domenica 22 dicembre 2024

La forza dell'inconscio

Si pensa abitualmente che il malessere interiore sia il segno dell'indebolimento, della compromissione della capacità di procedere normalmente e felicemente, minata da qualche oscura causa, da un anomalo stato interiore e psicologico. Si pensa che sia nel proprio interesse andare alla ricerca del rimedio, nel verso del contenimento della minacciosa e ritenuta insana e nociva disposizione interiore e del ristabilimento di uno stato ritenuto normale, si considera questa scelta come indiscutibilmente positiva e favorevole. Se è riconosciuta forza lo è in chiave negativa a una parte di sè che per qualche alterazione rispetto alla norma malauguratamente agirebbe contro se stessi, una sorta di patologica tendenza che non vuole cedere, che minaccia di guastare l'esistenza. Ancora in termini di forza si fa appello alla contrapposizione della forza di volontà e di resistenza come arma necessaria per combattere e per non cedere a ciò che interiormente è considerato solo nefasto. E' una lettura questa che sembra scontata, che non trova certo smentita, anzi che trova robusto sostegno nella stragrande maggioranza delle proposte curative, nella logica di cui sono portatrici, siano esse nella variante delle cure psicofarmacologiche che delle psicoterapie. Anche dove si ritenesse necessario e valido non limitarsi a contrastare i segni del malessere ma, attraverso una psicoterapia, indagare per capire, la ricerca muove infatti spesso e volentieri, seguendo una idea preconcetta di ciò che va cercato, nella direzione di rinvenire nella propria storia le cause, preferibilmente remote, di insufficienti apporti o di condizionamenti negativi da parte di figure genitoriali o significative, di accidenti negativi e di traumi psichici patiti, che avrebbero compromesso il sano evolvere della propria crescita, che avrebbero lasciato segni persistenti di un turbato equilibrio. Accade così che, assecondando l'idea preconcetta, non sia difficile trovare da qualche parte nella propria rivisitazione e ricostruzione biografica, ciò che dia conferma e soddisfazione a una simile attesa. La tesi vittimistica di un danno patito e la lettura del malessere come espressione di un turbato equilibrio non salvaguardato e a sè non garantito hanno così modo di trovare una sorta di quadratura. Che questo significhi entrare davvero in ascolto e in sintonia con la proposta interiore, con ciò che l'intimo profondo attraverso il malessere e la crisi vuole far intendere e con ciò che vuole promuovere di ricerca e di cambiamento, questa è tutt'altra storia. Non è un caso che dopo le presunte scoperte del perchè e dell'origine del malessere, il rapporto col proprio sentire rimanga più improntato a tenerlo a bada che a saper comunicare con questa parte viva di se stessi, che, inascoltata, non cessa di premere. Nessuno pensa o ben pochi che la crisi e la sofferenza che interiormente hanno preso piede non siano il segno di un'anomalia nel proprio stato interiore da più o meno remota causa nociva da indagare e da cui finalmente rendersi liberi prendendone coscienza o che le espressioni di disagio interiore siano il segno di un cattivo adattamento, di una scorretta o disfunzionale modalità di intendere e di reagire, che, per far riprendere al meglio, senza intralci e aggravi, la corsa solita, richiederebbero una correzione e un riaggiustamento, come predicano gli psicoterapeuti del cognitivo comportamentale, che si vorrebbero portatori della psicoterapia più scientificamente fondata e comprovata, ma che attraverso il malessere, da ascoltare senza preconcetti, l'interiorità ponga questioni di sostanza, che implicano e chiedono una verifica più radicale e profonda del personale modo di procedere e di stare in rapporto a se stessi, con la parte più intima di se stessi. Questa, di una necessaria e inderogabile verifica e approfondita  è .la ragione e il richiamo forte del malessere interiore, come animato e reso acutamente vivo dal profondo, da quella parte di se stessi che non chiude gli occhi, che non cerca di assecondare la ricerca a testa bassa, inconsapevole delle sue ragioni e vincoli, dell'adattamento, del darci dentro nel procedere consueto come fosse ovvio. L'inconscio è la parte del proprio essere, della propria psiche, che attraverso i sogni e il sentire, regolando tutta quanta la vicenda interiore, dà segnali puntuali e intelligenti, a tratti anche dirompenti, di messa in esame e in discussione del proprio modo di impegnare la propria vita, spesso al seguito d'altro, che ne regola gli svolgimenti e gli scopi, incuranti, così lontani dal proprio intimo, di riconoscere e di coltivare le proprie autentiche potenzialità interiori. L'inconscio, non certo sconsideratamente, mette al primo posto la necessità della presa di consapevolezza del vero della propria condizione, passo necessario per riprendere libertà e capacità di formare e sviluppare, d'intesa col proprio profondo, la conoscenza, senza suggerimenti e guide esterne, di se stessi e dei significati veri della propria esperienza, la scoperta di ciò che vale e che vuole vivere di autenticamente proprio. L'inconscio spinge verso la conquista della propria autonomia vera e sostanziale, che non si riduca al saper fare da sè questo o quello, ma che sia capacità di prendere davvero in mano le guide e lo scopo della propria vita. Questa è la forza e non certo cieca, inaffidabile o distruttiva dell'inconscio, della parte del proprio essere tutt'altro che da considerare di peso marginale, tutt'altro che da ignorare e da escludere dalla propria vita. L'inconscio può trarre in salvo, può se ascoltato e compreso, se assecondato nelle sue proposte come portate avanti nei sogni e nel sentire che anima e dirige, alimentare, formare e dare una capacità di pensiero e una forza di animo e di passione, non piegate a dare buona prova, a mettersi in fila nel seguire ciò che è consueto e ben guidato da prassi e da mentalità comune e condivisa, ma finalizzate a costruire la propria autonoma visione e capacità di dirigersi nelle scelte della propria vita. Questa è forza vera, mutuata e sostenuta dal profondo, ben altro dalla forza di esibizione e di realizzazione della parte conscia a cui si è fondamentalmente affidati e dentro cui si sta arroccati, che ha sempre bisogno per declinarsi e per stare in piedi di guida e di convalida esterna, di conforto e di plauso presi da fuori.

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