volte
anche forte intralcio al consueto procedere, ma a fin di bene, del bene vero
del conquistare qualcosa di più consapevole, di più autenticamente proprio,
corrispondente a se stessi, e di più maturo. Certo la via tracciata dalla propria
interiorità risulta scomoda e non
indolore, restituire a se stessi la
responsabilità, riconoscere la verità di ciò che si è, che si è fatto e
che si sta facendo, non eluderla o non ricoprirla di spiegazioni e di significati
di comodo, costa e non poco. Va preso atto che, soprattutto all’inizio, fino alla
scelta di avviare un serio lavoro su se stesso, c’è dissidio, forte contrapposizione
tra la parte più conosciuta e frequentata del suo essere, cui nel tempo l’individuo
si è sempre più legato e affidato, quella dove svolge i ragionamenti e dove prende
decisioni, che è spesso affidata e prigioniera di un pensiero che si
rigira su se stesso e che ricalca il convenzionalmente e comunemente concepito,
e la sua parte profonda (quella che si esprime nelle emozioni, negli stati
d’animo e nei sogni) che vede le cose, certamente con più disincanto e
lucidità, con profondità di sguardo e con radicamento nella esperienza vissuta, con consapevolezza
dell’originale patrimonio personale e del percorso interiore e di presa di
coscienza necessari per portare a compimento il proprio potenziale umano. La parte
profonda, non assoggettata a vincoli di difesa e di mantenimento del già
raggiunto e ottenuto e di aderenza al convenzionale, con più lungimiranza,
scuote gli equilibri soliti, esercita pressioni utili a mettere in moto il
cambiamento di cui conosce fondata e irrinunciabile necessità e utilità. Come
fare per passare da uno stato di disunione, di paura di se stessi e di ciò
che si vive interiormente, a una
condizione invece di dialogo, di comprensione del senso di tutto ciò che
succede nel proprio spazio intimo, di lavoro unitario e solidale con la propria
interiorità, accolta e ascoltata per intero? Questo è ciò che può consentire
una buona psicoterapia, nel segno del promuovere nell’individuo l’ascolto, la capacità
di avvicinarsi e di aprirsi a se stesso, imparando a rispettare e a valorizzare
le proposte e a capire il linguaggio della propria interiorità, sia nei
vissuti, nelle emozioni, pur intense e “tremende“ o in apparenza assurde, sia
nei sogni. I sogni sono il pensiero elaborato ed espresso nel miglior modo
possibile dalla parte profonda del proprio essere, che, se è intransigente e
ferma nello smuovere le acque, nel creare clima di crisi e d’urgenza, è anche
pronta e capace nel dare guide e indicazioni su come procedere nella
riflessione e nella riscoperta di se stessi. Trovare unità con tutto il proprio
essere, unità che restituisca all’individuo la sua vita, le sue vere ragioni e
tutto il suo potenziale, è possibile.