domenica 31 marzo 2019
Malessere senza reali motivi?
domenica 17 marzo 2019
Perchè è fondamentale affidarsi alla guida dell'inconscio
lunedì 11 marzo 2019
Il rapporto col dolore
mercoledì 27 febbraio 2019
L'intelligenza del sentire
Il desiderio di star bene, quando non è inteso, come
spesso capita, come desiderio di uno stato di quiete, di assenza di tensione
interiore, quando aspira a fondarsi su vera unità, su fiducioso e pieno legame
e accordo con se stessi, con la propria interiorità, necessariamente deve
rimettere in discussione il ruolo e l’importanza attribuiti al sentire. Il
sentire non è e non può essere plasmabile a piacimento, il sentire non è e non
può essere ingenuo. La felicità ad esempio è un sentimento maturo e intelligente,
non può sposare o esaltare qualsiasi cosa, incurante di ciò che è, che
racchiude, che vale davvero. Tutto il nostro sentire è intelligente, più di
quanto non sia il nostro pensare e argomentare, che tanto ci sembra a volte
capace e convincente, ma che non disdegna di ripetere cose sentite dire, di
cercare quadrature di comodo o di soccorrere bisogni di autoconferma e di
rassicurazione. Il sentire, non quello artefatto e rifatto, ma quello
spontaneo, autentico e vero, è autonomo nei suoi movimenti, nelle sue
espressioni e proposte, non è docile alle pretese di chi lo vorrebbe sempre
solidale con le proprie aspettative e “positivo”. Sembra a molti una regola
indiscutibile quella che vorrebbe allineare il proprio sentire alla cosiddetta
normalità. I punti di forza del ragionamento, così diffuso e insistito da
diventare una specie di litania, è che tutto ciò che interiormente si presenta
difficile, insolito e doloroso, è in modo scontato un che di sfavorevole e
negativo, che presto, se insiste, è giudicato un disturbo, una anomalia da
correggere, da eliminare perché costituisce un impedimento, ritenuto
sciagurato, a essere come prima, normali ecc. Tutti a maledire ansia, disagi,
pene e difficoltà che sulla scena interiore non di rado tengono banco, che non
permettono di tirar dritto come prima, che intralciano il legame con l'esterno,
che obbligano ad avere come prima preoccupazione se stessi, il proprio stato,
che tengono inchiodata l'attenzione agli svolgimenti interni. Nulla
interiormente succede per caso, c'è una parte di noi stessi che non è incurante
o disattenta al nostro stato, che non concede a sviste e a autoinganni, a
impazienza o a semplificazioni. C’è una parte di noi, profonda, la si può
chiamare inconscio ( che non significa cieco e primitivo, poco incline al veder
chiaro e puntuale, al veder lungo e ampio, anzi!!), che, se vede la nostra
attuale inconsistenza, non se la tace e non ce la manda a dire, che se siamo
solo inclini ad andar dietro alla corrente, a investire in ciò che altri considera
valido e degno, col rischio di far vita gregaria o di fallire le nostre
direzioni e i nostri scopi, non sta certo a dormire. L'età anagrafica da sola
non rende adulti, la scuola, gli studi e le letture rendono cresciuti in
conoscenza e in consapevolezza si fa per dire, le esperienze non sono di per sé
e in automatico maestre di vita, soprattutto quando non si è capaci di
riflettere, di cogliere l'intimo significato di ciò che si muove in noi e che
sentiamo. Questo per dire che troppo spesso ci si fa l'illusione di essere già
arrivati, che non ci sia nulla di fondamentale da rivedere e da costruire per
ciò che riguarda la conoscenza di se stessi e il maturo possesso di capacità di
guidarsi. Chi, in presenza di disagi e di sofferenze interiori, invoca subito
il diritto di spazzare via l'ostacolo interiore definendolo un accidente
negativo, un impedimento da abbattere e una distorsione da correggere e
annullare, crede che tutto di sè sia già a posto, che la priorità sia di non
perdere o compromettere il legame con l'esterno, la possibilità di fare,
pretendendo di trovare sul piano interiore fiducia e ottimismo, senza
insicurezze ed altro. Il nostro sentire è intelligente e è espressione della
parte più intelligente e meno abbindolabile di noi, meno incline a far coro con
chi dice che basta farsi coraggio, che tutto va solo preso e proseguito come
fan tutti e che l'ansia e simili sono solo maledetti nemici, una stupida
zavorra, un insieme di irrazionali timori o di atteggiamenti e modi di pensare
sbagliati. Se tutto andasse davvero bene e per il verso giusto perché mai il
nostro intimo e profondo sguardo e sentire non dovrebbero confermarlo e
sostenerlo? La felicità come la fiducia, il fondato veder chiaro della
consapevolezza, non sono cose qualsiasi, un diritto o altro che si possa
rivendicare e avere gratuitamente, a meno d’essere fin nel profondo ciechi e
ottusi, a meno di farsi andare bene tutto, anche le proprie illusioni. A noi
serve avere davvero consapevolezza, legame con noi stessi, capacità di capire e
di mettere assieme cose valide, comprese e ben verificate da noi, vicine a noi
stessi. Tutto questo non lo si ha per diritto naturale o perché in qualche modo
ci si è dati da fare. Interiormente non ci si tace nulla e, casomai creando
allarme e facendo sentire sonori scricchiolii, la propria interiorità vuole far
prendere atto che si è mancanti. La fiducia degli altri ce la si può a volte
astutamente accaparrare, ma quella propria intima è faccenda più seria, perché
una parte di se stessi, profonda, non si lascia convincere dalle apparenze.
Sapendo vedere ciò che di sostanziale manca, saggiamente il profondo nega nel
sentire stabilità e conferma, scuote col malessere e senza tregua sprona per
costruire quello che non c’è e che, solo se fatto bene e con pazienza, potrà
far sentire davvero intimamente confermati e fiduciosi. Il nostro sentire è
intelligente.
domenica 24 febbraio 2019
Il malessere interiore chiede risposte consone e intelligenti
venerdì 22 febbraio 2019
Si può
domenica 17 febbraio 2019
Volersi bene
Comuni preconcetti
domenica 25 novembre 2018
Fa male tenersi tutto dentro?
giovedì 1 novembre 2018
La trappola della idea di malattia
La patente di malato con la sua bella etichetta
diagnostica, spesso invocata da chi vive una condizione di sofferenza
interiore, per confermarsi vittima di ciò che sta provando, per porlo in stato
di quarantena e di controllo come fosse un morbo di cui liberarsi, una minaccia
da cui difendersi e da rendere bersaglio di presunte cure che la combattano e
che la facciano fuori, è in realtà la via maestra per portare a compimento la
propria dissociazione, per destinarsi a rigida chiusura verso la propria
interiorità. La vita interiore non risponde alle attese e alle pretese di
regolare funzionamento così come concepito dal senso comune, così come
auspicato dalla parte razionale dell'individuo, che, se chiusa al dialogo con
la componente intima e profonda, non fa altro che rigirarsi nel pensato comune,
unica fonte, unica ispiratrice dei propri pensieri. La vita interiore è lo
specchio e la traduzione in essere dell'intelligenza profonda. Dentro di noi
c'è una parte tutt'altro che sprovveduta che tiene conto nell'esperienza non
delle apparenze ma della sostanza, non della superficie ma del dentro, che
coglie e riconosce ciò che muove ogni gesto e ogni azione, che anima ogni
risposta, che non trascura di riconoscere il vero dell'esperienza, che non è
incline a coprire, ma a svelare, che non ha come suo intento cavarsela e
risolvere, ma capire, non ottenere risultati, ma riconoscerne la qualità vera,
la conformità a se stessi. Che lo si voglia o no, che lo si sappia o no, c'è
una parte intima e profonda del proprio essere che non è gregaria del
rimanente, che ha forte tempra e autonomia, che insiste nel dare segnali utili
e essenziali per calarsi nel vero, per non stare nell'illusorio, per non
barricarsi nella consapevolezza truccata e di comodo, nell'idea di se stessi
che ha più sostegno nello sguardo comune che nel proprio. E' la parte di se
stessi che ha più vicinanza con le proprie intime ragioni d'esistenza, con il
proprio potenziale da coltivare e sviluppare, che vuole crescita e formazione
di pensiero vero e fondato, autonomo e di sostanza e non spiantato anche se ben
congegnato come quello usuale e ragionato. Quella profonda è la parte di se
stessi che non si lascia incantare dalle inventive e dai prodotti a volte tanto
ingegnosi quanto sterili del ragionamento, che non si fa tirare e portare da
suggeritori esterni più o meno manifesti, che sa vedere la pochezza di essere
individuo realizzato secondo canoni comuni, ma gregario e passivo nell'aver
fatto propria un'idea di vita e di riuscita già concepita e altra da se stesso.
La componente profonda del proprio essere non è della partita e della corsa a
fare ciò che secondo altri e secondo idea prevalente è il meglio o è il
possibile della vita. La parte profonda scuote e agita le acque interiormente
per sollevare il problema del proprio muoversi senza aver mai cercato radice
dentro se stessi, del proprio blaterare e dell'affannarsi a inseguire, a
riprodurre, a stare dentro un'idea di vita che non ha nulla di vicino, di
scaturito da se stessi. Tutta la inquietudine e il malessere interiore, con le
sue diverse espressioni che in molti, che si sono definiti portatori di
pensiero scientifico, hanno preferito catalogare e etichettare per sottoporle a
trattamenti che le contrastassero e che le raddrizzassero, ma che, se sapute
intendere, segnalano puntualmente la fisionomia del proprio modo di condursi,
la problematica dell'essere lontani da contatto, da capacità di rapporto e di
dialogo con se stessi, è e vuole essere invito fermo a fermarsi per capire, per
capirsi, riconoscendo questa come la priorità. La priorità non è spingersi
avanti come se tutto di se stessi fosse implicitamente valido e scontato, non è
avere a cuore i risultati soliti e contingenti, ma è finalmente prendere
visione di come si sta interpretando e svolgendo la propria vita, su che basi e
guidati da cosa. La priorità, secondo la parte profonda di se stessi, è
rendersi conto che, amputati di un rapporto aperto e fecondo col proprio
intimo, non si è niente e nessuno, si è solo ciò che sta dentro una parte e
un'idea già confezionata, che senza il supporto dello sguardo e del consenso
comune non starebbe in piedi. Al profondo di se stessi preme che non si arrivi
al capolinea della vita senza aver capito nulla, senza aver provato a
sostituire l'illusione con la sostanza, la maschera dell'esistenza con
un'esistenza con il proprio volto, la vita secondo altri con la vita propria,
il pensiero rimasticato e nel coro col proprio finalmente cercato, coltivato e
messo al mondo.
venerdì 21 settembre 2018
La lingua batte dove il dente duole. La gelosia
giovedì 13 settembre 2018
La scelta
venerdì 24 agosto 2018
Riprendere in mano la propria vita
Docile non è...
La propria interiorità non sta affatto nei
confini della cosiddetta normalità, dentro quel campo delimitato, dove tutto
dovrebbe svolgersi secondo previsione e programma, senza scosse e senza
sorprese sgradite, non dando disturbo, non recando fastidio. Docile a simili
aspettative e pretese non è il proprio profondo, perché ama la vita, perché non
accetta i pastrocchi e le illusioni che l'altra parte, quella conscia, che, si
crede superiore in affidabilità e capacità di giudizio, confeziona. La parte
conscia, in presenza di crisi e di malessere interiore, che vorrebbero riaprire
i giochi, condurre a un serio riesame della propria vita, del proprio modo di
condurla, reagisce e si allarma, spesso, senza tanti indugi, strepita e sentenzia,
giudica e dispone, senza capire e intendere se non i propri pregiudizi, non si
fa scrupolo di aggredire la parte intima, di mortificarla, dandole della
balorda, della sciagurata, dell'incapace e della malata. La conferma autorevole
non tarda a venire. Etichette diagnostiche, che fanno di ogni erba un fascio,
per definire, meglio sarebbe dire per marchiare (e da lì avviare a trattamento
normalizzante farmacologico e non), con pretesa aria di sapere indiscusso e di
scientificità, esperienze interiori, tanto impegnative e disagevoli quanto
uniche e cariche di senso, con cui non si ha né volontà, né capacità di entrare
in rapporto, cui ancor meno si è disposti a riconoscere intelligenza e capacità
propositiva, sono il suggello di un atto ostile, anche se non riconosciuto come
tale. Un atto ostile contro parte di sè e a proprio danno, pur con l'aria di
procurarsi benevola cura, di darsi aiuto. L'interiorità non si piega, non si fa
addomesticare, insiste, ogni suo rinvenire forte e risoluto incontra risposta dura
e ancora ostile, la squalifica prosegue e la parte conscia parla di ricaduta di
malattia. Beata ingenuità di una parte di sé, tanto arrogante e spiccia nei
giudizi, quanto ignorante! Ho dedicato la mia vita a rivalutare e a
valorizzare, a difendere e a rendere giustizia e dignità alla parte
bistrattata, la più saggia in realtà, la più capace, insostituibile nel ridare
a ognuno dignità, forza e spessore di individuo pensante e consapevole e non di
pecora vagante senza meta propria e senza progetto, in forte e stretta sintonia
col gregge piuttosto che con se stesso. L'interiorità è valida, irremovibile
nel suo intento di testimone del vero, di promotrice di crescita, di
realizzazione umana autentica e non d'immagine e fasulla, l'inconscio è una
risorsa straordinaria e ai più sconosciuta nella sua vera natura e potenzialità
di fonte di vita e di pensiero. Ho cercato e cerco di aiutare l'altro a non
ripudiare parte di sé preziosa e affatto nociva, a non spararle contro per
liquidarla senza entrarci in rapporto e senza conoscerla, continuerò a aiutare
l'altro a non fuggire sciaguratamente da se stesso.
martedì 21 agosto 2018
La propria strada
martedì 31 luglio 2018
L'importanza di non travisare
L'interiorità si fa in quattro per
coinvolgere la parte cosiddetta conscia, che spesso di consapevolezza vera ne
cerca e ne forma assai poca, per farle capire che c'è necessità vitale di
prendere visione attenta di come si è e di provvedere a costruire, a formare
quanto manca per essere all'altezza di individuo con propria identità e
progetto. L'interiorità non vuole chiudere gli occhi e preme facendo capire che
non c'è urgenza di fare e di proseguire come sempre, senza perdere colpi, che
l'urgenza è ben altra. Ostinatamente lancia l'allarme, il profondo dell'essere
strattona anche con forza la parte di sopra, ponendo intralci alla sua pretesa
di quieto vivere, alla sua propensione a gettarsi fuori, come se il fuori fosse
l'unica risorsa e riferimento, l'unico habitat possibile, rifuggendo il luogo
intimo, dello stare in contatto con se stesso, col proprio sentire, come fosse
irrilevante e senza promessa, un niente da evitare, dentro cui non sostare,
perchè ci sarebbe sempre bisogno d'altro per vivere e, per dirla giusta, per
non perdere il passo con qualcosa che non si sa bene perchè, ma che tutti
dicono essere normale. L'interiorità non recede e insiste nella volontà di
porre al centro dell'attenzione non le illusioni, non la voglia matta, questa
sì matta, di proseguire e basta, ma non c'è verso, le capita solo di essere
oggetto di improperi (del tipo di: maledetta ansia!), di giudizi senza ascolto,
di sentenze senza appello, casomai sotto forma di diagnosi, di prese di misura
curativa che altro non sono che purghe per spazzare via ciò che è inteso solo
come disturbo e patologia. Il quadro è questo, ma i travestimenti in forma di
cura di risposte sorde e ostili all’interiorità e i travisamenti sono
infiniti e ferrei. Ne sono esempi, ben sostenuti dall'ideologia dello star bene
purchessia, casomai nel segno del non aver di mezzo dubbi e domande, la cura
che vuole mettere a posto e a tacere l’interiorità con i farmaci, quella
che vuole risanare e correggere con tecniche per eliminare ciò che considera
anomalo e disfunzionale. E poi ancora la cura che, con pretesa di essere
introspettiva e analitica, vuole spiegare i presunti perchè di ciò che,
interiormente impegnativo e difficile, non sa ascoltare in ciò che vuole dire e
far capire, cui soltanto va a cercare con lunghi giri le presunte cause per
levarselo di torno, per liberarsi dell’incomodo di qualcosa, che in partenza
terapeuta e paziente giudicano l'esito infelice di un danno patito, di un
passato sfavorevole, una sofferenza residua frutto di condizionamenti negativi,
di traumi subiti, travisando, travisando. Con ostinata sicumera si travisa come
disturbo da togliere e guasto da sanare ciò che l'interiorità vuole, a ragion
veduta, dire e dare, la consegna, che certamente impegnativa, ma a misura e a
altezza di essere umano, vuole portare a cambiare profondamente, a diventare
soggetti consapevoli e artefici della propria vita e non passivi traduttori di
un'idea di vita già scritta, con parte da interpretare e sceneggiatura belle
che pronte. Il profondo ha capacità di vedere vuoti e assenze, vuoti di sè, di
pensiero proprio, di capacità di leggere nell'intimo e senza veli il proprio
modo di essere e di procedere. Se ancora non si sono trovate le proprie
risposte alla propria vita e se ancora non si hanno radici in se stessi, come
si può pretendere di proseguire integri e imperterriti, come se tutto fosse
scontato e già risolto? Se una parte di se stessi vede e non ignora il problema
è assurdo e patologico o è comprensibile e sano che si faccia in quattro per
sollevarlo, strafottendosene della preoccupazione che domina l'altra parte di
sè di proseguire comunque e basta, di non perdere il passo con gli altri? E'
importante non travisare.