E' convinzione molto diffusa che, per capire esperienze e situazioni interiori difficili di oggi, si debba risalire al passato. Se l'intento, rivolgendo lo sguardo al passato, è di individuare le cause che spieghino il malessere attuale, l'auspicio è, una volta trovate le cause, di potersi liberare di una condizione interiore giudicata senza alcun dubbio anomala e capace solo di procurare danno e impedimento a un sano modo di vivere e di procedere. E' un modo comune e ricorrente di rapportarsi alla crisi e al malessere interiore, che non appartiene solo a chi ne è coinvolto, ma che trova conferma e diventa asse portante di molte esperienze di psicoterapia. Di fatto la ricerca che, distraendosi rapidamente dall'ascolto del sentire vivo di oggi, si rivolge al passato per cercare le presunte cause del malessere attuale, segna una fuga dall'incontro col presente della propria vicenda interiore, segno dell'incapacità di entrare in rapporto con la propria interiorità, che, dentro e attraverso il sentire disagevole e sofferto, dice, comunica e avanza oggi proposte. Sono proposte utili e importanti, che, girando lo sguardo altrove sul passato, persuasi che il malessere sia solo una situazione negativa e nociva di cui liberarsi, non sono raccolte e comprese. C'è una domanda che però va posta. Esiste un nesso, un legame significativo tra la vicenda interiore dell'oggi e quanto è stato vissuto e si è reso acuto in momenti e in passaggi precedenti della propria storia interiore? Certamente gli svolgimenti interiori del presente sono in continuità e in relazione significativa con il cammino fino a oggi compiuto. Il passato, il proprio passato, cui in genere si vuole attribuire un peso determinante per capire se stessi e le problematiche attuali, se lo si vuole davvero comprendere e valorizzare, va però recuperato e riscoperto correttamente, non come una selezione ad arte di fatti, di episodi traumatici, di incidenti e di condizionamenti subiti, dove la parte decisiva e determinante è consegnata alla famiglia, all'ambiente, all'educazione e simili, ma come un cammino in cui, anche nei passaggi più ardui, non si è mai stati semplici oggetti passivi. Viceversa, se si vuole del passato recuperare e rispettare il vero, se non cè interesse a far quadrare tesi preconcette, ma a conoscersi, si può vedere come nel succedersi delle vicende personali, ci sono stati al centro dell'esperienza che si va a rivisitare momenti e passaggi interiori anche complessi di cui si è stati intimamente parte attiva e protagonisti, che, già a volte nella elaborazione immediata e poi soprattutto nel ricordo, sono stati spesso appiattiti, offuscati o del tutto ignorati. Si tende infatti nelle ricostruzioni, nelle rivisitazioni del passato a mettere in primo piano il peso dei fattori esterni, trascurando invece la riscoperta del filo interno di vissuti, di spinte, di risposte intime, che dell'esperienza sono state invece il nucleo centrale, l'anima, la parte essenziale. La vera storia personale non è primariamente fatta o riducibile a quel che altro o altri hanno fatto nei propri confronti e condizionato, ipotizzando tra l'azione del fuori e le risposte del proprio dentro una semplice relazione automatica e meccanica di causa e effetto, ma è da ritrovarsi in quel che, passo dopo passo, è successo interiormente, dove tutto si è svolto in modo ben più autonomo e complesso. In quegli svolgimenti interiori infatti il proprio profondo si è reso presente, ha ripetutamente preso iniziativa e attraverso il sentire ha dato segnali, indicazioni per evidenziare, per rendere riconoscibile nell'esperienza in corso prima di tutto la parte svolta e spettante a se stessi, ciò che si è espresso, che si è fatto. Nei diversi momenti l'inconscio ha, attraverso i vissuti che ha generato, incoraggiato e sostenuto l'impegno e la capacità di lettura autonoma dell'esperienza, la scoperta o l'intuizione di significati importanti, ha stimolato l'insorgere di interrogativi, ha reso acutamente riconoscibili nel vissuto i contrasti, il proprio modo di trattarli e di dare risposta, non ha mai messo in secondo piano la propria personale responsabilità. Non c'è un passato in cui si sia stati semplicemente materia plasmata e, in un modo o nell'altro, la conseguenza e la risultante, le "vittime" di quanto fatto da altri e determinato da circostanze e da fattori esterni. C'è un passato, quello vero e integralmente ritrovato, dove, pur non indifferenti alle influenze esterne, pur interiorizzando modi di vedere e di reagire presenti nell'educazione, il filo interno delle vicende e dei passaggi interiori, carichi di significato e di implicazioni importanti, con al centro se stessi, con se stessi in posizione non inerte nel modo di cogliere i significati, è sempre stato interiormente in primo piano. Ciò che l'esperienza interiore nel passato come nel presente è stata e è capace di dire è ben diverso da ciò che spesso si tende a raccontarsi e a spiegare, è ben altro rispetto a certe letture dell'esperienza, niente affatto rare, che cercano cause e spiegazioni, chiamando in causa principalmente altri e l'esterno. Sono ricostruzioni del proprio passato condizionate, viziate dalla necessità di trovare una causa, che dunque alterano per posizione preconcetta e deviano dalla ricerca del vero.In psicoterapia queste ricostruzioni e indagini sul passato danno soddisfazione alla necessità dello psicoterapeuta di produrre un risultato e a quella complementare della persona di liberarsi di un carico interiore da subito inteso come pena che malamente l'affligerebbe, come stortura effetto di cause e di condizionamenti o di traumi subiti che avrebbero prodotto il danno. Ciò che è racchiuso e di cui è testimone il proprio passato, se avvicinato senza preconcetto e interesse precostituito a procurarsi il presunto beneficio di trovare la presunta causa, ciò che avrebbe segnato e messo le radici del malessere interiore prolungato all'oggi, ma guidati da sincero desiderio di conoscersi anche nelle vicende passate conduce a ben altro che a operazioni di conferma di un teorema di partenza, quello del presunto danno psicologico subito. Il corso dei vissuti, degli accadimenti interiori, ciò che si è mosso e che si muove sulla scena intima e che nel racconto abituale, che mette sempre al centro ciò che agisce e condiziona da fuori, è trascurato, distorto e appiattito, in realtà è ben altro nella sua genesi e nei suoi svolgimenti, nei suoi significati e nella ricchezza di contenuto. Ciò che accade nella vicenda interiore, che accompagna che sottende i fatti, gli eventi dell'esperienza, che è il risvolto più interessante e fondamentale per capire, per conoscersi, vede la presenza del proprio intimo e profondo, niente affatto oggetto passivo condizionato e modellato dall'agire esterno, bensì capace di dare spunti, di dare base di ricerca di verità. Tutto ciò che prende forma nell'intimo del sentire è regolato e mosso dal nostro profondo, che in ogni momento vuole mettere in primo piano in ciò che ci accade ciò che ci spetta, che ci coinvolge, spingendoci a cogliere significati anche di notevole profondità, per non lasciarci inconsapevoli e sprovveduti. Nella complessità del sentire, che fin da piccoli accompagna la propria esperienza, riconosciuto e rispettato nella sua integrità e completezza, come possono essere rintracciati i segni di spinte, di risposte interiori originali, di intuizioni capaci di portare il proprio sguardo al di là o in disaccordo con le idee e con la logica dell'ambiente circostante, così non sono taciute la tendenza a scansare e a scaricare interrogativi e difficoltà, a porsi al riparo da tensioni conflittuali, a muoversi nell'adattamento e nell'adesione a ciò che è prevalente e comune, la tendenza a cercare scorciatoie e soluzioni a portata di mano e conformi all'esempio dei più, evitando incognite e carichi personali più gravosi e incerti, seppure per scopi più sentiti e autentici. La parte profonda del nostro essere, l'inconscio ha sempre fin dal principio del nostro cammino di vita reso tangibile la sua presenza, non ha mai mancato di dare stimoli e spunti per capire, per approfondire, per metterci allo specchio, per conoscerci nel vero, per capire per tempo questioni centrali, per non esserne ignari, non ha mai trascurato di stimolare la nostra potenzialità di prendere consapevolezza, di crescere in autonomia di pensiero e in fedeltà a noi stessi. L'infanzia non è un tempo di soli giochi, di assenza di responsabilità e spensieratezza, non di rado si affaccia la percezione di questioni importanti, si fanno strada inquietudini non insignificanti. I sogni stessi sono esperienza che fin dai primi passi della propria vita accompagna il cammino personale. L'inconscio interviene e è promotore non dell'adattamento, della presa dipendente da altro che guidi e orienti, che dia risposte e indichi traguardi, che definisca ciò che vale e in cosa si è riconosciuti come di valore, l'inconscio viceversa dà continui spunti e richiami per aprire gli occhi, per trovare da sè risposte, per crescere in autonomia di sguardo e di ricerca. Mi è capitato in alcune occasioni con individui adulti, durante il percorso analitico, di riavvicinare sogni da loro fatti in età infantile, anche molto indietro nel tempo. Motivo di una simile ricerca il rimando presente in sogni fatti oggi a quei sogni remoti. Ebbene quei sogni dell'infanzia già delineavano temi e nodi diventati nel presente cruciali e oggetto di riflessione più avanzata e di ricerca. L'inconscio è presente da sempre nella vita di ognuno e fin dai primi passi fa sentire la sua voce sia nei sogni, sia contrappuntando l'esperienza in ogni momento con vissuti, con stati d'animo, con emozioni, con l'articolarsi di momenti interiori utili per capire i punti decisivi e veri, per alimentare il confronto e il dialogo con se stessi, per cominciare a attrezzarsi di consapevolezza utile e necessaria per cercare la propria strada, per non subire la regola comune e per non appiattirsi sulle concezioni prevalenti. Se è accaduto che in parte questi momenti interiori, perché incisivi e forti, siano stati sentiti cruciali, riconoscendo se stessi soggetti e parte in gioco saliente e decisiva nell'esperienza, non meno delle azioni dell'ambiente, è però successo anche che via via ci si allontanasse dalla vicenda intima per stare sempre più nelle secche del ragionare e del fare, dando primato e prevalente attenzione a circostanze e a condizioni esterne, all'agire piuttosto che al sentire, con gli occhi tutti puntati fuori, fino a abituarsi a considerare decisivo ogni fattore esterno, fino a definire realtà solo quell'insieme e quello scenario esterni. Ho svolto questa riflessione per far capire che, se il passato personale ha valore, lo ha se riconosciuto nella sua vera natura di cammino interiore, unico e originale e non, come nelle ricostruzioni parziali e sostanzialmente infedeli, come racconto fatto soprattutto o soltanto di condizionamenti, di influenze esterne, di reazioni quasi automatiche e condizionate dall'agire di qualcosa di esterno e altrui, di semplice interiorizzazione di modi e di atteggiamenti assorbiti da figure influenti, cancellando o minimizzando tutto l'intimo della propria esperienza. Compiere questa semplificazione e riduzione del proprio a conseguenza dell'agire altrui e di altrui responsabilità è un'operazione di comodo, che libera se stessi da ogni carico e responsabilità nell'accertare e trovare il vero, nel riconoscersi soggetti del proprio destino, delle proprie scelte. Tanto è comoda questa modalità di trattare la propria esperienza, che enfatizzando il peso e l'incidenza di fattori esterni, oscura e non riconosce il primato di ciò che spetta a sé e che è rintracciabile nella propria esperienza interiore, quanto è deleteria per il proprio interesse di recuperare la propria visione delle cose e tutto il proprio potenziale di scoperte e di crescita. Se ci si priva del rapporto col proprio materiale vivo di esperienza, da cui può nascere conoscenza, autonomia e forza di pensiero, capacità di cambiamento, ne consegue che più facilmente e tenacemente ci si lega a altro e a altri e se ne dipende, ci si rifà a idee e modelli comuni e ci si fa portare, anche quando si insista nel contestarli, nel ribellarsi e contrapporsi. La modalità di ridurre tutto a responsabilità, a colpe o a potere di condizionamento di altro e di altri, applicata con più agio al passato, dove le "ricostruzioni" che appiattiscono il proprio e lo riducono a conseguenza d'altro, sono più facili, agevolate dalla distanza temporale che separa dagli accadimenti, è comunque ricorrente anche nel rapporto con l'esperienza attuale. Urge dunque imparare a leggere la propria esperienza, dando riconoscimento e aprendo riflessione su ciò che interiormente si prova, perché è lì che c'è il vero e tutto il potenziale che porta a capirsi, senza semplificazioni e omissioni, a trovare sintonia con se stessi e possibilità di ritrovarsi, di sviluppare il proprio originale pensiero, di crescere in autonomia e in fedeltà a se stessi. Se si lavora sul presente è più efficace questa ricerca, perché tutto dell'esperienza vissuta, del sentire, in tutte le sue espressioni e movimenti, capaci di aprire alla comprensione del vero, è vicino, è vivo e attuale. In ogni caso anche dove ci si aprisse al confronto con momenti e esperienze del proprio passato, è importante rispettare la stessa esigenza di mettere in primo piano e fedelmente ciò che interiormente si è vissuto, per non manipolare la propria storia, per non appiattirla, rendendola sì utile allo scarico di ogni personale responsabilità, alla costruzione di teoremi liberatori attorno al perché dei propri problemi e difficoltà, ma nello stesso tempo svuotandola e privandosi di ciò che potrebbe arricchire, nutrire la conoscenza di se stessi. Il presente, ciò che oggi la propria interiorità sta proponendo e promuovendo è il cuore della ricerca a cui rivolgersi prima di tutto, ma c'è un che di unitario, un filo che unisce il presente e ciò che sta nascendo col passato, col proprio passato. Il cammino, passato e presente, se visto e compreso dall'interno e col contributo fondamentale del profondo, è il proprio cammino, lo è e lo è sempre stato fin dai primi passi.
domenica 9 giugno 2024
mercoledì 5 giugno 2024
Cos'è disfunzionale?
Il termine “disfunzionale” è molto usato,
particolarmente nell'ambito della psicoterapia cognitivo comportamentale. Sposa
e asseconda perfettamente l'idea comune che ritiene che quando in ciò che si
prova, nelle proprie risposte interiori e nei modi di vivere le diverse
situazioni, c'è qualcosa che non asseconda le attese e che si scosta da
ciò che è solitamente giudicato normale e valido, ci sia un difetto, un
funzionamento e una reazione anomali e controproducenti, non utili, anzi
dannosi per i propri interessi. Tutto concorda e converge nell'idea della bontà
di un intervento curativo volto a ottenere un modo (ritenuto) favorevole e
sensato di reagire e di procedere. Muovendo dalla persuasione che ci sia una
anomalia nel sentire, ci si dispone a contrastarla, provando a contenerla con
farmaci o con tecniche di rilassamento, proponendosi di correggerla, come nella
psicoterapia cognitivo comportamentale, con interventi su (supposti) modi
errati, disfunzionali di leggere e di pensare le diverse situazioni, che
condizionerebbero la risposta emotiva, la reazione giudicata incongrua e
limitante, nociva per i propri interessi. La correzione si propone pertanto di
ottenere che i modi e le risposte date alle diverse situazioni siano finalmente
corretti e validi, favorenti i propri interessi. Tutto sembra non fare una
grinza. C'è però, a starci attenti, il rischio di rimanere imprigionati in un
modo cieco di intendere le cose. In presenza di ciò che accade interiormente si
tende a piegare all'arbitrio della ragione ciò che una parte di se stessi,
intima e profonda, sta mettendo in campo nel sentire, bollato subito, se non
piacevole e discordante con le aspettative, come anomalo e sbagliato, privo di
senso e dannoso. Se ci si leva dalla posizione intransigente e rigida di chi
vuole imporre la verità e la regola a ciò che non conosce, in questo caso a una
parte di sè poco o nulla conosciuta, può aprirsi una riflessione e
riconsiderazione davvero utile e “funzionale” a non rimanere intrappolati nel
pregiudizio e in schemi rigidi. Tutto allora può mostrarsi sotto una luce ben
diversa. Tenendo conto dello stato del rapporto con se stessi, spesso di
lontananza e di non conoscenza del proprio intimo e profondo, disfunzionale, se
proprio si vuole usare questo termine, è il proprio non riuscire, in presenza
di un malessere interiore e di risposte interiori a prima vista strane e poco
piacevoli (siano esse ansia, fobie o altro), a comunicare con se stessi, con
ciò che si sente. Disfunzionale, cioè limitante e non idoneo a sostenere i
propri veri interessi, è non saper fare proprio ciò che il proprio sentire
vuole dire e far intendere, è non comprendere cosa la parte intima, profonda di
se stessi vuole condurre a capire di sè, della propria condizione vera.
Disfunzionale è insistere nel ripetersi le solite cose, nel volere che tutto
giri e proceda a senso unico di marcia, nel concepire come difetto di
funzionamento da correggere, per rilanciare il consueto, ciò che invece ha
tutt’altro senso, importanza e valore e che origina da tutt’altro sguardo, non
estraneo e alieno, ma profondamente proprio, insito nel profondo del proprio
essere. Se l'esperienza interiore disagevole che si vive di fatto è stata così
insistente e continua a incidere con forza, se ha intralciato e
intralcia l’iniziativa verso l'esterno, se non consente di aderire
ai richiami della cosiddetta normalità, del cosiddetto normale funzionamento,
con tutte le sue regole, tipo la necessità di provarsi che si è capaci come
tutti (sarà poi vero proprio tutti?) di stare sereni e di godersi la vita, è
per condurre quasi a forza a convergere su di sè, a portare tutta la propria
attenzione su se stessi, perché ci sono in gioco necessità fondamentali di cui
prendere consapevolezza e cui provvedere. Alla parte profonda non importa
nulla di garantire e di perseguire la normalità, che si faccia come tutti, che
si mantenga o si raggiunga quell'efficienza lì, al profondo interessa che si
metta assieme ciò che manca e che sinora non si è cercato e costruito: intesa e
unità con se stessi, un bagaglio di conoscenze di sè e di guide valide perché
non ci si perda, perché, pur illusi di essere artefici delle proprie scelte,
non ci si faccia guidare e persuadere da altro, perché invece, compreso cosa
profondamente appartiene, si sappia far vivere con fiducia, con
determinazione e con passione ciò che si è, che è autenticamente proprio. La
lettura in termini disfunzionali di ciò che si sente e di ciò che
interiormente accade, anche se sembra sostenuto da buon senso, anche se sembra una
lettura quasi ovvia, non coglie in realtà, non riconosce il significato vero di
ciò che la propria interiorità sta procurando: un forte richiamo, un
invito pressante a occuparsi di se stessi, a riconoscere l’inconsistenza delle
attuali basi di riferimento e di appoggio, la disunione con se stessi, la
spinta a costruire ciò che manca, a comporre l'unità con se stessi di cui non
si dispone. Il proprio sentire oggi è come un che di estraneo. La necessità
vera non è di proseguire indisturbati, di uscire, fare, procedere come sempre,
senza più impedimenti e paura che attanagli, la vera urgenza e priorità, che la
parte profonda del proprio essere non ignora, è di costruire un nuovo rapporto
con se stessi, di coltivare , in stretto rapporto e dialogo col profondo
(rapporto e dialogo che qualcuno dovrebbe aiutare a cercare e a sviluppare,
questa la terapia) ciò che serve per avere una identità davvero propria e
un bagaglio di scoperte, di conoscenze, una nuova condizione di
unità e di sintonia con se stessi, di cui si è privi. Ci si dà come regola
quella di ristabilire o di raggiungere la normalità, di riuscire a andare, a
fare questo o quello come fan tutti, intendendo questa come la giusta e ovvia
regola funzionale per se stessi, perciò ci si definisce e ci si lascia definire
come disfunzionali, convinti che sia questo il bene da inseguire, convinti che
sia verità evidente che saper vivere significhi ottenere le prestazioni
che oggi sono non casualmente intralciate da una parte di se stessi.
Questa parte di sè profonda ha giustamente e saggiamente in mente altro per se
stessi come urgenza e come bene da cercare e da costruire per affrontare,
poggiando saldamente su di sè, con piena aderenza e sintonia col proprio
intimo, con capacità di scoprire e sapere cosa si vuole e come lo si
vuole, il proprio futuro. I segnali che la parte profonda dà nel sentire sono
tutt’altro che segni di malfunzionamento, che risposte alterate che nuocciono e
fanno solo danno. Se la costruzione della propria personalità e dell’impianto
della propria vita è malfatta, più a copia d’altro, che di matrice propria, se
è posticcia e inautentica, perciò incapace di garantire la propria vera e
originale realizzazione, l’ansia, il senso di fragilità, di instabilità e di
pericolo cui in simili condizioni si è esposti ha sì o no un senso e una
capacità di dire? Disfunzionale non è il proprio sentire nelle sue espressioni
solo in apparenza sgangherate e anomale, ma è stare al di qua della presa di
coscienza del vero di se stessi e della propria condizione, della necessità di
profondo cambiamento, che quel sentire sta spingendo a riconoscere,
disfunzionale e niente affatto favorevole ai propri interessi è dare per
affidabile la marcia solita, insistendo sulla tenuta e sul rilancio di un
modello astratto di efficienza e di capacità di riuscita, non dando retta ai
richiami intimi e profondi, tutt’altro che stupidi e insensati, tutt'altro che
nocivi e sfavorevoli ai propri interessi, che con insistenza si fanno valere
dentro di sè. Purtroppo le questioni interiori, ciò che c’è veramente in gioco
in una crisi e in uno stato di sofferenza interiore sono spesso incompresi e
fraintesi.
martedì 28 maggio 2024
La cura e la meccanica del preconcetto
Chi in presenza di malessere interiore auspica prima di
tutto l'eliminazione del malessere, di ciò che considera un danno per sè e una
alterazione, vede con favore qualsiasi intervento curativo, sia esso
farmacologico che psicologico, che dichiari di voler combattere il
"disturbo", di metterlo a tacere o di sostituire risposte interiori
considerate sfavorevoli e nocive, etichettate in gergo come disfunzionali, con
altre ritenute utili e normali. Il presupposto è che tutto interiormente debba
funzionare in modo "regolare" e secondo linee di svolgimento
definite, senza ombra di dubbio, come normali e sane. La vita interiore è
considerata null'altro che un accessorio, un'appendice subalterna rispetto alla
testa del pensare e del decidere razionali, come un insieme di reazioni, di
risposte emotive e di stati d'animo che dovrebbe declinarsi in una forma che
sia concorde con il modo di pensare e di intendere, con i propositi e le attese
della testa e comunque non tale da procurare intralci o aggravi. Che tutto debba
girare a discrezione e secondo i giudizi della testa, senza mettere in mezzo
difficoltà e ostacoli al procedere, che si considera normale, valido e
vantaggioso, trova conforto da un lato nella idea che “così pensano e fan
tutti" e dall'altro nel vasto apparato delle cure e delle teorie, che
fanno loro da supporto, che dicono di offrire rimedio, soluzione a ciò che
implicitamente e anche esplicitamente considerano una alterazione, una
sofferenza anomala e dannosa, un malessere interiore da mettere a tacere.
Sembra evidente a chi ne fa esperienza che in una condizione di disagio e di
malessere interiore la miglior cosa sia cercare di toglierlo di mezzo per non
compromettere il corso abituale e per rimettere in piedi un modo di procedere
che non debba subire ostacoli. L’idea che l’esperienza interiore sofferta e
disagevole sia un danno, che lo “stare bene” richieda liberarsene, sembra
talmente ovvia da non richiedere ulteriori ricerche e approfondimenti. Dentro
questa direttrice di marcia, quando ci si trovi in presenza di difficoltà e di
disagi interiori, rispetto a cui in partenza non si desidera altro che porre
loro fine e sbarazzarsene, non si è affatto inclini a riconoscere nel proprio
intimo malessere, nel proprio sentire segnali significativi miranti a mettere
in luce il vero e non l’apparente del proprio stato, la presa stringente a fare
propria, senza fughe e rinvii, la necessità di fare chiarezza, di porsi allo
specchio nel proprio modo di condursi, riconoscendo in modo trasparente ciò
che, per proprio intento e responsabilità, muove le proprie scelte, ciò a cui
tendono e che implicano per se stessi. Tutt'al più quello che, andando un po'
al di là dell’idea che sia in gioco una pura patologia da combattere e da
correggere con farmaci e similari, si è inclini a pensare, concedendo all’idea
che nel proprio malessere ci sia un che da comprendere, è che al suo interno ci
siano i segni di un cattivo funzionamento, di difettosi e mali modi di
rapportarsi all'esperienza, che non gioverebbero al corretto e fisiologico
(ritenuto tale) procedere, che anzi
creerebbero inciampi nel cammino, che malamente procurerebbero frustrazione e
sfiducia, eccessi di paura, fuga o debole supporto alla volontà e alla capacità
di sostenere e di persistere negli impegni presi, qualche malo modo di
affrontarli che li appesantirebbe, che produrrebbe insoddisfazione e danno, che
anziché giovare infilerebbe dentro trappole, incastri dolorosi e sciagurati. A
questo riguardo si pensa in genere, considerandosene vittime, che cause
esterne, che cattive influenze subite nel passato, che insegnamenti sbagliati,
che affetti negati, che contributi tossici di figure significative, che
pressioni indebite e nocive, che carenze dell'ambiente, che traumi patiti
possano aver compromesso e guastato il più fisiologico e sano sviluppo
psicologico e interiore di cui si sarebbe stati in diritto, che ancora stiano
disturbando e recando danno. Anche quando non si intenda limitarsi alla
soppressione del sintomo attraverso il ricorso a psicofarmaci o a interventi
correttivi sul comportamento, quando si ritenga valido, con l’intento di andare
alla radice del malessere, intervenire nella ricerca delle cosiddette cause e
si fa propria l'idea di indagare, casomai di essere aiutati a farlo, lo scopo è
sempre, andandone a scovare la causa, di liberarsi dalle insane conseguenze di
ciò che avrebbe fatto danno, dagli effetti che tuttora ci si porterebbe dentro,
per rimettere in sesto e in corsa un modo di procedere, casomai con qualche
correttivo e aggiustamento, nella sostanza dato per scontato come valido e a sè
favorevole. Un lavorio che vede comunque la parte interiore oggetto di
spiegazioni, di interpretazioni, più che soggetto che dice, che rivela, che
conduce alla conoscenza. Un lavorio che vorrebbe liberare da incastri e da
invischiamenti, da trappole interiori e da circuiti dannosi della mente, per
rimettersi in piedi, casomai con la promessa di avere più libertà e più
capacità di esprimere se stessi, di accedere a un modo più sano di vivere e più
corrispondente ai propri interessi e aspirazioni. L'officina di diagnosi e
riparazione della psiche sembra avere molte frecce al proprio arco, offrendo un
ventaglio di approcci e di tecniche psicoterapeutiche, dai nomi accattivanti e
suggestivi, in una situazione via via in fermento di nuove proposte, in cui di
volta in volta spunta qualche nuova teoria e tecnica, pronta a farsi vanto di
essere la migliore e a più a pronto uso nel saper intervenire, spiegare,
risolvere. Tutto l'impianto teorico e pratico della diagnosi e cura del
malessere interiore, che mostra così varie offerte e che punta sulla
risoluzione del malessere, si regge su preconcetti. Prima di tutto, come
immagine di se stessi, c'è, data per scontata e preconcetta, la visione
gerarchico piramidale che vede in posizione inferiore e subalterna la
componente interiore rispetto a quella conscia cui è riconosciuta la funzione
direttiva, il monopolio dell’esercizio del pensiero, la prerogativa del
possesso della capacità di condurre, nelle valutazioni e nelle scelte, con
affidabilità di guida. In secondo luogo, ma non seconda per rilevanza, c'è
l'idea preconcetta che i modi e gli strumenti della crescita e della
realizzazione personale siano già concepiti e ben presenti e tracciati nella
prassi comune e nel sistema organizzato e che per ognuno si tratti di favorirne
il valido e regolare impiego e svolgimento. Cosa sia e quanto valga
l'interiorità pare già definito, pare scontato che non possa svolgere funzione
guida, che non abbia capacità di generare pensiero e di dare contributo
sostanziale alla ricerca di verità e di orientamento e nutrimento della
crescita personale, che questo compito ricada sulla parte in posizione di
testa. Che non ci sia necessità per l’individuo di costruire da sè ciò che
serve per la propria autentica realizzazione, di portare a maturazione la
conoscenza approfondita di se stesso, la
scoperta attenta e fondata, per non aderire al già pensato comune o d’autore,
dei significati, lavorando su ciò che la sua esperienza gli rivela e gli rende
possibile conoscere davvero, di dotarsi di scoperte proprie per orientarsi da
sé e per trovare ragioni e scopi della propria vita, è persuasione diffusa e
consolidata e diventa facilmente per ognuno un solido preconcetto. Nel modo di
pensare le proprie necessità e di procedere cui ci si affida, non serve, non è
richiesto un simile lavoro, semmai è richiesta a se stessi capacità di
intervento e di dare prova su un terreno già segnato, dove i supporti e le
guide, pure la lettura e la definizione dei significati sono già presenti, dove
è più accreditato il contributo esterno per la propria formazione e crescita,
che quello interno, cui, per preconcetto, non può essere riconosciuta una
simile capacità, che non può avere una simile pretesa. L’idea è che quello che
si può trarre da sè sia non più che l’indicazione di preferenze e inclinazioni,
in favore di scelte più mirate dentro un ventaglio di opzioni, di soluzioni
consolidate, che invece la propria crescita, lo sviluppo delle proprie
conoscenze ha necessità di avvalersi di supporti e di apporti esterni, che non
è pensabile che da sé si possa trarre di più e di sostanziale. Se, per fare un
esempio che chiarisca, la lettura di libri, l'apprendimento di teorie, la
fruizione di vari apporti culturali hanno credito come luogo e supporto
formativo per l'accrescimento di idee, di pensiero valido e
credibile, al lavoro su se stessi, a ciò che autonomamente può nascere e
crescere attingendo alla propria fonte, per preconcetto, è data una fiducia
assai limitata sia per la consistenza di ciò che può produrre sia per la sua
attendibilità. E' vero che se la produzione autonoma di pensiero è affidata
all'iniziativa isolata del pensiero conscio razionale presto questa si
chiuderebbe nel cerchio del già detto e concepito. Soltanto dando spazio alle
capacità del pensiero che origina dal profondo, soltanto attingendo a questa
fonte, si può scoprire di che cosa la creazione autonoma è capace. Se si apre
un confronto senza preconcetti e prevenzione, senza partito preso a riaffermare
ciò che non si vuole mettere in dubbio, senza predisposizione a far dire ciò
che si presuppone a ciò che si incontra interiormente, il quadro e l’orizzonte
della conoscenza e della scoperta di se stessi, il potenziale di ciò che può
scaturire dal dialogo interiore, cambia radicalmente. E' possibile allora
scoprire, come accade dentro un valido percorso analitico, che la vita
interiore, che ciò che si svolge al suo interno, è espressione e fonte di
un'intelligenza, che scaturisce dal profondo, ben mirata a trovare il vero e
non a ridurre il pensiero, come capita fatalmente lasciandone il monopolio al
pensiero razionale, alla ripetizione e al ricombinazione di idee prese in
prestito, di schemi assimilati e riprodotti, di attribuzioni di significato e
di risposte già formate. L’intelligenza di cui è portatore e anima il profondo
è quella di vedere con i propri occhi, di guardare riflessivamente dentro la
propria esperienza, di riportare a sé la funzione di comprensione e di
convalida e non di riprodurre e rimasticare, pur con qualche illusione di
originalità, ciò che è già concepito e assodato, facendosi dare da fuori
supporto e conferma. Non tutto sul terreno della conoscenza è già stato detto,
assodato e garantito da autorevoli fonti, residuando per se stessi solo la
possibilità di dire la propria, ma dentro un quadro già definito e dato.
Viceversa ciò che viene a dire il profondo, sia nel sentire e nei vissuti che
anima sia e in modo mirabile nei sogni, è che tutto è da farsi, se si vuole
uscire dal torpore dell'inconsapevolezza e se si vuole mettere assieme una
visione propria, una conoscenza approfondita e fondata di se stessi, per nulla
anticipata e fotocopia di ciò che la cultura e il sapere di “chi sa” ha
compreso e concepito, una scoperta di significati validi, verificabili da sé,
tratti da terreno vivo d’esperienza. Sono scoperte possibili e inattese, di
respiro e forza ben diverse delle costruzioni del pensiero razionale scisso e
ripiegato su di sè, capaci di rendere davvero autonomi, coinvolti e appassionati
finalmente a sviluppare visione e a aprire percorsi propri, svincolati dalla
dipendenza da altro e liberi dalla necessità, per ottenere soddisfazione, di
correre dietro a altro, per raccogliere la conferma e la gratificazione del
farsi riconoscere bravi e capaci, liberi perché in possesso di una vera
autonomia di scelta, di progetto, di realizzazione. Il malessere interiore,
quando si apra un attento, rispettoso e fedele ascolto dell'interiorità in ciò
che propone e dice dentro e attraverso vissuti non certo facili, ma non per
questo privi di senso, rivela di non essere il segno di un guasto, della
alterazione e compromissione di una
normale funzionalità, intaccata da qualche causa da scovare nel passato,
nell'ambiente o in cattive modalità di pensiero e di sentire, ma viceversa è il
segno di una forte iniziativa interiore volta a mettere al primo posto la
ricerca del vero. Nel malessere interiore c’è il forte richiamo di un profondo
che spinge per costruire ciò che non c'è, mettendo in crisi, non dando manforte
a un procedere che cerca solo continuità di esercizio, che presuppone che non
ci sia necessità d’altro che di proseguire. Nel vivo delle espressioni di
malessere l’inconscio, oltre che mettere in primo piano all’attenzione il
dentro del sentire rispetto al fuori dell’agire e del fare, dà tracce e segnali
validissimi per vedere prima di tutto la verità della propria condizione e del
proprio modo di procedere in ciò che è realmente e di cui manca, che visto da
dentro e non con la lente deformante del preconcetto si rivela insostenibile,
inautentico e affatto affidabile e favorevole. Così, inautentico e per nulla
corrispondente e all’altezza di ciò che da sé potrebbe nascere, il proprio
profondo lo ha riconosciuto e cerca di renderlo riconoscibile, svelandone i
modi e la natura vera, un modo di procedere affidato e plasmato più su altro
che ha dettato e che ancora suggerisce modi e contenuti, altro già concepito e
di comune uso che conduce, anche se offrendo l'illusione di essere artefici dei
propri pensieri e delle proprie scelte, che in consonanza con il potenziale e l’originale di se stessi, più
frutto di intesa e di connessione con l’esterno che col proprio intimo, tenuto
ancora lontano, non valorizzato,
incompreso e a priori sottovalutato. Lo stravolgimento che consegue
all’adesione acritica e tenace a un
simile modo di procedere e di pensarsi, l'incapacità, proseguendo inconsapevoli,
di riconoscere la verità della propria condizione, la mancanza di un lavoro di
ricerca su di sé e di maturazione di scoperte proprie, non riconosciute come
necessarie da sviluppare e coltivare, visto che tutto pare già definito e in
normale compimento, per dotarsi dei punti di riferimento, delle conoscenze di
sé, della conquista dei punti chiave di comprensione di ciò che è importante,
che ha valore per se stessi per poter
dirigere autonomamente e consapevolmente e in pieno accordo con se stessi le
proprie scelte, per sfuggire al rischio, altrimenti fatale, di farsi portare,
affidandosi a altre guide che non siano quella interiore, su percorsi e con
traguardi non corrispondenti a se stessi, confermati da fuori, ma non da dentro
se stessi, tutto questo, che non è certamente poco e di poco conto, fa sì che
il profondo intervenga per sollevare il problema. L’inconscio aprendo la crisi,
animando e agitando il quadro interiore, dando all’interno sempre segnali
appropriati e ben mirati, mai agendo in modo convulso e confuso come si è
portati a giudicare confrontandosi con il malessere interiore, vuole richiamare
l'attenzione su ciò che si sta facendo di stessi, per sollecitare una attenta
verifica e un serio lavoro di ricerca, prioritari su tutto. Pensare il
malessere come guasto e segno della compromissione di un regolare e efficace
procedere, che fa desiderare la messa in opera di interventi di cura nel segno
del ripristino e correzione, senza verifica attenta e lucida messa in luce
dell'intero impianto del proprio procedere, conduce solo a mantenere la
distanza e l'incomprensione di ciò che il proprio intimo vuole dire e spingere
a cercare e a costruire per il proprio bene. Uscire dall'inconsapevolezza,
prendere visione di un procedere passivo dipendente dove altro segna i passi da
seguire e dà le chiavi di lettura, l'illusione lì dentro di dire e di portare a
compimento qualcosa di proprio, pur senza essersi mai avvicinati a sè e alla
conoscenza di se stessi e di quanto di proprio vorrebbe e potrebbe vivere e
realizzarsi, tutto questo è nello sguardo del profondo, tutto questo sta
all'origine dell'iniziativa messa in atto dall'inconscio, che attraverso il
malessere interiore vuole aprire una fase importante di riflessione e di
ricerca. Se si sta nel preconcetto, nella definizione aprioristica della
propria realtà come semplicemente normale e di conseguenza di ciò che va inteso
come il proprio bene, fatto coincidere inequivocabilmente col fare salvo il
procedere solito dall'insidia del malessere, che tutt'altro è che un segno di
guasto e di anomalia, ecco che nulla del significato vero della crisi si
rischia di comprendere. Ci si riserva solo l'intento di scrollarsi di dosso il
malessere e semmai di fare qualche operazione di restauro e di rinnovo, ma
sempre nel solco di un procedere e di una ignoranza di se stessi, mai prese sul
serio come questioni da affrontare, da indagare, su cui riflettere e lavorare.
Nulla del significato della crisi e del malessere interiore si finisce per
capire, ci si tiene all'oscuro di scoperte importanti e decisive, che sono
l’intento del profondo, che proprio a questo scopo ha aperto la crisi e mosso
il malessere interiore, conquiste capaci di restituire a sè la guida della
propria vita, la sua realizzazione autentica. Non ci si dà l'opportunità,
procurandosi l'aiuto valido a questo scopo, di imparare a intendere e a capire
fedelmente ciò che la propria interiorità vuole dire e favorire, non se ne
scopre l'affidabilità anche nelle sue espressioni più sofferte e difficili, non
si recupera un rapporto di unità piena col proprio intimo e profondo, ci si
rende viceversa ancora estranei alla propria vita interiore, persino ostili a
questa parte così importante di se stessi, si fraintende e si squalifica il suo
apporto, che, se compreso senza preconcetto, se valorizzato e fatto proprio,
tanto di favorevole saprebbe dare per una vera e profonda rinascita. La rinascita
da se stessi, in unità col proprio autentico, col proprio intimo profondo.
Prendersi cura di sé, decidere come farlo, mette in gioco fatalmente la propria
intelligenza, oltre che la propria responsabilità verso se stessi. Se si
impiega e si dà seguito alla meccanica del preconcetto si rischia di chiudere a
se stessi, di permanere nella lontananza da sè, di perseguire un bene presunto,
all’insegna del tentativo di liquidare e comunque di superare e passare oltre
il malessere interiore, che se pare ovvio, secondo il preconcetto proprio e
comune, essere un obiettivo benefico e vantaggioso, si fonda però sul
mantenimento di una condizione di spaccatura del proprio essere, di sostanziale
incomprensione e disaccordo col proprio intimo, su cui si va a agire, vuoi con
l’intento di metterlo a tacere o di correggerne le espressioni, vuoi con la
pretesa di spiegare e con l’illusione di capire, senza dargli in realtà spazio
di parola e ascolto, intimo che comunque di questo mancato incontro e ascolto
non cesserà di dare segno. E’ un presunto bene che implica il mancato sviluppo
di una conoscenza fondata e vera di se stessi, di una capacità di realizzazione
autenticamente propria, che sono ragione, scopo e intento della crisi e del
malessere interiore, che soltanto un rapporto aperto e dialogico con la propria
interiorità, che soltanto attingendo al contributo e affidandosi alla guida del
proprio profondo si potrebbe realizzare. Sono conseguenze tutt’altro che
irrilevanti. Vale dunque la pena in situazioni di malessere e di crisi porsi
domande, cercare di capire con apertura di sguardo, senza preconcetti, senza
dare nulla per scontato, senza delega a opinioni altrui, neppure a quelle dei
cosiddetti esperti, cosa stia realmente accadendo dentro se stessi, vale la pena
cominciare a ascoltarsi per comprendere quale risposta, quale modo di prendersi
cura di sé offrire a se stessi, quale scopo perseguire.
domenica 19 maggio 2024
La riscoperta di ciò che siamo
La lontananza da se stessi, l'estraneità alla propria
vita interiore, relegata in uno spazio marginale, trattata come appendice
affatto essenziale e degna di considerazione, vigilata e temuta quando non
corrispondente alle proprie istanze di riuscita e di quieto vivere, disegnano
il quadro triste di una condizione umana, immiserita del suo potenziale e della
sua risorsa più valida, quella interiore e profonda. E' una condizione, non
certo rara, questa in cui l'individuo è fondamentalmente affidato e appiattito
sul binomio volontà e ragione, che, senza vincolo e rapporto col sentire e con
la vicenda interiore, pretende di strafare e di tenere il resto in soggezione.
E’ una condizione che, malgrado le velleità e le illusioni, comporta rimanere
più al di qua e al di sotto che al livello di una realizzazione compiutamente
umana. Tutto l'impegno e l'aspettativa dell'individuo si concentrano sulla
pretesa della riuscita, del dare prova, del farsi valere, del trovare soluzioni
e capacità di rendimento dentro le guide e le regole della cosiddetta
normalità, assecondando e traendo conferma dal giudizio altrui e dall'essere in
linea con l'insieme, senza cura dell'ascolto delle proprie risposte intime e
del confronto con la propria interiorità. La visione di se stessi insita in un
simile modo di stare al mondo e di procedere concepisce il proprio essere come
un meccanismo da tenere efficiente e regolare, da mettere in manutenzione
quando dà segnali di crisi e di sofferenza. La vita interiore è però tutt'altro
che una meccanica da tenere a bada e in “regolare” esercizio. Nella vita
interiore c'è il meglio di se stessi, del proprio patrimonio e potenziale di
intelligenza, della capacità di rimettere in piedi la consapevolezza e la
visione attenta, veritiera e critica del proprio stato e dello stato delle
cose, altrimenti totalmente appiattita, falsata, distorta. Quando non fondati
su di sè, non alimentati dalla propria interiorità, quando non generati da
riflessione e da ricerca personali in stretta unità e scambio col proprio
profondo, il pensiero e la visione delle cose sono fatalmente forgiati da
altro, regolati e istruiti da mentalità, da cultura e senso comune, da idee
correnti e prevalenti. Di questa condizione di dipendenza e di omologazione del
proprio pensiero, che sbarra la strada a scoperte più autentiche e a sviluppi
di crescita personale più fedeli a se stessi, permane inconsapevolezza, a parte
che nella parte profonda del proprio essere, che non per caso agita
interiormente le acque, dà nel sentire segnali e richiami insistiti per
guardare con attenzione dentro un modo di procedere tutt’altro che saldamente
fondato, che felice e promettente. L’attaccamento però a un modo di procedere
cui si sono legate le proprie fortune e persino, malgrado non autenticamente
proprio, non generato da sé, il proprio amor proprio, perché rivestito,
malgrado al traino d’altro, da illusorio senso di auto affermazione, perchè
travisato come espressione degna e meritevole di sé e di (presunte) valide
capacità realizzative, questo attaccamento rende quasi necessario, per tutelare
ciò a cui ci si è così fortemente legati,
cui si è consegnato il valore della propria persona e della propria
vita, il controllo su ciò che vive interiormente, trattato come un meccanismo,
come una parte che deve assecondare, che si è pronti a giudicare e a trattare
come anomala quando non corrisponde alle
attese e non si concilia con i propositi in atto. Diventa necessario
tenere a bada ciò che si svolge interiormente, provando a disciplinarlo e
correggerlo, quando discorde dalle attese, esercitando impunemente, come fosse
necessità ovvia e normale, la pretesa che marci concorde con le aspettative e i
risultati che si vogliono perseguire, che paiono proficui, addirittura
irrinunciabili, pena il rischio, questo il convincimento, altrimenti, di
fallire miseramente, di cadere in disgrazia. Qui c’è la distorsione più forte.
La parte più intima di se stessi, che, tirata per i capelli, si vorrebbe docile
e al passo con un procedere tutt’altro che felicemente fondato su di sè, in realtà sa bene quanto
c’è di mancata consapevolezza, di lontananza da una conoscenza di se stessi e
di scoperta di ciò che potrebbe realizzarsi di autenticamente proprio, perciò
dà stimoli, offre negli stati d’animo, nelle sensazioni meno facili lo spunto e
il pungolo per aprire gli occhi, per coinvolgersi in una ricerca di verità
circa il procedere cui si è legati e ciò che si sta perseguendo. La spinta
dell’interiorità, del profondo è a aprire gli occhi, togliendo ogni velo, su
ciò che sinora si è fatto della propria vita, in che modo, vincolati a che
cosa. La spinta interiore è a lavorare con attenzione sulla conoscenza di sé,
non banalmente e non superficialmente, per arrivare, passo dopo passo, con la
guida del profondo, che con i sogni e con ciò che fa vivere nel sentire sa
indirizzare la ricerca mirabilmente, alla scoperta di ciò che, autenticamente
proprio, risalti ai propri occhi come valore vero, che, in unità con tutto il
proprio essere, si senta profondo desiderio e passione di far vivere, di
realizzare. Non siamo nella parte più viva, intima e profonda di noi stessi dei
meccanismi pressoché automatici, all’occorrenza da regolare, portiamo dentro di
noi, sia a livello fisico biologico che psichico, intelligenza e capacità di
tenere conto di complesse esigenze, di tradurle nel modo più sensato e valido,
di rendere riconoscibili e di segnalare acutamente condizioni di crisi e di sofferenza,
che tendono comunque a uno scopo di salvaguardia e di ricerca di equilibri più
vitali e corrispondenti alle necessità personali. Tutto questo in un modo
accorto e intelligente, attraverso risposte interiori e processi vitali che
vogliono far capire e che, se ben compresi e corrisposti, sono capaci di
indirizzare e promuovere trasformazioni utili e necessarie. La medicina nei
suoi orientamenti prevalenti, vincolati e frutto di una visione meccanicistica
dell'uomo e della pretesa di dirigere, manipolare, strumentalizzare, regolare e
dominare i processi biologici, spesso poco attenta e curante delle
potenzialità, delle regole interne della vita biologica e delle sue capacità di
porre e segnalare problemi e di dare risposte a esigenze complesse, interviene
purtroppo non di rado con l'arbitrio e la supponenza di una presunta scienza
che vuole mettere le cose in ordine e a posto, introducendo correttivi, che,
ignorando e non rispettando gli equilibri e le risposte interne, rischiano di
produrre più forzature, rotture di equilibri interni che vero aiuto. Sul
terreno psicologico accade la stessa cosa quando si pretende di normalizzare,
di correggere e di sanare situazioni e esperienze interiori, che nello schema
di rendimento e presunta normalità, sono giudicate anomale e disfunzionali,
misconoscendone il valore e il senso, ignorandone la finalità cui tendono. Si
vede debolezza, disturbo, anomalia e cattivo funzionamento dove c'è ben altro,
dove c'è viceversa tutt'altra storia in ballo, tutt'altra sapienza e progettualità.
L'intelligenza dei processi interni all'individuo, i confini del cui essere
sono ben più ampi di volontà e ragione e di meccanica efficienza, rischia di
essere completamente misconosciuta. Si interviene con psicofarmaci, con
tecniche psicologiche manipolative e correttive per rimettere le cose in riga
dove invece c'è ben altro, lo si fa dando per scontato che così facendo si
faccia il proprio bene, si operi avendo cura di se stessi. Come la medicina
che, in non poche sue espressioni, in nome della cura, vuole dominare e
risolvere con interventi volti a spazzare via, a mettere a norma, a introdurre
rimedi che vorrebbero sistemare il disturbo, come se non ci fosse altro da
comprendere e da favorire, da assecondare in modo più rispettoso delle capacità
e dell'intelligenza biologica insite nell'organismo di ognuno, così sul terreno
psicologico, sempre in nome della cura, si compiono, non raramente, analoghe
manipolazioni, che finiscono per stravolgere tutto, per trattare come crisi da
domare e da riportare al dritto del consueto e del normale corso conforme ciò
che invece interiormente vuole portare in tutt'altra direzione e che ha
tutt'altro scopo, niente affatto insani, infelici o sfavorevoli o malati.
L'ottusità della pretesa di rimettere le cose a norma di funzionamento, che, al
di là delle buone intenzioni dichiarate, anzichè fare bene come propugnato, in
realtà scombina e reca danno, limita e compromette le possibilità di crescita
personale e di salute autentica, risalta agli occhi e diventa ben consapevole
in chi, procurandosi l’aiuto valido e finalizzato a perseguire questo scopo, ha
fatto la scelta di rispettare, di capire senza preconcetti, di conoscere e di
valorizzare le espressioni del proprio essere, della propria vita interiore, di
chi si è messo in guardia dal pericolo e non ha accettato di rendersi oggetto
di manipolazioni fatte in proprio o suggerite e sobillate da fuori, da idee
comuni, così come da pareri e da proposte di aiuto di presunti esperti. E'
tempo di recuperare una visione di se stessi più ampia, più rispettosa delle
qualità e delle potenzialità del proprio essere, non riducibile a un meccanismo
da regolare e da tenere sotto controllo.
mercoledì 15 maggio 2024
Umanizzare il rapporto con se stessi, con la propria interiorità
Non sono l'ansia o altre espressioni di
sofferenza e di disagio interiori a fare danno a chi le vive, ma il modo di
trattarle, di non riconoscerle come voce di una parte intima di se stessi, che
in modo vivo coinvolge e che vuole dire, comunicare, che vuole portare vicino a
verità, rendere visibile qualcosa di fondamentale di se stessi. E’
comprensibile che ci si ritrovi disorientati e impreparati a confrontarsi con
esperienze interiori difficili, quando il malessere interiore prende carattere
insistito e più forte intensità. Si paga il prezzo di un mancato sviluppo di
capacità di rapporto con la propria vita interiore, tutti rivolti nel corso
della propria crescita a stabilire relazione e a sviluppare capacità di scambio
col mondo esterno, stabilendo una distanza crescente dal proprio mondo interno,
riservando a sé, al rapporto con se stessi, solo qualche commento ragionato sui
propri comportamenti, nulla di più. In ogni caso colpisce che, entrando
in rapporto con parte viva di sé, pur se in circostanze e con note d’esperienza
interiore così sofferte e insolitamente difficili, la si tratti come un meccanismo
rotto, estraniandola da sé, come un che di cui sbarazzarsi e da tenere a bada,
negando in partenza apertura e disponibilità di incontro umano al proprio
intimo. Ecco entrare in opera, invece di una ricerca di incontro con la propria
interiorità e di ascolto del proprio sentire, pur se doloroso e insolito, la
risposta volta a tenere a bada, a estromettere possibilmente ciò che sembra
solo una anomalia e un disturbo indesiderato di cui liberarsi quanto prima.
Pensata come sintomo, come meccanismo patologico da classificare e controllare,
l'esperienza interiore sofferta è resa sempre più anonima, inespressiva e
nemica, come un disturbo cui attribuire una dicitura, una etichetta
diagnostica, come se questo fosse un modo per capire. In realtà nulla in questo
modo si comprende di questa parte viva di se stessi, di ciò che vuole dire, si
rischia solo, con l’etichetta di una qualche sindrome o patologia, di applicarle
il marchio dell’indesiderato. E' questa del classificare e dell'incasellare in
quadri e in formule psicopatologiche, mossi fin dall'inizio dall'intento di
contrastare e di debellare l'esperienza interiore disagevole, una pessima
abitudine, ahimè assai diffusa, fatta propria sovente anche da chi vive in
prima persona l'esperienza della sofferenza interiore. Accade così che si parli
di sè, della propria esperienza interiore, come fosse la copia di una pagina di
un manuale di psichiatria, che non è certo il massimo, visto che la psichiatria
spesso e volentieri descrive la superficie, incasella ogni momento ed
espressione dell'umano e della sofferenza interiore come fossero quadri abnormi
tipici, facendo di ogni erba un fascio, rinunciando a capire, rivelando
sostanziale non volontà e incapacità di avvicinare e di comprendere
l'esperienza interiore. Che tristezza la rinuncia a cercare significato nella
propria esperienza, originale, unica, a avvicinare il proprio sentire come
traccia viva per capirsi, per conoscersi! Si usano, si applicano a se stessi
con disinvoltura espressioni orribili come fobia sociale, sigle del cavolo come
dap, doc e simili, che disumanizzazione! Sarebbe importantissimo e
profondamente umano avvicinarsi a sè, riconoscere in ogni esperienza interiore
un'espressione del proprio essere, un percorso, sì difficile e accidentato, ma
un percorso interiore, non una meccanica abnorme da aggiustare e da regolare,
pronti a impasticcarsi, a farsi ammaestrare da qualche
"psicoriparatore" su come rimettersi a norma. Che disastro questo
modo di maltrattare se stessi, il proprio sentire, le proprie esperienze
interiori, sì tormentate, dolorose, strane, imbarazzanti e persino
sconcertanti, ma non per questo assurde o malate, non per questo estranee e
lontane, non per questo insulse e prive di capacità di far vedere puntualmente
e sensibilmente aspetti e verità di se stessi! L'esperienza interiore, anche
quando sembra contorta e assurda, fallimentare, dà occasione viceversa se
ascoltata, se avvicinata non con spiegazioni o interpretazioni ragionate, ma
riflessivamente (come guardandosi allo specchio, guardando negli occhi il
proprio sentire) di riconoscere tracce vive di significato, di capire, di
cogliere nodi importanti. Momenti interiori aspri, ripetuti, logoranti, tormenti,
esperienze e prove che paiono "disastrose", non sono mai
casuali, incapaci di offrire lezione viva e vera di conoscenza di se stessi.
Non si tratta di spiegare, di trovare da qualche parte, possibilmente fuori di sé,
in accidenti o traumi subiti nel passato o in cattivi condizionamenti passati o
presenti o in manchevoli apporti, di cui si sarebbe stati vittime, in
responsabilità di questo o di quello, le presunte cause di un presunto guasto,
questo lavorio del capire è mal speso. Si tratta invece di imparare a intendere
il linguaggio del sentire, di raccogliere ciò che l'esperienza intima attuale e
viva, pur dolorosa, sa e vuole dire. Il primo proposito, che facilmente diventa
definitivo, di fronte al malessere interiore è assai spesso quello di
liberarsene, di superarlo o con le brevi di un rimedio farmacologico o di una
tecnica psicologia che produca un effetto simile, a volte combinati assieme, o
per una strada più lunga di una indagine conoscitiva sul passato che comunque
produca, casomai con l’idea di intervenire in modo più efficace andando alla
radice del problema o guasto, analogo effetto liberatorio, pensando che questa
del liberarsi e del mettere o rimettere in corsa un procedere ritenuto valido, promettente e normale,
non compromesso da ostacoli interiori, sia la miglior cosa da offrire a se
stessi. In realtà la soluzione invocata del liberarsi della difficile e
sofferta esperienza interiore, pensata, con l’appoggio di mentalità comune e di
tanti apporti di tecniche curative, come di ovvia massima utilità e beneficio
per se stessi, coincide col mandare al diavolo parte intima e viva di se
stessi, senza riconoscerla come tale e senza concederle di avere capacità di
dire e di dare qualcosa di utile, di intelligente. Prima di correre ai ripari,
auspicando di spazzare via tutto, bisognerebbe riflettere sulla grande utilità
e positività, per non mettersi da subito in guardia e in armi contro se stessi,
che avrebbe trarre frutto da ciò che si vive interiormente, non importa se
ingrato, se insolito, se tumultuoso, se doloroso. Purtroppo delle esperienze
interiori, di come si esprime l'interiorità, di quello che vale e sa dare la
parte intima e profonda del proprio essere c'è diffusa ignoranza. Dentro di noi
c'è una parte appunto, intima e profonda, che interviene nella nostra
esperienza, che capace di guardare in profondità dentro di noi e nelle nostre
scelte e modi di procedere, capace di non farsi abbagliare dalle apparenze, non
rinuncia a dire la propria, a stimolare la scoperta del vero, nel nostro
interesse, a coinvolgerci, parlando attraverso le nostre emozioni e tutto ciò
che muove nel nostro sentire. Nulla di ciò che sentiamo è casuale, leggere
tutto in termini di normalità o meno segnala solo l'incapacità di comprendere
significato e valore dell'esperienza interiore. E' una parte di noi stessi, quella
profonda, che detta tutto il nostro sentire, che non crede importante che tutto
scorra liscio, che considera viceversa prioritario conoscerci e prendere
coscienza, crescere in intelligenza vera e in autonomia di sguardo e di
pensiero, fondamento della nostra libertà di prendere in mano la nostra vita e
di interpretarla in modo felicemente fedele a noi stessi, che non rinuncia a
farlo, anche se, per conquistare consapevolezza, per crescere, ciò dovesse
implicare fatica, costi dolorosi. Accade che si sia coinvolti da questa nostra
parte profonda, che ci colora delle nostre emozioni, che ci spiazza, che ci
cala a volte con forza in esperienze interiori sì disagevoli, difficili, ma
eloquenti, significative, capaci di aprirci gli occhi, se sapute intendere, se
impariamo ovviamente a trattarle con rispetto e a leggerle come esperienze e
non come sintomi, come segni tipici di anormalità o di patologie. Nulla ci
succede per caso, tutto ciò che ci accade interiormente ci parla di noi, ci
porta verso di noi. Intendiamoci, non è facile e immediato trovare il senso
dove in genere si applica il giudizio pronto, dove prevale la squalifica, dove
il senso comune di fronte a malessere interiore pare concorde nel parlare
subito, come fosse cosa scontata e evidente, di anomalie, di risposte interiori
assurde e inspiegabili, di risposte difettose, di insufficienze, facendo subito
riferimento a ciò che invece sarebbe normale e positivo sentire, provare, dove
gli stessi "esperti" in non piccola parte sono pronti a confermare
simili giudizi, pur mettendo in campo termini tecnici più sofisticati. Per
entrare in rapporto e in dialogo con ciò che vissuto interiormente invece più
spesso si giudica e si cestina perchè si considera semplicemente anomalo,
è necessario imparare a fare ciò che non si è abituati a fare, a cercare il
filo interno di senso in ciò che si sente, è fondamentale scoprire che il
sentire, tutto il sentire in tutte le sue espressioni, dice e rivela, che
concordemente e intelligentemente parlano i sogni, che la parte cosiddetta
emotiva e irrazionale di se stessi non è affatto inaffidabile e avventata,
capricciosa o poco lucida. Poco lucido e accecante è viceversa il pregiudizio,
è il ragionare che mette ordine, ma che non comprende, che riallinea e combina
i significati preconcetti, ma che non si cura di vedere, di aprire davvero gli
occhi sull'intimo dell'esperienza vissuta. E' una vera rivoluzione quella che
conduce a conoscere non per selezione ed esclusione, ma per comprensione e per
ascolto di tutta l'esperienza interiore, di tutto il sentire proprio. Imparare
a andare incontro, a reggere la tensione dell'esperienza interiore disagevole,
che solitamente si tende a contrastare, a rifuggire e a scaricare, imparare a
rapportarsi fiduciosamente, a riflettere, cioè a cogliere l'intimo volto di ciò
che si sente, anzichè commentare e spiegare razionalmente, è ciò che
servirebbe. Non lo si sa fare, non si è cresciuti mai in questo, ci si è
abituati a assorbire idee, non a generarle, facendo leva sul proprio intimo,
sul proprio sentire come guida, ci si è addestrati a applicarsi ad altro per
conoscere, a prendere in prestito spiegazioni, a delegare a autorità esterna,
vuoi di libri e di autori, vuoi di concetti già predisposti e rimasticati, il
compito, la capacità di spiegare, di formare ed informare il proprio pensiero.
Se ripartire da sè è la grande occasione per accorgersi che si può accendere il
proprio sguardo fondandosi su esperienza intima e su possibilità di vedere con
i propri occhi, questa è un'occasione enorme che il profondo, che l'inconscio
ha ben presente, che con forza incoraggia o pretende, ma che la parte conscia
spesso non comprende e rifiuta in malo modo, senza nemmeno capire cosa sta
facendo con giudizi di disturbo e di anomalia applicati a propria intima esperienza,
senza capire le gravi implicazioni di questo modo di trattare
l'esperienza interiore. E' possibile aprire dove spesso con diagnosi e terapie
si chiude, è possibile umanizzare dove in non pochi casi la cura, pur sembrando
buona e soccorrevole, deruba di umanità per far vincere la normalizzazione, che
allontana da se stessi. E' necessario un lavoro nuovo, importante, serio,
graduale, con l'aiuto di chi lo sappia incoraggiare e indirizzare, di chi non
abbia in testa manuali e teorie preconfezionate, ma capacità di intendere
l'esperienza interiore come matrice di conoscenza, come occasione unica di
ritrovata sintonia con se stessi. Fondamentale è il desiderio di trovare
accordo e unità con se stessi, di conoscersi davvero in tutto ciò che si è, interiorità
compresa.
giovedì 25 aprile 2024
Ancora sugli attacchi di panico
Riprendo il discorso sugli attacchi di
panico, tenendo conto della frequenza con cui simili esperienze si
propongono, anche e non casualmente in individui giovani. Proverò a dare,
tratto da lunga pratica analitica, qualche ulteriore spunto di riflessione. Chi
subisce un attacco di panico auspica soltanto che non si ripeta, vuole tornare
al più presto alla normalità, al consueto, anche se si sente molto segnato da
un'esperienza così estrema, anzi continuamente si sente in apprensione, sul chi
va là per la possibile ripetizione dell'attacco, eventualità tutt’altro che
rara. In realtà all'attacco di panico non vuole dare retta, non ha come primo
interesse quello di capire cosa significhi, a che scopo si sia prodotta dentro
di sè una simile esperienza. Il fatto che abbia avuto un carattere così
sconvolgente, che abbia investito il corpo in modo così forte e significativo,
favorisce l'idea che sia stato un guasto, un evento anomalo assai temibile, una
pericolosa minaccia da scongiurare e da debellare. Dopo l'attacco o i ripetuti
attacchi le indagini cercate con insistenza sul terreno medico, con esami
clinici innumerevoli, con visite specialistiche varie, con test diagnostici
ripetuti, alla ricerca di disfunzioni e di patologie possibili nel corpo,
vorrebbero da un lato scongiurare l'esistenza di gravi problemi organici e
dall'altro soddisfare l'attesa di scovare cause ben definite e circoscrivibili,
utili per riuscire a ridurre a problema fisico e a dominare in qualche modo, a
porre sotto controllo un'esperienza così inquietante e misteriosa. La
lontananza perdurante, anche se poco o nulla riconosciuta, ancora meno
considerata questione importante, dal proprio intimo e l'incomprensione
abituale della propria esperienza interiore, non aiutano certo chi lo vive a intendere
l'attacco di panico non come espressione di un disordine e di una anomalia,
come potrebbe apparire, ma come esperienza significativa, non nefasta e capace
solo di fare danno, ma propositiva e con un senso e una finalità utile nelle
intenzioni del profondo che la scatena. Va subito detto che chi subisce
l’attacco di panico ha di se stesso l’immagine di un individuo sostanzialmente,
per ciò che più vale e su cui far conto, definito nei confini della sua parte
cosiddetta conscia, pensando il resto che vive, che sperimenta dentro se stesso
di emozioni e di stati d’animo, di sensazioni e di pulsioni come un corteo di
svolgimenti interni, visti in gran parte come risposta automatica e reattiva a
stimoli e a circostanze esterne, considerato nell’insieme come una sorta di
realtà inferiore, fatta di meccanismi, di espressioni involontarie che vanno
possibilmente regolate e tenute a bada, della cui intelligenza e validità come
guida di pensiero e di conoscenza non c’è idea e considerazione. Anzi,
assecondando l’idea comune, facendo rientrare il sentire e l’esperienza intima
nelle espressioni cosiddette irrazionali, assegna loro il limite della scarsa o
nulla affidabilità. Dunque che ci sia nell'intimo, fuori dai confini della
propria parte conscia razionale, una parte del proprio essere, niente
affatto irrilevante, anzi decisiva, che ha capacità di offrire, come fa
continuamente nel corso dell'esperienza, attraverso il sentire e tutti gli
svolgimenti interiori, stimoli e proposte su cui (imparando a ascoltare
e a intendere il linguaggio della propria interiorità, del proprio sentire,
anzichè avere presunzione e impazienza di dargli spiegazioni e soluzioni,
anzichè parlargli sopra e bistrattarlo con i ragionamenti) si può fare conto,
cui non si può rinunciare per ritrovarsi, per avere terreno valido e
fecondo per orientarsi, per capirsi, è scoperta di là da venire. Accade
così che se qualcosa dentro di sé fa la voce grossa e ricorre alle maniere
forti per far sì che si porti l'attenzione e la preoccupazione su di sé e sul
proprio stato, non lo stato fisico, ma ben altro attinente il proprio modo di
procedere e la sostanza di ciò che si sta facendo di se stessi, questo non
venga inteso, che invece si pensi solo a un meccanismo in avaria, a qualcosa di
rotto, di anomalo, di cui diffidare, da cui cercare di proteggersi, che ci si
convince rapidamente arrecare solo danni. Il grosso turbamento, le limitazioni
imposte al quieto procedere, all’andare fuori, all’intrattenere le solite
attività di relazione con l’esterno, con gli altri, preoccupa, angustia, sono
il motivo di preoccupazione principale, unito alla nube oscura di disagio e di
paura crescente nello stare in contatto con se stessi. Chi subisce
l'attacco di panico tende abitualmente, come già accennavo, per orientarsi e
per capire a affidarsi a altro che non siano i suoi vissuti, le sue sensazioni
vere, a accontentarsi di ipotesi e di tesi costruite col ragionamento, in
apparenza coerenti e verosimili, a cercare sponda in idee e comportamenti
comuni, vuoi aderendo e conformandosi ad essi, vuoi provando a differenziarsi,
trovando comunque sempre supporto, anche se in contrapposizione, in altro da sè
già concepito, cercando confronto e intesa con altri piuttosto che con se
stesso, con la propria interiorità. Si muove seguendo un'idea di vita e di
autorealizzazione date per acquisite, prese comunque da fuori e non cercate e
maturate dentro se stesso. Segue e asseconda più l'interesse e l'istanza di
stare al passo con altri, di tenere a bada e di rendersi favorevole lo sguardo
altrui, che di cercare il proprio, di non perdere terreno piuttosto che di
fermarsi a capire, ascoltando e coinvolgendo tutto il proprio essere. Non mette
al primo posto, non concepisce come essenziali e necessarie, né la vicinanza e
l'intesa con se stesso, con la parte intima, profonda di sé, niente affatto
riconosciuta come presenza e parte viva e affidabile di se stesso, né di
conseguenza la ricerca del proprio sguardo fondato sull'ascolto e sulla
comprensione attenta del proprio sentire. Chi subisce l'attacco di panico crede
che basti ciò che racconta a se stesso di sapere di sé e della propria vita, in
apparenza credibile e pertinente, in realtà più raffazzonato e fatto di
supposizioni che compreso in profondità e con rispondenza piena con ciò che
sente, che vive dentro se stesso. Non per tutto il suo essere però conta e
basta ciò che l'individuo vuole continuare a illudersi di sapere, ciò che
continua imperterrito a inseguire, a fare, a ripetersi in testa. Per una parte
di se stesso, quella intima e profonda, questa maschera di sapere e questa
parvenza di vita propria, altra e lontana da ciò che di vero potrebbe conoscere
e da ciò che potrebbe far nascere da sè, non è certo un bene da difendere a
denti stretti. Per il profondo è rilevante e inaccettabile la condizione di
lontananza dell'individuo da se stesso, di separazione e di sconnessione dal
proprio intimo, di rinuncia a cercare risposte vere e fondate su di sé, a
conoscere prima e a far vivere poi il proprio. Insomma, proseguire come d'abitudine
ritenendolo sufficiente e normale è una cosa, capire e vedere nitidamente come
si sta procedendo, cosa c'è o non c'è di proprio, di scoperto e generato da sé
in ciò che si fa, verificare cosa realmente si conosce di se stessi, cosa si
sta facendo della propria vita, è un'altra. Individui giovani, che non di
rado, come dicevo all'inizio, patiscono attacchi di panico, hanno il problema
di quanto sono equipaggiati o meno di consapevolezza e di sguardo proprio, di
comprensione di ciò che vogliono tradurre e realizzare nel loro futuro. Il
rischio, privi ancora di capacità di incontro e di dialogo con la loro
interiorità, facendo leva per capire, per capirsi solo sul ragionamento, che
lavorando da solo, senza stretto legame e guida del sentire, non dà capacità di
vedere dentro sé, ma solo di ripetere e di rimasticare il già detto e
comunemente concepito, è di farsi portare e di andar dietro a guide esterne, di
uniformarsi a idee e a modelli prevalenti. Il rischio, ignari di ciò che da se
stessi potrebbero trarre e far vivere di originale e di sentito, digiuni di
conoscenza propria, fondata e vera, è di mal intendere e di fallire gli scopi
della loro vita, pur con l'illusione di essere attivi e autonomi nel formare e
nel governare le loro idee e scelte. E' un rischio di non trascurabile
importanza, è un rischio non certo trascurato dal loro profondo. Perciò il loro
inconscio interviene, interferisce, dando segnali forti, perentori, capaci di
bloccare e di rendere insostenibile l’abituale corso e modo di procedere che
punta tutto all’esterno, segnali che, per la loro potenza e invasività, non
vogliono essere assolutamente ignorati e messi da parte. Nulla di ciò che
accade interiormente avviene per caso. In presenza di malessere interiore,
seppure nella forma drammatica e sconquassante degli attacchi di panico,
leggere e spiegare tutto in termini di disturbo, di anomalia di funzionamento,
di meccanica conseguenza di sovraccarico di tensione da cause esterne aiuta
solo a non capire nulla, a stravolgere il senso delle cose. Cercare e ricevere
come aiuto sul piano psicologico quello di attrezzarsi nella difesa dalla paura
montante fino al panico e perseguire come scopo il superamento dell’attacco o
degli attacchi per tornare, come fosse il traguardo più ovvio e desiderabile,
allo stato solito e al consueto modo di procedere, significa non intendere il
significato e la finalità di ciò che drammaticamente è accaduto, che peraltro
spesso ha un seguito e che lascia una scia che non si dissolve. Dentro di noi
c'è una parte profonda, ben più interessata, piuttosto che alla difesa e alla
prosecuzione dell'abituale, a cosa di noi stessi stiamo e sapremo realizzare o
meno, a quanto siamo vicini e coerenti con noi stessi, a quanto di idee nostre
abbiamo coltivato e generato davvero e non semplicemente finto di possedere, in
realtà ripetendo modi e atteggiamenti, risposte e valori comuni. Se l'attacco
di panico alimenta in modo improvviso e impetuoso l'allarme sulla prosecuzione
della vita, del regolare battito cardiaco, del respiro, se catapulta nella
paura di ciò che imprevedibile potrebbe accadere, è per far capire che non c'è
solidarietà interna, della propria parte profonda verso l'andare avanti nel
solito modo, è per fare toccare con mano lo stato di non unità con se stessi.
L'attacco di panico non è una sciagura o una patologia da vincere, è un
potentissimo richiamo da ascoltare e da capire, da prendere sul serio per il
proprio vero bene.
mercoledì 24 aprile 2024
Capire i sogni
Ho già scritto sui sogni, ma voglio tornare sull'argomento, perchè i sogni sono ciò di cui è impossibile fare a meno per conoscere se stessi, a meno di consegnare la conoscenza a ipotesi ragionate e a spiegazioni, che, pur se in apparenza coerenti e verosimili, raccontano di se stessi ciò che sembra, ma che non è. Nei sogni c'è la più stretta aderenza a noi stessi, nulla è taciuto. I sogni sono diario di bordo e bussola di un ininterrotto viaggio di scoperta, sono il prodotto di un lavorio di ricerca di consapevolezza, di un'attività di pensiero della parte profonda di noi stessi, che non sta ferma, che non rimbambisce nell'adattamento e nel far proprio ciò che non ci corrisponde, che ci dà solo illusoria convinzione di esistere e di capire. Si pensa a volte che nei sogni confluisca, quasi in automatico e meccanicamente, l'esperienza diurna, rimasugli, pezzi sparsi, un che di disaggregato senza nesso e senza senso, oppure che rimangano le tracce di ciò che più ci ha colpito, che ha turbato la nostra mente. Altri pensa che nei sogni ci siano desideri inconfessati. Altri ancora pensa che i sogni facciano previsioni e sappiano dare indizi sul futuro. Soprattutto si pensa che i sogni parlino di noi unicamente in relazione e in rapporto con altro, con altri. I sogni parlano di noi e svelano, configurano uno scenario inaspettato, danno corpo e consistenza, rendono visibile e mettono in primo piano qualcosa che per molti non esiste, che non è concepito, cioè il rapporto che abbiamo con noi stessi, quanto accade nella relazione col nostro intimo. Tutto il dire dei sogni è un dire di noi, di come siamo, di come ci rapportiamo a ciò che sentiamo e che continuamente vive dentro di noi, di come procediamo nell'esperienza, mossi da che cosa, affidati o vincolati a che cosa. Lo sguardo dell'inconscio è riflessivo, guarda all'interno, coglie e riconosce il vero dell'esperienza, non è appiattito sulla sua superficie, non è tenuto imbrigliato dal comune modo di pensarla. Nei sogni c'è la rappresentazione attenta non dei fatti, non la ripresa e la conferma delle costruzioni di pensiero che si è abituati a mettere sopra i fatti, sopra gli accadimenti dell'esperienza per spiegarla, ma l'attenzione è rivolta a come si conduce l'esperienza, osservando e chiarendo, dando volto a ciò da cui si è mossi, da quali istanze, in che modo, a che scopo, con quali eventuali contrasti interni. In definitiva nei sogni è ritratto il cuore dell'esperienza, ciò che rivela più in profondità di noi stessi, il vero, non l'apparente e ciò che fa comodo vedere. Tutte le presenze e le figure che compaiono nei sogni, siano essi persone, animali o cose, danno simbolicamente volto a parti di noi, a modalità, a espressioni, a istanze e a potenzialità che ci appartengono. I sogni dicono del nostro modo di procedere, della strada che stiamo seguendo. I sogni segnalano non di rado lo stacco dalla "terra", la lontananza cioè dal terreno vivo del proprio intimo sentire e dell'esperienza interiore che in ogni istante accompagna la propria esperienza, parlano perciò non di rado di esperienze di volo, di vertigine e di sensazioni improvvise di precipitare. Per descrivere l'iniziativa del profondo, che cerca di raggiungerlo e la percezione timore che l'individuo ha di ciò che vive profondamente dentro se stesso, parlano di assalti e di inseguimenti di figure che paiono "malintenzionati" o ladri (per cominciare a capirsi è necessario essere privati, derubati di convinzioni e di certezze tanto rassicuranti quanto ingenue e improprie), parlano di acqua che incute timore, di acqua che avanza minacciosa, che dilaga...sono solo esempi di una rappresentazione del rapporto/non rapporto dell'individuo con se stesso, con la propria interiorità, di come sia viva e presente la questione del confronto col proprio profondo, di come il proprio profondo non rinunci alla propria iniziativa, a farsi avanti. Il respiro e l'orizzonte di ricerca e di sguardo dei sogni è ampio a comprendere e a farci comprendere cosa stiamo abitualmente nei modi del nostro procedere facendo di noi stessi, che l'inconscio vuole spingerci a chiarire, a vedere senza veli, nello stesso tempo, aprendo la strada a ciò che potremmo, onorando il nostro essere individui potenzialmente capaci di pensiero autonomo, di sviluppo di qualcosa di originale e consono a noi stessi. L'inconscio nei sogni è guida ispiratrice e motivante un profondo cambiamento, da individui passivamente al seguito e consumatori di moduli di pensiero già pronti e in uso, non importa se con qualche parvenza di originalità, sostenuti e guidati da tutto ciò che già pronto e concepito può dare supporto e indirizzare scelte e modi di vivere e di realizzarsi, a individui, a esseri umani invece capaci, non in un batter di ciglia, ma lavorando con pazienza e cura il proprio terreno, in stretta unità col proprio profondo, di generare pensiero proprio, scoperte di significato e di valore e, su queste basi, di dare compimento a percorsi e a realizzazioni proprie e davvero originali, autentiche e coerenti con se stessi, non dettate da imitazione, da paragone o competizione con altri. I sogni, lo si vede, lo si vive e constata nel cammino dell'analisi, di un'analisi ben fatta, sono capaci di indirizzare la ricerca e la trasformazione nel verso di passare da essere copia d'altro a divenire pienamente se stessi, con tutti gli attributi umani originali e autentici che si posseggono e che si ignorava che risiedessero dentro se stessi, con tutta la ricchezza di una visione e di un pensiero proprio che si ignorava di poter generare. Ho detto dell'essere copia d'altro, può sembrare drastica e liquidatoria questa affermazione, così forte è l'attaccamento e tante le illusioni di dire la propria e di realizzare se stessi nella forma abituale e conosciuta, ma di se stessi cos'è possibile mettere e ritrovare, agendo dentro uno stampo di idee e di riferimenti, di attribuzioni di significato, di grammatica di pensiero, di guide alla espressione e realizzazione di sè ben apprese, assimilate e nel tempo esercitate, se non qualcosa che comunque riempie quello stampo e ne riproduce i limiti e la forma? L'inconscio sa vedere ciò che la parte conscia non sa e non è affatto incline a vedere, con i sogni conduce passo dopo passo a riconoscere il vero della propria condizione e del proprio modo di procedere, con i sogni apre tutt'altro scenario, conduce a ritrovare dentro di sè, a concepire, a costruire le basi di pensiero, a alimentare la passione per la autentica realizzazione di sè. Ridurre i sogni a desideri irrealizzati o a ricettacolo di esperienze quotidiane più o meno incisive significa non capire la portata dell'iniziativa e del pensiero profondo. L'inconscio è intelligenza pura, nel senso che non ricalca stancamente il già detto e concepito, ma viceversa dà volto e riscatto al pensiero riflessivo (che non c'entra nulla col riflettere nella forma del ragionare e del parlare sopra e sul conto dell'esperienza), autonomo e fondato, che vuole vedere, come giuardandosi allo specchio, cosa c'è nella propria esperienza, cosa dice e rivela di se stessi. L'inconscio non rinuncia mai a cogliere il vero, a cercare il senso in profondità, costi quel che costi, a combattere l'eclissi dell'intelligenza vera, che è l'unica leva e il fondamento della autonomia e della libertà dell'individuo, di cui l'inconscio è promotore instancabile. Capire un sogno significa intenderlo nel suo verso, nelle sue intenzioni, nei suoi modi di formare e di tradurre il pensiero. Se lo si incanala e costringe dentro i soliti riferimenti, dati per scontati, se lo si incastra nel già pensato e nella logica abituale, gli si fa dire ciò che piace e che si suppone, in sostanza lo si travisa e lo si mortifica. Purtroppo lo si spreca. L'inconscio non cesserà certo di dire ciò che pensa, non si assoggetterà alla rigidità, alla presunzione e all'inerzia del pensiero conscio ragionato, ma non capire i suoi messaggi peserà come una grande occasione persa per ritrovarsi e per cominciare a vedere chiaro dentro se stessi.
mercoledì 17 aprile 2024
I sogni formano il pensiero autonomo
I sogni hanno un ruolo fondamentale nella
conoscenza di se stessi, sono decisivi nel rovesciare la tendenza a rimanere
sulle tracce e sui binari del pensare abituale, dentro una modalità di pensiero
che non permette di vedere, che, pur argomentando e ragionando, non consente di
capire. E' una forma di pensiero, quella solita affidata all'uso dello
strumento razionale, che fa rimanere adesi a modalità e a schemi soliti, senza
stacco riflessivo che permetta di capire il senso di ciò che si sta dicendo, di
interrogare quale sia il suo scopo vero, di verificare su cosa poggino le
proprie affermazioni, se ci sia fondamento valido e compreso ai propri
pensieri. I sogni, creature di intelligenza rara e sublime, sanno educare al
pensiero riflessivo. Non è affatto immediato entrare in sintonia e in accordo
di sguardo e di visione con l'inconscio, con ciò che propone dentro e
attraverso i sogni. La tendenza più comune è di leggere il sogno come se fosse
uno sguardo sul fuori, su ciò che accade nella relazione con situazioni e
soggetti esterni. Se nel sogno compaiono una o più persone si pensa che il
sogno parli di loro e di quanto c'è in atto o potrebbe esserci nel rapporto con
loro, nei loro confronti e viceversa. In realtà questi altri danno volto e
espressione a propri modi di essere e di procedere. L'inconscio vuole aprire
proprio lo scenario interno, stimolare e favorire la scoperta e conoscenza di
se stessi, di tutto ciò che risalente a sè è stato sinora ignorato, omesso,
vista la tendenza a aver cura e attenzione tutte rivolte agli svolgimenti
esterni, al rapporto con gli altri e con tutto ciò che sta fuori. Se nel sogno
ci sono svolgimenti difficili, inquietanti la prima idea è che l'inconscio
voglia mettere l'accento o segnalare l'imminenza o la presenza di condizioni
difficili legate a pressioni, a minacce esterne, questo perchè l'atteggiamento
di fondo è spesso quello vittimistico e deresponsabilizzante, di ricondurre ad
altro e a altri la responsabilità del proprio disagio, delle difficoltà, delle
insoddisfazioni, di quanto è vissuto come irrisolto o negativo. L'inconscio fa
recuperare tutto ciò che risale a se stessi, indirizza lo sguardo su di sè,
rende visibile lo scenario interiore e lì dentro cosa accade nel rapporto con
se stessi, nel modo di trattare ciò che vive e che si propone nel proprio
intimo, nei propri stati d'animo e vissuti. Nella vita interiore, resa spesso
marginale e ampiamente trascurata, quindi ignorata e misconosciuta, resa
subalterna a altro, vista la centralità riconosciuta al legame e a quanto agito
nel rapporto con l'esterno, trovano riconoscimento vivo i punti focali
dell’esperienza, è questo che i sogni vogliono rendere visibile. Lì dentro c'è
lo specchio per vedere di se stessi cosa realmente dentro l’esperienza e il
proprio procedere si cerca, in che modo, condizionati da quali pretese,
indirizzati da quali aspettative, in quale tipo di vincoli. E' abituale ad
esempio non vedere quanto nel proprio agire e spendersi risale a esigenze di
ben figurare, di dare allo sguardo comune prove di adeguatezza e di capacità,
come è abituale non riconoscere il ricorso a quanto già formato e concepito e
che finisce per fare da base e da confine a un pensiero che si illude di essere
di costruzione propria e capace di portare a nuovi sviluppi di conoscenza. La
dipendenza, la mancanza di guida e di elaborazione autonoma passa inosservata,
nemmeno è questione. Ciò che interiormente dà stimoli e basi vive per capire in
che modo ci si sta muovendo, si sta pensando e ci si sta dirigendo, ciò che nel
sentire offre proprio questi spunti e guide per soffermarsi a capire, a
capirsi, non è messo al centro del proprio sguardo, tutta la macchina razionale,
cui è affidata la propria attività di pensiero e la guida del proprio procedere, se la racconta senza stare al
vincolo stretto col sentire, senza farlo parlare, senza impegnarsi a
ascoltarlo, a intenderlo attentamente e fedelmente. I sogni recuperano tutto
questo lavorio inutilizzato o travisato dall'attività di pensiero consueta per
ridare le coordinate di un pensiero autenticamente riflessivo, che mette al
centro l'esigenza di capire i propri modi di essere e di procedere, senza appiattirsi
a dare invece contributo al pensato abituale, senza dare implicita conferma e sostegno
al tirare avanti dritto sulle solite basi e con la solita inconsapevolezza. Ciò
che si muove nell'intimo di emozioni, di stati d'animo, di sensazioni e di
spinte ha la stessa matrice dei sogni, non è un susseguirsi di risposte
meccaniche, di reazioni banalmente e automaticamente sollecitate e condizionate
da questo e da quello che accade fuori, è ben altro, è risposta e
iniziativa intelligente, è terreno vivo di presa di visione di se stessi e di
quanto ha capacità di condurre a conoscere se stessi. Nei sogni l'inconscio
perfeziona lo sguardo, crea le basi per prendere la migliore visione possibile
di se stessi e di quanto sta accadendo nel proprio modo di condursi, di
condurre la propria vita. La componente intima è resa finalmente riconoscibile,
ampliando la percezione dei confini del proprio essere, rompendo lo schema
abituale, che vede il proprio essere a una sola dimensione del pensare e
dell’agire razionale e volitivo. Se in un sogno si creano situazioni difficili
o inquietanti, se si viene alle prese con figure che appaiono minacciose, con
pericoli anche estremi, non è per ribadire o per segnalare che si è sotto
pressione di minacce esterne, casomai invece per rendere riconoscibile che è
dentro se stessi che si aprono tensioni, che è da dentro se stessi che si fanno
avanti pressioni e pretese diverse rispetto alla prassi abituale, che ignora
qualsiasi relazione con l'intimo e il profondo del proprio essere. La parte
profonda non sta ferma e zitta, si fa avanti e vuole introdurre qualcosa di
nuovo, di radicalmente diverso, non per fare danno o sconquassare malamente, ma
semmai per sollecitare mutamenti e trasformazioni, prima di tutto di sguardo e
di pensiero, valide e necessarie, per rompere tendenze che chiudono e
impediscono di aprire gli occhi, di conquistare nuova consapevolezza, che
liberi nuova vita, nuove e ben diverse prospettive. Se, per fare un esempio, in
un sogno compaiono ladri, che minacciano di derubare cose proprie o in casa propria
o che lo fanno, può questo dire delle iniziative di una parte intima e profonda
di se stessi, niente affatto altra da se stessi, che vuole togliere false
credenze e possesso di idee e convinzioni che non hanno attendibilità e che
chiudono piuttosto che garantire la propria crescita e realizzazione umana
personale. Ciò di cui parlano i sogni non è sulla lunghezza d'onda del
pensato abituale, ma è un pensiero, quello cui danno forma, che sa entrare nel
cuore della verità, che sa animare e rianimare un individuo troppo adagiato su
una visione di se stesso inautentica e niente affatto favorevole ai suoi
interessi di crescita vera. I sogni non sono di immediata comprensione, non
parlano il linguaggio abituale, non puntano lo sguardo e l'attenzione nella stessa
direzione dello sguardo convenzionale e consueto, i sogni parlano di se stessi
e aprono a una visione della vita centrata su di sé, non a rimorchio di altro
che fa da modello e guida, non confinata in abitudini e interessi soliti. I
sogni accendono una visione, guidano alla formazione di un pensiero autonomo
fondato su esperienza e ricerca proprie, che, se compreso e condiviso
dall'individuo, sa renderlo libero e capace di concepire a modo proprio il
senso e lo scopo della sua vita, di riconoscere, apprezzare e utilizzare le
sue autentiche e complete risorse umane.
domenica 14 aprile 2024
Il rapporto col sentire: luoghi comuni, manipolazioni e trucchi sottili
Per capire se stessi è decisivo il rapporto con le emozioni e con tutto ciò che si muove interiormente. Se si vuole prendere contatto col vero, se si vuole conoscere se stessi e ciò che, al di là delle apparenze, accade nella propria esperienza, è necessario rendersi capaci di rapporto aperto e dialogico col proprio sentire, imparando a ascoltarlo in ciò che dice. E' tendenza frequente porre in secondo piano e sotto tutela ciò che l'esperienza interiore propone, dando prevalenza e consegnando funzione guida al pensiero razionale, riconoscendogli il compito e il diritto di giudicare l'opportunità e di stabilire la congruità del sentire. In non poche circostanze, credendo nella superiorità e nella affidabilità dello sguardo razionale, si ritiene utile, anzi necessaria, come condizione per capire le cose al meglio, la messa in disparte delle emozioni, viste come fattore perturbante la visione lucida e obiettiva. Viceversa capita che in alcune circostanze si invochi la messa in pausa del ragionamento e dell'istanza di capire per liberare le emozioni, per quel "lasciarsi andare" liberatorio e libero da intralci, che colori e permei al meglio e piacevolmente la propria esperienza, convinti che ci sia solo da vivere le emozioni e non da capirle. Si conferma la tendenza a tenere separati il sentire e il pensare, come fossero antagonisti e inconciliabili, come dovessero operare in campi separati. Se da un lato la preoccupazione di salvaguardare il sentire dall'intervento del capire è comprensibile, considerato il carattere non dialogante, l'atteggiamento di fondo non rispettoso verso il sentire, l'attitudine a porre regole e condizioni e a stabilire dall'alto ragioni e spiegazioni, in sostanza la mancanza di capacità d'ascolto e riflessiva del modo usuale di esercitare il pensiero nella forma razionale, dall'altra, ritenere in assoluto inopportuno l'intervento del pensiero nel rapporto col sentire, significa fraintendere il potenziale e lo scopo del sentire. Il sentire evidenzia e detta i contenuti su cui portare l'attenzione, apre in modo sensibile la strada alla conoscenza, il sentire non disdegna affatto di essere compreso, di veder raccolto fedelmente e attentamente ciò che vuole dire, suggerire, evidenziare, anzi negargli ascolto e impegno di comprensione significa vanificarne la proposta e l'intenzione. La questione fondamentale è la forma di pensiero messa a disposizione e rivolta al proprio sentire. Al sentire, alle emozioni, agli stati d'animo, ai moti interiori, non va riservato un pensiero che si senta in diritto di commentarlo, di giudicarlo, in chiave negativa o positiva poco cambia, è sempre un pregiudizio, come abitualmente fa il pensiero razionale, con la sua pretesa di far valere la sua intelligenza sopra emozioni e vissuti, di fatto applicando loro le sue categorie e i suoi codici di significato già pronti, senza dare loro voce, senza raccoglierne il messaggio. Al proprio sentire va viceversa garantito un pensiero autenticamente riflessivo, capace di riconoscerne l'intimo volto, come quando, guardando la propria immagine riflessa dallo specchio, si può vedere nei propri occhi e nel proprio volto ciò che svelano, che comunicano. Le emozioni, i moti interiori, ciò che prende forma nel sentire va saputo cogliere e riconoscere nelle sue specificità e sfumature, perchè diversamente si spreca questa risorsa interiore, il suo potenziale propositivo. Facciamo un esempio per capire meglio. Un moto di invidia rivolto a qualcuno può essere facilmente trattato da chi lo vive o come un segno ovvio di desiderio di avere per sè ciò che l'altro possiede o manifesta come qualità, ovvio perchè pare possedere il meglio, o come espressione di sè disdicevole e sconveniente, perchè l'invidia ha caratteri in sè poco piacevoli, disagevoli, un pò amari, ma anche facilmente considerati da idea e etica comune indegni e riprovevoli. Ebbene quel moto si è pronunciato non per caso per dare l'occasione di prendere visione di qualcosa di importante, di cruciale di se stessi su cui portare l'attenzione. Ciò che mostra di sè, lo dicono proprio le particolarità e le sfumature del sentire, è un senso di insufficienza, di inadeguatezza, di mancanza di un proprio su cui contare e di cui sentirsi soddisfatti. A dirlo quella sottile pena disagio, imbarazzo riservato a sè che accompagna il moto di invidia. Dunque lo sguardo su se stessi comincia a rivelare che ci si sente carenti e che dalla propria non c'è qualcosa che si consideri davvero valido, qualcosa che si sia generato e che si senta e riconosca davvero caro a se stessi e valido ai propri occhi. Se scatta il paragone e se da altri ci si fa dire cosa vale e andrebbe perseguito ecco rendersi visibile attraverso quel sentire che si è al traino, che altro da sè ha già deciso cosa vale e cosa va perseguito per concedere stima a se stessi e per raggiungere un senso di capacità, di riuscita. Il proprio sentire disegna lo stato delle cose e crea il terreno di ricerca su cui riflettere, dove lo sguardo, l'attenzione sono portati e centrati su di sè, un terreno estremamente preciso, attendibile, capace di portare alla verità di se stessi, capace di permettere ricerca utile per non rimanere schiacciati nell'inconsapevolezza e costretti negli automatismi del pensiero e delle scelte. Il sentire è intelligente e intelligentemente delinea, evidenzia ciò che serve per entrare in rapporto più approfondito con se stessi, per lavorare su questioni vere e toccanti. Ma torniamo a riflettere su quanta corrispondenza e rispetto sono concessi al proprio sentire. Circa la libera espressione del sentire, va osservato che, a dispetto della loro presunta genuinità e spontaneità, sulle emozioni e sulle spinte interiori cala non di rado da parte di chi le vive una presa sottile, che le vuole comunque pilotare, in qualche modo selezionare e riplasmare. Sul conto delle emozioni, del sentire, si tende infatti non poche volte, anche se in modo non appariscente, a svolgere un controllo e una regia che vuole che si esprimano e si declinino accontentando canoni di normalità, di buona resa e di buon gradimento: commuoversi, stupirsi, piangere, gioire e entusiasmarsi, come fosse positiva o dovuta quella particolare espressione, "normale" in determinate circostanze e condizioni, come fosse sinonimo di sana sensibilità e vitalità, come se in caso contrario ci fosse sospetto di freddezza, di mancanza di sensibilità, di qualcosa che non va. Per alcuni può anche vigere regola diversa, ritenendo espressione di debolezza provare turbamento, paura, inquietudine, come se forza d'animo e maturità consistessero nel rimanere saldi e sicuri. Non è raro comunque che ci si ponga, in subalternità a regole condivise, il dubbio circa la propria idoneità, circa se stessi, quando non risulti a se stessi naturale e spontaneo provare ciò che culturalmente è ritenuto ovvio, valido e normale. Fare delle proprie emozioni, del proprio sentire il mezzo per risultare adeguati e ben accetti, per ben figurare e in modo più esplicito farne l'arma per sedurre, per stupire favorevolmente, non è cosa così rara. Il sentire autentico, che sinceramente, senza filtri, correzioni e manipolazioni, possiamo riconoscere dentro di noi, in realtà è autonomo rispetto a ogni pressione, non rispetta nessun convenevole, non si subordina a nessuna azione regolatrice, a nessuna disciplina e pretesa, è imprevedibile, mai scontato, mai docile alle attese. Il nostro sentire vero, non oscurato, non filtrato e non rifatto a nostro e altrui uso e piacimento, è la voce del nostro profondo, che, incurante delle convenienze, sfuggendo a qualsiasi tentativo di addomesticamento, con precisione e con intelligenza vuole a ogni passo guidarci a entrare nelle pieghe della verità che ci riguarda. Il sentire non è una bella decorazione, un fiore da portare all'occhiello e neppure è risposta automatica a questo stimolo o a quello. Il nostro sentire è funzione intelligente, è traccia e guida per entrare in rapporto con la verità di noi stessi, il sentire spontaneo e naturale è ogni volta spunto intelligente, spunto, evidenziatore, scintilla di conoscenza. C'è chi, più spiccata questa convinzione nel sesso femminile, ritiene di avere apertura naturale e più spiccata confidenza con le emozioni, col sentire, coi sentimenti e con tutto ciò che non è nel governo di volontà e ragione. Se è vero che l'uomo è spesso più lontano della donna dalla vita intima e più avvezzo all'azione e al pensare razionale che viaggia disinvolto in alta quota ben staccato dal suolo degli svolgimenti interiori, non è detto che quest'ultima abbia davvero capacità di rispettosa apertura e rapporto con la vita interiore, col sentire. La presunta e apparente apertura e vicinanza al sentire, se esposta a uno sguardo più attento può infatti lasciar vedere che su emozioni e sentimenti può esercitarsi, come dicevo, niente affatto raramente, una sottile manipolazione. Senza che si renda visibile smaccatamente l'artefatto, pur senza teatralità o più scoperta ambiguità o ipocrisia dei sentimenti, si può in una forma più lieve e sottile caricare, enfatizzare, si può fare selezione, filtro sul sentire, dando riconoscimento all'interno delle proprie sensazioni e stati d'animo, a ciò che più è gradito e piace, rendendo così l'accesso e il rapporto col proprio sentire più controllato e conveniente, assai meno aperto, fedele e spontaneo di quanto non appaia e non si voglia credere e far credere. C'è poi l'istanza, di cui già dicevo, che vuole, per il proprio sentire o presunto tale, per ciò che muove le proprie scelte e espressioni, libertà da interrogativi stringenti, da necessità di verifica attenta, che chiede di non insistere con le domande di chiarimento, invocando quella leggerezza, che oggi nel pensato e nel linguaggio comune gode di buon credito. In questi casi il significato dichiarato, che spesso si rifà al più in uso e condiviso, è considerato sufficiente per la conoscenza di sé e della propria esperienza, anzi esaustivo. Succede allora che espressioni esaltanti come innamoramento, passione, attrazione o altre, meno esaltanti, come avversione, disagio, dolore, siano trattate come affermazioni che non necessitano di chiarimento ulteriore e di approfondimento rispetto a ciò che pare già implicito e scontato, perché considerate in sé sufficienti per dire il bello e il brutto, per colorire e qualificare il significato e il valore, la bontà o il negativo di un'esperienza. Quante volte, per fare un esempio, per chi vive il cosiddetto innamoramento, questo è, senza dubbi e esitazioni, sinonimo di un trasporto e di un forte sentimento amoroso verso l'altro, non curandosi di mettere in luce che quel cosiddetto innamoramento può essere espressione e collante di un legame dipendente (con reciprocità interdipendente), dove l'altro è mezzo e occasione per portare a sé, prontamente, qualcosa, il sostituto di qualcosa di essenziale e necessario non ancora cercato dentro se stessi, non ancora coltivato, generato e fatto vivere da sé, quante volte pare via di completamento (trovare la propria cosiddetta metà) e di realizzazione, quando invece è rinuncia a cercare vera completezza di individuo e vera auto realizzazione, quante volte è illusoria rinascita e risalita di autostima, perché l'altro o l'altra riempie di attenzioni e sembra porre se stessi al centro del suo interesse! Vedere chiaro cosa ci si spinge a cercare e a fare proprio, riconoscere dentro le proprie spinte i significati veri, aprendo confronto attento e trasparente con se stessi, è scelta frequentemente omessa e evitata, perché, assumendo per vero il significato apparente, perché affidandosi alla retorica dei sentimenti, tutto sembra girare al meglio e favorevolmente, salvo nel tempo, come nell'esempio di prima, patire, non di rado, la stretta del legame dipendente e ritrovarsi a corto di autonomia e di crescita personale vera, salvo giungere, in non pochi casi, a disillusioni cocenti. La retorica, rivestire di qualità e di significati che piacciono e che fanno comodo, ricorrendo e andando dietro a modi di intendere di largo uso e ben considerati, è nel rapporto col proprio sentire un espediente che torna assai gradito, in apparenza vantaggioso. La manipolazione del sentire e l'utilizzo sul suo conto di attribuzioni di significato e di valore più comuni e imperanti, offre vantaggi di immagine, copre responsabilità, aiuta a trovare scorciatoie, a darsi un'identità che piace, persuade e trova facile consenso negli altri, appoggio, complicità. Se trucca le carte, lo fa in modo così sottile da passare inosservato. Non del tutto però, perché la parte profonda di se stessi non si fa né incantare, né persuadere dalle apparenze, perché di tutto ciò che si muove sullo scenario dell'esperienza sa riconoscere e vuole far risaltare il senso vero. E' tutt'altro che infrequente cadere nella trappola del sentire che si pretende genuino, delle spiegazioni e delle rappresentazioni sul suo conto che vorrebbero essere appropriate e consone, in realtà sovrapposte, arrangiate, a proprio uso e beneficio, per diletto, per convenienza, per quieto vivere. Per fortuna l'inconscio è presenza vigile e può, se gli si dà ascolto nel sentire autentico e nei sogni, aiutare a districare, a svelare i trucchi, a trovare il vero, per non farsi irretire da ciò che, pur piacendo e dando immediato agio, pur trovando appoggio e conferma in altri e nel comune modo di pensare, non dà occasione di conoscere se stessi e di crescere.