Chi in presenza di malessere interiore auspica prima di
tutto l'eliminazione del malessere, di ciò che considera un danno per sè e una
alterazione, vede con favore qualsiasi intervento curativo, sia esso
farmacologico che psicologico, che dichiari di voler combattere il
"disturbo", di metterlo a tacere o di sostituire risposte interiori
considerate sfavorevoli e nocive, etichettate in gergo come disfunzionali, con
altre ritenute utili e normali. Il presupposto è che tutto interiormente debba
funzionare in modo "regolare" e secondo linee di svolgimento
definite, senza ombra di dubbio, come normali e sane. La vita interiore è
considerata null'altro che un accessorio, un'appendice subalterna rispetto alla
testa del pensare e del decidere razionali, come un insieme di reazioni, di
risposte emotive e di stati d'animo che dovrebbe declinarsi in una forma che
sia concorde con il modo di pensare e di intendere, con i propositi e le attese
della testa e comunque non tale da procurare intralci o aggravi. Che tutto debba
girare a discrezione e secondo i giudizi della testa, senza mettere in mezzo
difficoltà e ostacoli al procedere, che si considera normale, valido e
vantaggioso, trova conforto da un lato nella idea che “così pensano e fan
tutti" e dall'altro nel vasto apparato delle cure e delle teorie, che
fanno loro da supporto, che dicono di offrire rimedio, soluzione a ciò che
implicitamente e anche esplicitamente considerano una alterazione, una
sofferenza anomala e dannosa, un malessere interiore da mettere a tacere.
Sembra evidente a chi ne fa esperienza che in una condizione di disagio e di
malessere interiore la miglior cosa sia cercare di toglierlo di mezzo per non
compromettere il corso abituale e per rimettere in piedi un modo di procedere
che non debba subire ostacoli. L’idea che l’esperienza interiore sofferta e
disagevole sia un danno, che lo “stare bene” richieda liberarsene, sembra
talmente ovvia da non richiedere ulteriori ricerche e approfondimenti. Dentro
questa direttrice di marcia, quando ci si trovi in presenza di difficoltà e di
disagi interiori, rispetto a cui in partenza non si desidera altro che porre
loro fine e sbarazzarsene, non si è affatto inclini a riconoscere nel proprio
intimo malessere, nel proprio sentire segnali significativi miranti a mettere
in luce il vero e non l’apparente del proprio stato, la presa stringente a fare
propria, senza fughe e rinvii, la necessità di fare chiarezza, di porsi allo
specchio nel proprio modo di condursi, riconoscendo in modo trasparente ciò
che, per proprio intento e responsabilità, muove le proprie scelte, ciò a cui
tendono e che implicano per se stessi. Tutt'al più quello che, andando un po'
al di là dell’idea che sia in gioco una pura patologia da combattere e da
correggere con farmaci e similari, si è inclini a pensare, concedendo all’idea
che nel proprio malessere ci sia un che da comprendere, è che al suo interno ci
siano i segni di un cattivo funzionamento, di difettosi e mali modi di
rapportarsi all'esperienza, che non gioverebbero al corretto e fisiologico
(ritenuto tale) procedere, che anzi
creerebbero inciampi nel cammino, che malamente procurerebbero frustrazione e
sfiducia, eccessi di paura, fuga o debole supporto alla volontà e alla capacità
di sostenere e di persistere negli impegni presi, qualche malo modo di
affrontarli che li appesantirebbe, che produrrebbe insoddisfazione e danno, che
anziché giovare infilerebbe dentro trappole, incastri dolorosi e sciagurati. A
questo riguardo si pensa in genere, considerandosene vittime, che cause
esterne, che cattive influenze subite nel passato, che insegnamenti sbagliati,
che affetti negati, che contributi tossici di figure significative, che
pressioni indebite e nocive, che carenze dell'ambiente, che traumi patiti
possano aver compromesso e guastato il più fisiologico e sano sviluppo
psicologico e interiore di cui si sarebbe stati in diritto, che ancora stiano
disturbando e recando danno. Anche quando non si intenda limitarsi alla
soppressione del sintomo attraverso il ricorso a psicofarmaci o a interventi
correttivi sul comportamento, quando si ritenga valido, con l’intento di andare
alla radice del malessere, intervenire nella ricerca delle cosiddette cause e
si fa propria l'idea di indagare, casomai di essere aiutati a farlo, lo scopo è
sempre, andandone a scovare la causa, di liberarsi dalle insane conseguenze di
ciò che avrebbe fatto danno, dagli effetti che tuttora ci si porterebbe dentro,
per rimettere in sesto e in corsa un modo di procedere, casomai con qualche
correttivo e aggiustamento, nella sostanza dato per scontato come valido e a sè
favorevole. Un lavorio che vede comunque la parte interiore oggetto di
spiegazioni, di interpretazioni, più che soggetto che dice, che rivela, che
conduce alla conoscenza. Un lavorio che vorrebbe liberare da incastri e da
invischiamenti, da trappole interiori e da circuiti dannosi della mente, per
rimettersi in piedi, casomai con la promessa di avere più libertà e più
capacità di esprimere se stessi, di accedere a un modo più sano di vivere e più
corrispondente ai propri interessi e aspirazioni. L'officina di diagnosi e
riparazione della psiche sembra avere molte frecce al proprio arco, offrendo un
ventaglio di approcci e di tecniche psicoterapeutiche, dai nomi accattivanti e
suggestivi, in una situazione via via in fermento di nuove proposte, in cui di
volta in volta spunta qualche nuova teoria e tecnica, pronta a farsi vanto di
essere la migliore e a più a pronto uso nel saper intervenire, spiegare,
risolvere. Tutto l'impianto teorico e pratico della diagnosi e cura del
malessere interiore, che mostra così varie offerte e che punta sulla
risoluzione del malessere, si regge su preconcetti. Prima di tutto, come
immagine di se stessi, c'è, data per scontata e preconcetta, la visione
gerarchico piramidale che vede in posizione inferiore e subalterna la
componente interiore rispetto a quella conscia cui è riconosciuta la funzione
direttiva, il monopolio dell’esercizio del pensiero, la prerogativa del
possesso della capacità di condurre, nelle valutazioni e nelle scelte, con
affidabilità di guida. In secondo luogo, ma non seconda per rilevanza, c'è
l'idea preconcetta che i modi e gli strumenti della crescita e della
realizzazione personale siano già concepiti e ben presenti e tracciati nella
prassi comune e nel sistema organizzato e che per ognuno si tratti di favorirne
il valido e regolare impiego e svolgimento. Cosa sia e quanto valga
l'interiorità pare già definito, pare scontato che non possa svolgere funzione
guida, che non abbia capacità di generare pensiero e di dare contributo
sostanziale alla ricerca di verità e di orientamento e nutrimento della
crescita personale, che questo compito ricada sulla parte in posizione di
testa. Che non ci sia necessità per l’individuo di costruire da sè ciò che
serve per la propria autentica realizzazione, di portare a maturazione la
conoscenza approfondita di se stesso, la
scoperta attenta e fondata, per non aderire al già pensato comune o d’autore,
dei significati, lavorando su ciò che la sua esperienza gli rivela e gli rende
possibile conoscere davvero, di dotarsi di scoperte proprie per orientarsi da
sé e per trovare ragioni e scopi della propria vita, è persuasione diffusa e
consolidata e diventa facilmente per ognuno un solido preconcetto. Nel modo di
pensare le proprie necessità e di procedere cui ci si affida, non serve, non è
richiesto un simile lavoro, semmai è richiesta a se stessi capacità di
intervento e di dare prova su un terreno già segnato, dove i supporti e le
guide, pure la lettura e la definizione dei significati sono già presenti, dove
è più accreditato il contributo esterno per la propria formazione e crescita,
che quello interno, cui, per preconcetto, non può essere riconosciuta una
simile capacità, che non può avere una simile pretesa. L’idea è che quello che
si può trarre da sè sia non più che l’indicazione di preferenze e inclinazioni,
in favore di scelte più mirate dentro un ventaglio di opzioni, di soluzioni
consolidate, che invece la propria crescita, lo sviluppo delle proprie
conoscenze ha necessità di avvalersi di supporti e di apporti esterni, che non
è pensabile che da sé si possa trarre di più e di sostanziale. Se, per fare un
esempio che chiarisca, la lettura di libri, l'apprendimento di teorie, la
fruizione di vari apporti culturali hanno credito come luogo e supporto
formativo per l'accrescimento di idee, di pensiero valido e
credibile, al lavoro su se stessi, a ciò che autonomamente può nascere e
crescere attingendo alla propria fonte, per preconcetto, è data una fiducia
assai limitata sia per la consistenza di ciò che può produrre sia per la sua
attendibilità. E' vero che se la produzione autonoma di pensiero è affidata
all'iniziativa isolata del pensiero conscio razionale presto questa si
chiuderebbe nel cerchio del già detto e concepito. Soltanto dando spazio alle
capacità del pensiero che origina dal profondo, soltanto attingendo a questa
fonte, si può scoprire di che cosa la creazione autonoma è capace. Se si apre
un confronto senza preconcetti e prevenzione, senza partito preso a riaffermare
ciò che non si vuole mettere in dubbio, senza predisposizione a far dire ciò
che si presuppone a ciò che si incontra interiormente, il quadro e l’orizzonte
della conoscenza e della scoperta di se stessi, il potenziale di ciò che può
scaturire dal dialogo interiore, cambia radicalmente. E' possibile allora
scoprire, come accade dentro un valido percorso analitico, che la vita
interiore, che ciò che si svolge al suo interno, è espressione e fonte di
un'intelligenza, che scaturisce dal profondo, ben mirata a trovare il vero e
non a ridurre il pensiero, come capita fatalmente lasciandone il monopolio al
pensiero razionale, alla ripetizione e al ricombinazione di idee prese in
prestito, di schemi assimilati e riprodotti, di attribuzioni di significato e
di risposte già formate. L’intelligenza di cui è portatore e anima il profondo
è quella di vedere con i propri occhi, di guardare riflessivamente dentro la
propria esperienza, di riportare a sé la funzione di comprensione e di
convalida e non di riprodurre e rimasticare, pur con qualche illusione di
originalità, ciò che è già concepito e assodato, facendosi dare da fuori
supporto e conferma. Non tutto sul terreno della conoscenza è già stato detto,
assodato e garantito da autorevoli fonti, residuando per se stessi solo la
possibilità di dire la propria, ma dentro un quadro già definito e dato.
Viceversa ciò che viene a dire il profondo, sia nel sentire e nei vissuti che
anima sia e in modo mirabile nei sogni, è che tutto è da farsi, se si vuole
uscire dal torpore dell'inconsapevolezza e se si vuole mettere assieme una
visione propria, una conoscenza approfondita e fondata di se stessi, per nulla
anticipata e fotocopia di ciò che la cultura e il sapere di “chi sa” ha
compreso e concepito, una scoperta di significati validi, verificabili da sé,
tratti da terreno vivo d’esperienza. Sono scoperte possibili e inattese, di
respiro e forza ben diverse delle costruzioni del pensiero razionale scisso e
ripiegato su di sè, capaci di rendere davvero autonomi, coinvolti e appassionati
finalmente a sviluppare visione e a aprire percorsi propri, svincolati dalla
dipendenza da altro e liberi dalla necessità, per ottenere soddisfazione, di
correre dietro a altro, per raccogliere la conferma e la gratificazione del
farsi riconoscere bravi e capaci, liberi perché in possesso di una vera
autonomia di scelta, di progetto, di realizzazione. Il malessere interiore,
quando si apra un attento, rispettoso e fedele ascolto dell'interiorità in ciò
che propone e dice dentro e attraverso vissuti non certo facili, ma non per
questo privi di senso, rivela di non essere il segno di un guasto, della
alterazione e compromissione di una
normale funzionalità, intaccata da qualche causa da scovare nel passato,
nell'ambiente o in cattive modalità di pensiero e di sentire, ma viceversa è il
segno di una forte iniziativa interiore volta a mettere al primo posto la
ricerca del vero. Nel malessere interiore c’è il forte richiamo di un profondo
che spinge per costruire ciò che non c'è, mettendo in crisi, non dando manforte
a un procedere che cerca solo continuità di esercizio, che presuppone che non
ci sia necessità d’altro che di proseguire. Nel vivo delle espressioni di
malessere l’inconscio, oltre che mettere in primo piano all’attenzione il
dentro del sentire rispetto al fuori dell’agire e del fare, dà tracce e segnali
validissimi per vedere prima di tutto la verità della propria condizione e del
proprio modo di procedere in ciò che è realmente e di cui manca, che visto da
dentro e non con la lente deformante del preconcetto si rivela insostenibile,
inautentico e affatto affidabile e favorevole. Così, inautentico e per nulla
corrispondente e all’altezza di ciò che da sé potrebbe nascere, il proprio
profondo lo ha riconosciuto e cerca di renderlo riconoscibile, svelandone i
modi e la natura vera, un modo di procedere affidato e plasmato più su altro
che ha dettato e che ancora suggerisce modi e contenuti, altro già concepito e
di comune uso che conduce, anche se offrendo l'illusione di essere artefici dei
propri pensieri e delle proprie scelte, che in consonanza con il potenziale e l’originale di se stessi, più
frutto di intesa e di connessione con l’esterno che col proprio intimo, tenuto
ancora lontano, non valorizzato,
incompreso e a priori sottovalutato. Lo stravolgimento che consegue
all’adesione acritica e tenace a un
simile modo di procedere e di pensarsi, l'incapacità, proseguendo inconsapevoli,
di riconoscere la verità della propria condizione, la mancanza di un lavoro di
ricerca su di sé e di maturazione di scoperte proprie, non riconosciute come
necessarie da sviluppare e coltivare, visto che tutto pare già definito e in
normale compimento, per dotarsi dei punti di riferimento, delle conoscenze di
sé, della conquista dei punti chiave di comprensione di ciò che è importante,
che ha valore per se stessi per poter
dirigere autonomamente e consapevolmente e in pieno accordo con se stessi le
proprie scelte, per sfuggire al rischio, altrimenti fatale, di farsi portare,
affidandosi a altre guide che non siano quella interiore, su percorsi e con
traguardi non corrispondenti a se stessi, confermati da fuori, ma non da dentro
se stessi, tutto questo, che non è certamente poco e di poco conto, fa sì che
il profondo intervenga per sollevare il problema. L’inconscio aprendo la crisi,
animando e agitando il quadro interiore, dando all’interno sempre segnali
appropriati e ben mirati, mai agendo in modo convulso e confuso come si è
portati a giudicare confrontandosi con il malessere interiore, vuole richiamare
l'attenzione su ciò che si sta facendo di stessi, per sollecitare una attenta
verifica e un serio lavoro di ricerca, prioritari su tutto. Pensare il
malessere come guasto e segno della compromissione di un regolare e efficace
procedere, che fa desiderare la messa in opera di interventi di cura nel segno
del ripristino e correzione, senza verifica attenta e lucida messa in luce
dell'intero impianto del proprio procedere, conduce solo a mantenere la
distanza e l'incomprensione di ciò che il proprio intimo vuole dire e spingere
a cercare e a costruire per il proprio bene. Uscire dall'inconsapevolezza,
prendere visione di un procedere passivo dipendente dove altro segna i passi da
seguire e dà le chiavi di lettura, l'illusione lì dentro di dire e di portare a
compimento qualcosa di proprio, pur senza essersi mai avvicinati a sè e alla
conoscenza di se stessi e di quanto di proprio vorrebbe e potrebbe vivere e
realizzarsi, tutto questo è nello sguardo del profondo, tutto questo sta
all'origine dell'iniziativa messa in atto dall'inconscio, che attraverso il
malessere interiore vuole aprire una fase importante di riflessione e di
ricerca. Se si sta nel preconcetto, nella definizione aprioristica della
propria realtà come semplicemente normale e di conseguenza di ciò che va inteso
come il proprio bene, fatto coincidere inequivocabilmente col fare salvo il
procedere solito dall'insidia del malessere, che tutt'altro è che un segno di
guasto e di anomalia, ecco che nulla del significato vero della crisi si
rischia di comprendere. Ci si riserva solo l'intento di scrollarsi di dosso il
malessere e semmai di fare qualche operazione di restauro e di rinnovo, ma
sempre nel solco di un procedere e di una ignoranza di se stessi, mai prese sul
serio come questioni da affrontare, da indagare, su cui riflettere e lavorare.
Nulla del significato della crisi e del malessere interiore si finisce per
capire, ci si tiene all'oscuro di scoperte importanti e decisive, che sono
l’intento del profondo, che proprio a questo scopo ha aperto la crisi e mosso
il malessere interiore, conquiste capaci di restituire a sè la guida della
propria vita, la sua realizzazione autentica. Non ci si dà l'opportunità,
procurandosi l'aiuto valido a questo scopo, di imparare a intendere e a capire
fedelmente ciò che la propria interiorità vuole dire e favorire, non se ne
scopre l'affidabilità anche nelle sue espressioni più sofferte e difficili, non
si recupera un rapporto di unità piena col proprio intimo e profondo, ci si
rende viceversa ancora estranei alla propria vita interiore, persino ostili a
questa parte così importante di se stessi, si fraintende e si squalifica il suo
apporto, che, se compreso senza preconcetto, se valorizzato e fatto proprio,
tanto di favorevole saprebbe dare per una vera e profonda rinascita. La rinascita
da se stessi, in unità col proprio autentico, col proprio intimo profondo.
Prendersi cura di sé, decidere come farlo, mette in gioco fatalmente la propria
intelligenza, oltre che la propria responsabilità verso se stessi. Se si
impiega e si dà seguito alla meccanica del preconcetto si rischia di chiudere a
se stessi, di permanere nella lontananza da sè, di perseguire un bene presunto,
all’insegna del tentativo di liquidare e comunque di superare e passare oltre
il malessere interiore, che se pare ovvio, secondo il preconcetto proprio e
comune, essere un obiettivo benefico e vantaggioso, si fonda però sul
mantenimento di una condizione di spaccatura del proprio essere, di sostanziale
incomprensione e disaccordo col proprio intimo, su cui si va a agire, vuoi con
l’intento di metterlo a tacere o di correggerne le espressioni, vuoi con la
pretesa di spiegare e con l’illusione di capire, senza dargli in realtà spazio
di parola e ascolto, intimo che comunque di questo mancato incontro e ascolto
non cesserà di dare segno. E’ un presunto bene che implica il mancato sviluppo
di una conoscenza fondata e vera di se stessi, di una capacità di realizzazione
autenticamente propria, che sono ragione, scopo e intento della crisi e del
malessere interiore, che soltanto un rapporto aperto e dialogico con la propria
interiorità, che soltanto attingendo al contributo e affidandosi alla guida del
proprio profondo si potrebbe realizzare. Sono conseguenze tutt’altro che
irrilevanti. Vale dunque la pena in situazioni di malessere e di crisi porsi
domande, cercare di capire con apertura di sguardo, senza preconcetti, senza
dare nulla per scontato, senza delega a opinioni altrui, neppure a quelle dei
cosiddetti esperti, cosa stia realmente accadendo dentro se stessi, vale la pena
cominciare a ascoltarsi per comprendere quale risposta, quale modo di prendersi
cura di sé offrire a se stessi, quale scopo perseguire.
martedì 28 maggio 2024
La cura e la meccanica del preconcetto
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento