domenica 31 marzo 2019

Malessere senza reali motivi?

Un argomento tutt'altro che infrequente quando si vive una condizione di sofferenza interiore, argomento sostenuto dal diretto interessato o da chi gli sta attorno, è che non ci sono motivi reali e concreti per il malessere che si prova, per quell'ansietà così esasperata e insistente o per quel senso di infelicità e per la perdita di stima e di fiducia in se stessi, solo per fare degli esempi. Lo sguardo punta al fuori, a indagare e a valutare situazioni, circostanze esterne, la verifica utilizza criteri e parametri comuni e soliti per stabilire il grado di soddisfazione o di benessere presunti, che si ritiene debbano conseguire a quelle situazioni concrete. Reale però non equivale a concreto. Concreto è solo un ordine di ragioni e di cose visibili e già ben riconosciute e comunemente. Reale e di peso non secondario può essere anche ciò che ancora non si sa vedere e concepire, che casomai, per preconcetto e per difesa di convinzioni inveterate, non si sa e non si vuole ammettere e riconoscere. Lo stato delle cose riguardante se stessi, il proprio modo di vivere e di procedere, può ad esempio non essere felicemente rispondente a se stessi e soprattutto può essere travisato, ritenendolo normale e scontato, solo perché simile e copia di ciò che pare concepisca e faccia la maggioranza delle persone. Nel nostro profondo però siamo dotati di una capacità di sguardo, quella del nostro inconscio, che non cede all'illusione e alla mistificazione, che sa vedere ad esempio quanto soffrono la nostra identità vera e il nostro potenziale d'essere e di crescita originali quando rimaniamo aderenti e affidati nel pensiero e nello stile di vita a quanto suggerito e impartito dalla cosiddetta normalità, confortati da questo affidamento e nello stesso tempo illusi di essere in qualche misura artefici della nostra vita e realizzati, l'inconscio sa riconoscere lo stato vero delle cose e ammettere l'inconsistenza di un modo di vivere che ancora non racchiude nulla di compreso veramente di noi stessi, nulla di scoperto, di generato da noi. Se la parte profonda di noi stessi volesse darci uno scossone e imporci la necessità e l'urgenza di riaprire tutto, di vedere la nostra lontananza da noi stessi, di intendere per tempo il rischio di fallire il nostro cammino di vita dove non cominciassimo a fare sul serio, impegnandoci prima di tutto a capire la nostra condizione vera senza veli e autoinganni, iniziando a preoccuparci seriamente di formare ciò che manca non per apparire normali, ma per far vivere noi stessi e il nostro, è comprensibile che possa intervenire muovendo in noi con forza una esperienza di malessere interiore, fatta di insicurezza e paura insistite, anche esasperate, di senso di infelicità e di vuoto? Sarebbe realmente motivata questa presa di posizione o sarebbe senza motivo e senso? Quando si giudicano immotivate, assurde o semplicemente dannose esperienze interiori come quelle catalogate ad esempio come ansia o attacchi di panico, come depressione o altro, bisognerebbe andarci cauti. Può esserci motivo valido e fondamento reale per simili esperienze interiori pur spigolose e difficili, pur dolorose o estreme. Abbiamo un profondo (tutta l’esperienza interiore che viviamo che va oltre ragionamento e volontà, cioè emozioni stati d’animo, pulsioni, sogni, è di matrice profonda) che sa vedere e che non vuole tacere, che vuole segnalarci il vero senza sconti per aprire una crisi certamente impegnativa, ma necessaria, utilissima se ben interpretata come occasione di profonda trasformazione e di crescita. Comunque ciò che sentiamo, pur brusco, spiacevole o incalzante o sconquassante, vuole che ci guardiamo in faccia e ben dentro e profondamente, senza tirare avanti inconsapevoli o con una visione di noi stessi approssimativa e vaga, peggio ancora ipocrita o inventata. Ne va della nostra sorte. Se è a rischio la realizzazione della nostra vita fedelmente a noi stessi, se ancora ci manca tutto per essere davvero soggetti consapevoli, se siamo più in sintonia e in accordo con altri che con noi stessi, più adesi ad altro che vicini a noi stessi, dissociati e discordanti tra ciò che sentiamo e ciò che pensiamo e diciamo, il nostro profondo può darci segnali forti, può col malessere metterci alle corde e esercitare su di noi fortissimi richiami. Dunque se anche i motivi della sofferenza interiore non sono di ordine concreto e facilmente identificabili, se anche non sono esterni ma interni a noi, ciò nondimeno esistono e sono reali, realissimi. 

domenica 17 marzo 2019

Perchè è fondamentale affidarsi alla guida dell'inconscio

Il malessere interiore, in tutte le sue possibili espressioni, ognuna significativa e non casuale, non è nè la manifestazione di un guasto o di una patologia, nè la conseguenza malaugurata di qualche fattore o condizionamento negativo, di qualche carenza o trauma patiti attuali o remoti, è l'espressione dell'intervento dell'inconscio che sta sollevando un problema cruciale. Di tutto ciò che accade e che si muove sulla nostra scena interiore l'inconscio, la parte profonda del nostro essere, è artefice e protagonista. E' perciò con l'inconscio che bisogna imparare a entrare in rapporto e in dialogo per capire, è all'inconscio che va rivolto lo sguardo e l'ascolto per farsi dire cosa sta succedendo, qual'è il problema, per farsi dare le guide della ricerca, mettendosi nella condizione di assecondare e di fare propri i processi di presa di coscienza e di trasformazione che l'inconscio sa e vuole promuovere e alimentare. E' proprio questo che si scopre possibile e che si fa in una vera esperienza analitica. Va tenuto presente che in genere non si conosce né il modo di comunicare dell'inconscio, né l'aiuto importante e decisivo che può offrire. Si pensa che gli svolgimenti interiori siano una sorta di meccanismo, che a tratti si teme possa andare in tilt. Si ignora che i confini del proprio essere sono ben più ampi di ciò che si è abituati a abitare e a riconoscere come proprio e affidabile. L'analisi offre la possibilità di entrare in rapporto, di familiarizzare e di sviluppare capacità di dialogo con la parte più intima di se stessi, di scoprire che le esperienze interiori anche le meno facili, anche le più in apparenza strane, anche le più dolorose e spiacevoli non sono distruttive, ma hanno un senso, dicono, svelano, vogliono portare vicino a se stessi, vogliono produrre crescita e trasformazioni, non sono un che di ostile e minaccioso, un che di anomalo da cui guardarsi. Se si affronta il malessere interiore travisandolo e squalificandolo come patologia o disturbo da combattere, se si pensa di condurre il lavoro di conoscenza di se stessi, di ricerca di un nuovo star bene, di un cambiamento della qualità della propria vita, senza includere da protagonista l'inconscio, ci si destina a costruire risposte inappropriate e fragili, che in un caso si traducono in un atto ostile verso la parte intima e profonda di se stessi di cui si ha la pretesa di mettere a tacere i segnali e di correggere le iniziative considerandole appunto insane, che nell'altro caso riducono il lavoro conoscitivo e di ricerca del cambiamento a un lungo giro di ricognizione, che fa conto e leva sulla capacità di osservazione e comprensione razionale, dentro episodi che fanno parte della personale biografia, momenti interiori e  esperienze vissute del presente e del passato, spesso filtrati con cura e letti con la lente deformante del pregiudizio di chi si considera potenziale vittima, mettendo assieme una concatenazione di interpretazioni e di spiegazioni, in apparenza logiche e coerenti, di presunte cause che nulla hanno a che fare col vero significato e scopo del malessere interiore. Affidare la guida del percorso conoscitivo alla parte conscia razionale implica il rischio di rimanere intrappolati dentro la sua struttura logica, dentro il modo di pensare e concepire abituale, facendo solo qualche rifinitura. La conseguenza sarà che il malessere interiore non sarà riconosciuto nelle sue ragioni, che facilmente tornerà a premere perchè inascoltato, mentre persisterà, al di là delle apparenze, la lontananza e la separazione dalla propria vita interiore, l'incapacità di comunicare col proprio sentire, l'incomprensione sostanziale del proprio profondo, casomai con qualche irrigidimento e barriera in più, data dalla pretesa di aver spiegato ciò a cui in realtà non si è dato voce. Non è raro che chi ha compiuto un lavoro su se stesso fondato sull'iniziativa della componente conscia risulti a un'attenta osservazione, seppur in apparenza più consapevole e aperto a se stesso, più rigido, affidato a modi di pensare e di interpretare se stesso e le vicende interiori che sembrano prefissati e sempre uguali. Dunque ciò che la crisi interiore voleva aprire e consentire, lo scopo del malessere rischia di non essere compreso e assecondato. Parlo di scopo perchè il malessere interiore, sollevato e tenuto vivo dall'inconscio, tende a uno scopo, prima di tutto di portare con forza l'attenzione e la preoccupazione su se stessi, facendo percepire critico il proprio stato. L'intento è di condurre a un'attenta rivisitazione del proprio modo abituale di procedere e di stare in rapporto con se stessi, con la propria interiorità, ponendo se stessi al centro dello sguardo, senza far risalire tutto a altro e all'interagire con altri. L'inconscio vuole che si prenda visione del volto attuale della propria vita e dei suoi fondamenti, una vita spesso solo in apparenza propria, in cui, se lontani da se stessi, se ignari del significato originale di ciò che vive dentro se stessi, si procede fatalmente dentro direzioni e su guide segnate da altro comune e già concepito, che orienta e che dà credibilità alle proprie scelte e ai propri pensieri ragionati, una vita in cui si è in sintonia più con l'esterno, con gli altri e col senso comune, che col proprio intimo. Questo l'inconscio spesso vuole segnalare, spingendo con forza e con insistenza la parte conscia, che vorrebbe considerare tutto già a posto e da proseguire, verso una graduale e lucida presa di coscienza del vero del proprio stato e di pari passo verso una profonda trasformazione che veda il congiungersi a sè, il legame con la propria vita interiore, come passo decisivo e condizione irrinunciabile per formare, dentro e attraverso questa unità con se stessi, con la propria interiorità, finalmente ascoltata e compresa nel suo linguaggio, il proprio bagaglio di conoscenze, di scoperte di significati e di valore, non più presi da fuori, ma formati e compresi da dentro e alla radice. Tutto questo l'inconscio vuole promuovere e a questo è pronto a dare nutrimento e guida col sentire e soprattutto con i sogni. Lo scopo è di rinascere con una vita propria, con una visione propria, con una capacità di dirigersi autonoma e coerente con se stessi, con le proprie passioni, idee e aspirazioni scoperte e verificate da sè profondamente e non prese in prestito e fasulle. Lavorare su se stessi, cercare di capire e di conoscersi, di trovare le proprie risposte, lasciando la guida delle operazioni alla parte conscia, significa ricadere nei limiti del già pensato e concepito, significa confermare le stesse condizioni e l'orizzonte mentale di sempre, casomai con qualche rinnovamento e abbellimento di facciata, inutile e inconsistente. E' importante coinvolgere l'inconscio, affidarsi alla sua guida perchè questo garantisce di trovare la risposta al malessere interiore la più consona e felice e perchè crea un nuovo modo di stare in rapporto con se stessi, unitario e dialogico, dove il profondo, dove l'inconscio diventa parte integrante della propria vita, superando una condizione di scissione tra pensare e sentire, tra sè e il proprio intimo.

lunedì 11 marzo 2019

Il rapporto col dolore

Il rapporto con l'esperienza interiore dolorosa è questione decisiva. Spesso il dolore è vissuto come pena indebita, come afflizione immeritata, come danno patito. Prontamente lo si riconduce a cause esterne, lo si tratta come segnale e indice di situazione a sè sfavorevole, che opprime e lede, come carico esagerato che toglie serenità, che non offre il dovuto (tale è considerato) agio o il meglio. Allontanare l'insieme che pare responsabile di arrecare dolore, vuoi il legame con una o più persone, vuoi un luogo o una situazione concreta e cercare altrove tregua, sollievo o miglior fortuna e beneficio sono risposte frequenti al dolore. Smorzare o soffocare, zittire con ogni mezzo, psicofarmaci, alcol, cibo, distrazioni varie o altro, il dolore come fosse il peggio da cui trarsi in salvo, a cui non concedere spazio, da cui evadere è risposta non certo rara. Sfogarsi con qualcuno, casomai inanellando spiegazioni sommarie miste a recriminazioni, a atti d'accusa rivolti a altri e a altro, a autocompiangimento è un altro mezzo frequentemente usato per provare a scaricare il dolore. Il dolore però, ben lungi dall'essere una pena inflitta da causa esterna e una sciagura, preme interiormente, sostenuto da iniziativa del proprio profondo, assai lucida e niente affatto maligna, per dare pungolo e occasione di aprire gli occhi e di lavorare prima di tutto, senza risparmio e senza veli, su se stessi, per rivedere quanto vissuto, per ripercorrere non nella superficie dei fatti ma all'interno il cammino fatto dentro l'esperienza, collocando se stessi, i perchè delle proprie scelte, i modi e le risposte date, al centro dell'attenzione. Cosa nel dolore si muove, cosa il dolore svela e acuisce è ciò che merita di essere riconosciuto, che chiede di essere ascoltato, valorizzato e compreso. Non farlo significa non raccogliere il messaggio della propria interiorità, la proposta di riflessione attenta e puntuale tracciata dal proprio sentire doloroso, che incalza, che non dà tregua, significa passare oltre e andar via immutati, sprovvisti di una guida utile e indispensabile, di una intesa nuova con se stessi, di una scoperta di verità e di significati che il passaggio critico e doloroso vuole far trovare. Riversare su altro la causa e i perchè, provare a superare in fretta o a evadere dal dolore significa, pur pensando di aver ben risposto al proprio disagio, tornare fatalmente a riprodurre altrove le stesse modalità e implicazioni proprie non riconosciute, in definitiva significa ricreare la stessa situazione da cui si proviene e di cui ci si è voluti liberare. Il dolore interiore non è sciagura, è voce, è occasione di approfondito sguardo, che è necessario imparare a esercitare su di sè principalmente, con attenzione e con pazienza. La riflessione combinata a capacità di tener dentro il malessere, di reggere l'esposizione al dolore, accettando il coinvolgimento nell'esperienza disagevole, è indispensabile. La riflessione non è, come spesso si fraintende, esercizio di ragionamento che cerca di spiegare, ma è capacità di ascolto e di vedere cosa l'intimo sentire delinea e sottolinea, disegna e dice. Nulla va spiegato o interpretato spingendosi oltre ciò che il sentire dice, perchè ogni elaborazione che non poggi e che non stia nella traccia viva del sentire rischia di essere spiantata e di dare occasione solo alla voglia di chiudere in fretta, casomai mettendo al riparo se stessi da ammissioni difficili. E' di fondamentale importanza non squalificare l'esperienza interiore vissuta, comunque sia, non pretendere di cancellare, di superare subito ciò che invece preme interiormente, pur dolorosamente, per dare occasione di presa di visione e di consapevolezza. Scopo di una buona  psicoterapia è proprio di favorire e di far crescere la capacità di entrare in rapporto con l'intima esperienza, anche se dolorosa, imparando a comprendere il linguaggio della propria interiorità, a non commentare o spiegare ma a ascoltare il proprio sentire, scoprendo che quanto si sta provando nell'intimo, anche se assai difficile, non è una minaccia o uno stato anomalo da correggere, non è la spiacevole conseguenza di qualche danno o trauma subiti, bensì la guida preziosa per conoscere e per capirsi, per trovare profonda sintonia e vicinanza con se stessi. Capire, capirsi è assai più proficuo che fuggire dal dolore e apre a se stessi strade, che la scelta di alleggerirsi e di procurarsi qualche soluzione o rimedio, lasciando tutto intatto, non aprirà mai.

mercoledì 27 febbraio 2019

L'intelligenza del sentire

Il desiderio di star bene, quando non è inteso, come spesso capita, come desiderio di uno stato di quiete, di assenza di tensione interiore, quando aspira a fondarsi su vera unità, su fiducioso e pieno legame e accordo con se stessi, con la propria interiorità, necessariamente deve rimettere in discussione il ruolo e l’importanza attribuiti al sentire. Il sentire non è e non può essere plasmabile a piacimento, il sentire non è e non può essere ingenuo. La felicità ad esempio è un sentimento maturo e intelligente, non può sposare o esaltare qualsiasi cosa, incurante di ciò che è, che racchiude, che vale davvero. Tutto il nostro sentire è intelligente, più di quanto non sia il nostro pensare e argomentare, che tanto ci sembra a volte capace e convincente, ma che non disdegna di ripetere cose sentite dire, di cercare quadrature di comodo o di soccorrere bisogni di autoconferma e di rassicurazione. Il sentire, non quello artefatto e rifatto, ma quello spontaneo, autentico e vero, è autonomo nei suoi movimenti, nelle sue espressioni e proposte, non è docile alle pretese di chi lo vorrebbe sempre solidale con le proprie aspettative e “positivo”. Sembra a molti una regola indiscutibile quella che vorrebbe allineare il proprio sentire alla cosiddetta normalità. I punti di forza del ragionamento, così diffuso e insistito da diventare una specie di litania, è che tutto ciò che interiormente si presenta difficile, insolito e doloroso, è in modo scontato un che di sfavorevole e negativo, che presto, se insiste, è giudicato un disturbo, una anomalia da correggere, da eliminare perché costituisce un impedimento, ritenuto sciagurato, a essere come prima, normali ecc. Tutti a maledire ansia, disagi, pene e difficoltà che sulla scena interiore non di rado tengono banco, che non permettono di tirar dritto come prima, che intralciano il legame con l'esterno, che obbligano ad avere come prima preoccupazione se stessi, il proprio stato, che tengono inchiodata l'attenzione agli svolgimenti interni. Nulla interiormente succede per caso, c'è una parte di noi stessi che non è incurante o disattenta al nostro stato, che non concede a sviste e a autoinganni, a impazienza o a semplificazioni. C’è una parte di noi, profonda, la si può chiamare inconscio ( che non significa cieco e primitivo, poco incline al veder chiaro e puntuale, al veder lungo e ampio, anzi!!), che, se vede la nostra attuale inconsistenza, non se la tace e non ce la manda a dire, che se siamo solo inclini ad andar dietro alla corrente, a investire in ciò che altri considera valido e degno, col rischio di far vita gregaria o di fallire le nostre direzioni e i nostri scopi, non sta certo a dormire. L'età anagrafica da sola non rende adulti, la scuola, gli studi e le letture rendono cresciuti in conoscenza e in consapevolezza si fa per dire, le esperienze non sono di per sé e in automatico maestre di vita, soprattutto quando non si è capaci di riflettere, di cogliere l'intimo significato di ciò che si muove in noi e che sentiamo. Questo per dire che troppo spesso ci si fa l'illusione di essere già arrivati, che non ci sia nulla di fondamentale da rivedere e da costruire per ciò che riguarda la conoscenza di se stessi e il maturo possesso di capacità di guidarsi. Chi, in presenza di disagi e di sofferenze interiori, invoca subito il diritto di spazzare via l'ostacolo interiore definendolo un accidente negativo, un impedimento da abbattere e una distorsione da correggere e annullare, crede che tutto di sè sia già a posto, che la priorità sia di non perdere o compromettere il legame con l'esterno, la possibilità di fare, pretendendo di trovare sul piano interiore fiducia e ottimismo, senza insicurezze ed altro. Il nostro sentire è intelligente e è espressione della parte più intelligente e meno abbindolabile di noi, meno incline a far coro con chi dice che basta farsi coraggio, che tutto va solo preso e proseguito come fan tutti e che l'ansia e simili sono solo maledetti nemici, una stupida zavorra, un insieme di irrazionali timori o di atteggiamenti e modi di pensare sbagliati. Se tutto andasse davvero bene e per il verso giusto perché mai il nostro intimo e profondo sguardo e sentire non dovrebbero confermarlo e sostenerlo? La felicità come la fiducia, il fondato veder chiaro della consapevolezza, non sono cose qualsiasi, un diritto o altro che si possa rivendicare e avere gratuitamente, a meno d’essere fin nel profondo ciechi e ottusi, a meno di farsi andare bene tutto, anche le proprie illusioni. A noi serve avere davvero consapevolezza, legame con noi stessi, capacità di capire e di mettere assieme cose valide, comprese e ben verificate da noi, vicine a noi stessi. Tutto questo non lo si ha per diritto naturale o perché in qualche modo ci si è dati da fare. Interiormente non ci si tace nulla e, casomai creando allarme e facendo sentire sonori scricchiolii, la propria interiorità vuole far prendere atto che si è mancanti. La fiducia degli altri ce la si può a volte astutamente accaparrare, ma quella propria intima è faccenda più seria, perché una parte di se stessi, profonda, non si lascia convincere dalle apparenze. Sapendo vedere ciò che di sostanziale manca, saggiamente il profondo nega nel sentire stabilità e conferma, scuote col malessere e senza tregua sprona per costruire quello che non c’è e che, solo se fatto bene e con pazienza, potrà far sentire davvero intimamente confermati e fiduciosi. Il nostro sentire è intelligente.

domenica 24 febbraio 2019

Il malessere interiore chiede risposte consone e intelligenti

Quel che più conta non è procedere a norma e regolari, senza tensioni, senza patire disagi, ma è formare capacità propria di orientamento e di visione, rompendo l'usuale di schemi e di luoghi comuni applicati alla conoscenza di se stessi prima che di ogni altra cosa. Non è questione da poco, senza pensiero proprio non c'è motore e guida di una vita propria. Se nel profondo del proprio essere c'è la consapevolezza dell'esistenza del problema e dell'importanza della questione, nella parte di superficie, nella parte cosiddetta conscia l'individuo ritiene spesso che tutto sia a posto e soddisfacente, che non ci sia problema. Lo sguardo del profondo non fa sconti e non cede alle illusioni e alle apparenze, lo sguardo del profondo dell'individuo ha a cuore il vero, non sottovaluta le conseguenze di una mancata crisi e trasformazione. Proviamo allora a riflettere per entrare in sintonia con lo sguardo profondo. Non si può andare incontro alla scoperta dei significati veri, comprenderli nel vivo e profondamente, se ci si affida, come spesso si fa, a ragionamenti scissi dal proprio sentire o che pretendono dall'alto di spiegarlo senza lasciarlo dire, se, pur con l'illusione di capire attivamente, ci si muove passivamente su basi di pensiero e su percorsi già segnati, facendosi portare da riferimenti, da attribuzioni di significato presi in prestito, attinti da altro già concepito e formato. Capita non di rado che si faccia sentire dentro se stessi, accolta non certo favorevolmente, vissuta con timore e con insofferenza, la tensione interiore, nella forma dell'ansia o di altro disagevole sentire, che complica il consueto procedere, che non dia tregua la pressione insistita nell'intimo che non concede e che non sostiene un fluido procedere. Capita che il malessere interiore segni nell'esperienza un punto di discontinuità e di rottura, perchè è tempo di aprire gli occhi su se stessi e sul proprio procedere, è tempo di smettere di aderire al consueto, è ora di vedere senza veli, di concepire da sè. E' tempo di capire e di capirsi davvero. La risposta più frequente al malessere interiore è di considerarlo un inconveniente, un ostacolo, che minaccia di portare fuori dal sano e quieto vivere. Il fraintendimento è spesso totale, la ricerca della cura è più per mettere a tacere il richiamo interiore che per ascoltarlo e per comprenderlo nelle sue ragioni e nei suoi veri intenti. Se di fronte al malessere c'è volontà e interesse di capire è solo nella direzione di trovare qualche causa, possibilmente esterna e di altrui responsabilità, che abbia provocato quello stato interiore penoso di cui ci si considera vittime e di cui si ha solo desiderio di liberarsi. Il malessere interiore chiede risposte consone e intelligenti, capaci di riconoscerne il significato e l'intenzione, tutt'altro che sfavorevoli o negative. L'idea che sia in atto un processo simile alla malattia, che il malessere sia un segno di logorio e di malfunzionamento, travisa totalmente il significato di ciò che interiormente sta accadendo, dove parte viva e profonda di se stessi, tutt'altro che passiva alle influenze esterne, tutt'altro che scriteriata e debole, sta segnalando con forza la necessità e la priorità di un cambiamento nel modo di procedere e di governare la propria esistenza. E' tempo di confrontarsi senza fughe e autoinganni con se stessi, è tempo di vedere nitidamente cosa si sta facendo e come si sta conducendo la propria vita, è l'ora di scoprire se nella propria vita si ha del proprio da dire e realizzare, che non sia un prodotto già pronto da usare e consumare come un oggetto che si può prendere dallo scaffale del supermercato. E' un proprio che prima di tutto va interiormente avvicinato, sentito e compreso, con cura coltivato, stavolta non andando dietro e facendo il verso a qualcun altro o a qualcos'altro, ma imparando a ascoltare ciò che si sente, imparando a seguire ciò che la propria interiorità traccia come percorso vivo di stati d'animo e di emozioni, di vissuti da abitare, seguire, intimamente comprendere (senza fare gli schizzinosi, senza lagnarsi e senza maledire la sorte se sono vissuti scomodi o poco piacevoli, quel che conta è che in quella forma sappiano dire, far capire). Si è abituati a pensare che la “realtà” è il sistema di cose, di pensato e organizzato che sta là fuori, che si vive la vita solo aderendo e stando su quella giostra, dimenticando o ignorando che reale può diventare ogni conquista di consapevolezza, ogni pensiero nuovo che nasce dentro se stessi. Intimamente concepito, senza ingenuità, ma coltivando quel rapporto con se stessi e con la propria interiorità che pochi sanno rispettare, considerare importante, davvero valorizzare, ogni pensiero e scoperta diventano base e leva di nuova realtà possibile. Sulla strada della ricerca interiore, spesso, come detto, non cercata e voluta, bensì imposta dall'interno e dal profondo di se stessi con malesseri e crisi interiori, che spingono con forza a dare più peso a ciò che accade dentro sè piuttosto che fuori, è possibile che si vada incontro all'inatteso, che diventi tangibile e che si renda comprensibile ciò che prima era inconcepibile, soprattutto perchè si continuava a dar retta ad altro, a sintonizzarsi col fuori piuttosto che col dentro. Andare verso se stessi non è un preoccupante e insano ripiegare, andare verso se stessi è l’occasione per rinascere protagonisti e non gregari. E' necessario un cambio di mentalità e di sguardo per entrare in sintonia e in accordo con la proposta interiore mossa con forza nel malessere interiore, è necessario imparare a dialogare con la propria interiorità, per riceverne tutto il prezioso apporto e sostegno. Tutta l'esperienza del sentire, tutti i propri stati d'animo e emozioni, anche se difficili e non piacevoli, sono guida e alimento di conoscenza di se stessi che bisogna imparare a riconoscere e intendere. I sogni sono fari e guide di pensiero di qualità e di capacità enormi che è necessario imparare a avvicinare e comprendere. E' necessario farsi aiutare da chi sappia favorire la formazione di questa nuova capacità di incontro fiducioso e di ascolto della propria intima esperienza. Bisogna far le cose bene, trarre il meglio di occasioni di crescita dall’incontro e dal dialogo con la propria interiorità, senza paura dello spazio dato al contatto con se stessi. Dove spesso si teme ci sia solo pericolo di isolamento, di privazione e di sradicamento dal reale, c’è la possibilità dell’esatto contrario. Senza aver trovato radici dentro sé, senza accordo con se stessi, senza visione propria, senza bagaglio proprio di idee vive e pienamente consapevoli, di passioni forti e radicate non si va da nessuna parte. Oppure si continua un po’ illusi e un po’ rintronati a farsi portare in giostra.

venerdì 22 febbraio 2019

Si può

Si può fare dell’intima sofferenza non la minaccia da combattere e da cui fuggire, ma viceversa l’occasione, il punto di incontro vivo ritrovato con se stessi, la via d’ingresso per cominciare a comunicare con la propria interiorità, con la parte di sé, intima e profonda, che ha scelto di non stare inerte e zitta e che, smuovendo l'interno anche vivacemente e non dando tregua, ha in realtà intenzione di comunicare, di dare. Dove, rinunciando a contrastarla o a metterle sopra giudizi o spiegazioni, le si dà apertura e ascolto, come si impara a fare in una buona esperienza analitica, questa parte viva del proprio essere si rivela capace di dire e di dare tanto. Formare e sviluppare la capacità di accogliere, di ascoltare, di comunicare con parte viva e profonda di se stessi è una conquista, che tanto è fondamentale e decisiva per l'andamento e per la qualità della propria vita, quanto è solitamente trascurata e sottovalutata. Tutto si è imparato in anni e anni nel corso della propria vita tranne che a rivolgersi a se stessi, a ascoltarsi, a capire il linguaggio delle proprie emozioni e dei propri stati d’animo, a scoprire il potenziale e il valore, l’affidabilità del proprio sentire, a comprendere che i propri sogni notturni sono ben di più e ben altro che residui sparsi d’esperienza diurna o costruzioni immaginarie ingenue e di nessun valore, ma potentissime guide di pensiero e di conoscenza, a intendere che i confini del proprio essere, delle proprie potenzialità conoscitive e di realizzazione vanno ben oltre quelli di ragionamento, volontà e controllo. Tutto questo va costruito e coltivato. Se ci si è esercitati solo a trattare il rapporto col mondo esterno e la rincorsa di occasioni esterne, va costruita la capacità di entrare in rapporto col proprio mondo interno, con ciò che vive e che di continuo si propone dentro se stessi. Quello interiore non è un mondo fragile e di nessuna consistenza, nel proprio intimo e profondo c’è la parte di se stessi più attenta a cogliere senso e implicazioni della propria esperienza, meno incline alla dispersione e alla fuga, c’è un potenziale di forza e di pensiero che non ci si aspetta. Si può andargli incontro, stabilire un rapporto, far sì che possa dare a se stessi ciò di cui si ha profonda necessità. Senza il contributo di questa parte preziosa di se stessi, che purtroppo tanto è essenziale, quanto è facilmente sottovalutata e fraintesa nel suo significato, si è esposti al rischio di non capire nulla di se stessi, di non avere occhi per vedere il vero, che, anche se scomodo, fa crescere e dà forza, di non avere guida per orientarsi, di rimanere ingabbiati nella visione che considera realistico e possibile solo ciò che è già comunemente concepito e dato. Senza questa unità con se stessi, orfani del proprio intimo, incapaci di un dialogo aperto e fecondo con la propria interiorità, si è inclini a cercare sostegno e compensazione in altro per avere una parvenza di stabilità e di contatto vitale, di vicinanza. La paura della solitudine, vissuta come terra arida e come vuoto, spinge di continuo a legarsi e a fondersi con altro e con altri, allontanando sempre più la possibilità di un rapporto aperto e sincero, caldo e fecondo con se stessi e di conseguenza di un rapporto autentico e rispettoso, non strumentale con chiunque. Non si può essere se stessi se non si è uniti a se stessi. Se, come è inevitabile, vista l’inesperienza, si rende necessario l’aiuto di chi introduca al dialogo con se stessi, di chi sappia aiutare a formare e a far crescere capacità di ascolto e di incontro con la propria interiorità, per ritrovare finalmente il filo di un discorso proprio e per tesserlo con cura perché diventi bussola per orientarsi e terreno saldo su cui poggiare, ciò non minerà, ma arricchirà soltanto la propria crescita. Far ricorso a un simile aiuto non intaccherà la propria autonomia, ma contribuirà viceversa a farle trovare il suo più valido e solido fondamento: il legame e il rapporto con la propria interiorità, l'unità con se stessi. Si può, basta volerlo.

domenica 17 febbraio 2019

Volersi bene

Di recente si parla con più frequenza dell'importanza di voler bene a se stessi. E' una raccomandazione che benevolmente capita di sentirsi fare o che da sé ci si rivolge, particolarmente quando si sente scontentezza e insoddisfazione, senso di fatica e di malessere interiori. Tutto bene se questo significa sollecitazione e desiderio di non essere incuranti di se stessi. Siamo i depositari delle nostre risorse, dentro di noi c'è la fonte della nostra vita, dei nostri pensieri, non aver a cuore e non aver cura di noi stessi sarebbe come sminuire e non aver considerazione del patrimonio di cui disponiamo. Sarebbe come rassegnarci a fare solo da eco a altro, a procedere a testa bassa e a passare da questo a quello ciecamente, accettando quel che capita capita, riservando zero attenzione alla comprensione del senso, delle implicazioni delle esperienze che viviamo, delle conseguenze di ciò che facciamo, destinando zero interesse alle risposte intime che da dentro ci segnalano e ci vogliono far capire il vero. Nulla si può portare al mondo se non lo si coltiva e genera dentro e con se stessi, l'attaccamento e la cura di se stessi non c'entrano nulla con l'egoismo o con l'egocentrismo, non si può dare se non si sa generare, non c'è possibilità di rivolgersi sinceramente all'altro, rispettandolo e riconoscendo la sua autonomia e il suo valore, senza secondi fini o equivoci, se non si sa trovare verità dentro se stessi. La dedizione a altri, la centralità dell'altro, compagno/a di vita o figlio o altro, rischiano non di rado di essere ricerca di una scorciatoia dipendente, dove rendere altri ragione e fondamento della propria vita, significa procurarsi un mezzo facile e immediato per tenersi su, per soddisfare a buon mercato il proprio desiderio di novità e di valore, per farsi riconoscere e per riconoscersi importanti e degni, a volte e più banalmente per riempire la propria esistenza, per trovare punti d’appoggio, sostegni per il presente e per il futuro. Senza chiarezza, senza incontro e confronto serio con se stessi, non c’è volersi bene, non c’è possibilità di voler bene davvero a chicchessia. Volerci bene è non trascurare di ascoltarci, di prendere prima di tutto contatto con la parte intima di noi stessi, dove il nostro sentire ci riporta al vivo e al vero, ci spinge a riconoscere dell'esperienza che viviamo significati e implicazioni anche diverse da quelle che siamo pronti o inclini a riconoscere e a accettare, a vedere cosa stiamo facendo di noi stessi, cosa stiamo omettendo, come stiamo procedendo, se in accordo o in disaccordo con ciò che autenticamente siamo, con ciò che profondamente vorremmo e potremmo far vivere. Volerci bene non è provare a smorzare o a eliminare ogni tensione interna, pensando che inquietudini, sensazioni di disagio, contrasti intimi lavorino a nostro danno, che la loro presenza equivalga a disamore, a pena inflitta a noi stessi. Volerci bene non è liberarci del peso della nostra interiorità, ma è imparare a ascoltarla e a capirla fedelmente in ciò che con la sua voce, con il linguaggio del sentire ci dice. Conciliarci con noi stessi non è pretendere di avere quiete e ragione in ciò che in superficie vorremmo farci credere, ma che profondamente in noi non trova conferma. Combattere o pretendere di capovolgere rapidamente la condizione interiore che ci fa sentire inquieti o insicuri e in crisi di fiducia potrebbe sembrarci atto e espressione di voler bene a noi stessi, ma per trovare fiducia fondata e non fasulla è necessario fare chiarezza in modo approfondito e convincente, fare passi avanti nella consapevolezza, significa guadagnarci davvero la fiducia ai nostri e non agli altrui occhi. Si cercano spesso e spesso si trovano proposte sciocche di tecniche e di argomenti di autoconvincimento per risollevare o per incrementare la propria autostima, autostima fondata sul niente e sempre finalizzata a dare buona prova, a fare mostra. Si dimentica in questi casi o si vuole ignorare che avere autostima e fiducia in se stessi, con conferma e sostegno profondo (il profondo di se stessi, per fortuna, non è né stupido, né ingenuo), è possibile solo vedendosi capaci di farsi interpreti fedeli di se stessi, di dare forma e vita a qualcosa di proprio. Trovare fiducia e autostima seriamente è possibile solo imparando a dialogare con se stessi, cercando risposte sincere e fondate, a conoscersi senza limiti e senza pregiudizi, senza arroccamenti, aprendosi al confronto con la propria interiorità, a ciò che il proprio sentire sa svelare, sia ciò che ferisce e che è scomodo riconoscere di se stessi, sia ciò che svela e restituisce le proprie ragioni e necessità più profonde e vere. Volerci bene è volere il nostro bene, non è farci coccole senza rivolgerci attenzione vera, senza dedicarci ascolto e dialogo. Volerci bene non è farci belli, offrirci qualche regalino o cura estetica, qualche svago o amenità analoga, senza curarci del nostro stato al di là della superficie e dell'apparenza. Non siamo né bambocci, né deficienti, cui propinare qualche contentino, non siamo bisognosi sempre e soltanto di piacere a altri, di trovare autostima su queste basi. Se questa è la tendenza e lo è spesso, casomai è importante riconoscerla e soffermarci per capirne peso e conseguenze nella nostra vita. Abbiamo prima di tutto necessità di non rimanere lontani da noi stessi, abbiamo necessità di trovare vera sintonia col nostro sentire, di non attutirlo o ignorarlo, di non rimanere sordi e incuranti di ciò che la nostra interiorità ha urgenza e volontà di dirci. Se c'è chi concepisce il volersi bene solo come regalo a se stesso di qualche "balocco", di cose, di oggetti o divertimenti di vario tipo, c'è chi cerca tra i regali possibili qualcosa, che di aspetto e carattere culturale, come un libro, la visita a una mostra, uno spettacolo, un viaggio a scopo conoscitivo o simili, parrebbe offerta più intelligente e utile. Non poco intanto, proprio per volersi bene, ci sarebbe da scoprire senza portare lo sguardo e l'attenzione sempre altrove, ci sarebbero da leggere i messaggi della propria interiorità, da conoscere il proprio mondo interiore perché non rimanga territorio estraneo, per non essere stranieri in terra propria. Non poco, sempre per volersi bene, ci sarebbe da fare e da realizzare con intelligenza e con iniziativa proprie. Ci sarebbe da comprendere passo dopo passo e da "scrivere" la propria storia, ci sarebbe il proprio filo da trovare e da tessere, pena il rischio di rimanere soltanto spettatori, di celebrare solo opere altrui, di far parlare e di far condurre sempre il discorso a altri, che comprensibilmente lo hanno fatto o lo fanno a modo loro, non importa se da persone più o meno geniali oppure dotte, esperte e intelligenti o considerate tali, non sempre per merito, a volte solo per statuto o per fama. Volerci bene è coltivare la nostra terra e trarne frutto, è destinarci la gioia di esserci nella vita con tutto di noi stessi in unità e in sintonia, la soddisfazione di vederci capaci di pensare autonomamente, di generare pensiero nostro, di vedere le cose col nostro sguardo senza restrizioni e senza veli, di stare nella vita a modo nostro, di spenderci il più possibile per nostri scopi e progetti, dentro di noi profondamente concepiti e profondamente amati. Volerci bene è non essere passivi, buoni solo a consumare e a ripetere, a andare dietro a guide esterne, pronte a dirci come vivere, cosa avere per essere soddisfatti, come pensare e intendere la nostra realizzazione e la nostra crescita, il nostro stare bene e il nostro gioire, addirittura come volerci bene.

Comuni preconcetti

L'ansia, come ogni vissuto difficile e sofferto, è un sentire, tutto ciò che si svolge e che si propone interiormente in noi, nulla escluso, ogni emozione e stato d'animo, bello o brutto che possa apparire, piacevole o spiacevole che possa risultare, non è la meccanica reazione a questo stimolo o a quell'altro, più o meno congrua e funzionale, non è il segno di una buona e normale condizione o di un cattivo stato prodotto da condizionamenti e da circostanze avverse presenti o passate, ma è un sentire, è il nostro sentire. Il nostro sentire è l'espressione e la voce di una parte di noi stessi, profonda, niente affatto primitiva e irrazionale nel senso di poco lucida, che sa solo rispondere in automatico a questo stimolo o a quello, che sa solo riprodurre i segni di una sofferenza provocata da traumi attuali o pregressi, ma che è ben di più e ben altro, che ha ben altra capacità e intelligenza. Sentire è fare intima esperienza di qualcosa per renderlo tangibile e riconoscibile, per prenderne visione e consapevolezza non in modo astratto, ma vivo. Come toccando impariamo a riconoscere le qualità e le caratteristiche di un oggetto, come camminando a piedi nudi possiamo percepire e comprendere le caratteristiche del terreno, così attraverso il nostro sentire, ansia compresa, facciamo esperienza intima, per entrare in intimo contatto, per raggiungere acuta e precisa consapevolezza di ciò che il nostro sentire vuole portarci a riconoscere. La parte intima e profonda di noi stessi ci parla, ci vuole condurre a intendere qualcosa di vero e di cruciale di noi stessi attraverso ciò che proviamo, sempre e in ogni caso, anche facendo la voce grossa se serve, imponendoci di portare l'attenzione, lo sguardo, la preoccupazione proprio lì, distogliendoci dal fare, dai pensieri e dal procedere solito, soprattutto quando abitualmente siamo più rivolti con l'attenzione all'esterno che all'interno di noi stessi. Quando siamo in presenza di ansia e di paure, non siamo alle prese con i capricci o con i segnali di malfunzionamento di un meccanismo in avaria, siamo in stretto legame con parte di noi stessi che nel nostro sentire ci vuole dire. L'esposizione a esperienze interiori disagevoli, non piacevoli come l’ansia, induce frequentemente chi le vive a chiedersi quali ne siano le cause. La ricerca delle cause è spesso fondamentalmente insensata, perchè parte dal preconcetto che ci sia in atto un guasto, ma nel proprio sentire, anche se poco o nulla facile e piacevole, non c'è guasto se non presunto, c'è invece esperienza interiore sofferta, difficile, impervia, ma pur sempre esperienza intima, significativa, niente affatto fuori controllo o malata, bensì opportuna e intelligente, mirata a segnalarci qualcosa di vero da non trascurare o eludere, qualcosa che è prioritario e necessario avvicinare, ascoltare,  riconoscere in ciò che svela, che dice. Tutto il lavorio di spiegazioni circa le cause e la messa in opera di rimedi, di accorgimenti vari, spesso intesi come cura, contro le ansie, le paure e le diverse espressioni del disagio interiore sono una sorta di offensiva contro la parte profonda di se stessi, cercando di piegare ciò che interiormente si fa avanti alle proprie pretese di continuità del solito e di ciò che si considera sano e normale, valido e conveniente, senza rispettarlo e ascoltarlo, senza imparare a intenderlo, senza imparare a comunicare con parte intima di se stessi. E' vero che la crisi e il malessere interiore rendono spesso quasi impraticabile l'agire consueto, l'andare liberamente avanti e verso l'esterno, ma questo avviene perchè la parte profonda mette in primo piano e cerca di coinvolgere l'attenzione e vuole che finalmente si porti lo sguardo all‘interno e oltre l'apparenza, per capire se stessi, il proprio modo di procedere, la direzione che si sta seguendo. La psicoterapia dovrebbe favorire la nascita di un rapporto con se stessi, con la propria interiorità e con ciò che nel vivo dice momento dopo momento, dovrebbe aiutare a formare e a sviluppare capacità di incontro e di comprensione del proprio sentire, ansia e qualsiasi espressione del proprio sentire inclusa. Succede spesso invece che si insista a cercare cause, ad aggirare l'incontro e il dialogo diretto con ciò che si sente, cercando nella biografia, nel passato, in questo accadimento, situazione o in quell'altra la presunta causa di un presunto stato anomalo, succede che si insista nell'intento di cercare di far finire tutto, nell'illusoria pretesa di far cessare ciò che non si sa ascoltare. Nulla interiormente si agita e si muove per caso, spesso un malessere interiore vuole dare spinta e pungolo a occuparsi seriamente di se stessi, a superare uno stato di lontananza da se stessi, di dissociazione tra parte che cerca di tirare dritto, munita solo di ragionamenti e di petizioni di principio e parte interiore che nel suo dire attraverso emozioni e stati d'animo non è compresa, non è valorizzata e integrata nella propria esperienza. Senza ascolto del nostro sentire e di quanto nasce nel nostro intimo e nel profondo non c'è possibilità di capire nulla di noi stessi, non c'è occasione di formare un bagaglio di scoperte, di convincimenti fondati su ciò che siamo e che è davvero importante per noi, capaci di diventare guide e punti di riferimento saldi per condurre in modo fedele a noi stessi la nostra vita. La crisi e il malessere interiori vogliono produrre l'effetto di avvicinare chi li patisce a se stesso, di iniziare un serio lavoro di ricerca di sè, che ha come pilastro l'ascolto e la comprensione di ciò che il sentire dice e conduce a comprendere, di ciò che i sogni conducono a vedere di se stessi. Cercare le cause, ripercorrere fatti passati, cercare da qualche parte un'ipotetica causa che dica perchè si prova ansia o altro difficile sentire, come questo fosse un disturbo che non dovrebbe esserci, è un fraintendimento, è un divergere da sè, dal proprio sentire che è trattato solo come un anomalo sentire, un segno di patologia. Non è un caso se allora l'ansia e tutto l'intimo sentire, anche dopo che si sono trovate presunte spiegazioni del perchè dell'ansia e presunte cause, tornano a premere, visto che non solo non sono stati ascoltati, ma sono stati addirittura pregiudizialmente squalificati e resi sinonimo di disturbo da combattere. Si agisce come se il proprio sentire fosse nemico, una minaccia dentro se stessi, ma nemica è solo l'ignoranza e l'incomprensione del significato vero della propria vita interiore, nemico è solo il persistere nello stato di lontananza e di dissociazione dal proprio intimo, dalla propria interiorità.

domenica 25 novembre 2018

Fa male tenersi tutto dentro?

Nel rapporto con le emozioni e con le esperienze interiori è assai diffusa la convinzione che sia prioritario dare loro espressione, esternarle. Si ha fretta di farlo, si pensa che con le emozioni non ci sia altro che da manifestarle, da agirle e da tradurle presto in gesti e parole, come se il significato e lo scopo di tutto di ciò che si prova fossero scontati e immediatamente comprensibili. Non manifestare ciò che si sente sarebbe un'insufficienza, vanificherebbe il senso e il valore di ciò che si prova, che si muove dentro se stessi. Se poi l'esperienza interiore è particolarmente impegnativa, insistita e complicata  nei suoi svolgimenti e sofferta, l'istanza di non tenersi tutto dentro diventa ancora più imperiosa. L'idea comune è che tenersi dentro sensazioni e complessi e tribolati stati d'animo sarebbe negativo, nuocerebbe a se stessi. Si potrebbe in realtà rovesciare la questione. Mettere fuori ciò che si sente, senza averlo ascoltato e intimamente compreso, cosa niente affatto rara, addossandogli un significato e un'intenzione che si danno per scontati, che si fanno rientrare nel già conosciuto, senza però vera corrispondenza col suo originario scopo e proposito, significa svuotarsi malamente e impoverirsi di contenuti preziosi per la conoscenza di se stessi, significa travisare ciò che si sta vivendo e portarsi fuori strada. Il sentire, le emozioni, gli stati d'animo non sono moti elementari, non sono l'eco interna e la conseguenza banale di questo o di quello, il sentire è guida intelligente, è testimonianza viva di una verità affatto scontata, che razionalmente non si ha né capacità, né spesso voglia di comprendere. Il sentire è voce della parte profonda del proprio essere, che interviene nel corso dell'esperienza per svelare, per indurre a fermarsi su se stessi, per capire ciò che nella visione solita è oscurato, semplificato, spesso distorto. Perciò il sentire chiede e merita ascolto, invita all'incontro e al dialogo intimo con se stessi, il sentire segna interiormente, imprime i suoi segni perché ci si orienti, perché si aprano gli occhi e si abbia il coraggio di prendere consapevolezza. Il sentire impegna a comprendere, a trovare e a tessere un filo affatto usuale e banale. L'ascolto, la riflessione, lo sguardo capace di vedere ciò che il sentire sottolinea, imprime con l'intento di condurre per intima esperienza a aprire gli occhi, sono la risposta congrua a ciò che interiormente si vive, si sperimenta. Il dialogo dev'essere prima di tutto interiore, non è l'esternazione quella che urge, al sentire, alla proposta del profondo va offerta la propria disponibilità a accoglierla, la propria attenzione, il proprio ascolto. Mettere fuori rapidamente, esternare non possono essere le priorità. Prima si ha necessità di intrattenersi col proprio sentire per intenderlo in ciò che vuole dire e condurre a scoprire, senza fretta, senza paura che questo nuoccia. Solo l'inconsapevolezza nuoce. Il problema è imparare a avvicinare e a comprendere l'esperienza interiore, formare e sviluppare capacità di ascolto e riflessiva che permetta di intendere fedelmente e di valorizzare ciò che il proprio sentire offre e propone. Mettere fuori, manifestare e comunicare ad altri, tradurre tutto in ragionamenti messi sopra il proprio sentire, scaricare in chiacchiera e sfogo ciò che si prova è una cosa, ascoltare con partecipazione e con pazienza,  rispettare e comprendere il linguaggio interiore, badando a non equivocare e a non sciupare la propria intima esperienza, sono un'altra.

giovedì 1 novembre 2018

La trappola della idea di malattia

La patente di malato con la sua bella etichetta diagnostica, spesso invocata da chi vive una condizione di sofferenza interiore, per confermarsi vittima di ciò che sta provando, per porlo in stato di quarantena e di controllo come fosse un morbo di cui liberarsi, una minaccia da cui difendersi e da rendere bersaglio di presunte cure che la combattano e che la facciano fuori, è in realtà la via maestra per portare a compimento la propria dissociazione, per destinarsi a rigida chiusura verso la propria interiorità. La vita interiore non risponde alle attese e alle pretese di regolare funzionamento così come concepito dal senso comune, così come auspicato dalla parte razionale dell'individuo, che, se chiusa al dialogo con la componente intima e profonda, non fa altro che rigirarsi nel pensato comune, unica fonte, unica ispiratrice dei propri pensieri. La vita interiore è lo specchio e la traduzione in essere dell'intelligenza profonda. Dentro di noi c'è una parte tutt'altro che sprovveduta che tiene conto nell'esperienza non delle apparenze ma della sostanza, non della superficie ma del dentro, che coglie e riconosce ciò che muove ogni gesto e ogni azione, che anima ogni risposta, che non trascura di riconoscere il vero dell'esperienza, che non è incline a coprire, ma a svelare, che non ha come suo intento cavarsela e risolvere, ma capire, non ottenere risultati, ma riconoscerne la qualità vera, la conformità a se stessi. Che lo si voglia o no, che lo si sappia o no, c'è una parte intima e profonda del proprio essere che non è gregaria del rimanente, che ha forte tempra e autonomia, che insiste nel dare segnali utili e essenziali per calarsi nel vero, per non stare nell'illusorio, per non barricarsi nella consapevolezza truccata e di comodo, nell'idea di se stessi che ha più sostegno nello sguardo comune che nel proprio. E' la parte di se stessi che ha più vicinanza con le proprie intime ragioni d'esistenza, con il proprio potenziale da coltivare e sviluppare, che vuole crescita e formazione di pensiero vero e fondato, autonomo e di sostanza e non spiantato anche se ben congegnato come quello usuale e ragionato. Quella profonda è la parte di se stessi che non si lascia incantare dalle inventive e dai prodotti a volte tanto ingegnosi quanto sterili del ragionamento, che non si fa tirare e portare da suggeritori esterni più o meno manifesti, che sa vedere la pochezza di essere individuo realizzato secondo canoni comuni, ma gregario e passivo nell'aver fatto propria un'idea di vita e di riuscita già concepita e altra da se stesso. La componente profonda del proprio essere non è della partita e della corsa a fare ciò che secondo altri e secondo idea prevalente è il meglio o è il possibile della vita. La parte profonda scuote e agita le acque interiormente per sollevare il problema del proprio muoversi senza aver mai cercato radice dentro se stessi, del proprio blaterare e dell'affannarsi a inseguire, a riprodurre, a stare dentro un'idea di vita che non ha nulla di vicino, di scaturito da se stessi. Tutta la inquietudine e il malessere interiore, con le sue diverse espressioni che in molti, che si sono definiti portatori di pensiero scientifico, hanno preferito catalogare e etichettare per sottoporle a trattamenti che le contrastassero e che le raddrizzassero, ma che, se sapute intendere, segnalano puntualmente la fisionomia del proprio modo di condursi, la problematica dell'essere lontani da contatto, da capacità di rapporto e di dialogo con se stessi, è e vuole essere invito fermo a fermarsi per capire, per capirsi, riconoscendo questa come la priorità. La priorità non è spingersi avanti come se tutto di se stessi fosse implicitamente valido e scontato, non è avere a cuore i risultati soliti e contingenti, ma è finalmente prendere visione di come si sta interpretando e svolgendo la propria vita, su che basi e guidati da cosa. La priorità, secondo la parte profonda di se stessi,  è rendersi conto che, amputati di un rapporto aperto e fecondo col proprio intimo, non si è niente e nessuno, si è solo ciò che sta dentro una parte e un'idea già confezionata, che senza il supporto dello sguardo e del consenso comune non starebbe in piedi. Al profondo di se stessi preme che non si arrivi al capolinea della vita senza aver capito nulla, senza aver provato a sostituire l'illusione con la sostanza, la maschera dell'esistenza con un'esistenza con il proprio volto, la vita secondo altri con la vita propria, il pensiero rimasticato e nel coro col proprio finalmente cercato, coltivato e messo al mondo.

venerdì 21 settembre 2018

La lingua batte dove il dente duole. La gelosia

Non è facile, non è affatto usuale riuscire a capire, a intendere correttamente le espressioni della vita interiore. Alla nostra interiorità interessa portare ogni volta la nostra attenzione su questioni e su nodi imprescindibili, da non nascondere e da non eludere dove ponessimo al centro della nostra vita la necessità di capirci e di crescere in consapevolezza e autonomia. Quando la nostra interiorità sembra stringerci d'assedio, procurarci senza risparmio motivi di turbamento e di inquietudine, tenere vive in noi sensazioni e pensieri non piacevoli, è frequente che le si contrapponga il timore che queste esperienze e stati interiori possano farci solo danno, che abbiano un che di eccessivo, di insensato, perciò di anomalo, che il nostro ragionare valuta tale. Il pensiero razionale però è limitato, lavora al buio delle implicazioni più vere e profonde delle nostre scelte, del nostro modo di procedere, il ragionamento è la risposta della parte di noi stessi che vuole che ci sia quiete, conferma e stabilità a prescindere. Considero un esempio, particolarmente impegnativo e arduo, come quello della gelosia. Lo considero al maschile verso una donna, ma non è esperienza e questione esclusiva, dunque analoga riflessione andrebbe aperta per una donna verso un uomo e ovunque nelle diverse relazioni possibili. La gelosia può essere assecondata ciecamente e fatta valere da chi la vive come semplicemente naturale, come diritto e pretesa di controllo e di padronanza sulla vita altrui, è il caso peggiore e nemmeno purtroppo raro. Considero qui l'esperienza della gelosia di chi la vive con tormento e con disagio, con la percezione che sia una pena, un che di ingrato e corrosivo, di lesivo, oltre che di prepotente. Se si viene alle strette con sensazioni dolorose e sgradite come quelle della gelosia, che larvatamente ha comunque dato già ripetuti segnali in tante altre occasioni e momenti, gelosia che alimenta sospetti, che può spingere a frugare in ogni dove della vita dell'altra, anche del suo passato, che alimenta la pretesa di esclusività, è forse per rendere tangibile il legame di dipendenza che si è stabilito. Il fondamento della dipendenza è la consegna a un'altra persona della funzione di procurare a se stessi qualcosa di vitale e necessario che da soli non si è cercato dentro di sè, che non ci si è preoccupati di formare e di sviluppare, di cui ancora non si dispone. Il legame dipendente con l'altra persona, spesso e volentieri ignorato, a volte addirittura celebrato (non posso vivere senza di te, ho bisogno di te, sei la mia metà ecc.), consente di colmare quel vuoto, anche se lo fa in una forma che da un lato non coincide certamente con ciò che si potrebbe generare da sè, consono e fedele a se stessi e che dall'altro non consente di esercitarlo in libertà e a proprio modo. Cosa ha dato e dà in misura e forma più o meno forte e persuasiva la presenza dell'altra? Attenzione, vicinanza, affetto, calore, premura, predilezione per se stessi, che fa sentire scelti, comunque oggetto di cura, accettati, valorizzati? E' da lei che sembra di sentirsi capiti intimamente, che si credono comprese le proprie necessità, è lei che sembra farsene interprete? E' lei a rappresentare il bello, un che di prezioso, che sembra portare nella propria vita una luce di valore, di felicità? Quel che voglio far capire è che il nodo della dipendenza, del farsi dare da altri qualcosa di essenziale e di irrinunciabile, che potrebbe, che anzi dovrebbe, per essere individui pienamente e non in forma amputata, prendere forma e sviluppo dentro se stessi, potrebbe essere ciò che la gelosia vuole arrivare a evidenziare, a porre acutamente al centro della propria attenzione. Sapersi avvicinare a se stessi, sapersi ascoltare e capire in ciò che si sente, nelle proprie emozioni, nei propri stati d'animo, sviluppare capacità di incontro e di dialogo con se stessi, creare vera vicinanza e intimità, calda intimità con la propria interiorità, da cui invece abitualmente si fugge (temendo che ciò che vive dentro se stessi sia a volte troppo disagevole, altre volte giudicando che sia vuoto e in nulla promettente, non degno, come invece i richiami e le opportunità esterni, di essere cercato, coltivato e valorizzato), coltivare e dare vita a qualcosa che sia ricchezza intima che non svanisce, sentita vicina e consona, non comprata, non presa da altro e da altri, tutto questo o si decide di coltivarlo, di farlo crescere e di darselo da sè, considerandolo fondamento essenziale della propria completezza di individuo e della propria autonomia (autonomia vera e non di facciata, cui basta un pò di vetrina e di consenso esterno per stare in piedi) o altrimenti si rischia di farselo dare, in qualche modo, da un'altra persona, da cui poi si dipende, che si vorrebbe tenere legata a sé in modo esclusivo, come fosse una parte vitale di se stessi. Un rapporto che non poggi sulla completezza di individuo non raramente, anzi quasi fatalmente si incardina sulla dipendenza. La risposta interiore non si fa attendere, la componente interiore e profonda non è inerte e segnala puntualmente lo stato delle cose, il nodo da vedere e da sciogliere. Si dice che la lingua batte dove il dente duole, è un detto che potrebbe essere utile per capire ragioni e senso di ciò che nel vissuto di gelosia, così incalzante e pervasivo, pare solo una insana ossessione. La parte profonda di noi stessi, che in genere non è né compresa né apprezzata in ciò che determina e che dice, anzi in genere neppure si sa che esiste come presenza affidabile e intelligente, ha una parte decisiva in tutto ciò che sentiamo e che succede dentro di noi. Nulla dentro di noi è casuale, non c'è emozione, vissuto, non c'è svolgimento interiore, più o meno complesso, che non sia regolato, modulato, fatto esistere, in quella forma e con quella intensità particolare, dal nostro profondo. Ogni stato d'animo e sensazione non è conseguenza semplice e automatica di altro, di una causa che dall'esterno la determina, ma è plasmato dal profondo, è iniziativa e segnale originato da dentro di noi, rivelatore sempre di qualcosa di noi stessi, capace di avvicinarci alla conoscenza di noi stessi. Si giudica tutto in termini di normalità, di rispetto di presunti canoni di sensatezza codificati. Ciò che ci accade non è insensato o fuori regola e misura  se non secondo le regole della cosiddetta normalità. Bisogna tener conto che il nostro essere non è delimitato e non si riduce a volontà e a razionalità con qualche accessorio secondario, cosiddetto irrazionale, ma che risiede anche e prima di tutto nella parte profonda di noi stessi, cui, saggiamente, ostinatamente anche, interessa evidenziare nodi veri, questioni decisive su cui si gioca la nostra vera possibilità di  crescita e di autonomia. Solo mettendo al primo posto nel rapporto con l'esperienza interiore, quando difficile e sofferta, non l'istanza liberatoria o normalizzatrice, ma l'intento fermo di capire, di capirsi, di trovare la verità di se stessi, solo scegliendo di non far ricadere su altri le cause, le colpe, ma di porre invece se stessi al centro delle responsabilità inerenti la propria vita, riconoscendo dentro di sè l'origine e la matrice di tutto ciò che si prova, si può rendere fecondo lo scambio con la propria interiorità, che non tace, che spinge l'attenzione sui punti caldi, che vuole che non ci sia ignoranza o ipocrisia, ma consapevolezza, crescita senza risparmio di intelligenza e di coraggio.


giovedì 13 settembre 2018

La scelta

Patire e non capire, non comprendere cosa il proprio intimo sentire dice, questo è il vero e fondamentale problema per chi vive un'esperienza di malessere interiore. Non si è preparati e abituati a comunicare con l'interno, con la propria interiorità, ma solo ad adattarsi e a sintonizzarsi con l'esterno, a farsi dare da lì guide di senso comune per dirigersi e per spiegare il significato delle cose e delle esperienze. Quando si è messi alle strette da qualcosa di interiormente difficile e doloroso, che ha aspetto poco confortante e insolito, fioccano subito sul conto del proprio sentire (prima di tutto da parte propria) i commenti negativi, sale alta la sfiducia e persino la disperazione. E' necessario imparare a ascoltare e a comprendere ciò che il proprio sentire dice, a trarre da lì materia, insostituibile e preziosa, per conoscersi e per capire. Spesso serve un aiuto per imparare ad orientarsi nel mondo interno, dove si è in genere smarriti e totalmente ignari. Nulla nell'esperienza interiore, anche nelle sue espressioni più dolorose, sconquassanti o "contorte", è fallimentare o dannoso, nulla è semplicemente abnorme o malato, tutto ha un senso, anzi un'utilità. Sempre infatti il proprio sentire, il proprio corso interiore d'esperienza, vuole evidenziare e rivelare aspetti di se stessi e questioni decisive, vuole e può condurre a vedere, a capire, a prendere coscienza, se saputo leggere con attenzione e fedelmente, se non marchiato, per paragone con una presunta normalità, come patologico in un verso o in un altro, con un'etichetta diagnostica piuttosto che con un'altra. Quello del sentire è un linguaggio, non freddo e, nella conoscenza di se stessi, non certamente spiantato (come spesso lo è quello razionale), ma fedelmente corrispondente a se stessi, con radice viva e vera. E' un linguaggio incisivo e toccante, è per intima esperienza infatti, è sentendo che si può comprendere nel modo più partecipe e efficace, il sentire porta dentro il vero. Il problema è imparare a comunicare con la propria interiorità, avere occasione, formando e sviluppando capacità autenticamente riflessiva (non di parlar sopra, di rimuginare, di sovrapporre commenti e spiegazioni a ciò che si prova, ma di vedere, riflessivamente, come in uno specchio ciò il proprio sentire rivela) di raccogliere e di fare proprio ciò che i propri intimi vissuti consentono di avvicinare e di comprendere, scoprendo che ci si può davvero fidare e lasciar guidare dal proprio sentire, che nei propri percorsi interiori, pur insoliti e difficili, si sta disegnando un cammino, che non porta alla deriva, ma vicino a se stessi, al vero, a capirsi come mai è accaduto. Trarre frutto di conoscenza, di consapevolezza (più pienamente attingendo ai sogni e alla loro straordinaria intelligenza) da tutto ciò che si vive interiormente, anche se molto disagevole e sofferto, è la scoperta capace, come accade in una buona esperienza analitica, di rovesciare la paura e la diffidenza in fiducia, la fuga da ciò che si ha dentro e il suo ripudio in volontà di vicinanza e di dialogo con la propria interiorità, senza barriere. Ripeto, è necessario acquisire capacità di rapporto, capacità di orientamento in un mondo, in un'esperienza, quelli interiori, con cui non si ha confidenza, dentro cui negli anni, più o meno tanti, non si è affatto imparato a muoversi. Si avanza negli anni infatti imparando a intendersi più con l'esterno che con l'interno. Ma non è mai troppo tardi per dotarsi della capacità, non certo superflua o secondaria, di ascoltarsi, di leggere l'intima esperienza, di orientarsi nel proprio sentire, di comprendere il linguaggio interiore. Serve un aiuto per questo, perchè i modi abituali di pensare, di cui si dispone, nulla hanno di autenticamente riflessivo, di adatto a entrare in rapporto con l'esperienza interiore, col sentire, con i sogni. Ci sono però ostacoli non di poco conto sulla strada, che spesso bloccano in partenza l’ipotesi e il proposito di intraprendere un serio e approfondito  lavoro su se stessi, un percorso, che permetta di aprirsi alla propria interiorità, di conoscere, senza pregiudizi, questa parte di sè in ciò che sa dire e dare. Quali gli ostacoli e le barriere? In chi vive  un'esperienza di crisi e di malessere interiore si fa largo spesso una reazione vittimistica, che rivendica la pronta liberazione dalla sofferenza interiore, squalificata come carico indebito, come malasorte, come malattia. C'è poi una nutrita schiera di terapeuti, che, con vario titolo, sono pronti a suffragare l’idea che il malessere interiore sia soltanto un'afflizione di cui liberarsi, da combattere, uno stato anomalo da sanare e correggere e ciò non giova certo a rapportarsi fiduciosamente all’esperienza interiore dolorosa e critica, a riconoscerla come parte viva di sé da rispettare e da valorizzare, con cui cercare un incontro e non uno scontro, con cui imparare a dialogare. Ciò non giova a comprendere che il malessere interiore vuole e può essere non una pericolosa deriva, ma la porta di ingresso e la leva di una trasformazione non solo utile, ma indispensabile per trovare visione chiara dentro se stessi, per mettere, non illusoriamente, ma saldamente nelle proprie mani la propria vita. Viceversa l'adesione a un modo di intendere e di interpretare la propria vita a senso unico e all’insegna dell’integrazione e dell’adattamento alla cosiddetta realtà, intesa come modi organizzati e comuni di pensare, agire, trovare soluzioni, organizzare e dirigere l’esistenza, fa sì che si ritenga di essere già a posto e avanti, un pò per orgoglio e un pò tanto per paura di svelare un ritardo, un’inefficienza rispetto alla cosiddetta  “normalità”.  Il proprio disagio interiore, che fa intendere che ciò di cui si dispone è fragile, sconnesso, credibile fuori, ma discordante col dentro, è prontamente temuto e osteggiato come minaccia di perdere contatto con la schiera dei normali o presunti tali. Anche se tra ciò che si pensa e ciò che si sente non c’è corrispondenza, anche se l’insieme di ciò che si sa vedere e concepire, capire di sé e della propria vita è, ad essere onesti e sinceri, perlomeno raffazzonato e confuso, senza vera consistenza e forza, poco importa, ciò che si vuole è senza discussione tornare a procedere come prima, come sempre. In fondo basta fondersi e confondersi con la successione degli eventi, distrarsi da sé e dal proprio sentire, basta appoggiarsi alla illusione che quattro schemi razionali bastino a credere di sapere di sé e del vivere, basta dare credito a qualche segno materiale di possesso e di presunta auto realizzazione, per tentare di allontanare da sé ogni dubbio sulla validità del proprio procedere abituale, per tentare di svuotare di senso ogni malessere. Ma l'interiorità non ci sta a farsi mettere in un angolo, a farsi zittire o fraintendere, torna implacabile col malessere che non recede a ricordare che non c’è connessione e unità con se stessi, che non c’è nulla che abbia davvero capacità di persuasione intima e profonda in ciò che si sta facendo di se stessi, in cui si sta persistendo. La scelta di combattere l'intimo sentire, di sminuirlo a espressione storta e malata, la scelta di buttarlo, di sostituirlo fin dove possibile con altro, di cercare, come fosse il meglio, la distrazione da sé e dal proprio malessere cocciuto, è favorita dal perenne rifarsi allo sguardo altrui, all'idea comune. Nessuno, o quasi, in fondo incoraggia a sostare per riflettere, per ascoltarsi, per veder chiaro, per cercare il vero, per trovare proprie risposte, aderenti a se stessi, perché nessuno o quasi lo sa fare, perché agli occhi della maggioranza fermarsi, avvicinarsi al proprio intimo sentire, significa rischiare di perdere contatti ritenuti vitali con l'esterno, di perdere terreno, di smarrirsi. Per provare a allontanare il malessere, che rischia di corrodere le persuasioni deboli e confuse, cosa c'è di meglio allora che tornare a cercare lo sguardo altrui, per cercare conferma, conforto che tutto va bene, casomai il dono di qualche consolazione o l'ebbrezza di sentirsi importanti per qualcuno e ben considerati? Tanti ostacoli dunque sulla strada della scelta di prendersi sul serio, di prendere sul serio la voce intima, il malessere che insiste, che non fa sconti, che vuole ricordare che non bastano le apparenze e le conferme esterne per trovare se stessi, per dare volto e contenuto proprio e autentico alla propria vita. La sofferenza interiore è fermo richiamo, è onesto e sincero bilancio, è forte invito a non persistere nella fuga da sé, nella ignoranza e lontananza dalla propria interiorità, senza la quale non c'è possibilità di conoscersi, di concepire e di generare il proprio, di farlo vivere, ma non è detto che sia ascoltata.

venerdì 24 agosto 2018

Riprendere in mano la propria vita

Quante volte capita di sentir dire queste parole da chi, coinvolto da disagio interiore, auspica di spazzarlo via per avere possibilità appunto di riprendere in mano la propria vita! In realtà a cose immutate la presa o ripresa si rivelerebbe velleitaria, perché la forma di vita che si vorrebbe ripristinare è proprio quella fasulla cui la propria interiorità non dà credito, che col malessere vuole smitizzare, di cui vuole svelare vuoti e inconsistenze, di cui vuole si prenda chiara visione dei modi e di ciò che la disciplina e sostiene, senza equivoci, senza ingenuità. Non c'è possibilità di prendere davvero in mano la propria vita se non si va incontro a cambiamenti di qualità e di sostanza, se non si asseconda l'intento del proprio inconscio, che col malessere ha avviato la crisi, di promuovere una trasformazione profonda, che segni il passaggio da una vita che s'appoggia a altro a una vita propria fondata su di sé e su autonoma capacità di pensarla e di governarla. Non si è liberi se si è nella sostanza dipendenti. L'interiorità, la parte di sé profonda, che non va dietro alle illusioni, che sa vedere il vero, che spinge per la rinascita come soggetti autonomi davvero, dotati di pensiero non imitativo, ma riflessivo e originale, completi di ciò che, abitualmente cercato come surrogato fuori in altro o nel legame con altri, può essere invece cercato, conquistato e fatto vivere dentro se stessi, questo col malessere vuole rendere questione cruciale e imprescindibile. Per prendere in mano la propria vita è necessario non simulare autonomia, ma averla, avere capacità ben fondata e piantata di vedere con i propri occhi, di concepire e di generare pensiero in stretta unità e fedeltà a se stessi, poggiando sul proprio sentire, avere capacità di legittimare e di dare fiducia alle proprie scelte, senza cercare sostegno fondamentale e conferma in altro e in altri. Non c'è da prendere scorciatoie, c'è da fare sul serio per prendere davvero in mano la propria vita.

Docile non è...

La propria interiorità non sta affatto nei confini della cosiddetta normalità, dentro quel campo delimitato, dove tutto dovrebbe svolgersi secondo previsione e programma, senza scosse e senza sorprese sgradite, non dando disturbo, non recando fastidio. Docile a simili aspettative e pretese non è il proprio profondo, perché ama la vita, perché non accetta i pastrocchi e le illusioni che l'altra parte, quella conscia, che, si crede superiore in affidabilità e capacità di giudizio, confeziona. La parte conscia, in presenza di crisi e di malessere interiore, che vorrebbero riaprire i giochi, condurre a un serio riesame della propria vita, del proprio modo di condurla, reagisce e si allarma, spesso, senza tanti indugi, strepita e sentenzia, giudica e dispone, senza capire e intendere se non i propri pregiudizi, non si fa scrupolo di aggredire la parte intima, di mortificarla, dandole della balorda, della sciagurata, dell'incapace e della malata. La conferma autorevole non tarda a venire. Etichette diagnostiche, che fanno di ogni erba un fascio, per definire, meglio sarebbe dire per marchiare (e da lì avviare a trattamento normalizzante farmacologico e non), con pretesa aria di sapere indiscusso e di scientificità, esperienze interiori, tanto impegnative e disagevoli quanto uniche e cariche di senso, con cui non si ha né volontà, né capacità di entrare in rapporto, cui ancor meno si è disposti a riconoscere intelligenza e capacità propositiva, sono il suggello di un atto ostile, anche se non riconosciuto come tale. Un atto ostile contro parte di sè e a proprio danno, pur con l'aria di procurarsi benevola cura, di darsi aiuto. L'interiorità non si piega, non si fa addomesticare, insiste, ogni suo rinvenire forte e risoluto incontra risposta dura e ancora ostile, la squalifica prosegue e la parte conscia parla di ricaduta di malattia. Beata ingenuità di una parte di sé, tanto arrogante e spiccia nei giudizi, quanto ignorante! Ho dedicato la mia vita a rivalutare e a valorizzare, a difendere e a rendere giustizia e dignità alla parte bistrattata, la più saggia in realtà, la più capace, insostituibile nel ridare a ognuno dignità, forza e spessore di individuo pensante e consapevole e non di pecora vagante senza meta propria e senza progetto, in forte e stretta sintonia col gregge piuttosto che con se stesso. L'interiorità è valida, irremovibile nel suo intento di testimone del vero, di promotrice di crescita, di realizzazione umana autentica e non d'immagine e fasulla, l'inconscio è una risorsa straordinaria e ai più sconosciuta nella sua vera natura e potenzialità di fonte di vita e di pensiero. Ho cercato e cerco di aiutare l'altro a non ripudiare parte di sé preziosa e affatto nociva, a non spararle contro per liquidarla senza entrarci in rapporto e senza conoscerla, continuerò a aiutare l'altro a non fuggire sciaguratamente da se stesso.

martedì 21 agosto 2018

La propria strada

Quanto c'è nel malessere interiore che abbia a che fare con la conquista della capacità di aprire e di seguire fedelmente la propria strada? Tantissimo. Capita che, sia nel modo di leggere il significato della propria esperienza, che di intendere le ragioni e gli scopi della propria vita, ci si faccia portare e dirigere, spesso inconsapevolmente, da idee preconcette e da modelli comuni, che si incardini il proprio pensiero su schemi soliti e lo si muova dentro percorsi già segnati. Nulla però nella comprensione del senso di ciò che si sperimenta, così come nella scoperta dei percorsi da seguire e delle mete della propria vita, può essere dato per scontato e consegnato a visione e a regole generali e prefissate. Per fare salva la scoperta delle proprie vere potenzialità e ragioni d'esistenza, la comprensione e il perseguimento dei propri originali scopi è importante non andare a rimorchio di nulla, è essenziale conoscersi profondamente e trovare risposte dentro se stessi e consone a se stessi. Non si è soli, dentro di sè, nel proprio intimo e profondo il più valido e affidabile interlocutore, il miglior aiuto per capirsi, per capire. La vicenda interna, tutto ciò che accade e che si muove nell'esperienza interiore, è lo stimolo e la guida valida e sicura che può far recuperare a ognuno la capacità di entrare in sintonia con se stesso, di capirsi, di orientarsi. Può essere comodo e capita assai di frequente che farsi portare da idee e da esempi comuni, da modelli prevalenti sostituisca il carico della propria ricerca. Nel rapporto con la propria esperienza, se si vuole sviluppare pensiero autonomo, è fondamentale imparare a fare saldo riferimento al proprio sentire, che dell'esperienza sa rivelare le implicazioni e il volto più integro e vero. E' importante e decisivo trarre da lì risposte sincere e fondate, evitando di affidarsi a risposte confezionate col solo ragionamento, che, spesso tese a tutelare la propria immagine e la continuità dello stato presente, a darsi conferme e a porsi al riparo da rischi di instabilità e di perdita di consenso, aumentano la distanza da se stessi e dal vero. Darsi risposte non coerenti con se stessi, che non rispecchiano e che non sono in sintonia col proprio sentire, che offrono agio e rassicurazione, a volte o spesso omettendo chiarimenti stringenti e parti scomode e passando oltre, equivale a chiudere al confronto con se stessi, a privarsi della possibilità di capire, di conoscersi, di sviluppare conoscenza. Farsi persuadere e dirigere da altro nelle proprie scelte significa divergere da se stessi, non comprendere nell'intimo di sé le ragioni e il volto di ciò che ha valore per se stessi, che si ama e che si desidera far vivere, non trovare la forza e la passione di seguire la propria strada, optando viceversa per ciò che per senso comune pare più valido e conveniente. Se la modalità passiva di farsi condurre e sostenere nei propri ragionamenti e nelle proprie scelte da attribuzioni di significato e da idee preconcette, da giudizi di valore e di opportunità precostituiti, che anticipano e che sostituiscono le scoperte che sarebbe possibile fare ponendo a guida del pensiero e al centro del proprio sguardo il proprio sentire, è facilmente camuffata e equivocata come modalità attiva di pensiero e capacità decisionale, se i tentativi di accomodarsi con le abilità e con le astuzie del ragionamento il significato della propria esperienza e delle proprie scelte, sono spesso accreditati come affidabili e sinceri modi di capire se stessi, non sono di certo né equivocati né presi per buoni dalla parte di sé profonda, che non ignora, che non chiude gli occhi sul senso vero di tutto ciò che ci accade. La modalità passiva di procedere, di svolgere pensiero, che chiude gli spazi di ricerca propria e approfondita, che scambia il ragionato per il vero, profondamente non passa inosservata, non è sottovalutata nelle sue serie implicazioni, non è pacificamente accettata. Non per caso interviene con decisione la risposta interiore nella forma del malessere, che vuole segnalare il problema e evidenziare i punti critici del proprio modo di condursi, di stare in rapporto non aperto e non dialogico con la propria interiorità, spesso lontani e scissi dal proprio intimo sentire, senza possibilità e capacità dunque di esplorare e di riconoscere con i propri occhi il vero senza ipocrisie, senza veli e compromessi, senza forzature e distorsioni. E' questo un punto centrale, messo in risalto spesso da vissuti di ansia, che interiormente non danno tregua e che battono forte, non casualmente e non certo insensatamente, perchè, senza salda unità e corrispondenza col proprio intimo, senza il supporto e la guida della propria interiorità, si è, a dispetto di ciò che si vorrebbe farsi credere, deboli e sguarniti, in perenne stato di precarietà e di smarrimento, più confusi da ragionamenti che messi nelle tracce del vero, a rischio perciò di muoversi senza bussola e senza capire nulla. Senza capacità di  ascolto e di valorizzazione piena e fedele del proprio sentire, che accompagna interiormente tutta quanta la propria esperienza, si è privi infatti della  possibilità di vedere, di aprire il proprio sguardo, di accedere alla comprensione del senso, del vero, di fondare su questa la propria crescita e forza, la propria capacità di autogoverno, di concepire e di sostenere scelte davvero corrispondenti a se stessi e non ispirate e trainate da preferenze comuni e da modelli predominanti. Privi di guida interiore è fatale infatti che ci si rivolga e affidi, che si cerchi accordo con guide esterne, seguendone le indicazioni, obbedendo e disciplinandosi alle loro regole e postulati, facendo proprie le soluzioni che il modo di concepire comune e di condursi offrono. Senza ricerca aperta e propria, senza riflessione guidata dal proprio sentire, è fatale che ci si affidi a idee e a propositi illusoriamente propri e capaci di tradurre le proprie necessità e aspirazioni, ma in realtà imitativi d'altro, tenuti su e fatti valere più da senso comune e da autorità esterna che da personale intima profonda conoscenza e persuasione. Questo accade anche quando, sposando idee di cambiamento, collocandosi sul terreno della critica dell'esistente, dell'anticonformismo, delle posizioni e opzioni alternative, ci si illude di aver cambiato tutto, di essersi affrancati e di aver rotto i vincoli di dipendenza e di adesione al comune e prevalente. La parte profonda di sè non coltiva e non conferma l'illusorio, dà segnali di crisi, rompe gli equilibri, per spingere, senza indulgere alle scorciatoie e senza fare sconti, a verifiche attente, evitando di vedersi estranei a ciò che, contestato e messo sotto accusa, invece dentro sé è ben presente e tutto da capire, spingendo a vedere anche nel presunto nuovo quanto c'è ancora di dipendente da altro, da suggerimenti e da conferme esterne. L'inconscio vuole promuovere cambiamenti veri e frutto di presa di coscienza lucida e senza trucchi, senza omissioni di comodo, senza pretesi cambiamenti e progressi privi di sostanza e di fondamento. L'interlocutore interno, il proprio profondo è ben più attento e vigile, ben più capace di garantire stimoli di crescita vera di qualsiasi interlocutore esterno. Accade che, coinvolto da malessere interiore, l'individuo spesso si irrigidisca nell'autodifesa, che sia più incline a volersi ricondurre nell'alveo solito e conosciuto, a darsi conferme della propria sostanziale sufficienza, che a fermarsi a riflettere e a ripensarsi, che anzi spesso rivendichi con forza di eliminare il malessere, per tornare alla condizione precedente, come se quella fosse l'unica via di salvezza e promettente, l'unica modalità possibile e credibile, come se tutto della propria dotazione e modo di procedere  fosse a posto e il malessere fosse solo un incomodo, un freno, un intralcio maledetto. Chi ancora non ha cercato dentro sè le risposte, accogliendo le proposte e le guide del proprio profondo, non riesce a considerare possibile se non il già conosciuto. E’ inevitabile che, per conquistare autonomia e capacità di farsi fedele interprete di se stesso, ognuno debba compiere, con l'aiuto adatto, un lavoro su se stesso di trasformazione profonda, che segni prima di tutto un cambiamento di rotta, mettendo in primo piano e coltivando lo scambio e il dialogo con se stesso, con la propria interiorità. La propria interiorità offre l'occasione di prendere visione della propria dipendenza da altro, che, sostitutivo della propria conquista di visione e di consapevolezza, istruisce e guida, che offre risposte pronte e percorsi già segnati. Avvicinata e rivisitata dentro una riflessione attenta (spesso sono i sogni a guidare la ricerca proprio in questa direzione), l'abituale modalità di pensiero, illusoriamente intesa come capacità di pensiero proprio e indipendente, si rivela in realtà fatta di presa in prestito e di ricalco di idee e di attribuzioni di significato e di valore per nulla originate da esperienza, da ricerca e da comprensione proprie. Solo l'avvio deciso di un percorso riflessivo e di creazione di idee proprie, di scoperta di significati, alimentata dal dialogo con la propria interiorità, nutrendosi di ciò che il profondo sa dare, può rompere gli abituali vincoli di dipendenza da pensiero comune e da modelli prevalenti, la tendenza, anche dentro elaborazioni razionali che paiono ingegnose, alla riproduzione automatica di idee e di attribuzioni di significato convenzionali. Le vicende interiori, ciò che vive nell’intimo di ognuno sono il luogo della ricerca, sono il terreno fertile e prezioso, insostituibile della presa di coscienza e dell'avvicinamento a se stessi. Se corrisposta  da disponibilità a concedersi al sentire, anche se arduo e doloroso, da capacità di ascoltarlo, di intenderne voce e proposta, l’interiorità di ognuno sa dare le giuste guide per fare chiarezza, per uscire da modi impropri di pensare e di concepire la propria vita e il proprio essere, per entrare nel vivo della conoscenza, per liberare la propria progettualità, per comprenderne le ragioni e per investire sulle proprie scelte. Il sentire in tutte le sue declinazioni (non filtrato, senza discrimine e contrapposizione tra sentire buono e cattivo, bello e spiacevole, normale e anomalo) e i sogni sono la via maestra per capirsi e per capire, per trovare il proprio originale sguardo sulla propria vita, per comprendere, in modo vivo e fondato, non razionale e astratto, le sue ragioni profonde e vere, ciò che a partire dal profondo del proprio essere vuole vivere e fedelmente a se stessi. I maestri di vita esterni, ce ne sono a bizzeffe e di ogni tipo, le loro lezioni non hanno nulla a che fare con ciò che la propria interiorità sa dire e far comprendere. Maestro vero e affidabile di vita e di pensiero, consono e fedele a se stessi, è soltanto il proprio profondo. Va scoperta la sua grande affidabilità e capacità. L'analisi, quella ben fatta, è proprio questo che sa svelare e dare. La posta in gioco: aprire e seguire fedelmente la propria strada.

martedì 31 luglio 2018

L'importanza di non travisare

L'interiorità si fa in quattro per coinvolgere la parte cosiddetta conscia, che spesso di consapevolezza vera ne cerca e ne forma assai poca, per farle capire che c'è necessità vitale di prendere visione attenta di come si è e di provvedere a costruire, a formare quanto manca per essere all'altezza di individuo con propria identità e progetto. L'interiorità non vuole chiudere gli occhi e preme facendo capire che non c'è urgenza di fare e di proseguire come sempre, senza perdere colpi, che l'urgenza è ben altra. Ostinatamente lancia l'allarme, il profondo dell'essere strattona anche con forza la parte di sopra, ponendo intralci alla sua pretesa di quieto vivere, alla sua propensione a gettarsi fuori, come se il fuori fosse l'unica risorsa e riferimento, l'unico habitat possibile, rifuggendo il luogo intimo, dello stare in contatto con se stesso, col proprio sentire, come fosse irrilevante e senza promessa, un niente da evitare, dentro cui non sostare, perchè ci sarebbe sempre bisogno d'altro per vivere e, per dirla giusta, per non perdere il passo con qualcosa che non si sa bene perchè, ma che tutti dicono essere normale. L'interiorità non recede e insiste nella volontà di porre al centro dell'attenzione non le illusioni, non la voglia matta, questa sì matta, di proseguire e basta, ma non c'è verso, le capita solo di essere oggetto di improperi (del tipo di: maledetta ansia!), di giudizi senza ascolto, di sentenze senza appello, casomai sotto forma di diagnosi, di prese di misura curativa che altro non sono che purghe per spazzare via ciò che è inteso solo come disturbo e patologia. Il quadro è questo, ma i travestimenti in forma di cura di risposte sorde e ostili all’interiorità e i travisamenti sono infiniti e ferrei. Ne sono esempi, ben sostenuti dall'ideologia dello star bene purchessia, casomai nel segno del non aver di mezzo dubbi e domande, la cura che vuole mettere a posto e a tacere l’interiorità con i farmaci, quella che vuole risanare e correggere con tecniche per eliminare ciò che considera anomalo e disfunzionale. E poi ancora la cura che, con pretesa di essere introspettiva e analitica, vuole spiegare i presunti perchè di ciò che, interiormente impegnativo e difficile, non sa ascoltare in ciò che vuole dire e far capire, cui soltanto va a cercare con lunghi giri le presunte cause per levarselo di torno, per liberarsi dell’incomodo di qualcosa, che in partenza terapeuta e paziente giudicano l'esito infelice di un danno patito, di un passato sfavorevole, una sofferenza residua frutto di condizionamenti negativi, di traumi subiti, travisando, travisando. Con ostinata sicumera si travisa come disturbo da togliere e guasto da sanare ciò che l'interiorità vuole, a ragion veduta, dire e dare, la consegna, che certamente impegnativa, ma a misura e a altezza di essere umano, vuole portare a cambiare profondamente, a diventare soggetti consapevoli e artefici della propria vita e non passivi traduttori di un'idea di vita già scritta, con parte da interpretare e sceneggiatura belle che pronte. Il profondo ha capacità di vedere vuoti e assenze, vuoti di sè, di pensiero proprio, di capacità di leggere nell'intimo e senza veli il proprio modo di essere e di procedere. Se ancora non si sono trovate le proprie risposte alla propria vita e se ancora non si hanno radici in se stessi, come si può pretendere di proseguire integri e imperterriti, come se tutto fosse scontato e già risolto? Se una parte di se stessi vede e non ignora il problema è assurdo e patologico o è comprensibile e sano che si faccia in quattro per sollevarlo, strafottendosene della preoccupazione che domina l'altra parte di sè di proseguire comunque e basta, di non perdere il passo con gli altri? E' importante non travisare.

sabato 21 luglio 2018

Il valore dei sogni

Torno a parlare dei sogni, perchè meritano considerazione speciale. I sogni sono la punta di diamante della straordinaria capacità di pensiero del profondo. Se letti e intesi in chiave concreta i sogni sono stravolti e sviliti nel loro vero significato e valore. I sogni descrivono con linguaggio simbolico la situazione interiore del sognatore, svelano, aprono domande, indicano questioni cruciali riguardanti il suo modo di essere e di rapportarsi a se stesso, alla sua componente interiore e profonda. Tutte le figure e gli elementi che compaiono nel sogno parlano dell'autore del sogno, figure umane, animali, cose, luoghi, tutto parla di lui e dà volto e mette allo specchio, senza veli, gli aspetti caratterizzanti della sua personalità, anche quelli sgraditi e volentieri scaricati su altri. L’inconscio è la parte di noi stessi che non si lascia illudere dalle apparenze, che ha a cuore il vero. Il sogno è il prodotto della elaborazione attenta e approfondita che l'inconscio sa fare della nostra esperienza e dello stato in cui siamo, del nostro modo di procedere, del nostro grado di vicinanza, più spesso sarebbe il caso di dire di lontananza, da noi stessi, del nostro modo di trattare la nostra interiorità e le sue proposte. Bisogna badare a non mettere sopra al sogno spiegazioni costruite col ragionamento, a non fare deduzioni. Confezionare col ragionamento interpretazioni apparentemente coerenti e quadrate sul sogno, senza imparare a avvicinare e a far dire ai suoi simboli, rispettando e valorizzando fedelmente tutto il suo contenuto, significa solo chiudersi e rigirarsi  nei propri abituali schemi e procedimenti mentali e non comunicare per nulla col sogno, non raccoglierne il prezioso seme e contributo di conoscenza. I simboli presenti nel sogno, va ricordato per inciso che tutto del sogno fin nei più minuti particolari è simbolico, non sono di significato prevedibile e scontato, ogni espressione simbolica è unica e originale, i traduttori di simboli, del tipo questo significa questo già prestampato, sono autentiche sciocchezze. I sogni hanno una loro forte organicità, nulla è fuori posto o superfluo all'interno del sogno, nulla è gratuito o messo per caso o per generare solo meraviglia, nulla va a far parte del sogno, come spesso a sproposito si pensa, come rimasuglio di esperienze diurne riproposte in modo caotico e frammentario, casuale. Tutto l'insieme del sogno, composto in modo attentissimo e mirato dall'inconscio, concorre a dare svolgimento e espressione a un pensiero tanto lucido e fuori da ciò che è stato sinora pensato dal sognatore, quanto aderente e calzante con la sua esperienza, con ciò che gli appartiene. Il pensiero del sogno non è mai la conferma di qualcosa di già conosciuto e acquisito dal sognatore, l'inconscio non interverrebbe per rigirare la stessa frittata. Se il sogno interviene significa che è tempo e che ci sono le condizioni per fare proprio quel messaggio, quel contributo, anche se non è di immediata presa, anche se richiede un approccio adeguato per non farne cattivo uso e improprio. L'approccio al sogno dev'essere rispettoso del valore e del tasso di intelligenza in esso racchiuso, che sono il fondamento della sua capacità di dare un contributo sostanziale e prezioso alla conoscenza di se stessi. Chi spiega il significato di un sogno dopo una rapida occhiata, senza lavorarci con cura e con pazienza, senza far parlare il sogno, senza passare attraverso tutti i rimandi in esso racchiusi a esperienze, a vissuti, avendo cura di utilizzare e di valorizzare tutti i dettagli presenti, è destinato a mettere assieme solo un suo teorema, tutto interno e coerente con il suo orizzonte mentale solito e conosciuto, che nulla ha a che fare con l'intento e col messaggio del sogno. Qualcosa di analogo accade quando si trattano i vissuti, le esperienze interiori, il proprio sentire, sui quali ci si precipita spesso a trovare spiegazioni, a dare giudizi di valore (distinzioni e contrapposizione di sentire positivo e negativo, giudizi di sentire anomalo o ingiustificato sul conto di paure, ansia, inquietudini ecc.), piuttosto che ascoltarli, che far dire loro cosa racchiudono e vogliono comunicare. Capita frequentissimamente che i sogni siano travisati e fatti oggetto di interpretazioni, di spiegazioni che rispecchiano solo idee incallite e modi di pensare precostituiti. Nulla è più intelligente e capace di fecondare e di rinnovare il pensiero dei sogni, di forgiarlo non su basi astratte, ma in stretta aderenza all'esperienza. I sogni racchiudono e promuovono pensiero riflessivo, pensiero capace di farci vedere come allo specchio ciò che siamo, cosa sta accadendo dentro di noi, richiamandoci continuamente al fatto che non siamo fatti solo di superficie razionale e volitiva, ma anche di sentire, di svolgimenti interni tutt'altro che banali e insignificanti. I sogni ci mostrano i nostri modi di procedere, cosa ci muove davvero nelle nostre scelte, nel nostro agire, le implicazioni su di noi, sul presente e sul futuro personale, facendo emergere i nodi importanti da sciogliere, per non andare avanti incautamente e a occhi chiusi. E' un pensiero quello mosso e proposto dai sogni che è capace di condurre, rompendo pregiudizi, spiegazioni improprie, tesi illusorie e di comodo, a nuove scoperte di verità e approfondite su se stessi, impegnative, ma capaci di far crescere, di cambiare profondamente se stessi. Nell'esperienza analitica, me ne occupo da tanti anni, i sogni hanno un ruolo cardine, il percorso di avvicinamento a se stessi e di conoscenza di se stessi è guidato e nutrito dai sogni, creature di straordinaria intelligenza e affidabilità. Per intendere ciò che un sogno vuole e sa condurre a vedere serve tempo e lavoro attento e paziente, è un cammino, quello che si fa facendosi prendere per mano dal sogno, che ha in sè un alto potenziale di rinnovamento. Chi lo segue vede via via mutare il suo punto di vista e aprirsi uno scenario inedito, il più vicino al vero, il più corrispondente al proprio intimo sentire, così lontano dallo sguardo e dalla capacità di osservazione del pensare razionale cui era abituato. I sogni sono un contributo di eccellente valore e insostituibile per la conoscenza di se stessi, per arrivare a comprendere ragioni e scopo di ciò che si vive interiormente, di tutto il difficile e sofferto della propria esperienza interiore, di tutto ciò che va a finire ahimè spesso nella gabbia delle definizioni di disturbo e di malattia. L'inconscio che genera i sogni è la stessa mente e mano che regola e governa l'esperienza interiore, tutto il sentire e gli svolgimenti interiori, anche quelli più insoliti e sofferti, mai conseguenza banale e automatica di cause esterne o espressione di anomalo funzionamento, ma supporto e veicolo vivo e sentito, proposto intelligentemente dal profondo, per entrare nel vivo della consapevolezza di se stessi e di questioni da capire e da porre al centro dell'attenzione, a condizione che si impari a ascoltarli e non a rifuggirli o a squalificarli come disturbo e presenza nociva. L'inconscio è la parte profonda di noi stessi che vuole sollevare la questione del vedere dentro ciò che facciamo e siamo, che non si arrende all'idea che proseguire imperterriti e rincorrere la normalità sia la scelta ovvia e positiva, l'unica possibile. L'inconscio è dalla parte del nostro aprire gli occhi, del vedere le cose e del concepirle a modo nostro, con piena aderenza al vero della nostra esperienza, senza travisamenti, del fare della nostra vita qualcosa di coerente con noi stessi. I sogni sono capolavori di intelligenza, di spirito critico, di voglia di crescere e di far crescere la nostra autonomia, di sviluppare il nostro pensiero non ammaestrato da altro e da idee comuni, non passivo dietro a schemi e a idee in uso, non oscurato e ingarbugliato da teorie di comodo e da ipocrisie, ma trasparente e vivo, coraggioso e originale, fondato su esperienza personale e su scoperta dei suoi intimi significati, pensiero capace di darci le guide per fare della vita la "nostra" vita.