domenica 9 giugno 2024

Il passato

E' convinzione molto diffusa che, per capire esperienze e situazioni interiori difficili di oggi, si debba risalire al passato. Se l'intento, rivolgendo lo sguardo al passato, è di individuare le cause che spieghino il malessere attuale, l'auspicio è, una volta trovate le cause, di potersi liberare di una condizione interiore giudicata senza alcun dubbio anomala e capace solo di procurare danno e impedimento a un sano modo di vivere e di procedere. E' un modo comune e ricorrente di rapportarsi alla crisi e al malessere interiore, che non appartiene solo a chi ne è coinvolto, ma che trova conferma e diventa asse portante di molte esperienze di psicoterapia. Di fatto la ricerca che, distraendosi rapidamente dall'ascolto del sentire vivo di oggi, si rivolge al passato per cercare le presunte cause del malessere attuale, segna una fuga dall'incontro col presente della propria vicenda interiore, segno dell'incapacità di entrare in rapporto con la propria interiorità, che, dentro e attraverso il sentire disagevole e sofferto, dice, comunica e avanza oggi proposte. Sono proposte utili e importanti, che, girando lo sguardo altrove sul passato, persuasi che il malessere sia solo una situazione negativa e nociva di cui liberarsi, non sono raccolte e comprese. C'è una domanda che però va posta. Esiste un nesso, un legame significativo tra la vicenda interiore dell'oggi e quanto è stato vissuto e si è reso acuto in momenti e in  passaggi precedenti della propria storia interiore? Certamente gli svolgimenti interiori del presente sono in continuità e in relazione significativa con il cammino fino a oggi compiuto. Il passato, il proprio passato, cui in genere si vuole attribuire un peso determinante per capire se stessi e le problematiche attuali, se lo si vuole davvero comprendere e valorizzare, va però recuperato e riscoperto correttamente, non come una selezione ad arte di fatti, di episodi traumatici, di incidenti e di condizionamenti subiti, dove la parte decisiva e determinante è consegnata alla famiglia, all'ambiente, all'educazione e simili, ma come un cammino in cui, anche nei passaggi più ardui, non si è mai stati semplici oggetti passivi. Viceversa, se si vuole del passato recuperare e rispettare il vero, se non cè interesse a far quadrare tesi preconcette, ma a conoscersi, si può vedere come nel succedersi delle vicende personali, ci sono stati al centro dell'esperienza che si va a rivisitare momenti e passaggi interiori anche complessi di cui si è stati intimamente parte attiva e protagonisti, che, già a volte nella elaborazione immediata e poi soprattutto nel ricordo, sono stati spesso appiattiti, offuscati o del tutto ignorati. Si tende infatti nelle ricostruzioni, nelle rivisitazioni del passato a mettere in primo piano il peso dei fattori esterni, trascurando invece la riscoperta del filo interno di vissuti, di spinte, di risposte intime, che dell'esperienza sono state invece il nucleo centrale, l'anima, la parte essenziale. La vera storia personale non è primariamente fatta o riducibile a quel che altro o altri hanno fatto nei propri confronti e condizionato, ipotizzando tra l'azione del fuori e le risposte del proprio dentro una semplice relazione automatica e meccanica di causa e effetto, ma è da ritrovarsi in quel che, passo dopo passo, è successo interiormente, dove tutto si è svolto in modo ben più autonomo e complesso. In quegli svolgimenti interiori infatti il proprio profondo si è reso presente, ha ripetutamente preso iniziativa e attraverso il sentire ha dato segnali, indicazioni per evidenziare, per rendere riconoscibile nell'esperienza in corso prima di tutto la parte svolta e spettante a se stessi, ciò che si è espresso, che si è fatto. Nei diversi momenti l'inconscio ha, attraverso i vissuti che ha generato, incoraggiato e sostenuto l'impegno e la capacità di lettura autonoma dell'esperienza, la scoperta o l'intuizione di significati importanti, ha stimolato l'insorgere di interrogativi, ha reso acutamente riconoscibili nel vissuto i contrasti, il proprio modo di trattarli e di dare risposta, non ha mai messo in secondo piano la propria personale responsabilità. Non c'è un passato in cui si sia stati semplicemente materia plasmata e, in un modo o nell'altro, la conseguenza e la risultante, le "vittime" di quanto fatto da altri e determinato da circostanze e da fattori esterni. C'è un passato, quello vero e integralmente ritrovato,  dove, pur non indifferenti alle influenze esterne, pur interiorizzando modi di vedere e di reagire presenti nell'educazione, il filo interno delle vicende e dei passaggi interiori, carichi di significato e di implicazioni importanti, con al centro se stessi, con se stessi in posizione non inerte nel modo di cogliere i significati, è sempre stato interiormente in primo piano. Ciò che l'esperienza interiore nel passato come nel presente è stata e è capace di dire è ben diverso da ciò che spesso si tende a raccontarsi e a spiegare, è ben altro rispetto a certe letture dell'esperienza, niente affatto rare, che cercano cause e spiegazioni, chiamando in causa principalmente altri e l'esterno. Sono ricostruzioni del proprio passato condizionate, viziate dalla necessità di trovare una causa, che dunque alterano per posizione preconcetta e deviano dalla ricerca del vero.In psicoterapia queste ricostruzioni e indagini sul passato danno soddisfazione alla necessità dello psicoterapeuta di produrre un risultato e a quella complementare della persona di liberarsi di un carico interiore da subito inteso come pena che malamente l'affligerebbe, come stortura effetto di cause e di condizionamenti o di traumi subiti che avrebbero prodotto il danno. Ciò che è racchiuso e di cui è testimone il proprio passato, se avvicinato senza preconcetto e interesse precostituito a procurarsi il presunto beneficio di trovare la presunta causa, ciò che avrebbe segnato e messo le radici del malessere interiore prolungato all'oggi, ma guidati da sincero desiderio di conoscersi anche nelle vicende passate conduce a ben altro che a operazioni di conferma di un teorema di partenza, quello del presunto danno psicologico subito. Il corso dei vissuti, degli accadimenti interiori, ciò che si è mosso e che si muove sulla scena intima e che nel racconto abituale, che mette sempre al centro ciò che agisce e condiziona da fuori, è trascurato, distorto  e appiattito, in realtà è ben altro nella sua genesi e nei suoi svolgimenti, nei suoi significati e nella ricchezza di contenuto. Ciò che accade nella vicenda interiore, che accompagna che sottende i fatti, gli eventi dell'esperienza, che è il risvolto più interessante e fondamentale per capire, per conoscersi, vede la presenza del proprio intimo e profondo, niente affatto oggetto passivo condizionato e modellato dall'agire esterno, bensì capace di dare spunti, di dare base di ricerca di verità. Tutto ciò che prende forma nell'intimo del sentire è regolato e mosso dal nostro profondo, che in ogni momento vuole mettere in primo piano in ciò che ci accade ciò che ci spetta, che ci coinvolge, spingendoci a cogliere significati anche di notevole profondità, per non lasciarci inconsapevoli e sprovveduti. Nella complessità del sentire, che fin da piccoli accompagna la propria esperienza, riconosciuto e rispettato nella sua integrità e completezza, come possono essere rintracciati i segni di spinte, di risposte interiori originali, di intuizioni capaci di portare il proprio sguardo al di là o in disaccordo con le idee e con la logica dell'ambiente circostante, così non sono taciute la tendenza a scansare e a scaricare interrogativi e difficoltà, a porsi al riparo da tensioni conflittuali, a muoversi nell'adattamento e nell'adesione a ciò che è prevalente e comune, la tendenza a cercare scorciatoie e soluzioni a portata di mano e conformi all'esempio dei più, evitando incognite e carichi personali più gravosi e incerti, seppure per scopi più sentiti e autentici. La parte profonda del nostro essere, l'inconscio ha sempre fin dal principio del nostro cammino di vita reso tangibile la sua presenza, non ha mai mancato di dare stimoli e spunti per capire, per approfondire, per metterci allo specchio, per conoscerci nel vero, per capire per tempo questioni centrali, per non esserne ignari, non ha mai trascurato di stimolare la nostra potenzialità di prendere consapevolezza, di crescere in autonomia di pensiero e in fedeltà a noi stessi. L'infanzia non è un tempo di soli giochi, di assenza di responsabilità e spensieratezza, non di rado si affaccia la percezione di questioni importanti, si fanno strada inquietudini non insignificanti. I sogni stessi sono esperienza che fin dai primi passi della propria vita accompagna il cammino personale. L'inconscio interviene e è promotore non dell'adattamento, della presa dipendente da altro che guidi e orienti, che dia risposte e indichi traguardi, che definisca ciò che vale e in cosa si è riconosciuti come di valore, l'inconscio viceversa dà continui spunti e richiami per aprire gli occhi, per trovare da sè risposte, per crescere in autonomia di sguardo e di ricerca. Mi è capitato in alcune occasioni con individui adulti, durante il percorso analitico, di riavvicinare sogni da loro fatti in età infantile, anche molto indietro nel tempo. Motivo di una simile ricerca il rimando presente in sogni fatti oggi a quei sogni remoti. Ebbene quei sogni dell'infanzia già delineavano temi e nodi diventati nel presente cruciali e oggetto di riflessione più avanzata e di ricerca. L'inconscio è presente da sempre nella vita di ognuno e fin dai primi passi fa sentire la sua voce sia nei sogni, sia contrappuntando l'esperienza in ogni momento con vissuti, con stati d'animo, con emozioni, con l'articolarsi di momenti interiori utili per capire i punti decisivi e veri, per alimentare il confronto e il dialogo con se stessi, per cominciare a attrezzarsi di consapevolezza utile e necessaria per cercare la propria strada, per non subire la regola comune e per non appiattirsi sulle concezioni prevalenti. Se è accaduto che in parte questi momenti interiori, perché incisivi e forti, siano stati sentiti cruciali, riconoscendo se stessi soggetti e parte in gioco saliente e decisiva nell'esperienza, non meno delle azioni dell'ambiente, è però successo anche che via via ci si allontanasse dalla vicenda intima per stare sempre più nelle secche del ragionare e del fare, dando primato e prevalente attenzione a circostanze e a condizioni esterne, all'agire piuttosto che al sentire, con gli occhi tutti puntati fuori, fino a abituarsi a considerare decisivo ogni fattore esterno, fino a definire realtà solo quell'insieme e quello scenario esterni. Ho svolto questa riflessione per far capire che, se il passato personale ha valore, lo ha se riconosciuto nella sua vera natura di cammino interiore, unico e originale e non, come nelle ricostruzioni parziali e sostanzialmente infedeli, come racconto fatto soprattutto o soltanto di condizionamenti, di influenze esterne, di reazioni quasi automatiche e condizionate dall'agire di qualcosa di esterno e altrui, di semplice interiorizzazione di modi e di atteggiamenti assorbiti da figure influenti, cancellando o minimizzando tutto l'intimo della propria esperienza. Compiere questa semplificazione e riduzione del proprio a conseguenza dell'agire altrui e di altrui responsabilità è un'operazione di comodo, che libera se stessi da ogni carico e responsabilità nell'accertare e trovare il vero, nel riconoscersi soggetti del proprio destino, delle proprie scelte. Tanto è comoda questa modalità di trattare la propria esperienza, che enfatizzando il peso e l'incidenza di fattori esterni, oscura e non riconosce il primato di ciò che spetta a sé e che è rintracciabile nella propria esperienza interiore, quanto è deleteria per il proprio interesse di recuperare la propria visione delle cose e tutto il proprio potenziale di scoperte e di crescita. Se ci si priva del rapporto col proprio materiale vivo di esperienza, da cui può nascere conoscenza, autonomia e forza di pensiero, capacità di cambiamento, ne consegue che più facilmente e tenacemente ci si lega a altro e a altri e se ne dipende, ci si rifà a idee e modelli comuni e ci si fa portare, anche quando si insista nel contestarli, nel ribellarsi e contrapporsi. La modalità di ridurre tutto a responsabilità, a colpe o a potere di condizionamento di altro e di altri, applicata con più agio al passato, dove le "ricostruzioni" che appiattiscono il proprio e lo riducono a conseguenza d'altro, sono più facili, agevolate dalla distanza temporale che separa dagli accadimenti, è comunque ricorrente anche nel rapporto con l'esperienza attuale. Urge dunque imparare a leggere la propria esperienza, dando riconoscimento e aprendo riflessione su ciò che interiormente si prova, perché è lì che c'è il vero e tutto il potenziale che porta a capirsi, senza semplificazioni e omissioni, a trovare sintonia con se stessi e possibilità di ritrovarsi, di sviluppare il proprio originale pensiero, di crescere in autonomia e in fedeltà a se stessi. Se si lavora sul presente è più efficace questa ricerca, perché tutto dell'esperienza vissuta, del sentire, in tutte le sue espressioni e movimenti, capaci di aprire alla comprensione del vero, è vicino, è vivo e attuale. In ogni caso anche dove ci si aprisse al confronto con momenti e esperienze del proprio passato, è importante rispettare la stessa esigenza di mettere in primo piano e fedelmente ciò che interiormente si è vissuto, per non manipolare la propria storia, per non appiattirla, rendendola sì utile allo scarico di ogni personale responsabilità, alla costruzione di teoremi liberatori attorno al perché dei propri problemi e difficoltà, ma nello stesso tempo svuotandola e privandosi di ciò che potrebbe arricchire, nutrire la conoscenza di se stessi. Il presente, ciò che oggi la propria interiorità sta proponendo e promuovendo è il cuore della ricerca a cui rivolgersi prima di tutto, ma c'è un che di unitario, un filo che unisce il presente e ciò che sta nascendo col passato, col proprio passato. Il cammino, passato e presente, se visto e compreso dall'interno e col contributo fondamentale del profondo, è il proprio cammino, lo è e lo è sempre stato fin dai primi passi. 

mercoledì 5 giugno 2024

Cos'è disfunzionale?

Il termine “disfunzionale” è molto usato, particolarmente nell'ambito della psicoterapia cognitivo comportamentale. Sposa e asseconda perfettamente l'idea comune che ritiene che quando in ciò che si prova, nelle proprie risposte interiori e nei modi di vivere le diverse situazioni, c'è qualcosa che non asseconda le attese e che si scosta da ciò che è solitamente giudicato normale e valido, ci sia un difetto, un funzionamento e una reazione anomali e controproducenti, non utili, anzi dannosi per i propri interessi. Tutto concorda e converge nell'idea della bontà di un intervento curativo volto a ottenere un modo (ritenuto) favorevole e sensato di reagire e di procedere. Muovendo dalla persuasione che ci sia una anomalia nel sentire, ci si dispone a contrastarla, provando a contenerla con farmaci o con tecniche di rilassamento, proponendosi di correggerla, come nella psicoterapia cognitivo comportamentale, con interventi su (supposti) modi errati, disfunzionali di leggere e di pensare le diverse situazioni, che condizionerebbero la risposta emotiva, la reazione giudicata incongrua e limitante, nociva per i propri interessi. La correzione si propone pertanto di ottenere che i modi e le risposte date alle diverse situazioni siano finalmente corretti e validi, favorenti i propri interessi. Tutto sembra non fare una grinza. C'è però, a starci attenti, il rischio di rimanere imprigionati in un modo cieco di intendere le cose. In presenza di ciò che accade interiormente si tende a piegare all'arbitrio della ragione ciò che una parte di se stessi, intima e profonda, sta mettendo in campo nel sentire, bollato subito, se non piacevole e discordante con le aspettative, come anomalo e sbagliato, privo di senso e dannoso. Se ci si leva dalla posizione intransigente e rigida di chi vuole imporre la verità e la regola a ciò che non conosce, in questo caso a una parte di sè poco o nulla conosciuta, può aprirsi una riflessione e riconsiderazione davvero utile e “funzionale” a non rimanere intrappolati nel pregiudizio e in schemi rigidi. Tutto allora può mostrarsi sotto una luce ben diversa. Tenendo conto dello stato del rapporto con se stessi, spesso di lontananza e di non conoscenza del proprio intimo e profondo, disfunzionale, se proprio si vuole usare questo termine, è il proprio non riuscire, in presenza di un malessere interiore e di risposte interiori a prima vista strane e poco piacevoli (siano esse ansia, fobie o altro), a comunicare con se stessi, con ciò che si sente. Disfunzionale, cioè limitante e non idoneo a sostenere i propri veri interessi, è non saper fare proprio ciò che il proprio sentire vuole dire e far intendere, è non comprendere cosa la parte intima, profonda di se stessi vuole condurre a capire di sè, della propria condizione vera. Disfunzionale è insistere nel ripetersi le solite cose, nel volere che tutto giri e proceda a senso unico di marcia, nel concepire come difetto di funzionamento da correggere, per rilanciare il consueto, ciò che invece ha tutt’altro senso, importanza e valore e che origina da tutt’altro sguardo, non estraneo e alieno, ma profondamente proprio, insito nel profondo del proprio essere. Se l'esperienza interiore disagevole che si vive di fatto è stata così insistente e continua a incidere con forza, se ha intralciato e intralcia l’iniziativa verso l'esterno, se non  consente di aderire ai richiami della cosiddetta normalità, del cosiddetto normale funzionamento, con tutte le sue regole, tipo la necessità di provarsi che si è capaci come tutti (sarà poi vero proprio tutti?) di stare sereni e di godersi la vita, è per condurre quasi a forza a convergere su di sè, a portare tutta la propria attenzione su se stessi, perché ci sono in gioco necessità fondamentali di cui prendere consapevolezza e cui provvedere. Alla parte profonda non importa nulla di garantire e di perseguire la normalità, che si faccia come tutti, che si mantenga o si raggiunga quell'efficienza lì, al profondo interessa che si metta assieme ciò che manca e che sinora non si è cercato e costruito: intesa e unità con se stessi, un bagaglio di conoscenze di sè e di guide valide perché non ci si perda, perché, pur illusi di essere artefici delle proprie scelte, non ci si faccia guidare e persuadere da altro, perché invece, compreso cosa profondamente appartiene, si sappia far vivere con fiducia, con determinazione e con passione ciò che si è, che è autenticamente proprio. La lettura in termini disfunzionali di ciò che si  sente e di ciò che interiormente accade, anche se sembra sostenuto da buon senso, anche se sembra una lettura quasi ovvia, non coglie in realtà, non riconosce il significato vero di ciò che la propria interiorità  sta procurando: un forte richiamo, un invito pressante a occuparsi di se stessi, a riconoscere l’inconsistenza delle attuali basi di riferimento e di appoggio, la disunione con se stessi, la spinta a costruire ciò che manca, a comporre l'unità con se stessi di cui non si dispone. Il proprio sentire oggi è come un che di estraneo. La necessità vera non è di proseguire indisturbati, di uscire, fare, procedere come sempre, senza più impedimenti e paura che attanagli, la vera urgenza e priorità, che la parte profonda del proprio essere non ignora, è di costruire un nuovo rapporto con se stessi, di coltivare , in stretto rapporto e dialogo col  profondo (rapporto e dialogo che qualcuno dovrebbe aiutare a cercare e a sviluppare, questa la terapia) ciò che  serve per avere una identità davvero propria e un bagaglio di scoperte, di conoscenze, una nuova  condizione di unità e di sintonia con se stessi, di cui si è privi. Ci si dà come regola quella di ristabilire o di raggiungere la normalità, di riuscire a andare, a fare questo o quello come fan tutti, intendendo questa come la giusta e ovvia regola funzionale per se stessi, perciò ci si definisce e ci si lascia definire come disfunzionali, convinti che sia questo il bene da inseguire, convinti che sia verità evidente che saper vivere significhi ottenere le prestazioni che oggi sono non casualmente intralciate da una parte di se stessi. Questa parte di sè profonda ha giustamente e saggiamente in mente altro per se stessi come urgenza e come bene da cercare e da costruire per affrontare, poggiando saldamente su di sè, con piena aderenza e sintonia col proprio intimo, con capacità di scoprire e sapere cosa si vuole e come lo si vuole, il proprio futuro. I segnali che la parte profonda dà nel sentire sono tutt’altro che segni di malfunzionamento, che risposte alterate che nuocciono e fanno solo danno. Se la costruzione della propria personalità e dell’impianto della propria vita è malfatta, più a copia d’altro, che di matrice propria, se è posticcia e inautentica, perciò incapace di garantire la propria vera e originale realizzazione, l’ansia, il senso di fragilità, di instabilità e di pericolo cui in simili condizioni si è esposti ha sì o no un senso e una capacità di dire? Disfunzionale non è il proprio sentire nelle sue espressioni solo in apparenza sgangherate e anomale, ma è stare al di qua della presa di coscienza del vero di se stessi e della propria condizione, della necessità di profondo cambiamento, che quel sentire sta spingendo a riconoscere, disfunzionale e niente affatto favorevole ai propri interessi è dare per affidabile la marcia solita, insistendo sulla tenuta e sul rilancio di un modello astratto di efficienza e di capacità di riuscita, non dando retta ai richiami intimi e profondi, tutt’altro che stupidi e insensati, tutt'altro che nocivi e sfavorevoli ai propri interessi, che con insistenza si fanno valere dentro di sè. Purtroppo le questioni interiori, ciò che c’è veramente in gioco in una crisi e in uno stato di sofferenza interiore sono spesso incompresi e fraintesi.

martedì 28 maggio 2024

La cura e la meccanica del preconcetto

Chi in presenza di malessere interiore auspica prima di tutto l'eliminazione del malessere, di ciò che considera un danno per sè e una alterazione, vede con favore qualsiasi intervento curativo, sia esso farmacologico che psicologico, che dichiari di voler combattere il "disturbo", di metterlo a tacere o di sostituire risposte interiori considerate sfavorevoli e nocive, etichettate in gergo come disfunzionali, con altre ritenute utili e normali. Il presupposto è che tutto interiormente debba funzionare in modo "regolare" e secondo linee di svolgimento definite, senza ombra di dubbio, come normali e sane. La vita interiore è considerata null'altro che un accessorio, un'appendice subalterna rispetto alla testa del pensare e del decidere razionali, come un insieme di reazioni, di risposte emotive e di stati d'animo che dovrebbe declinarsi in una forma che sia concorde con il modo di pensare e di intendere, con i propositi e le attese della testa e comunque non tale da procurare intralci o aggravi. Che tutto debba girare a discrezione e secondo i giudizi della testa, senza mettere in mezzo difficoltà e ostacoli al procedere, che si considera normale, valido e vantaggioso, trova conforto da un lato nella idea che “così pensano e fan tutti" e dall'altro nel vasto apparato delle cure e delle teorie, che fanno loro da supporto, che dicono di offrire rimedio, soluzione a ciò che implicitamente e anche esplicitamente considerano una alterazione, una sofferenza anomala e dannosa, un malessere interiore da mettere a tacere. Sembra evidente a chi ne fa esperienza che in una condizione di disagio e di malessere interiore la miglior cosa sia cercare di toglierlo di mezzo per non compromettere il corso abituale e per rimettere in piedi un modo di procedere che non debba subire ostacoli. L’idea che l’esperienza interiore sofferta e disagevole sia un danno, che lo “stare bene” richieda liberarsene, sembra talmente ovvia da non richiedere ulteriori ricerche e approfondimenti. Dentro questa direttrice di marcia, quando ci si trovi in presenza di difficoltà e di disagi interiori, rispetto a cui in partenza non si desidera altro che porre loro fine e sbarazzarsene, non si è affatto inclini a riconoscere nel proprio intimo malessere, nel proprio sentire segnali significativi miranti a mettere in luce il vero e non l’apparente del proprio stato, la presa stringente a fare propria, senza fughe e rinvii, la necessità di fare chiarezza, di porsi allo specchio nel proprio modo di condursi, riconoscendo in modo trasparente ciò che, per proprio intento e responsabilità, muove le proprie scelte, ciò a cui tendono e che implicano per se stessi. Tutt'al più quello che, andando un po' al di là dell’idea che sia in gioco una pura patologia da combattere e da correggere con farmaci e similari, si è inclini a pensare, concedendo all’idea che nel proprio malessere ci sia un che da comprendere, è che al suo interno ci siano i segni di un cattivo funzionamento, di difettosi e mali modi di rapportarsi all'esperienza, che non gioverebbero al corretto e fisiologico (ritenuto tale)  procedere, che anzi creerebbero inciampi nel cammino, che malamente procurerebbero frustrazione e sfiducia, eccessi di paura, fuga o debole supporto alla volontà e alla capacità di sostenere e di persistere negli impegni presi, qualche malo modo di affrontarli che li appesantirebbe, che produrrebbe insoddisfazione e danno, che anziché giovare infilerebbe dentro trappole, incastri dolorosi e sciagurati. A questo riguardo si pensa in genere, considerandosene vittime, che cause esterne, che cattive influenze subite nel passato, che insegnamenti sbagliati, che affetti negati, che contributi tossici di figure significative, che pressioni indebite e nocive, che carenze dell'ambiente, che traumi patiti possano aver compromesso e guastato il più fisiologico e sano sviluppo psicologico e interiore di cui si sarebbe stati in diritto, che ancora stiano disturbando e recando danno. Anche quando non si intenda limitarsi alla soppressione del sintomo attraverso il ricorso a psicofarmaci o a interventi correttivi sul comportamento, quando si ritenga valido, con l’intento di andare alla radice del malessere, intervenire nella ricerca delle cosiddette cause e si fa propria l'idea di indagare, casomai di essere aiutati a farlo, lo scopo è sempre, andandone a scovare la causa, di liberarsi dalle insane conseguenze di ciò che avrebbe fatto danno, dagli effetti che tuttora ci si porterebbe dentro, per rimettere in sesto e in corsa un modo di procedere, casomai con qualche correttivo e aggiustamento, nella sostanza dato per scontato come valido e a sè favorevole. Un lavorio che vede comunque la parte interiore oggetto di spiegazioni, di interpretazioni, più che soggetto che dice, che rivela, che conduce alla conoscenza. Un lavorio che vorrebbe liberare da incastri e da invischiamenti, da trappole interiori e da circuiti dannosi della mente, per rimettersi in piedi, casomai con la promessa di avere più libertà e più capacità di esprimere se stessi, di accedere a un modo più sano di vivere e più corrispondente ai propri interessi e aspirazioni. L'officina di diagnosi e riparazione della psiche sembra avere molte frecce al proprio arco, offrendo un ventaglio di approcci e di tecniche psicoterapeutiche, dai nomi accattivanti e suggestivi, in una situazione via via in fermento di nuove proposte, in cui di volta in volta spunta qualche nuova teoria e tecnica, pronta a farsi vanto di essere la migliore e a più a pronto uso nel saper intervenire, spiegare, risolvere. Tutto l'impianto teorico e pratico della diagnosi e cura del malessere interiore, che mostra così varie offerte e che punta sulla risoluzione del malessere, si regge su preconcetti. Prima di tutto, come immagine di se stessi, c'è, data per scontata e preconcetta, la visione gerarchico piramidale che vede in posizione inferiore e subalterna la componente interiore rispetto a quella conscia cui è riconosciuta la funzione direttiva, il monopolio dell’esercizio del pensiero, la prerogativa del possesso della capacità di condurre, nelle valutazioni e nelle scelte, con affidabilità di guida. In secondo luogo, ma non seconda per rilevanza, c'è l'idea preconcetta che i modi e gli strumenti della crescita e della realizzazione personale siano già concepiti e ben presenti e tracciati nella prassi comune e nel sistema organizzato e che per ognuno si tratti di favorirne il valido e regolare impiego e svolgimento. Cosa sia e quanto valga l'interiorità pare già definito, pare scontato che non possa svolgere funzione guida, che non abbia capacità di generare pensiero e di dare contributo sostanziale alla ricerca di verità e di orientamento e nutrimento della crescita personale, che questo compito ricada sulla parte in posizione di testa. Che non ci sia necessità per l’individuo di costruire da sè ciò che serve per la propria autentica realizzazione, di portare a maturazione la conoscenza approfondita di se stesso,  la scoperta attenta e fondata, per non aderire al già pensato comune o d’autore, dei significati, lavorando su ciò che la sua esperienza gli rivela e gli rende possibile conoscere davvero, di dotarsi di scoperte proprie per orientarsi da sé e per trovare ragioni e scopi della propria vita, è persuasione diffusa e consolidata e diventa facilmente per ognuno un solido preconcetto. Nel modo di pensare le proprie necessità e di procedere cui ci si affida, non serve, non è richiesto un simile lavoro, semmai è richiesta a se stessi capacità di intervento e di dare prova su un terreno già segnato, dove i supporti e le guide, pure la lettura e la definizione dei significati sono già presenti, dove è più accreditato il contributo esterno per la propria formazione e crescita, che quello interno, cui, per preconcetto, non può essere riconosciuta una simile capacità, che non può avere una simile pretesa. L’idea è che quello che si può trarre da sè sia non più che l’indicazione di preferenze e inclinazioni, in favore di scelte più mirate dentro un ventaglio di opzioni, di soluzioni consolidate, che invece la propria crescita, lo sviluppo delle proprie conoscenze ha necessità di avvalersi di supporti e di apporti esterni, che non è pensabile che da sé si possa trarre di più e di sostanziale. Se, per fare un esempio che chiarisca, la lettura di libri, l'apprendimento di teorie, la fruizione di vari apporti culturali hanno credito come luogo e supporto formativo  per  l'accrescimento di idee, di pensiero valido e credibile, al lavoro su se stessi, a ciò che autonomamente può nascere e crescere attingendo alla propria fonte, per preconcetto, è data una fiducia assai limitata sia per la consistenza di ciò che può produrre sia per la sua attendibilità. E' vero che se la produzione autonoma di pensiero è affidata all'iniziativa isolata del pensiero conscio razionale presto questa si chiuderebbe nel cerchio del già detto e concepito. Soltanto dando spazio alle capacità del pensiero che origina dal profondo, soltanto attingendo a questa fonte, si può scoprire di che cosa la creazione autonoma è capace. Se si apre un confronto senza preconcetti e prevenzione, senza partito preso a riaffermare ciò che non si vuole mettere in dubbio, senza predisposizione a far dire ciò che si presuppone a ciò che si incontra interiormente, il quadro e l’orizzonte della conoscenza e della scoperta di se stessi, il potenziale di ciò che può scaturire dal dialogo interiore, cambia radicalmente. E' possibile allora scoprire, come accade dentro un valido percorso analitico, che la vita interiore, che ciò che si svolge al suo interno, è espressione e fonte di un'intelligenza, che scaturisce dal profondo, ben mirata a trovare il vero e non a ridurre il pensiero, come capita fatalmente lasciandone il monopolio al pensiero razionale, alla ripetizione e al ricombinazione di idee prese in prestito, di schemi assimilati e riprodotti, di attribuzioni di significato e di risposte già formate. L’intelligenza di cui è portatore e anima il profondo è quella di vedere con i propri occhi, di guardare riflessivamente dentro la propria esperienza, di riportare a sé la funzione di comprensione e di convalida e non di riprodurre e rimasticare, pur con qualche illusione di originalità, ciò che è già concepito e assodato, facendosi dare da fuori supporto e conferma. Non tutto sul terreno della conoscenza è già stato detto, assodato e garantito da autorevoli fonti, residuando per se stessi solo la possibilità di dire la propria, ma dentro un quadro già definito e dato. Viceversa ciò che viene a dire il profondo, sia nel sentire e nei vissuti che anima sia e in modo mirabile nei sogni, è che tutto è da farsi, se si vuole uscire dal torpore dell'inconsapevolezza e se si vuole mettere assieme una visione propria, una conoscenza approfondita e fondata di se stessi, per nulla anticipata e fotocopia di ciò che la cultura e il sapere di “chi sa” ha compreso e concepito, una scoperta di significati validi, verificabili da sé, tratti da terreno vivo d’esperienza. Sono scoperte possibili e inattese, di respiro e forza ben diverse delle costruzioni del pensiero razionale scisso e ripiegato su di sè, capaci di rendere davvero autonomi, coinvolti e appassionati finalmente a sviluppare visione e a aprire percorsi propri, svincolati dalla dipendenza da altro e liberi dalla necessità, per ottenere soddisfazione, di correre dietro a altro, per raccogliere la conferma e la gratificazione del farsi riconoscere bravi e capaci, liberi perché in possesso di una vera autonomia di scelta, di progetto, di realizzazione. Il malessere interiore, quando si apra un attento, rispettoso e fedele ascolto dell'interiorità in ciò che propone e dice dentro e attraverso vissuti non certo facili, ma non per questo privi di senso, rivela di non essere il segno di un guasto, della alterazione e compromissione di  una normale funzionalità, intaccata da qualche causa da scovare nel passato, nell'ambiente o in cattive modalità di pensiero e di sentire, ma viceversa è il segno di una forte iniziativa interiore volta a mettere al primo posto la ricerca del vero. Nel malessere interiore c’è il forte richiamo di un profondo che spinge per costruire ciò che non c'è, mettendo in crisi, non dando manforte a un procedere che cerca solo continuità di esercizio, che presuppone che non ci sia necessità d’altro che di proseguire. Nel vivo delle espressioni di malessere l’inconscio, oltre che mettere in primo piano all’attenzione il dentro del sentire rispetto al fuori dell’agire e del fare, dà tracce e segnali validissimi per vedere prima di tutto la verità della propria condizione e del proprio modo di procedere in ciò che è realmente e di cui manca, che visto da dentro e non con la lente deformante del preconcetto si rivela insostenibile, inautentico e affatto affidabile e favorevole. Così, inautentico e per nulla corrispondente e all’altezza di ciò che da sé potrebbe nascere, il proprio profondo lo ha riconosciuto e cerca di renderlo riconoscibile, svelandone i modi e la natura vera, un modo di procedere affidato e plasmato più su altro che ha dettato e che ancora suggerisce modi e contenuti, altro già concepito e di comune uso che conduce, anche se offrendo l'illusione di essere artefici dei propri pensieri e delle proprie scelte, che in consonanza con  il potenziale e l’originale di se stessi, più frutto di intesa e di connessione con l’esterno che col proprio intimo, tenuto ancora lontano, non valorizzato,  incompreso e a priori sottovalutato. Lo stravolgimento che consegue all’adesione acritica e tenace  a un simile modo di procedere e di pensarsi, l'incapacità, proseguendo inconsapevoli, di riconoscere la verità della propria condizione, la mancanza di un lavoro di ricerca su di sé e di maturazione di scoperte proprie, non riconosciute come necessarie da sviluppare e coltivare, visto che tutto pare già definito e in normale compimento, per dotarsi dei punti di riferimento, delle conoscenze di sé, della conquista dei punti chiave di comprensione di ciò che è importante, che ha valore  per se stessi per poter dirigere autonomamente e consapevolmente e in pieno accordo con se stessi le proprie scelte, per sfuggire al rischio, altrimenti fatale, di farsi portare, affidandosi a altre guide che non siano quella interiore, su percorsi e con traguardi non corrispondenti a se stessi, confermati da fuori, ma non da dentro se stessi, tutto questo, che non è certamente poco e di poco conto, fa sì che il profondo intervenga per sollevare il problema. L’inconscio aprendo la crisi, animando e agitando il quadro interiore, dando all’interno sempre segnali appropriati e ben mirati, mai agendo in modo convulso e confuso come si è portati a giudicare confrontandosi con il malessere interiore, vuole richiamare l'attenzione su ciò che si sta facendo di stessi, per sollecitare una attenta verifica e un serio lavoro di ricerca, prioritari su tutto. Pensare il malessere come guasto e segno della compromissione di un regolare e efficace procedere, che fa desiderare la messa in opera di interventi di cura nel segno del ripristino e correzione, senza verifica attenta e lucida messa in luce dell'intero impianto del proprio procedere, conduce solo a mantenere la distanza e l'incomprensione di ciò che il proprio intimo vuole dire e spingere a cercare e a costruire per il proprio bene. Uscire dall'inconsapevolezza, prendere visione di un procedere passivo dipendente dove altro segna i passi da seguire e dà le chiavi di lettura, l'illusione lì dentro di dire e di portare a compimento qualcosa di proprio, pur senza essersi mai avvicinati a sè e alla conoscenza di se stessi e di quanto di proprio vorrebbe e potrebbe vivere e realizzarsi, tutto questo è nello sguardo del profondo, tutto questo sta all'origine dell'iniziativa messa in atto dall'inconscio, che attraverso il malessere interiore vuole aprire una fase importante di riflessione e di ricerca. Se si sta nel preconcetto, nella definizione aprioristica della propria realtà come semplicemente normale e di conseguenza di ciò che va inteso come il proprio bene, fatto coincidere inequivocabilmente col fare salvo il procedere solito dall'insidia del malessere, che tutt'altro è che un segno di guasto e di anomalia, ecco che nulla del significato vero della crisi si rischia di comprendere. Ci si riserva solo l'intento di scrollarsi di dosso il malessere e semmai di fare qualche operazione di restauro e di rinnovo, ma sempre nel solco di un procedere e di una ignoranza di se stessi, mai prese sul serio come questioni da affrontare, da indagare, su cui riflettere e lavorare. Nulla del significato della crisi e del malessere interiore si finisce per capire, ci si tiene all'oscuro di scoperte importanti e decisive, che sono l’intento del profondo, che proprio a questo scopo ha aperto la crisi e mosso il malessere interiore, conquiste capaci di restituire a sè la guida della propria vita, la sua realizzazione autentica. Non ci si dà l'opportunità, procurandosi l'aiuto valido a questo scopo, di imparare a intendere e a capire fedelmente ciò che la propria interiorità vuole dire e favorire, non se ne scopre l'affidabilità anche nelle sue espressioni più sofferte e difficili, non si recupera un rapporto di unità piena col proprio intimo e profondo, ci si rende viceversa ancora estranei alla propria vita interiore, persino ostili a questa parte così importante di se stessi, si fraintende e si squalifica il suo apporto, che, se compreso senza preconcetto, se valorizzato e fatto proprio, tanto di favorevole saprebbe dare per una vera e profonda rinascita. La rinascita da se stessi, in unità col proprio autentico, col proprio intimo profondo. Prendersi cura di sé, decidere come farlo, mette in gioco fatalmente la propria intelligenza, oltre che la propria responsabilità verso se stessi. Se si impiega e si dà seguito alla meccanica del preconcetto si rischia di chiudere a se stessi, di permanere nella lontananza da sè, di perseguire un bene presunto, all’insegna del tentativo di liquidare e comunque di superare e passare oltre il malessere interiore, che se pare ovvio, secondo il preconcetto proprio e comune, essere un obiettivo benefico e vantaggioso, si fonda però sul mantenimento di una condizione di spaccatura del proprio essere, di sostanziale incomprensione e disaccordo col proprio intimo, su cui si va a agire, vuoi con l’intento di metterlo a tacere o di correggerne le espressioni, vuoi con la pretesa di spiegare e con l’illusione di capire, senza dargli in realtà spazio di parola e ascolto, intimo che comunque di questo mancato incontro e ascolto non cesserà di dare segno. E’ un presunto bene che implica il mancato sviluppo di una conoscenza fondata e vera di se stessi, di una capacità di realizzazione autenticamente propria, che sono ragione, scopo e intento della crisi e del malessere interiore, che soltanto un rapporto aperto e dialogico con la propria interiorità, che soltanto attingendo al contributo e affidandosi alla guida del proprio profondo si potrebbe realizzare. Sono conseguenze tutt’altro che irrilevanti. Vale dunque la pena in situazioni di malessere e di crisi porsi domande, cercare di capire con apertura di sguardo, senza preconcetti, senza dare nulla per scontato, senza delega a opinioni altrui, neppure a quelle dei cosiddetti esperti, cosa stia realmente accadendo dentro se stessi, vale la pena cominciare a ascoltarsi per comprendere quale risposta, quale modo di prendersi cura di sé offrire a se stessi, quale scopo perseguire.

domenica 19 maggio 2024

La riscoperta di ciò che siamo

La lontananza da se stessi, l'estraneità alla propria vita interiore, relegata in uno spazio marginale, trattata come appendice affatto essenziale e degna di considerazione, vigilata e temuta quando non corrispondente alle proprie istanze di riuscita e di quieto vivere, disegnano il quadro triste di una condizione umana, immiserita del suo potenziale e della sua risorsa più valida, quella interiore e profonda. E' una condizione, non certo rara, questa in cui l'individuo è fondamentalmente affidato e appiattito sul binomio volontà e ragione, che, senza vincolo e rapporto col sentire e con la vicenda interiore, pretende di strafare e di tenere il resto in soggezione. E’ una condizione che, malgrado le velleità e le illusioni, comporta rimanere più al di qua e al di sotto che al livello di una realizzazione compiutamente umana. Tutto l'impegno e l'aspettativa dell'individuo si concentrano sulla pretesa della riuscita, del dare prova, del farsi valere, del trovare soluzioni e capacità di rendimento dentro le guide e le regole della cosiddetta normalità, assecondando e traendo conferma dal giudizio altrui e dall'essere in linea con l'insieme, senza cura dell'ascolto delle proprie risposte intime e del confronto con la propria interiorità. La visione di se stessi insita in un simile modo di stare al mondo e di procedere concepisce il proprio essere come un meccanismo da tenere efficiente e regolare, da mettere in manutenzione quando dà segnali di crisi e di sofferenza. La vita interiore è però tutt'altro che una meccanica da tenere a bada e in “regolare” esercizio. Nella vita interiore c'è il meglio di se stessi, del proprio patrimonio e potenziale di intelligenza, della capacità di rimettere in piedi la consapevolezza e la visione attenta, veritiera e critica del proprio stato e dello stato delle cose, altrimenti totalmente appiattita, falsata, distorta. Quando non fondati su di sè, non alimentati dalla propria interiorità, quando non generati da riflessione e da ricerca personali in stretta unità e scambio col proprio profondo, il pensiero e la visione delle cose sono fatalmente forgiati da altro, regolati e istruiti da mentalità, da cultura e senso comune, da idee correnti e prevalenti. Di questa condizione di dipendenza e di omologazione del proprio pensiero, che sbarra la strada a scoperte più autentiche e a sviluppi di crescita personale più fedeli a se stessi, permane inconsapevolezza, a parte che nella parte profonda del proprio essere, che non per caso agita interiormente le acque, dà nel sentire segnali e richiami insistiti per guardare con attenzione dentro un modo di procedere tutt’altro che saldamente fondato, che felice e promettente. L’attaccamento però a un modo di procedere cui si sono legate le proprie fortune e persino, malgrado non autenticamente proprio, non generato da sé, il proprio amor proprio, perché rivestito, malgrado al traino d’altro, da illusorio senso di auto affermazione, perchè travisato come espressione degna e meritevole di sé e di (presunte) valide capacità realizzative, questo attaccamento rende quasi necessario, per tutelare ciò a cui ci si è così fortemente legati,  cui si è consegnato il valore della propria persona e della propria vita, il controllo su ciò che vive interiormente, trattato come un meccanismo, come una parte che deve assecondare, che si è pronti a giudicare e a trattare come anomala quando non corrisponde alle  attese e non si concilia con i propositi in atto. Diventa necessario tenere a bada ciò che si svolge interiormente, provando a disciplinarlo e correggerlo, quando discorde dalle attese, esercitando impunemente, come fosse necessità ovvia e normale, la pretesa che marci concorde con le aspettative e i risultati che si vogliono perseguire, che paiono proficui, addirittura irrinunciabili, pena il rischio, questo il convincimento, altrimenti, di fallire miseramente, di cadere in disgrazia. Qui c’è la distorsione più forte. La parte più intima di se stessi, che, tirata per i capelli, si vorrebbe docile e al passo con un procedere tutt’altro che felicemente  fondato su di sè, in realtà sa bene quanto c’è di mancata consapevolezza, di lontananza da una conoscenza di se stessi e di scoperta di ciò che potrebbe realizzarsi di autenticamente proprio, perciò dà stimoli, offre negli stati d’animo, nelle sensazioni meno facili lo spunto e il pungolo per aprire gli occhi, per coinvolgersi in una ricerca di verità circa il procedere cui si è legati e ciò che si sta perseguendo. La spinta dell’interiorità, del profondo è a aprire gli occhi, togliendo ogni velo, su ciò che sinora si è fatto della propria vita, in che modo, vincolati a che cosa. La spinta interiore è a lavorare con attenzione sulla conoscenza di sé, non banalmente e non superficialmente, per arrivare, passo dopo passo, con la guida del profondo, che con i sogni e con ciò che fa vivere nel sentire sa indirizzare la ricerca mirabilmente, alla scoperta di ciò che, autenticamente proprio, risalti ai propri occhi come valore vero, che, in unità con tutto il proprio essere, si senta profondo desiderio e passione di far vivere, di realizzare. Non siamo nella parte più viva, intima e profonda di noi stessi dei meccanismi pressoché automatici, all’occorrenza da regolare, portiamo dentro di noi, sia a livello fisico biologico che psichico, intelligenza e capacità di tenere conto di complesse esigenze, di tradurle nel modo più sensato e valido, di rendere riconoscibili e di segnalare acutamente condizioni di crisi e di sofferenza, che tendono comunque a uno scopo di salvaguardia e di ricerca di equilibri più vitali e corrispondenti alle necessità personali. Tutto questo in un modo accorto e intelligente, attraverso risposte interiori e processi vitali che vogliono far capire e che, se ben compresi e corrisposti, sono capaci di indirizzare e promuovere trasformazioni utili e necessarie. La medicina nei suoi orientamenti prevalenti, vincolati e frutto di una visione meccanicistica dell'uomo e della pretesa di dirigere, manipolare, strumentalizzare, regolare e dominare i processi biologici, spesso poco attenta e curante delle potenzialità, delle regole interne della vita biologica e delle sue capacità di porre e segnalare problemi e di dare risposte a esigenze complesse, interviene purtroppo non di rado con l'arbitrio e la supponenza di una presunta scienza che vuole mettere le cose in ordine e a posto, introducendo correttivi, che, ignorando e non rispettando gli equilibri e le risposte interne, rischiano di produrre più forzature, rotture di equilibri interni che vero aiuto. Sul terreno psicologico accade la stessa cosa quando si pretende di normalizzare, di correggere e di sanare situazioni e esperienze interiori, che nello schema di rendimento e presunta normalità, sono giudicate anomale e disfunzionali, misconoscendone il valore e il senso, ignorandone la finalità cui tendono. Si vede debolezza, disturbo, anomalia e cattivo funzionamento dove c'è ben altro, dove c'è viceversa tutt'altra storia in ballo, tutt'altra sapienza e progettualità. L'intelligenza dei processi interni all'individuo, i confini del cui essere sono ben più ampi di volontà e ragione e di meccanica efficienza, rischia di essere completamente misconosciuta. Si interviene con psicofarmaci, con tecniche psicologiche manipolative e correttive per rimettere le cose in riga dove invece c'è ben altro, lo si fa dando per scontato che così facendo si faccia il proprio bene, si operi avendo cura di se stessi. Come la medicina che, in non poche sue espressioni, in nome della cura, vuole dominare e risolvere con interventi volti a spazzare via, a mettere a norma, a introdurre rimedi che vorrebbero sistemare il disturbo, come se non ci fosse altro da comprendere e da favorire, da assecondare in modo più rispettoso delle capacità e dell'intelligenza biologica insite nell'organismo di ognuno, così sul terreno psicologico, sempre in nome della cura, si compiono, non raramente, analoghe manipolazioni, che finiscono per stravolgere tutto, per trattare come crisi da domare e da riportare al dritto del consueto e del normale corso conforme ciò che invece interiormente vuole portare in tutt'altra direzione e che ha tutt'altro scopo, niente affatto insani, infelici o sfavorevoli o malati. L'ottusità della pretesa di rimettere le cose a norma di funzionamento, che, al di là delle buone intenzioni dichiarate, anzichè fare bene come propugnato, in realtà scombina e reca danno, limita e compromette le possibilità di crescita personale e di salute autentica, risalta agli occhi e diventa ben consapevole in chi, procurandosi l’aiuto valido e finalizzato a perseguire questo scopo, ha fatto la scelta di rispettare, di capire senza preconcetti, di conoscere e di valorizzare le espressioni del proprio essere, della propria vita interiore, di chi si è messo in guardia dal pericolo e non ha accettato di rendersi oggetto di manipolazioni fatte in proprio o suggerite e sobillate da fuori, da idee comuni, così come da pareri e da proposte di aiuto di presunti esperti. E' tempo di recuperare una visione di se stessi più ampia, più rispettosa delle qualità e delle potenzialità del proprio essere, non riducibile a un meccanismo da regolare e da tenere sotto controllo.  

mercoledì 15 maggio 2024

Umanizzare il rapporto con se stessi, con la propria interiorità

Non sono l'ansia o altre espressioni di sofferenza e di disagio interiori a fare danno a chi le vive, ma il modo di trattarle, di non riconoscerle come voce di una parte intima di se stessi, che in modo vivo coinvolge e che vuole dire, comunicare, che vuole portare vicino a verità, rendere visibile qualcosa di fondamentale di se stessi. E’ comprensibile che ci si ritrovi disorientati e impreparati a confrontarsi con esperienze interiori difficili, quando il malessere interiore prende carattere insistito e più forte intensità. Si paga il prezzo di un mancato sviluppo di capacità di rapporto con la propria vita interiore, tutti rivolti nel corso della propria crescita a stabilire relazione e a sviluppare capacità di scambio col mondo esterno, stabilendo una distanza crescente dal proprio mondo interno, riservando a sé, al rapporto con se stessi, solo qualche commento ragionato sui propri comportamenti, nulla di più.  In ogni caso colpisce che, entrando in rapporto con parte viva di sé, pur se in circostanze e con note d’esperienza interiore così sofferte e insolitamente difficili, la si tratti come un meccanismo rotto, estraniandola da sé, come un che di cui sbarazzarsi e da tenere a bada, negando in partenza apertura e disponibilità di incontro umano al proprio intimo. Ecco entrare in opera, invece di una ricerca di incontro con la propria interiorità e di ascolto del proprio sentire, pur se doloroso e insolito, la risposta volta a tenere a bada, a estromettere possibilmente ciò che sembra solo una anomalia e un disturbo indesiderato di cui liberarsi quanto prima. Pensata come sintomo, come meccanismo patologico da classificare e controllare, l'esperienza interiore sofferta è resa sempre più anonima, inespressiva e nemica, come un disturbo cui attribuire una dicitura, una etichetta diagnostica, come se questo fosse un modo per capire. In realtà nulla in questo modo si comprende di questa parte viva di se stessi, di ciò che vuole dire, si rischia solo, con l’etichetta di una qualche sindrome o patologia, di applicarle il marchio dell’indesiderato. E' questa del classificare e dell'incasellare in quadri e in formule psicopatologiche, mossi fin dall'inizio dall'intento di contrastare e di debellare l'esperienza interiore disagevole, una pessima abitudine, ahimè assai diffusa, fatta propria sovente anche da chi vive in prima persona l'esperienza della sofferenza interiore. Accade così che si parli di sè, della propria esperienza interiore, come fosse la copia di una pagina di un manuale di psichiatria, che non è certo il massimo, visto che la psichiatria spesso e volentieri descrive la superficie, incasella ogni momento ed espressione dell'umano e della sofferenza interiore come fossero quadri abnormi tipici, facendo di ogni erba un fascio, rinunciando a capire, rivelando sostanziale non volontà e incapacità di avvicinare e di comprendere l'esperienza interiore. Che tristezza la rinuncia a cercare significato nella propria esperienza, originale, unica, a avvicinare il proprio sentire come traccia viva per capirsi, per conoscersi! Si usano, si applicano a se stessi con disinvoltura espressioni orribili come fobia sociale, sigle del cavolo come dap, doc e simili, che disumanizzazione! Sarebbe importantissimo e profondamente umano avvicinarsi a sè, riconoscere in ogni esperienza interiore un'espressione del proprio essere, un percorso, sì difficile e accidentato, ma un percorso interiore, non una meccanica abnorme da aggiustare e da regolare, pronti a impasticcarsi, a farsi ammaestrare da qualche "psicoriparatore" su come rimettersi a norma. Che disastro questo modo di maltrattare se stessi, il proprio sentire, le proprie esperienze interiori, sì tormentate, dolorose, strane, imbarazzanti e persino sconcertanti, ma non per questo assurde o malate, non per questo estranee e lontane, non per questo insulse e prive di capacità di far vedere puntualmente e sensibilmente aspetti e verità di se stessi! L'esperienza interiore, anche quando sembra contorta e assurda, fallimentare, dà occasione viceversa se ascoltata, se avvicinata non con spiegazioni o interpretazioni ragionate, ma riflessivamente (come guardandosi allo specchio, guardando negli occhi il proprio sentire) di riconoscere tracce vive di significato, di capire, di cogliere nodi importanti. Momenti interiori aspri, ripetuti, logoranti, tormenti, esperienze e prove che paiono "disastrose", non sono mai casuali, incapaci di offrire lezione viva e vera di conoscenza di se stessi. Non si tratta di spiegare, di trovare da qualche parte, possibilmente fuori di sé, in accidenti o traumi subiti nel passato o in cattivi condizionamenti passati o presenti o in manchevoli apporti, di cui si sarebbe stati vittime, in responsabilità di questo o di quello, le presunte cause di un presunto guasto, questo lavorio del capire è mal speso. Si tratta invece di imparare a intendere il linguaggio del sentire, di raccogliere ciò che l'esperienza intima attuale e viva, pur dolorosa, sa e vuole dire. Il primo proposito, che facilmente diventa definitivo, di fronte al malessere interiore è assai spesso quello di liberarsene, di superarlo o con le brevi di un rimedio farmacologico o di una tecnica psicologia che produca un effetto simile, a volte combinati assieme, o per una strada più lunga di una indagine conoscitiva sul passato che comunque produca, casomai con l’idea di intervenire in modo più efficace andando alla radice del problema o guasto, analogo effetto liberatorio, pensando che questa del liberarsi e del mettere o rimettere in corsa  un procedere ritenuto valido, promettente e normale, non compromesso da ostacoli interiori, sia la miglior cosa da offrire a se stessi. In realtà la soluzione invocata del liberarsi della difficile e sofferta esperienza interiore, pensata, con l’appoggio di mentalità comune e di tanti apporti di tecniche curative, come di ovvia massima utilità e beneficio per se stessi, coincide col mandare al diavolo parte intima e viva di se stessi, senza riconoscerla come tale e senza concederle di avere capacità di dire e di dare qualcosa di utile, di intelligente. Prima di correre ai ripari, auspicando di spazzare via tutto, bisognerebbe riflettere sulla grande utilità e positività, per non mettersi da subito in guardia e in armi contro se stessi, che avrebbe trarre frutto da ciò che si vive interiormente, non importa se ingrato, se insolito, se tumultuoso, se doloroso. Purtroppo delle esperienze interiori, di come si esprime l'interiorità, di quello che vale e sa dare la parte intima e profonda del proprio essere c'è diffusa ignoranza. Dentro di noi c'è una parte appunto, intima e profonda, che interviene nella nostra esperienza, che capace di guardare in profondità dentro di noi e nelle nostre scelte e modi di procedere, capace di non farsi abbagliare dalle apparenze, non rinuncia a dire la propria, a stimolare la scoperta del vero, nel nostro interesse, a coinvolgerci, parlando attraverso le nostre emozioni e tutto ciò che muove nel nostro sentire. Nulla di ciò che sentiamo è casuale, leggere tutto in termini di normalità o meno segnala solo l'incapacità di comprendere significato e valore dell'esperienza interiore. E' una parte di noi stessi, quella profonda, che detta tutto il nostro sentire, che non crede importante che tutto scorra liscio, che considera viceversa prioritario conoscerci e prendere coscienza, crescere in intelligenza vera e in autonomia di sguardo e di pensiero, fondamento della nostra libertà di prendere in mano la nostra vita e di interpretarla in modo felicemente fedele a noi stessi, che non rinuncia a farlo, anche se, per conquistare consapevolezza, per crescere, ciò dovesse implicare fatica, costi dolorosi. Accade che si sia coinvolti da questa nostra parte profonda, che ci colora delle nostre emozioni, che ci spiazza, che ci cala a volte con forza in esperienze interiori sì disagevoli, difficili, ma eloquenti, significative, capaci di aprirci gli occhi, se sapute intendere, se impariamo ovviamente a trattarle con rispetto e a leggerle come esperienze e non come sintomi, come segni tipici di anormalità o di patologie. Nulla ci succede per caso, tutto ciò che ci accade interiormente ci parla di noi, ci porta verso di noi. Intendiamoci, non è facile e immediato trovare il senso dove in genere si applica il giudizio pronto, dove prevale la squalifica, dove il senso comune di fronte a malessere interiore pare concorde nel parlare subito, come fosse cosa scontata e evidente, di anomalie, di risposte interiori assurde e inspiegabili, di risposte difettose, di insufficienze, facendo subito riferimento a ciò che invece sarebbe normale e positivo sentire, provare, dove gli stessi "esperti" in non piccola parte sono pronti a confermare simili giudizi, pur mettendo in campo termini tecnici più sofisticati. Per entrare in rapporto e in dialogo con ciò che vissuto interiormente invece più spesso si giudica e si cestina perchè  si considera semplicemente anomalo, è necessario imparare a fare ciò che non si è abituati a fare, a cercare il filo interno di senso in ciò che si sente, è fondamentale scoprire che il sentire, tutto il sentire in tutte le sue espressioni, dice e rivela, che concordemente e intelligentemente parlano i sogni, che la parte cosiddetta emotiva e irrazionale di se stessi non è affatto inaffidabile e avventata, capricciosa o poco lucida. Poco lucido e accecante è viceversa il pregiudizio, è il ragionare che mette ordine, ma che non comprende, che riallinea e combina i significati preconcetti, ma che non si cura di vedere, di aprire davvero gli occhi sull'intimo dell'esperienza vissuta. E' una vera rivoluzione quella che conduce a conoscere non per selezione ed esclusione, ma per comprensione e per ascolto di tutta l'esperienza interiore, di tutto il sentire proprio. Imparare a andare incontro, a reggere la tensione dell'esperienza interiore disagevole, che solitamente si tende a contrastare, a rifuggire e a scaricare, imparare a rapportarsi fiduciosamente, a riflettere, cioè a cogliere l'intimo volto di ciò che si sente, anzichè commentare e spiegare razionalmente, è ciò che servirebbe. Non lo si sa fare, non si è cresciuti mai in questo, ci si è abituati a assorbire idee, non a generarle, facendo leva sul proprio intimo, sul proprio sentire come guida, ci si è addestrati a applicarsi ad altro per conoscere, a prendere in prestito spiegazioni, a delegare a autorità esterna, vuoi di libri e di autori, vuoi di concetti già predisposti e rimasticati, il compito, la capacità di spiegare, di formare ed informare il proprio pensiero. Se ripartire da sè è la grande occasione per accorgersi che si può accendere il proprio sguardo fondandosi su esperienza intima e su possibilità di vedere con i propri occhi, questa è un'occasione enorme che il profondo, che l'inconscio ha ben presente, che con forza incoraggia o pretende, ma che la parte conscia spesso non comprende e rifiuta in malo modo, senza nemmeno capire cosa sta facendo con giudizi di disturbo e di anomalia applicati a propria intima esperienza, senza capire le  gravi implicazioni di questo modo di trattare l'esperienza interiore. E' possibile aprire dove spesso con diagnosi e terapie si chiude, è possibile umanizzare dove in non pochi casi la cura, pur sembrando buona e soccorrevole, deruba di umanità per far vincere la normalizzazione, che allontana da se stessi. E' necessario un lavoro nuovo, importante, serio, graduale, con l'aiuto di chi lo sappia incoraggiare e indirizzare, di chi non abbia in testa manuali e teorie preconfezionate, ma capacità di intendere l'esperienza interiore come matrice di conoscenza, come occasione unica di ritrovata sintonia con se stessi. Fondamentale è il desiderio di trovare accordo e unità con se stessi, di conoscersi davvero in tutto ciò che si è, interiorità compresa.

giovedì 25 aprile 2024

Ancora sugli attacchi di panico

Riprendo il discorso sugli attacchi di panico, tenendo conto della frequenza con cui simili esperienze si propongono, anche e non casualmente in individui giovani. Proverò a dare, tratto da lunga pratica analitica, qualche ulteriore spunto di riflessione. Chi subisce un attacco di panico auspica soltanto che non si ripeta, vuole tornare al più presto alla normalità, al consueto, anche se si sente molto segnato da un'esperienza così estrema, anzi continuamente si sente in apprensione, sul chi va là per la possibile ripetizione dell'attacco, eventualità tutt’altro che rara. In realtà all'attacco di panico non vuole dare retta, non ha come primo interesse quello di capire cosa significhi, a che scopo si sia prodotta dentro di sè una simile esperienza. Il fatto che abbia avuto un carattere così sconvolgente, che abbia investito il corpo in modo così forte e significativo, favorisce l'idea che sia stato un guasto, un evento anomalo assai temibile, una pericolosa minaccia da scongiurare e da debellare. Dopo l'attacco o i ripetuti attacchi le indagini cercate con insistenza sul terreno medico, con esami clinici innumerevoli, con visite specialistiche varie, con test diagnostici ripetuti, alla ricerca di disfunzioni e di patologie possibili nel corpo, vorrebbero da un lato scongiurare l'esistenza di gravi problemi organici e dall'altro soddisfare l'attesa di scovare cause ben definite e circoscrivibili, utili per riuscire a ridurre a problema fisico e a dominare in qualche modo, a porre sotto controllo un'esperienza così inquietante e misteriosa. La lontananza perdurante, anche se poco o nulla riconosciuta, ancora meno considerata questione importante, dal proprio intimo e l'incomprensione abituale della propria esperienza interiore, non aiutano certo chi lo vive a intendere l'attacco di panico non come espressione di un disordine e di una anomalia, come potrebbe apparire, ma come esperienza significativa, non nefasta e capace solo di fare danno, ma propositiva e con un senso e una finalità utile nelle intenzioni del profondo che la scatena. Va subito detto che chi subisce l’attacco di panico ha di se stesso l’immagine di un individuo sostanzialmente, per ciò che più vale e su cui far conto, definito nei confini della sua parte cosiddetta conscia, pensando il resto che vive, che sperimenta dentro se stesso di emozioni e di stati d’animo, di sensazioni e di pulsioni come un corteo di svolgimenti interni, visti in gran parte come risposta automatica e reattiva a stimoli e a circostanze esterne, considerato nell’insieme come una sorta di realtà inferiore, fatta di meccanismi, di espressioni involontarie che vanno possibilmente regolate e tenute a bada, della cui intelligenza e validità come guida di pensiero e di conoscenza non c’è idea e considerazione. Anzi, assecondando l’idea comune, facendo rientrare il sentire e l’esperienza intima nelle espressioni cosiddette irrazionali, assegna loro il limite della scarsa o nulla affidabilità. Dunque che ci sia nell'intimo, fuori dai confini della propria  parte conscia razionale, una parte del proprio essere, niente affatto irrilevante, anzi decisiva, che ha capacità di offrire, come fa continuamente nel corso dell'esperienza, attraverso il sentire e tutti gli svolgimenti interiori, stimoli e proposte  su cui  (imparando a ascoltare e a intendere il linguaggio della propria interiorità, del proprio sentire, anzichè avere presunzione e impazienza di dargli spiegazioni e soluzioni,  anzichè parlargli sopra e bistrattarlo con i ragionamenti) si può fare conto, cui non si può rinunciare per ritrovarsi, per avere terreno valido e fecondo  per orientarsi, per capirsi, è scoperta di là da venire. Accade così che se qualcosa dentro di sé fa la voce grossa e ricorre alle maniere forti per far sì che si porti l'attenzione e la preoccupazione su di sé e sul proprio stato, non lo stato fisico, ma ben altro attinente il proprio modo di procedere e la sostanza di ciò che si sta facendo di se stessi, questo non venga inteso, che invece si pensi solo a un meccanismo in avaria, a qualcosa di rotto, di anomalo, di cui diffidare, da cui cercare di proteggersi, che ci si convince rapidamente arrecare solo danni. Il grosso turbamento, le limitazioni imposte al quieto procedere, all’andare fuori, all’intrattenere le solite attività di relazione con l’esterno, con gli altri, preoccupa, angustia, sono il motivo di preoccupazione principale, unito alla nube oscura di disagio e di paura crescente nello stare in contatto con se stessi.  Chi subisce l'attacco di panico tende abitualmente, come già accennavo, per orientarsi e per capire a affidarsi a altro che non siano i suoi vissuti, le sue sensazioni vere, a accontentarsi di ipotesi e di tesi costruite col  ragionamento, in apparenza coerenti e verosimili, a cercare sponda in idee e comportamenti comuni, vuoi aderendo e conformandosi ad essi, vuoi provando a differenziarsi, trovando comunque sempre supporto, anche se in contrapposizione, in altro da sè già concepito, cercando confronto e intesa con altri piuttosto che con se stesso, con la propria interiorità. Si muove seguendo un'idea di vita e di autorealizzazione date per acquisite, prese comunque da fuori e non cercate e maturate dentro se stesso. Segue e asseconda più l'interesse e l'istanza di stare al passo con altri, di tenere a bada e di rendersi favorevole lo sguardo altrui, che di cercare il proprio, di non perdere terreno piuttosto che di fermarsi a capire, ascoltando e coinvolgendo tutto il proprio essere. Non mette al primo posto, non concepisce come essenziali e necessarie, né la vicinanza e l'intesa con se stesso, con la parte intima, profonda di sé, niente affatto riconosciuta come presenza e parte viva e affidabile di se stesso, né di conseguenza la ricerca del proprio sguardo fondato sull'ascolto e sulla comprensione attenta del proprio sentire. Chi subisce l'attacco di panico crede che basti ciò che racconta a se stesso di sapere di sé e della propria vita, in apparenza credibile e pertinente, in realtà più raffazzonato e fatto di supposizioni che compreso in profondità e con rispondenza piena con ciò che sente, che vive dentro se stesso. Non per tutto il suo essere però conta e basta ciò che l'individuo vuole continuare a illudersi di sapere, ciò che continua imperterrito a inseguire, a fare, a ripetersi in testa. Per una parte di se stesso, quella intima e profonda, questa maschera di sapere e questa parvenza di vita propria, altra e lontana da ciò che di vero potrebbe conoscere e da ciò che potrebbe far nascere da sè, non è certo un bene da difendere a denti stretti. Per il profondo è rilevante e inaccettabile la condizione di lontananza dell'individuo da se stesso, di separazione e di sconnessione dal proprio intimo, di rinuncia a cercare risposte vere e fondate su di sé, a conoscere prima e a far vivere poi il proprio. Insomma, proseguire come d'abitudine ritenendolo sufficiente e normale è una cosa, capire e vedere nitidamente come si sta procedendo, cosa c'è o non c'è di proprio, di scoperto e generato da sé in ciò che si fa, verificare cosa realmente si conosce di se stessi, cosa si sta facendo della propria vita, è un'altra. Individui giovani, che non di rado, come dicevo all'inizio, patiscono attacchi di panico, hanno il problema di quanto sono equipaggiati o meno di consapevolezza e di sguardo proprio, di comprensione di ciò che vogliono tradurre e realizzare nel loro futuro. Il rischio, privi ancora di capacità di incontro e di dialogo con la loro interiorità, facendo leva per capire, per capirsi solo sul ragionamento, che lavorando da solo, senza stretto legame e guida del sentire, non dà capacità di vedere dentro sé, ma solo di ripetere e di rimasticare il già detto e comunemente concepito, è di farsi portare e di andar dietro a guide esterne, di uniformarsi a idee e a modelli prevalenti. Il rischio, ignari di ciò che da se stessi potrebbero trarre e far vivere di originale e di sentito, digiuni di conoscenza propria, fondata e vera, è di mal intendere e di fallire gli scopi della loro vita, pur con l'illusione di essere attivi e autonomi nel formare e nel governare le loro idee e scelte. E' un rischio di non trascurabile importanza, è un rischio non certo trascurato dal loro profondo. Perciò il loro inconscio interviene, interferisce, dando segnali forti, perentori, capaci di bloccare e di rendere insostenibile l’abituale corso e modo di procedere che punta tutto all’esterno, segnali che, per la loro potenza e invasività, non vogliono essere assolutamente ignorati e messi da parte. Nulla di ciò che accade interiormente avviene per caso. In presenza di malessere interiore, seppure nella forma drammatica e sconquassante degli attacchi di panico, leggere e spiegare tutto in termini di disturbo, di anomalia di funzionamento, di meccanica conseguenza di sovraccarico di tensione da cause esterne aiuta solo a non capire nulla, a stravolgere il senso delle cose. Cercare e ricevere come aiuto sul piano psicologico quello di attrezzarsi nella difesa dalla paura montante fino al panico e perseguire come scopo il superamento dell’attacco o degli attacchi per tornare, come fosse il traguardo più ovvio e desiderabile, allo stato solito e al consueto modo di procedere, significa non intendere il significato e la finalità di ciò che drammaticamente è accaduto, che peraltro spesso ha un seguito e che lascia una scia che non si dissolve. Dentro di noi c'è una parte profonda, ben più interessata, piuttosto che alla difesa e alla prosecuzione dell'abituale, a cosa di noi stessi stiamo e sapremo realizzare o meno, a quanto siamo vicini e coerenti con noi stessi, a quanto di idee nostre abbiamo coltivato e generato davvero e non semplicemente finto di possedere, in realtà ripetendo modi e atteggiamenti, risposte e valori comuni. Se l'attacco di panico alimenta in modo improvviso e impetuoso l'allarme sulla prosecuzione della vita, del regolare battito cardiaco, del respiro, se catapulta nella paura di ciò che imprevedibile potrebbe accadere, è per far capire che non c'è solidarietà interna, della propria parte profonda verso l'andare avanti nel solito modo, è per fare toccare con mano lo stato di non unità con se stessi. L'attacco di panico non è una sciagura o una patologia da vincere, è un potentissimo richiamo da ascoltare e da capire, da prendere sul serio per il proprio vero bene.

mercoledì 24 aprile 2024

Capire i sogni

Ho già scritto sui sogni, ma voglio tornare sull'argomento, perchè i sogni sono ciò di cui è impossibile fare a meno per conoscere se stessi, a meno di consegnare la conoscenza a ipotesi ragionate e a spiegazioni, che, pur se in apparenza coerenti e verosimili, raccontano di se stessi ciò che sembra, ma che non è. Nei sogni c'è la più stretta aderenza a noi stessi, nulla è taciuto. I sogni sono diario di bordo e bussola di un ininterrotto viaggio di scoperta, sono il prodotto di un lavorio di ricerca di consapevolezza, di un'attività di pensiero della parte profonda di noi stessi, che non sta ferma, che non rimbambisce nell'adattamento e nel far proprio ciò che non ci corrisponde, che ci dà solo illusoria convinzione di esistere e di capire. Si pensa a volte che nei sogni confluisca, quasi in automatico e meccanicamente, l'esperienza diurna, rimasugli, pezzi sparsi, un che di disaggregato senza nesso e senza senso, oppure che rimangano le tracce di ciò che più ci ha colpito, che ha turbato la nostra mente. Altri pensa che nei sogni ci siano desideri inconfessati. Altri ancora pensa che i sogni facciano previsioni e sappiano dare indizi sul futuro. Soprattutto si pensa che i sogni parlino di noi unicamente in relazione e in rapporto con altro, con altri. I sogni parlano di noi e svelano, configurano uno scenario inaspettato, danno corpo e consistenza, rendono visibile e mettono in primo piano qualcosa che per molti non esiste, che non è concepito, cioè il rapporto che abbiamo con noi stessi, quanto accade nella relazione col nostro intimo. Tutto il dire dei sogni è un dire di noi, di come siamo, di come ci rapportiamo a ciò che sentiamo e che continuamente vive dentro di noi, di come procediamo nell'esperienza, mossi da che cosa, affidati o vincolati a che cosa. Lo sguardo dell'inconscio è riflessivo, guarda all'interno, coglie e riconosce il vero dell'esperienza, non è appiattito sulla sua superficie, non è tenuto imbrigliato dal comune modo di pensarla. Nei sogni c'è la rappresentazione attenta non dei fatti, non la ripresa e la conferma delle costruzioni di pensiero che si è abituati a mettere sopra i fatti, sopra gli accadimenti dell'esperienza per spiegarla, ma l'attenzione è rivolta  a come si conduce l'esperienza, osservando e chiarendo, dando volto a ciò da cui si è mossi, da quali istanze, in che modo, a che scopo, con quali eventuali contrasti interni. In definitiva nei sogni è ritratto il cuore dell'esperienza, ciò che rivela più in profondità di noi stessi, il vero, non l'apparente e ciò che fa comodo vedere. Tutte le presenze e le figure che compaiono nei sogni, siano essi persone, animali o cose, danno simbolicamente volto a parti di noi, a modalità, a espressioni, a istanze e a potenzialità che ci appartengono. I sogni dicono del nostro modo di procedere, della strada che stiamo seguendo. I sogni segnalano non di rado lo stacco dalla "terra", la lontananza cioè dal terreno vivo del proprio intimo sentire e dell'esperienza interiore che in ogni istante   accompagna la propria esperienza,  parlano perciò non di rado  di esperienze di volo, di vertigine e di sensazioni improvvise di precipitare. Per descrivere l'iniziativa del profondo, che cerca di raggiungerlo e la percezione timore che l'individuo  ha di ciò che vive profondamente dentro se stesso, parlano di assalti e di inseguimenti di figure che paiono "malintenzionati" o ladri (per cominciare a capirsi è necessario essere privati, derubati di convinzioni e di certezze tanto rassicuranti quanto ingenue e improprie), parlano di acqua che incute timore, di acqua che avanza minacciosa, che dilaga...sono solo esempi di una rappresentazione del rapporto/non rapporto dell'individuo con se stesso, con la propria interiorità, di come sia viva e presente la questione del confronto col proprio profondo, di come il proprio profondo non rinunci alla propria iniziativa, a farsi avanti. Il respiro e l'orizzonte di ricerca e di sguardo dei sogni è ampio a comprendere e a farci comprendere cosa stiamo abitualmente nei modi del nostro procedere facendo di noi stessi, che l'inconscio vuole spingerci a chiarire, a vedere senza veli, nello stesso tempo, aprendo la strada a ciò che potremmo, onorando il nostro essere individui potenzialmente capaci di pensiero autonomo, di sviluppo di qualcosa di originale e consono a noi stessi. L'inconscio nei sogni è guida ispiratrice e motivante un profondo cambiamento, da individui passivamente al seguito e consumatori di moduli di pensiero già pronti e in uso, non importa se con qualche parvenza di originalità, sostenuti e guidati da tutto ciò che già pronto e concepito può dare supporto e indirizzare scelte e modi di vivere e di realizzarsi, a individui, a esseri umani invece capaci, non in un batter di ciglia, ma lavorando con pazienza e cura il proprio terreno, in stretta unità col proprio profondo, di generare pensiero proprio, scoperte di significato e di valore e, su queste basi, di dare compimento a percorsi e a realizzazioni proprie e davvero originali, autentiche e coerenti con se stessi, non dettate da imitazione, da paragone o competizione con altri. I sogni, lo si vede, lo si vive e constata nel cammino dell'analisi, di un'analisi ben fatta, sono capaci di indirizzare la ricerca e la trasformazione nel verso di passare da essere copia d'altro a divenire pienamente se stessi, con tutti gli attributi umani originali e autentici che si posseggono e che si ignorava che risiedessero dentro se stessi, con tutta la ricchezza di una visione e di un pensiero proprio che si ignorava di poter generare. Ho detto dell'essere copia d'altro, può sembrare drastica e liquidatoria questa affermazione, così forte è l'attaccamento e tante le illusioni di dire la propria e di realizzare se stessi nella forma abituale e conosciuta, ma di se stessi cos'è possibile mettere e ritrovare, agendo dentro uno stampo di idee e di riferimenti, di attribuzioni di significato, di grammatica di pensiero, di guide alla espressione e realizzazione di sè ben apprese, assimilate e nel tempo esercitate, se non qualcosa che comunque riempie quello stampo e ne riproduce i limiti e la forma? L'inconscio sa vedere ciò che la parte conscia non sa e non è affatto incline a vedere, con i sogni conduce passo dopo passo a riconoscere il vero della propria condizione e del proprio modo di procedere, con i sogni apre tutt'altro scenario, conduce a ritrovare dentro di sè, a concepire, a costruire le basi di pensiero, a alimentare la passione per la autentica realizzazione di sè. Ridurre i sogni a desideri irrealizzati o a ricettacolo di esperienze quotidiane più o meno incisive significa non capire la portata dell'iniziativa e del pensiero profondo. L'inconscio è intelligenza pura, nel senso che non ricalca stancamente il già detto e concepito, ma viceversa dà volto e riscatto al pensiero riflessivo (che non c'entra nulla col riflettere nella forma del ragionare e del parlare sopra e sul conto dell'esperienza), autonomo e fondato, che vuole vedere, come giuardandosi allo specchio, cosa c'è nella propria esperienza, cosa  dice e rivela di se stessi. L'inconscio  non rinuncia mai a cogliere il vero, a cercare il senso in profondità, costi quel che costi, a combattere l'eclissi dell'intelligenza vera, che è l'unica leva e il fondamento della autonomia e della libertà dell'individuo, di cui l'inconscio è promotore instancabile. Capire un sogno significa intenderlo nel suo verso, nelle sue intenzioni, nei suoi modi di formare e di tradurre il pensiero. Se lo si incanala e costringe dentro i soliti riferimenti, dati per scontati, se lo si incastra nel già pensato e nella logica abituale, gli si fa dire ciò che piace e che si suppone, in sostanza lo si travisa e lo si mortifica. Purtroppo lo si spreca. L'inconscio non cesserà certo di dire ciò che pensa, non si assoggetterà alla rigidità, alla presunzione e all'inerzia del pensiero conscio ragionato, ma non capire i suoi messaggi peserà come una grande occasione persa per ritrovarsi e per cominciare a vedere chiaro dentro se stessi.

mercoledì 17 aprile 2024

I sogni formano il pensiero autonomo

I sogni hanno un ruolo fondamentale nella conoscenza di se stessi, sono decisivi nel rovesciare la tendenza a rimanere sulle tracce e sui binari del pensare abituale, dentro una modalità di pensiero che non permette di vedere, che, pur argomentando e ragionando, non consente di capire. E' una forma di pensiero, quella solita affidata all'uso dello strumento razionale, che fa rimanere adesi a modalità e a schemi soliti, senza stacco riflessivo che permetta di capire il senso di ciò che si sta dicendo, di interrogare quale sia il suo scopo vero, di verificare su cosa poggino le proprie affermazioni, se ci sia fondamento valido e compreso ai propri pensieri. I sogni, creature di intelligenza rara e sublime, sanno educare al pensiero riflessivo. Non è affatto immediato entrare in sintonia e in accordo di sguardo e di visione con l'inconscio, con ciò che propone dentro e attraverso i sogni. La tendenza più comune è di leggere il sogno come se fosse uno sguardo sul fuori, su ciò che accade nella relazione con situazioni e soggetti esterni. Se nel sogno compaiono una o più persone si pensa che il sogno parli di loro e di quanto c'è in atto o potrebbe esserci nel rapporto con loro, nei loro confronti e viceversa. In realtà questi altri danno volto e espressione a propri modi di essere e di procedere. L'inconscio vuole aprire proprio lo scenario interno, stimolare e favorire la scoperta e conoscenza di se stessi, di tutto ciò che risalente a sè è stato sinora ignorato, omesso, vista la tendenza a aver cura e attenzione tutte rivolte agli svolgimenti esterni, al rapporto con gli altri e con tutto ciò che sta fuori. Se nel sogno ci sono svolgimenti difficili, inquietanti la prima idea è che l'inconscio voglia mettere l'accento o segnalare l'imminenza o la presenza di condizioni difficili legate a pressioni, a minacce esterne, questo perchè l'atteggiamento di fondo è spesso quello vittimistico e deresponsabilizzante, di ricondurre ad altro e a altri la responsabilità del proprio disagio, delle difficoltà, delle insoddisfazioni, di quanto è vissuto come irrisolto o negativo. L'inconscio fa recuperare tutto ciò che risale a se stessi, indirizza lo sguardo su di sè, rende visibile lo scenario interiore e lì dentro cosa accade nel rapporto con se stessi, nel modo di trattare ciò che vive e che si propone nel proprio intimo, nei propri stati d'animo e vissuti. Nella vita interiore, resa spesso marginale e ampiamente trascurata, quindi ignorata e misconosciuta, resa subalterna a altro, vista la centralità riconosciuta al legame e a quanto agito nel rapporto con l'esterno, trovano riconoscimento vivo i punti focali dell’esperienza, è questo che i sogni vogliono rendere visibile. Lì dentro c'è lo specchio per vedere di se stessi cosa realmente dentro l’esperienza e il proprio procedere si cerca, in che modo, condizionati da quali pretese, indirizzati da quali aspettative, in quale tipo di vincoli. E' abituale ad esempio non vedere quanto nel proprio agire e spendersi risale a esigenze di ben figurare, di dare allo sguardo comune prove di adeguatezza e di capacità, come è abituale non riconoscere il ricorso a quanto già formato e concepito e che finisce per fare da base e da confine a un pensiero che si illude di essere di costruzione propria e capace di portare a nuovi sviluppi di conoscenza. La dipendenza, la mancanza di guida e di elaborazione autonoma passa inosservata, nemmeno è questione. Ciò che interiormente dà stimoli e basi vive per capire in che modo ci si sta muovendo, si sta pensando e ci si sta dirigendo, ciò che nel sentire offre proprio questi spunti e guide per soffermarsi a capire, a capirsi, non è messo al centro del proprio sguardo, tutta la macchina razionale, cui è affidata la propria attività di pensiero e la guida del proprio procedere,  se la racconta senza stare al vincolo stretto col sentire, senza farlo parlare, senza impegnarsi a ascoltarlo, a intenderlo attentamente e fedelmente. I sogni recuperano tutto questo lavorio inutilizzato o travisato dall'attività di pensiero consueta per ridare le coordinate di un pensiero autenticamente riflessivo, che mette al centro l'esigenza di capire i propri modi di essere e di procedere, senza appiattirsi a dare invece contributo al pensato abituale, senza dare implicita conferma e sostegno al tirare avanti dritto sulle solite basi e con la solita inconsapevolezza. Ciò che si muove nell'intimo di emozioni, di stati d'animo, di sensazioni e di spinte ha la stessa matrice dei sogni, non è un susseguirsi di risposte meccaniche, di reazioni banalmente e automaticamente sollecitate e condizionate da questo e da quello che accade fuori, è ben altro, è risposta e iniziativa intelligente, è terreno vivo di presa di visione di se stessi e di quanto ha capacità di condurre a conoscere se stessi. Nei sogni l'inconscio perfeziona lo sguardo, crea le basi per prendere la migliore visione possibile di se stessi e di quanto sta accadendo nel proprio modo di condursi, di condurre la propria vita. La componente intima è resa finalmente riconoscibile, ampliando la percezione dei confini del proprio essere, rompendo lo schema abituale, che vede il proprio essere a una sola dimensione del pensare e dell’agire razionale e volitivo. Se in un sogno si creano situazioni difficili o inquietanti, se si viene alle prese con figure che appaiono minacciose, con pericoli anche estremi, non è per ribadire o per segnalare che si è sotto pressione di minacce esterne, casomai invece per rendere riconoscibile che è dentro se stessi che si aprono tensioni, che è da dentro se stessi che si fanno avanti pressioni e pretese diverse rispetto alla prassi abituale, che ignora qualsiasi relazione con l'intimo e il profondo del proprio essere. La parte profonda non sta ferma e zitta, si fa avanti e vuole introdurre qualcosa di nuovo, di radicalmente diverso, non per fare danno o sconquassare malamente, ma semmai per sollecitare mutamenti e trasformazioni, prima di tutto di sguardo e di pensiero, valide e necessarie, per rompere tendenze che chiudono e impediscono di aprire gli occhi, di conquistare nuova consapevolezza, che liberi nuova vita, nuove e ben diverse prospettive. Se, per fare un esempio, in un sogno compaiono ladri, che minacciano di derubare cose proprie o in casa propria o che lo fanno, può questo dire delle iniziative di una parte intima e profonda di se stessi, niente affatto altra da se stessi, che vuole togliere false credenze e possesso di idee e convinzioni che non hanno attendibilità e che chiudono piuttosto che garantire la propria crescita e realizzazione umana personale.  Ciò di cui parlano i sogni non è sulla lunghezza d'onda del pensato abituale, ma è un pensiero, quello cui danno forma, che sa entrare nel cuore della verità, che sa animare e rianimare un individuo troppo adagiato su una visione di se stesso inautentica e niente affatto favorevole ai suoi interessi di crescita vera. I sogni non sono di immediata comprensione, non parlano il linguaggio abituale, non puntano lo sguardo e l'attenzione nella stessa direzione dello sguardo convenzionale e consueto, i sogni parlano di se stessi e aprono a una visione della vita centrata su di sé, non a rimorchio di altro che fa da modello e guida, non confinata in abitudini e interessi soliti. I sogni accendono una visione, guidano alla formazione di un pensiero autonomo fondato su esperienza e ricerca proprie, che, se compreso e condiviso dall'individuo, sa renderlo libero e capace di concepire a modo proprio il senso e lo scopo della sua vita, di riconoscere, apprezzare e utilizzare le sue autentiche e complete risorse umane.

domenica 14 aprile 2024

Il rapporto col sentire: luoghi comuni, manipolazioni e trucchi sottili

Per capire se stessi è decisivo il rapporto con le emozioni e con tutto ciò che si muove interiormente. Se si vuole prendere contatto col vero, se si vuole conoscere se stessi e ciò che, al di là delle apparenze, accade nella propria esperienza, è necessario rendersi capaci di rapporto aperto e dialogico col proprio sentire, imparando a ascoltarlo in ciò che dice. E' tendenza frequente porre in secondo piano e sotto tutela ciò che l'esperienza interiore propone, dando prevalenza e consegnando funzione guida al pensiero razionale, riconoscendogli il compito e il diritto di  giudicare l'opportunità e di stabilire la congruità del sentire. In non poche circostanze, credendo nella superiorità e nella affidabilità dello sguardo razionale, si ritiene utile, anzi necessaria, come condizione per capire le cose al meglio, la messa in disparte delle emozioni, viste come fattore perturbante la visione lucida e obiettiva. Viceversa capita che in alcune circostanze si invochi la messa in pausa del ragionamento e dell'istanza di capire per liberare le emozioni, per quel "lasciarsi andare" liberatorio e libero da intralci, che colori e permei al meglio e piacevolmente la propria esperienza, convinti che ci sia solo da vivere le emozioni e non da capirle. Si conferma la tendenza a tenere separati il sentire e il pensare, come fossero antagonisti e inconciliabili, come dovessero operare in campi separati. Se da un lato la preoccupazione di salvaguardare il sentire dall'intervento del capire è comprensibile, considerato il carattere non dialogante, l'atteggiamento di fondo non rispettoso verso il sentire, l'attitudine a porre regole e condizioni e a stabilire dall'alto ragioni e spiegazioni, in sostanza la mancanza di capacità d'ascolto e riflessiva del modo usuale di esercitare il pensiero nella forma razionale, dall'altra, ritenere in assoluto inopportuno l'intervento del pensiero nel rapporto col sentire, significa fraintendere il potenziale e lo scopo del sentire. Il sentire evidenzia e detta i contenuti su cui portare l'attenzione, apre in modo sensibile la strada alla conoscenza, il sentire non disdegna affatto di essere compreso, di veder raccolto fedelmente e attentamente ciò che vuole dire, suggerire, evidenziare, anzi negargli ascolto e impegno di comprensione significa vanificarne la proposta e l'intenzione. La questione fondamentale è la forma di pensiero messa a disposizione e rivolta al proprio sentire. Al sentire, alle emozioni, agli stati d'animo, ai moti interiori, non va riservato un pensiero che si senta in diritto di commentarlo, di giudicarlo, in chiave negativa o positiva poco cambia, è sempre un pregiudizio, come abitualmente fa il pensiero razionale, con la sua pretesa di far valere la sua intelligenza sopra emozioni e vissuti, di fatto applicando loro le sue categorie e i suoi codici di significato già pronti, senza dare loro voce, senza raccoglierne il messaggio. Al proprio sentire va viceversa garantito un pensiero autenticamente riflessivo, capace di riconoscerne l'intimo volto, come quando, guardando la propria immagine riflessa dallo specchio, si può vedere nei propri occhi e nel proprio volto ciò che svelano, che comunicano. Le emozioni, i moti interiori, ciò che prende forma nel sentire va saputo cogliere e riconoscere nelle sue specificità e sfumature, perchè diversamente si spreca questa risorsa interiore, il suo potenziale propositivo. Facciamo un esempio per capire meglio. Un moto di invidia rivolto a qualcuno può essere facilmente trattato da chi lo vive o come un segno ovvio di desiderio di avere per sè ciò che l'altro possiede o manifesta come qualità, ovvio perchè pare possedere il meglio, o come espressione di sè disdicevole e sconveniente, perchè l'invidia ha caratteri in sè poco piacevoli, disagevoli, un pò amari, ma anche facilmente considerati da idea e etica comune indegni e riprovevoli. Ebbene quel moto si è pronunciato non per caso per dare l'occasione di prendere visione di qualcosa di importante, di cruciale di se stessi su cui portare l'attenzione. Ciò che mostra di sè, lo dicono proprio le particolarità e le sfumature del sentire, è un senso di insufficienza, di inadeguatezza, di mancanza di un proprio su cui contare e di cui sentirsi soddisfatti. A dirlo quella sottile pena disagio, imbarazzo riservato a sè che accompagna il moto di invidia. Dunque lo sguardo su se stessi comincia a rivelare che ci si sente carenti e che dalla propria non c'è qualcosa che si consideri davvero valido, qualcosa che si sia generato e che si senta e riconosca davvero caro a se stessi e valido ai propri occhi. Se scatta il paragone e se da altri ci si fa dire cosa vale e andrebbe perseguito ecco rendersi visibile attraverso quel sentire che si è al traino, che altro da sè ha già deciso cosa vale e cosa va perseguito per concedere stima a se stessi e per raggiungere un senso di capacità, di riuscita. Il proprio sentire disegna lo stato delle cose e crea il terreno di ricerca su cui riflettere, dove lo sguardo, l'attenzione sono portati e centrati su di sè, un terreno estremamente preciso, attendibile, capace di portare alla verità di se stessi, capace di permettere ricerca utile per non rimanere schiacciati nell'inconsapevolezza e costretti negli automatismi del pensiero e delle scelte. Il sentire è intelligente e intelligentemente delinea, evidenzia ciò che serve per entrare in rapporto più approfondito con se stessi, per lavorare su questioni vere e toccanti. Ma torniamo a riflettere su quanta corrispondenza e rispetto sono concessi al proprio sentire. Circa la libera espressione del sentire, va osservato che, a dispetto della loro presunta genuinità e spontaneità, sulle emozioni e sulle spinte interiori cala non di rado da parte di chi le vive una presa sottile, che le vuole comunque pilotare, in qualche modo selezionare e riplasmare. Sul conto delle emozioni, del sentire, si tende infatti non poche volte, anche se in modo non appariscente, a svolgere un controllo e una regia che vuole che si esprimano e si declinino accontentando canoni di normalità, di buona resa e di buon gradimento: commuoversi, stupirsi, piangere, gioire e entusiasmarsi, come fosse positiva o dovuta quella particolare espressione, "normale" in determinate circostanze e condizioni, come fosse sinonimo di sana sensibilità e vitalità, come se in caso contrario ci fosse sospetto di freddezza, di mancanza di sensibilità, di qualcosa che non va. Per alcuni può anche vigere regola diversa, ritenendo espressione di debolezza provare turbamento, paura, inquietudine, come se forza d'animo e maturità consistessero nel rimanere saldi e sicuri. Non è raro comunque che ci si ponga, in subalternità a regole condivise, il dubbio circa la propria idoneità, circa se stessi, quando non risulti a se stessi naturale e spontaneo provare ciò che culturalmente è ritenuto ovvio, valido e normale. Fare delle proprie emozioni, del proprio sentire il mezzo per risultare adeguati e ben accetti, per ben figurare e in modo più esplicito farne l'arma per sedurre, per stupire favorevolmente, non è cosa così rara. Il sentire autentico, che sinceramente, senza filtri, correzioni e manipolazioni, possiamo riconoscere dentro di noi, in realtà è autonomo rispetto a ogni pressione, non rispetta nessun convenevole, non si subordina a nessuna azione regolatrice, a nessuna disciplina e pretesa, è imprevedibile, mai scontato, mai docile alle attese. Il nostro sentire vero, non oscurato, non filtrato e non rifatto a nostro e altrui uso e piacimento, è la voce del nostro profondo, che, incurante delle convenienze, sfuggendo a qualsiasi tentativo di addomesticamento, con precisione e con intelligenza vuole a ogni passo guidarci a entrare nelle pieghe della verità che ci riguarda. Il sentire non è una bella decorazione, un fiore da portare all'occhiello e neppure è risposta  automatica a questo stimolo o a quello. Il nostro sentire è funzione intelligente, è traccia e guida per entrare in rapporto con la verità di noi stessi, il sentire spontaneo e naturale è ogni volta spunto intelligente, spunto, evidenziatore, scintilla di conoscenza. C'è chi, più spiccata questa convinzione nel sesso femminile, ritiene di avere apertura naturale e più spiccata confidenza con le emozioni, col sentire, coi sentimenti e con tutto ciò che non è nel governo di volontà e ragione. Se è vero che l'uomo è spesso più lontano della donna dalla vita intima e più avvezzo all'azione e al pensare razionale che viaggia disinvolto in alta quota ben staccato dal suolo degli svolgimenti interiori, non è detto che quest'ultima abbia davvero capacità di rispettosa apertura e rapporto con la vita interiore, col sentire. La presunta e apparente apertura e vicinanza al sentire, se esposta a uno sguardo più attento può infatti lasciar vedere che su emozioni e sentimenti può esercitarsi, come dicevo, niente affatto raramente, una sottile manipolazione. Senza che si renda visibile smaccatamente l'artefatto, pur senza teatralità o più scoperta ambiguità o ipocrisia dei sentimenti, si può in una forma più lieve e sottile caricare, enfatizzare, si può fare selezione, filtro sul sentire, dando riconoscimento all'interno delle proprie sensazioni e stati d'animo, a ciò che più è gradito e piace, rendendo così l'accesso e il rapporto col proprio sentire più controllato e conveniente, assai meno aperto, fedele e spontaneo di quanto non appaia e non si voglia credere e far credere. C'è poi l'istanza, di cui già dicevo, che vuole, per il proprio sentire o presunto tale, per ciò che muove le proprie scelte e espressioni, libertà da interrogativi stringenti, da necessità di verifica attenta, che chiede di non insistere con le domande di chiarimento, invocando quella leggerezza, che oggi nel pensato e nel linguaggio comune gode di buon credito. In questi casi il significato dichiarato, che spesso si rifà al più in uso e condiviso, è considerato sufficiente per la conoscenza di sé e della propria esperienza, anzi esaustivo. Succede allora che espressioni esaltanti come innamoramento, passione, attrazione o altre, meno esaltanti, come avversione, disagio, dolore, siano trattate come affermazioni che non necessitano di chiarimento ulteriore e di approfondimento rispetto a ciò che pare già implicito e scontato,  perché considerate in sé sufficienti per dire il bello e il brutto, per colorire e qualificare il significato e il valore, la bontà o il negativo di un'esperienza. Quante volte, per fare un esempio, per chi vive il cosiddetto innamoramento, questo è, senza dubbi e esitazioni,  sinonimo di un trasporto e di un forte sentimento amoroso verso l'altro, non curandosi di mettere in luce che quel cosiddetto innamoramento può essere espressione e collante di un legame dipendente (con reciprocità interdipendente), dove l'altro è mezzo e occasione per portare a sé, prontamente, qualcosa, il sostituto di qualcosa di essenziale e necessario non ancora cercato dentro se stessi, non ancora coltivato, generato e fatto vivere da sé, quante volte  pare via di completamento (trovare la propria cosiddetta metà) e di realizzazione, quando invece è rinuncia a cercare vera completezza di individuo e vera auto realizzazione, quante volte è illusoria rinascita e risalita di autostima, perché l'altro o l'altra riempie di attenzioni e sembra porre se stessi al centro del suo interesse! Vedere chiaro cosa ci si spinge a cercare e a fare proprio, riconoscere dentro le proprie spinte i significati veri, aprendo confronto attento e trasparente con se stessi, è scelta frequentemente omessa e evitata, perché, assumendo per vero il significato apparente, perché affidandosi alla retorica dei sentimenti, tutto sembra girare al meglio e favorevolmente, salvo nel tempo, come nell'esempio di prima,  patire, non di rado, la stretta del legame dipendente e ritrovarsi a corto di autonomia e di crescita personale vera, salvo giungere, in non pochi casi, a disillusioni cocenti. La retorica, rivestire di qualità e di significati che piacciono e che fanno comodo, ricorrendo e andando dietro a modi di intendere di largo uso e ben considerati, è nel rapporto col proprio sentire un espediente che torna assai gradito, in apparenza vantaggioso. La manipolazione del sentire e l'utilizzo sul suo conto di attribuzioni di significato e di valore più comuni e imperanti, offre vantaggi di immagine, copre responsabilità, aiuta a trovare scorciatoie, a darsi un'identità che piace, persuade e trova facile consenso negli altri, appoggio, complicità. Se trucca le carte, lo fa in modo così sottile da passare inosservato. Non del tutto però, perché la parte profonda di se stessi non si fa né incantare, né persuadere dalle apparenze, perché di tutto ciò che si muove sullo scenario dell'esperienza sa riconoscere  e vuole far risaltare il senso vero. E' tutt'altro che infrequente cadere nella trappola del sentire che si pretende genuino, delle spiegazioni e delle rappresentazioni sul suo conto che vorrebbero essere appropriate e consone, in realtà sovrapposte, arrangiate, a proprio uso e beneficio, per diletto, per convenienza, per quieto vivere. Per fortuna l'inconscio è presenza vigile e può, se gli si dà ascolto nel sentire autentico e nei sogni, aiutare a districare, a svelare i trucchi, a trovare il vero, per non farsi irretire da ciò che, pur piacendo e dando immediato agio, pur trovando appoggio e conferma in altri e nel comune modo di pensare, non dà occasione di conoscere se stessi e di crescere.