martedì 12 agosto 2025

Il terreno incolto

Si dà tanto valore alla cultura, alla conoscenza che si nutre del già detto, dell'altrui detto e coltivato, talora ben e originalmente creato e coltivato, talaltra assai meno, perchè di produzioni che rigirano e ricalcano il già concepito e il concepito d'altri sono pieni gli scaffali. Intanto vige la incapacità di entrare in rapporto e di coltivare ciò che la proposta interiore suggerisce di continuo nei vissuti, nel sentire, nelle emozioni, nelle spinte interiori, nei sogni, in tutto ciò di cui la propria interiorità è testimone, di cui il proprio inconscio è artefice e promotore. Solitamente l'esperienza interiore è fraintesa nella sua origine e significato. Si dà sempre la priorità ai fattori esterni e si pensa che ciò che il proprio sentire mette in campo sia condizionato da stimoli esterni, che ne sia l'eco, la meccanica risposta e se talora questa può apparire esagerata o strana, la si fa risalire, se non a vizi di fabbrica e costituzionali, a eventi, a traumi passati, a educazione ricevuta e a altro che si ritene sempre determinante, che avrebbero lasciato impronta più o meno distorsiva su quello che si suppone dover essere il normale o fisiologico modo di sentire e di  reagire. Che esista una parte intima e profonda dotata di intelligenza e di capacità propositiva, che questa parte intervenga per dare stimoli e per esercitare richiami ben precisi per aprire lo sguardo riflessivo sui propri modi di procedere, di rapportarsi all'esperienza, di pensare se stessi e  ciò che si sta facendo, conoscenza di cui si è spesso deficitari in abbandonza, è idea che non appartiene ai più. Nella idea e nella  pratica comune ciò che si muove interiormente va essenzialmente tenuto a bada, è considerato un corteo di sensazioni che nulla sono in grado di dire e di offrire se non quello che già si sa e che sbrigativamente gli si mette sopra col ragionamento. Dunque ciò che la propria interiorità offre come terreno da coltivare per trarne il frutto della conoscenza di se stessi e della verità della propria condizione, delle possibilità trasformative e di crescita possibili, rimane trascurato, totalmente incolto. Si fa uso di un sapere preso da altra fonte e matrice, quella condivisa, dove le attribuzioni di significato, le concatenazioni logiche sono già pronte e si finisce per vedere con occhi che paiono i propri, ma che in realtà replicano il preso in prestito dalla mentalità comune, casomai affinato dal ricorso a altre fonti più o meno nobili, con l'utilizzo di ciò che gli esperti, i pensatori d'accademia, hanno detto, con l'impiego di tutto ciò che, tratto da studi e da letture d'autore, ci si è procurati. Da un lato c'è la propria fonte intima di conoscenza che dà di continuo il materiale e le guide su cui lavorare per vedere con i propri occhi e su base di esperienza e di ricerca proprie, utilizzando farina del proprio sacco, dall'altro, ignari della prima, si mette in esercizio un pensiero che prende da altro i contenuti, le guide e la logica che lo tiene insieme. Il risultato non può che essere quello di mettere in moto pensieri, di vendere a se stessi come conoscenza quello che è nella sostanza un parlare e pensare a vanvera e a sproposito rispetto a ciò che accade nella propria esperienza e a ciò che riguarda la conoscenza di se stessi. La mancanza di capacità di raccogliere la proposta interiore, di capirne il valore e il significato come alimento di crescita personale e di conoscenza vera e fondata ha come triste conseguenza quella di trattare come ospite indesiderato e di prendere a badilate ciò che la propria interiorità propone con intensità e con forza nel malessere interiore, in cui diventano fitti e ficcanti i richiami, in cui la presa del profondo diventa più forte e non per caso. La parte profonda del proprio essere non accetta la lontananza da sè dell'individuo, che devia da ciò che gli è intimo e connaturato, che si spende per essere all'altezza di altro e che ignora la necessità di capire, di vedere cosa sta in realtà facendo di se stesso e della propria vita, di conoscersi, di comprendere cosa più intimamente gli appartiene. La reazione assai frequente al malessere interiore, l'intervento che vuole mettere a tacere ansia e altre espressioni di malessere, che sono stimoli e guide per aprire finalmente gli occhi, producono assai frequentemente come risposta quella di volersi difendere da un presunto nemico interno, di volerlo sedare e controllare, di comprimere le sensazioni, di evadere, di spiegarle, quando si decida di indagare per capire e casomai ci si faccia aiutare in questo dentro una psicoterapia, come retaggio di cattive esperienze del passato. Belle pensate queste ultime, che a un attento esame ahimè si rivelano essere, per quanto messe in piedi con quadratura logica, argomentazioni sballate, lontane dal vero, conseguenza fatale della incapacità di rapporto, di ascolto e di dialogo con la propria interiorità, in cui l'incolto trionfa. Non è infrequente che l'intervento di una psicologia, che si propone come scientifica e professionale e che di fatto è omogenea con la psicologia comune, che cerca soluzioni, spiegazioni e presunti rimedi che in nulla comprendono il significato e il valore della proposta interiore, che ignorano la presenza decisiva sulla scena interiore del profondo, finisca per chiudere  il cerchio dell'incomprensione. Finisce per lasciare incolto il terreno che merita di essere coltivato, il terreno della conoscenza di se stessi su base viva e affidabile, quella offerta dalla propria interiorità nel sentire, nei sogni (sono la via maestra per conoscere se stessi), in tutto ciò di cui è artefice e cui dà voce e espressione il proprio profondo.

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