martedì 8 luglio 2014

Il peggio sul meglio

Il peggio riversato sul meglio di sé. Credo sia utile parlarne ancora, come ho fatto in molti miei scritti, perché è questione tanto diffusa quanto importante, decisiva. L’esperienza interiore, ciò che propone, non importa se in una forma ardua, impegnativa e sofferta, è risorsa vera, opportunità viva e sensata di  avvicinamento a sé, di scoperta di significati col proprio sguardo, di comprensione intima e fondata, di intelligenza utile, indispensabile come lo è la capacità di conoscersi e di guidarsi, che potrebbe finalmente prendere corpo. Eppure le va sopra troppo spesso il peggio del pregiudizio, dell’impazienza, della pretesa di stare prima di tutto liberi e sgombri da disagi e da pensieri, da impegno di capire e di capirsi, della preoccupazione di non diventare diversi da ciò che il senso comune raccomanda, caldeggia e si arroga di fissare come valido sempre e comunque, cioè normale. Cestinare, liquidare l’esperienza interiore o pretendere di raddrizzarla per renderla "sana" e conciliante, sono pratica personale e pure di “aiuto” professionale assai diffuse, senza capire quanto di prezioso e di intelligente si vuole mandare in discarica o rimettere in riga, per recuperare o salvaguardare cosa? Il riallineamento al gregge, il ritorno al solito, senza bagaglio proprio di consapevolezza e senza  capacità di orientamento, anche se lo si chiama ritorno alla normalità o recupero del benessere. E’ comprensibile che imparare da se stessi, essendo pratica inusuale e strada mai o quasi mai battuta, risulti inizialmente incredibile, anzi che la si ignori. Con impazienza ci si fa bastare qualche acrobazia del ragionamento, spacciandosela come chiarimento e come possesso di idee e ci si rivolge contro parte di sé che, se non è stata e se non sta alle attese, si giudica inutile e dannosa. Conta non farsi rompere le uova nel paniere da richiami e da iniziative interiori, che vengono giudicati senza tanti indugi intemperanze e capricci irrazionali. La protervia con cui si è pronti a bollare come storto, inutile o malfatto, se non patologico (ancor prima che intervenga qualche tecnico che apponga una qualche etichetta diagnostica) ogni proprio sentire che stona e che dissona dal normale celebrato, fa però impressione. Soprattutto, pur senza saperne cogliere senso e gravità,  è atto arrogante di una parte di se stessi, tanto presuntuosa quanto ignara della propria inconsistenza, contro parte di sé che, se si imparasse ad ascoltare e a conoscere, avrebbe tanto da insegnare e da dare.

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