martedì 8 luglio 2014
Il peggio sul meglio
domenica 29 giugno 2014
Bloccati o zoppi per imparare a camminare
giovedì 26 giugno 2014
Le ragioni del malessere
Perché succede, cosa vuole questo malessere
interiore, questo tormento? Spesso chi lo vive lo tratta con preoccupazione
crescente e con insofferenza. Teme sia, oltre che un ostacolo, una minacciosa
presenza. Lo vive come un accidente sfavorevole, una sorta di corpo estraneo,
che lavorerebbe contro i propri interessi, pur così interno, intimo, addentro
il proprio essere. E' convinzione assai diffusa che il malessere sia provocato
o indotto da circostanze e da condizionamenti sfavorevoli, che sia la
manifestazione o la conseguenza di un meccanismo, fisico o psicologico, logoro
o guasto. Dirò subito che il malessere interiore, nelle sue diverse possibili
espressioni, tutte significative e da comprendere attentamente, è viceversa la
manifestazione di una forte, risoluta presa di posizione interna della parte
intima e profonda, che non vuol tacere, che vuole che la verità e l'attenzione
a se stesso diventino per l'individuo questioni centrali e esigenze
prioritarie. Pensa che sia un’anomalia, vuoi la manifestazione di un meccanismo
guasto, vuoi la conseguenza di un distorto modo di vedere la realtà e di
reagire, vuoi ancora una pena intima indotta da qualcosa, esterno a sè, nocivo,
risalente al passato o attuale, chi, pur con diverse spiegazioni circa il
presunto "guasto", concepisce la superficie come fosse il tutto.
Pensa al guasto e alla necessità della riparazione per la ripresa del normale,
chi pensa la modalità solita e presente di esistere e di procedere come l’unica
possibile, chi non comprende il malessere interiore come intervento e
espressione, non cieca, del profondo. Liquida sbrigativamente il malessere
interiore come disturbo e basta, chi pensa che emozioni, vissuti, sentire e
vita interiore, che tutto ciò che non è ragionamento e volontà, sia solo un
accessorio irrilevante e subalterno, un po’ colorito, ma poco o nulla
affidabile quanto a intelligenza e a capacità di dare orientamento. Nel nostro
essere il profondo, l'inconscio c’è e non è certo presenza di poco peso e
valore. Tutto ciò che accade nel nostro sentire e nel corso della nostra
esperienza interiore è governato, in modo mirato e intelligente, dal nostro
inconscio, è sua voce, non è affatto casuale, non è semplice risposta
automatica, riflessa a situazioni e a stimoli esterni. Che accada di sentire
inquietudine, timore e apprensione insistenti e pervasivi, persistente pena,
senso di fragilità, di vuoto, di infelicità e quant’altro definito come ansia,
depressione o altrimenti, non è frutto del caso, non è traduzione
meccanica di logorio subito, nè sgangherato modo di reagire, non è insana o
abnorme risposta, è viceversa lucida e consapevole, ferma e irremovibile
espressione di capacità e di volontà interiore e profonda, di una parte non
irrilevante di se stessi, di intervenire perché si guardi dentro di sè,
nell‘intimo vero, cosa sta accadendo della propria vita, perché non ci siano
stasi e assenza di consapevolezza, lontananza da se stessi e passivo
adattamento. Basta, con l'aiuto giusto, di chi sappia guidare ad avvicinarsi a
se stessi e al proprio mondo interiore, risolversi a cercare rapporto,
ascolto e dialogo con se stessi e col proprio profondo, basta risolversi a
dargli voce, a riconoscergli voce, senza squalificarlo in partenza come
dannoso, negativo o malato, perché il malessere, perchè l'intimo sentire faccia
ben intendere e vedere cosa sa, cosa riesce efficacemente e puntualmente a
evidenziare, a far conoscere di se stessi, a smuovere. Basta disporsi, come si
è aiutati e incoraggiati a fare dentro una buona esperienza analitica,
all’ascolto, aperto e disponibile, senza pregiudizi, alla ricerca del senso
piuttosto che del rimedio che spazzi via, con impazienza e ciecamente, tutta
l’esperienza interiore disagevole, per rendersi conto (sempre meglio via
via che dialogo e ricerca procedono), che non c’è guasto e meccanismo rotto,
che non c’è caos o irrazionalità dentro se stessi, che il malessere non è
maledetta sorte o accidente, patologia o altro, ma specchio per vedersi e per
capire. E' potente richiamo, invito fermo a lavorare su di sé, a prendere
coscienza di come si è e di come si procede, di ciò che manca, che va
finalmente costruito, che mai finora è stato cercato e costruito. Non ci sono
cause e responsabilità da cercare altrove da se stessi, in altro e in altri,
come odiosi impedimenti al proprio star bene, non c'è stupida incapacità di
vivere normalmente e felicemente, c'è semmai prima di tutto consapevolezza da
trovare, senza sconti e senza equivoci, del proprio stato attuale, verità anche
scomode da riconoscere e da non rimpallare. L'inconscio, sia con le tracce vive
del sentire sia coi sogni, non tace nulla e cerca l'intimo vero, il senso, non
usa nè pregiudizio nè camuffamento. L'inconscio, che richiama in modo così
forte l'individuo alla partecipazione al dentro prima che al fuori, esercita
una spinta formidabile, che, se saputa comprendere e condividere, offre visione
lucida e appassionata, consapevolezza profonda di sè e del proprio da mettere
al centro e a fondamento della propria vita. L'inconscio col malessere
interiore smuove e turba il quieto vivere per uno scopo riconosciuto nel
profondo del proprio essere come irrinunciabile: far vivere se stessi, il
proprio potenziale vero. Per realizzare questo scopo, non già in tasca e
traducibile in un attimo, come spesso si pretende, è necessaria una graduale e
profonda trasformazione. Ci sono fondamenta nuove da gettare, nuovo rapporto da
creare pazientemente con se stessi, nuove scoperte, originali e utili, anzi
essenziali, da fare dentro sè e col proprio sguardo, ci sono vicinanza al
proprio sentire, comprensione intima e unità d’essere con se stessi, mai
possedute e mai cercate, da trovare e rafforzare finalmente. Era sufficiente
infatti in precedenza, prima della stretta più decisa del malessere, andare per
la strada segnata, fare come si usa in genere e in genere si dice, bastava quel
riferimento comune, bastava un po’ di ordine mentale regolato dal ragionamento,
che chiarisce e oscura contemporaneamente ciò che fa comodo oscurare o che non
si comprende, bastava tutto questo per sentirsi a posto e "normali".
Capitava in realtà, non raramente, che il proprio sentire complicasse
l'esperienza, che inserisse elementi dissonanti, veri richiami per vedere le
cose più nitidamente, per non trascurare implicazioni, non certo dettagli insignificanti,
ma tutto questo lo si trattava come un inutile rumore di fondo, come fastidiose
interferenze di una parte emotiva "irrazionale". Era sufficiente
darsi un pò di quieto vivere, di adattamento, bastava variare qualche luogo,
abitudine o altro per convincersi che la questione decisiva per il proprio
"star bene" fosse solo la scelta delle circostanze e delle persone
giuste, delle opzioni esterne che avrebbero cambiato tutto per sè, deciso le
proprie fortune in bene o in male. Bastava un pò di allineamento al modello
comune, un pò di parvenza di buon funzionamento, di possesso delle cose o delle
espressioni ritenute in genere irrinunciabili o da molti apprezzate, non
importa se portandosi interiormente mille segnali diversi e incompresi, non
importa se senza mai sentirsi davvero su terreno saldo di consapevolezza, su
sostegno di desiderio profondo, di corrispondenza con se stessi.
Procedere in quel modo bastava alla parte di sé cosiddetta conscia, ma non
bastava di certo alla parte profonda, meno illusa dalle apparenze, meno
preoccupata di stare in linea e al passo con la normalità, meno timorosa di
perdere quel treno, più preoccupata di non perdere se stessi. Quel che sto
dicendo lo dico dopo lunga ricerca e dialogo col profondo, dopo aver fatto
cammino di ascolto e di ricerca con chi accompagno da oltre trent’anni nella
ricerca di comprensione della radice del perché, del senso e dello scopo del
proprio malessere interiore. Quando davvero gli si dà retta, come si fa in una
buona esperienza analitica, il profondo prende a dire subito il perché e il
senso del malessere. Bisogna ascoltarlo sia dentro il sentire, che il profondo
muove e orienta, sia nei sogni. Da subito nei sogni l’inconscio comincia
a far vedere dov’è la ragione del malessere e della crisi, da subito
conduce a vedersi allo specchio nel proprio modo d’essere e di procedere, da
subito comincia a evidenziare i nodi mai avvicinati, i vuoti, le illusorie
verità che non reggono, da subito, con grandi forza e fiducia, apre il cantiere
della costruzione del proprio originale modo di essere, di esistere, di pensare
e di progettare. E’ un cantiere dove serve fare un lavoro serio e paziente,
perché la normalità è maschera o vestito già confezionato che basta indossare,
mentre essere individui pensanti di pensiero e di visione propria e coerente
con se stessi richiede molto, molto di più e comprensibilmente. Si pensa la
psicoterapia e la si pratica spesso come officina di riparazione per tornare
normali, per trovare da qualche parte qualche ipotetica causa attuale o
preferibilmente remota, che avrebbe ingrippato il meccanismo. Non c’è, per ciò
che, pur difficile e sofferto, vive oggi interiormente, da cercare causa o
fattore avverso di cui si sia o si sia stati vittime, c’è semmai da comprendere
ciò che l’intimo sentire oggi dice e fa vedere di se stessi. C'è da
intendere ciò che la propria interiorità spinge, attraverso sentire e sogni, a
formare di consapevolezza, di pensiero proprio e di progetto, che finora sono
mancati e che sono prezioso e indispensabile bagaglio, per non perdere davvero
scopo e valore della propria vita. So che questa mia lettura del significato
della crisi e del malessere interiore, non filosofica o inventata, ma frutto di
esperienza e di confronto con l’intima esperienza e sofferenza, di dialogo e di
lavoro quotidiano col profondo, non coincide con l‘immediata attesa di molti
che vivono disagio interiore, che chiedono, come proprio bene, prima di
tutto l'annullamento del malessere e la normalizzazione, come so che non è
omogenea a modi assai frequenti di intendere la cura, il prendersi cura di chi
vive simili esperienze interiori. L’atteggiamento curativo, che, in apparenza
benevolo e favorevole, cerca il rimedio, che col farmaco vuole sedare o
mitigare, che con prescrizioni e suggerimenti vuole riplasmare i comportamenti
e le reazioni, abbattere "l'ostacolo" interiore o che va a caccia di
ipotetiche cause per costruire una sorta di spiegazione logica del perché del
malessere, per tornare a chiudere il cerchio, lasciando tutto, del procedere e
del rapporto con se stessi, come prima, rischia, malgrado le buone intenzioni,
di diventare una barriera, se non una vera pietra tombale messa sopra una parte
di sé intima e profonda, tutt’altro che malintenzionata, certamente non
compresa nella sua intenzione e non valorizzata nella sua capacità propositiva.
Rischia di perpetuare paura e incomprensione di se stessi, di ciò che vive
dentro se stessi, di bloccare sul nascere o di non favorire, come la spinta
interiore richiede, un necessario, utilissimo processo di cambiamento, di
rinnovamento. Prendersi davvero cura di sè significa aprire a se stessi e
scoprire che ciò che di sè si temeva può diventare la fonte, il fondamento
della propria salvezza, del proprio vero benessere.
lunedì 2 giugno 2014
A te, che vuoi capirti
Rigenerare il pensiero
Non c'è altro
mezzo per rigenerare davvero i nostri pensieri che non sia legarli a filo
doppio, di fedeltà e passione, al nostro sentire e non una tantum, ma sempre.
Quando i pensieri viaggiano scissi e distanti dal sentire intimo,
considerandolo casomai roba inaffidabile che non serve a capire o che toglie
lucidità al ragionamento, accade che o cerchino di fare acrobazie impossibili o
che, più facilmente, ricadano nel già conosciuto e in ciò che, unanimemente o
quasi, è considerato realistico. Il pensiero scisso dal sentire è anche quello
che, dando l'illusione di tenerne conto e di comprenderlo, non lo rispecchia
fedelmente, non lo segue con piena aderenza nei percorsi di ricerca e di verità
che, a volte scomodi e impegnativi, sa aprire, ma gli costruisce sopra e gli
ricama addosso ciò che fa comodo pensare, a tutela dei soliti equilibri e dei
più rassicuranti convincimenti. Non è un caso che il sentire dentro di noi
spesso alzi la voce e provochi. In genere la cosiddetta ansia e tutto ciò che
in svariati modi ed espressioni interiormente capita di patire, sono
considerati fastidi o malattia. Che siano l'invito, senza far tanti
complimenti, a mettersi finalmente con i piedi per terra, sulla terra dei
propri vissuti, richiamando attenzione e pensiero a occuparsi di esperienza
vissuta, di materia viva, tutt'altro che futile o astratta? Se ben ascoltati
l'esperienza interiore, il sentire, le emozioni, gli stati d'animo, tutti senza
esclusioni, dicono, tracciano percorsi vivi, propongono e in modo affatto
impreciso, sbilenco o insensato. Anzi sono davvero l'unica opportunità per
vedere e per vedere nuovo, non cessano mai di spingere e di condurre verso ciò
che va assolutamente conosciuto, pena il rischio di rimanere sospesi e in balia
del pregiudizio, di idee incallite e di comodo che non favoriscono certo la
propria crescita, di idee date per scontate, che il coro unanime o quasi
vorrebbe uniche e univoche. Senza idee fondate su di noi, guidate e alimentate
dal nostro sentire, coerenti con noi e in continuo divenire e crescita, finiamo
per non avere alternativa al pensare la vita come cosa già più o meno chiarita
e detta e per accodarci al "normale", di pensieri e scelte.
sabato 24 maggio 2014
Cadute e ricadute
mercoledì 21 maggio 2014
Spettatore o artefice
domenica 29 gennaio 2012
L'analisi: a cosa serve e che cambiamento produce?
Il prezzo della lontananza da se stessi
L'ascolto e il dialogo con l'interiorità
martedì 24 aprile 2007
Fiducia in se stessi
Accade non di rado che ci siano persone che patiscono e lamentano scarsa
stima e fiducia in se stesse e che ne rivendicano il pronto recupero o
rafforzamento, come se quella auspicata (più autostima e più fiducia in sè)
fosse condizione ovvia e scontata, un diritto. In realtà è probabile che chi
non trova fiducia in se stesso stia cercando, più o meno consapevolmente, più
validi presupposti e nuovo fondamento alla propria fiducia e stima di sé.
Spesso l'individuo nel suo procedere si affida e aderisce ad altro da sé da cui
si lascia definire e portare: ruoli, senso comune, convalida esterna,
assunzione di modalità gradite ai più ed applaudite, conoscenze e modi di
pensare assorbiti e ripetuti. Chi non trova fiducia in se stesso è spesso un
individuo che si è limitato a riprodurre qualcosa di già confezionato, a
inseguire e a misurarsi più col consenso e la considerazione d'altri che col
proprio sguardo, a fronteggiare e a superare prove e esami esterni, ad andar di
corsa verso traguardi già segnati, più che a dare spazio e impegno a ricerca e
a verifiche proprie. Con una maturità di facciata, pur cercando, in affanno, di
stare al passo con gli altri, sente di stentare. Sempre più si acuisce in lui
il senso di inadeguatezza, subordinando la considerazione di sè, del proprio
valore al paragone con altri, facendo degli altri ancora e sempre più il suo
metro di misura, il suo modello. L'individuo, pur sfiduciato circa sè,
paradossalmente insiste nella pretesa di colmare subito il senso di sfiducia,
come se questo del non accordarsi fiducia e stima fosse un limite
ingiustificato o una anomalia. In fondo chiude gli occhi, non già sulla sua
scarsa fiducia, ma sulle ragioni vere, di inconsistenza propria che la
giustificano. Facendo riferimento e conto su modi comuni di procedere, che in
fondo non richiedono se non attestati di conformità al normale e parvenze,
preso dall’urgenza di non perdere terreno rispetto ad altri, non vede la
distanza che lo separa da una vera maturità e dal possesso conquista di
qualcosa di suo e di degno, capace di fargli meritare sì dentro se stesso senso
di fiducia e di stima. Per una fiducia in se stesso davvero fondata e non
costruita sul niente o sull'apparente, è necessario all'individuo qualcosa di
riconosciuto da sè come originale e consistente, capace di farlo stare sulle
sue gambe, di fargli compiere passi in direzioni scelte, comprese e sentite, in
autonomia, quindi poco importa se non condivise o non apprezzate dagli altri,
con progettualità propria, con intima persuasione e passione, con senso di
unità e di credo condiviso con se stesso. L'individuo che non trova fiducia in
se stesso ignora in realtà ciò di cui è portatore, ancora non dispone di sé,
ancora ignora il senso di ciò che sperimenta interiormente, ancora non ha
scoperto l'affidabilità della propria guida interna, profonda, ancora non
dispone della propria creatività, della capacità di generare pensiero proprio,
di riconoscere progettualità propria e di tradurla, sostenerla. Onestamente
potrebbe ammettere di non avere una propria visione di sè e della vita, un
proprio discorso, malgrado si sia sforzato di trovare argomenti e risposte,
onestamente potrebbe riconoscere di non essere ancora capace di guidarsi
attraverso se stesso. Queste ammissioni risulterebbero certo ingrate, dolorose
e però anche finalmente capaci di motivare l'impegno di scoperta dentro sè e di
conquista del nuovo, di ciò che manca. L'individuo si lamenta di non avere
sicurezza e fiducia in sé, ma in fondo insiste nella pretesa di essere già
maturamente compiuto, in molti casi più per imbarazzo verso gli altri o per
orgoglio, che per reale persuasione. In alcuni casi potrebbe essersi davvero
convinto di possederne di pensiero e di argomenti originali e propri, senza
riconoscere di essersi sempre, nella sostanza, riempito d'altro, di aver fatto
uso di sapere preso in prestito, di idee, anche se
"intelligentemente" rimaneggiate e rifinite, mai scaturite per intero
da sé e perciò mai concepite e comprese dall'origine e per intero.La stima di se
stessi, rivendicata come fosse ovvia e dovuta, manca dunque spesso del suo
valido motivo e fondamento. Nulla è più sciocco o deleterio che voler ottenere
o addirittura pompare la fiducia in se stessi, se ancora mancano i suoi
fondamenti, distraendosi dal compito e non cogliendo il richiamo interiore a
lavorare su se stessi, facendosi aiutare all'occorenza, per formare le basi
della stima e della fiducia in se stessi, solide e infine davvero
gratificanti. Non è un caso infatti che l'interiorità, che la parte di sè
più acuta, intelligente e consapevole, quella profonda, quando ancora mancano
le condizioni di vera crescita e di vera maturità necessarie e desiderabili,
tolga e neghi percezione di sicurezza interna e di fiducia e tenga ferma questa
posizione, malgrado le lagne. Non lo fa per deficit o per malattia, lo fa per
amore di verità, per saggezza e per consegnare finalmente il pungolo e il
compito di porre riparo a quel vuoto di sè e di propria sostanza e creatività,
per spingere finalmente a generarla e a costruirla. Il profondo non crea mai
situazioni di sofferenza e di crisi inutilmente o sciaguratamente.
Attacchi di panico. Qualche spunto di riflessione
Il rapporto con se stessi: unità e dialogo o contrapposizione e rottura. Il senso della crisi
domenica 15 aprile 2007
I sogni
Convalidate dall'uso comune o prese in prestito da qualche autorevole fonte, simili spiegazioni o interpretazioni riescono a dare a chi ne fa uso pallida persuasione di capire l‘esperienza, di vedere dentro sé, di conoscere. Dico pallida perché, al di là di una sensazione d'ordine, di controllo, di dominio sull'esperienza e sui suoi ignoti, il pensiero razionale non produce granché. A molti credo sia capitato di osservare questo: un processo di spiegazione razionale che riguardi se stessi, tanto risulta a volte coerente, all'apparenza convincente ed esauriente quanto sterile. Venuti col ragionamento a capo del problema ci si sente soddisfatti, ma si avverte di non aver compiuto un passo avanti, di non aver compreso per davvero nulla, soprattutto si sente di non ritrovare unità e contatto tra ciò che si è argomentato e detto e l'esperienza intima. Altra cosa è comprendere e dire, sapendo cosa si sta dicendo, vedendo dentro di sé, cercando e trovando dentro il vissuto il fondamento di quel compreso, la sua anima, la sua voce. I sogni conducono a questo: a vedere con i nostri occhi, a riconoscere significati che illuminano, che chiariscono noi stessi, ciò che sentiamo, di cui facciamo intima esperienza. La mia esperienza di analista mi ha dato e mi dà prova che dal profondo parte la ricerca di visione, di comprensione del senso. Dal profondo l'invito, l'occasione, la spinta continua e ostinata a rompere la condizione di passività o di chiusura della mente nel già pensato, nel pensiero dato, a superare l'inconsapevolezza di noi stessi. I sogni ci avvicinano come nient'altro a noi stessi. Il cammino analitico è segnato dai sogni.
Ogni sogno è un momento di ricerca che si serve di strumenti avanzatissimi di pensiero. Mettersi al passo col pensiero dell'inconscio è lavoro assai impegnativo, ma gratificante, perché capace finalmente di restituire la visione nitida e fondata, il pensiero di cui manchiamo, il nostro , dove pensare e avere consapevolezza sono in vera comunione e sintonia , dove ciò che diciamo e ciò che intimamente sperimentiamo concordano tra loro, sono l'uno la voce dell'altro. Per capire un sogno bisogna lavorare e molto. Ogni dettaglio del sogno è parte costitutiva del messaggio, di un messaggio affatto prevedibile e scontato, mai copia di qualcos'altro. Compito dell'analista è di restituire all'altro ciò che appartiene all'altro, il suo pensiero. Se l'analista mettesse addosso all'altro, all'esperienza dell'altro, ai suoi sogni qualcosa di già pensato, di costruito, di preso in prestito da presunte teorie certe e da spiegazioni già pronte, valide per tutto, tradirebbe il suo mandato, la sua funzione di aiutare l'altro a reggere il confronto con se stesso, a cercare ciò che gli appartiene, che si sta facendo avanti in lui dal suo profondo, che vuole essere compreso. L'analista, se facesse ricorso e favorisse l’uso di interpretazioni pronte, di idee già pensate, rischierebbe di chiudere l'altro a se stesso, di non aiutarlo ad attingere a se stesso.
E’ importante trattare bene i sogni , non parlargli sopra, ma imparare ad ascoltarli, a farsi guidare da loro. Per ogni sogno si può lavorare (assieme) anche per sedute intere, per più sedute. L'importante è non piegare il sogno al preconcetto, a qualche interpretazione pronta, che sicuramente farebbero la felicità di chi vuole uscire in fretta dalla tensione dell'attesa e dell'ignoto, ma che ammazzerebbero la creatività e il pensiero.