Com'è facile la presa, la capacità di persuasione e di coinvolgimento di quanto nella realtà esterna è organizzato e predisposto a indirizzare e a dare soluzione a necessità di crescita e di realizzazione personale, quando, ignari di sè, digiuni di scoperte proprie, si è pronti a farsi istruire e dire, stimolare e variamente condurre e soddisfare! Ogni potenziale espressione di se stessi, prima ancora di essere autonomamente compresa, prima di riconoscerne dentro e in unità con se stessi il volto e il significato, trova pronta traduzione in un sistema organizzato, in un modo di concepire l'individuo, le sue necessità, i modi della sua crescita e della sua realizzazione, in uso e ampiamente condiviso. Scatta così, come fosse ovvia e naturale, l'adesione a altro da sè che offre l'aggancio, che mette a disposizione la definizione, le guide e la soluzione pronta, oltre che le verifiche e le convalide, che diventa la base e il volano per espressioni di se stessi, per il perseguimento di traguardi, che non sembrano richiedere altro che capacità di selezione tra opzioni già definite e capacità di esecuzione. Non sembra esserci necessità e possibilità di riservare a sè il compito e la facoltà di generare alla radice le risposte, ma solo di applicare ciò che già è definito, che è già concepito. Nel modo di procedere più comune e abituale le espressioni di sè nel verso dell'intelligenza, delle abilità varie, della sensibilità, dei sentimenti e degli affetti e di quant'altro vanno dimostrate, applicate, messe in campo, non hanno necessità di essere trattenute a sè per essere intimamente riconosciute, per essere con pazienza coltivate fino a prendere volto originale e forma consona, corrispondente a sè. Essere sprovvisti di forza di legame e di intesa con se stessi, conseguente al non avere trovato dentro e attraverso di sè risposte originali e congeniali, al non averle cercate e coltivate, fa da slancio a abbracciare in un moto di irresistibile attrattiva ciò che sembra dare occasione di espressione e di realizzazione propria, che anzi sembra esserne la traduzione più ovvia e naturale. E' una risposta ingenua, che vede il cortocircuito della intelligenza, la rottura del vincolo a vedere con i propri occhi, a concepire da sè, a convalidare per presa di visione propria e verificata un'idea, un'affermazione, un proposito, che non è una pretesa di troppo o fantascienza, ma che è ciò che spetterebbe all'individuo umano perchè possa considerarsi tale. Accade invece che il movimento passivo e senza riserve a aderire, a farsi portare e dire, si compia e non raramente, che non sia riconosciuto come tale, anzi che appaia come prova di intraprendenza, come corso ovvio e naturale, nella normalità, finendo per trovare nel "così fan tutti" ancora più forza di persuasione. Tutto finisce per declinarsi e per muoversi dentro dei canali stretti, pur dentro un'apparente quadro di libere scelte e variopinte. Conoscere diventa a senso unico istruirsi, acculturarsi, casomai viaggiare per ampliare i propri orizzonti, gioire diventa fruire di uso e consumo di piattaforme del divertimento, di quanto è offerto di godibile, di quanto è esaltato di feste organizzate, di appuntamenti da non perdere e di legami da afferrare e di cui non essere privi, la realizzazione personale e la conquista di traguardi significativi diventano la corsa alla carriera, alle promozioni e agli attestati vari e a quanto dà segno di merito e di raggiungimento di qualche traguardo o primato. Senza dimenticare che c'è poi, per alcuni a complemento, per altri a consolazione, la conquista mediata e per procura abbracciando una bandiera, tifando per un qualche eroe sportivo, sposando un credo, una ideologia con ben imbanditi valori e ideali. Senza scordare che, per uscire dalla noia dell'appiattimento del gusto e dell'interesse, c'è la tv o la rete, c'è la vita dei famosi da spiare a compensazione di una vita, la propria, lasciata nelle secche dell'inconsapevolezza e dell'abbandono. Com'è bello e seducente il mondo, che offre tante risposte e soluzioni pronte e che diventa e si autoproclama come la realtà, la realtà in assoluto, riconosciuta e celebrata come imprescindibile e elettivo luogo dove stare per stare nella vita, tenendo lì ben attiva la presenza e l'attaccamento, come se null'altro possa esistere e essere riconosciuto come reale e degno di essere abitato, coltivato, amato e fatto vivere e crescere! Certo, in questo modo di condursi e di interpretare la propria vita non c'è il motore della passione autentica, non c'è la gioia e la persuasione profonda, che non ha bisogno di conferme e di attestati di merito esterni, di far vivere qualcosa di intimamente riconosciuto come proprio e di valore. La contropartita diventa allora il far bella mostra di ciò che ai più piace, la rassicurazione di essere ben dotati secondo ciò che è ammirato e considerato giusto e degno. In sostanza avviene una sorta di baratto implicito, anche se inconsapevole, tra il valore e il gusto della autonomia, del far vivere qualcosa di tratto, di generato da sè e che si ama sinceramente e disinteressatamente, tra la realizzazione di sè autentica e la realizzazione pilotata e venduta al consenso, trainata dalla convalida e dall'approvazione comune, cosa che riesce a incantare, a sedurre, a convincere. Ingenuità e incanto sono dunque le leve di un modo di intendere e condurre l'esistenza di cui ci si può considerare soddisfatti. C'è una parte di se stessi che però non si fa incantare, che non cade nell'irretimento delle false persuasioni e di comodo dentro cui spesso si trincera la parte conscia, c'è una parte che sa vedere e distinguere il vero dal fasullo, l'autentico dal posticcio, l'apparente autorealizzazione da ciò che è e che vale realmente, che sa riconoscere il risucchio dell'umano nel programmato e già plasmato. E' la parte intima e profonda del proprio essere, è l'inconscio, che non ha intenzione di rinunciare a rendere acutamente visibile il vero, che non intende desistere dal proporre e dal promuovere altro dall'andare dietro e dal farsi governare da soluzioni e da risposte pronte, che rilancia con insistenza l'idea "folle" di cercare dentro sè risposte e punti chiave di orientamento, di portare a maturazione autonoma visione, di non concedere a altro di menare le danze. E' l'idea folle di diventare creatori di un proprio pensiero e scopritori di una idea di vita e di un progetto autonomi e forti di sostanza, di lucida consapevolezza e di risorse proprie. Questa parte non desiste, dà segnali continui nel sentire e offre con i sogni, preziosissima risorsa, pensiero vero che guarda dentro e in profondità, non ammaestrato e non fotocopia del comune pensato. E' la parte intima e profonda, è l'inconscio che spinge verso la consapevolezza, che non asseconda ingenuità e incanto, leve e garanzie del perdersi nel realizzarsi dentro e secondo stampo. Non ha altra ragione e altro senso il malessere interiore, che il profondo anima e acutizza, non ha altro scopo, anche se stravolgerne la lettura e il significato e considerarlo disturbo o patologia da sanare è operazione assai frequente, normale. Ci si potrebbe chiedere perchè l'inconscio fa tante storie, perchè interviene in modo così forte. Ne vale la pena? Perchè non lascia che la vita scorra senza intralci così com'è? E' così importante la questione che solleva? Se si esce dall'idea che stare in pace e proseguire come d'abitudine sia la cosa più desiderabile e si comprende che il rischio è di diventare e ciecamente solo copia d'altro, spegnendo ogni possibilità di aprire gli occhi sul vero, di cercare e di far scaturire da sè le risposte, le ragioni e gli sviluppi della propria vita e non di farsele consegnare e dettare, si può cominciare a comprendere, a condividere l'intento e la spinta del profondo. Più frequentemente però la lettura data al malessere interiore è di ben altro tipo e percorre altre strade. Non è certo raro che la terapia, che sia quella farmacologica o che sia una psicoterapia, spesso poco cambia, incapace e mal disposta a comprendere il significato di ciò che si svolge interiormente, soprattutto nelle sue espressioni più ardue e dolorose, facendo leva su criteri di giudizio circa ciò che sarebbe motivato o immotivato, disfunzionale o valido e funzionale, sano o patologico, concepisca solo il recupero, il riassesto. E' un prendersi cura che ignora l'origine profonda, che non concepisce e non riconosce lo scopo del malessere, ciò a cui tende. Non è raro, ne è la fatale conseguenza, che l'azione di rabbercio di terapie varie, che le scoperte, date per decisive e illuminanti, delle presunte cause della sofferenza interiore, frutto in realtà dell'idea preconcetta che la sofferenza, che il malessere interiore sia la conseguenza di un guasto da danno psicologico patito, che la fiducia data alla bontà e all'efficacia del lavoro di riaggiustamento, lascino intatto il quadro di insieme, che confermino l'incomprensione di ciò che il profondo voleva e insiste nel dire e smuovere. La risposta, in presenza di nuovi e ripetuti segnali di malessere, che spesso non mancano di riproporsi, l'inconscio infatti non desiste, è in genere di serrare i ranghi, di provare a combattere le presunte "ricadute" di una presunta patologia che non recede, non comprendendo che il riproporsi del malessere interiore segnala con forza che non ci sono stati ascolto, corrispondenza e comprensione delle questioni e delle necessità rilanciate dal profondo del proprio essere, che non ignora, che sa vedere ciò che la parte conscia non sa e non vuole riconoscere. Il profondo non rinuncia infatti, pur dopo tentativi di risoluzione della crisi che ha promosso e alimentato, crisi mal intesa e travisata, non compresa nelle sue ragioni e non assecondata nei suoi scopi, a spingere con forza, smuovendo il sentire, tornando a agitare il quadro interiore. Il suo scopo, non certo malefico e irragionevole, è di far aprire gli occhi dell'individuo sulla verità del proprio stato e del proprio modo di procedere, è di smuovere il suo pensiero dalla inerzia delle certezze prese in prestito, è di porre in primo piano la necessità di trarre da sè, di costruire in unità con tutto il proprio essere (l'inconscio è pronto a dare il contributo che più conta) le fondamenta della personale realizzazione autentica e non artificiale e illusoria, modellata e tenuta su da altro.
sabato 30 agosto 2025
venerdì 29 agosto 2025
Il lavoro dell'inconscio
(Ripropongo
oggi questo mio scritto, perchè ritengo possa aiutare a comprendere ciò che
l'inconscio può offrire e a sentire più vicina questa parte preziosa e
irrinunciabile del nostro essere)
L'inconscio
interviene di continuo nella nostra esperienza, sia attraverso i vissuti (il
nostro sentire) e governando nel suo insieme il corso della nostra vicenda
interna, sia in modo privilegiato, illuminando il nostro cammino interiore, con
i sogni. Contro i tentativi, avvalendoci dell'iniziativa e del filtro della
razionalità, di mantenere sostanzialmente intatta e a noi compiacente la nostra
visione di noi stessi (tanti accadimenti interiori fastidiosi o imbarazzanti
passati sotto silenzio, lasciati scorrere via o fraintesi e manipolati a
piacimento col ragionamento), l'inconscio non ha pudore, "pietà" o
riserbo di intervenire e di insistere, senza chiedere permesso e
sorprendendoci, perché di noi sappiamo, vediamo, cogliamo ciò che importa, il
vero. L'inconscio è attivo perché non rimaniamo passivi o altro da noi stessi.
Per passività intendo il quieto aderire al dato e al pensato comune e abituale,
la riproduzione di un pensiero e di una visione di noi stessi che, se anche in
apparenza convincenti e verosimili, in realtà altro non fanno se non ripetere
ciò che già è stato concepito e detto, ciò che ci torna comodo credere.
L'inconscio è la parte di noi che agisce e che lavora perché non evadiamo da
noi stessi, perché sappiamo di noi, perché transitiamo nelle pieghe del nostro
essere, perché vediamo, anche a costo di ferirci e di soffrire, ciò che ci
spetta, ciò che ci è necessario conoscere. Nulla di ciò che si propone a noi
nel nostro sentire è casuale, bensì è traccia e guida per prendere contatto e
conoscenza viva di aspetti del nostro essere, del nostro modo di procedere, di
questioni, anche non semplici, che abbiamo vitale necessità di elaborare, di
capire. L'inconscio suggerisce e offre di continuo attraverso il sentire
spunti, occasioni, crea trame e sviluppi utili per capire. Il lavoro
dell'inconscio raggiunge il suo apice creativo nei sogni, che, se ben intesi,
analizzati e compresi, si rivelano impareggiabili mezzi per guardare dentro noi
stessi, per conoscere, per crescere. Se compreso e fatto proprio l'aiuto
dell'inconscio è assolutamente decisivo per trovare il proprio spessore umano e
di pensiero, per scoprire le proprie vere potenzialità e il proprio progetto.
Accade però che, ignari e impreparati a tutto questo, ci si senta non di rado
delusi o semplicemente disturbati da ciò che succede dentro se stessi, che si
giudichino le esperienze interiori (che per intero l'inconscio regola e
dirige), quando discordanti dalle attese o disagevoli, come inopportune, come
limitanti, come dannose, arrivando, se insistono, a definirle un
disturbo, una patologia. Diffusa e prevalente la tendenza a escogitare, a farsi
consigliare, a applicare rimedi, spiegazioni che aiutino a ripianare, a
mettere a tacere l'esperienza interiore scomoda e sofferta. La psicoterapia
stessa è spesso cercata e non di rado nasce con simili auspici, in
contrapposizione a parte di sé interna vissuta come nemica, con desiderio di
disarmarla, di rimetterla in riga o di erigere una sicura barriera contro ciò
che sembra solo molesto, pericoloso e incoerente. L'inconscio non si fa
plagiare e zittire. Se aveva ragione di smuovere, di porre in crisi la
stabilità interiore per favorire sviluppi, processi conoscitivi nuovi,
cambiamenti necessari, se inascoltato e incompreso, seguiterà nel tempo e con
rinnovata forza a riaprire la ferita, pur col rischio che si torni ottusamente
a parlare di semplice ripresa del disturbo, di "ricaduta" di malattia
e che si torni a schierarsi contro l'iniziativa interiore anziché disporsi ad
ascoltarla e a capire. Nel rapporto con esperienze interiori difficili e
sofferte il vero problema, la vera insufficienza o anomalia non è nel
(presunto) corso sbagliato o insano di ciò che si prova, che si vive
interiormente, anche se doloroso e accidentato, ma sta nel non essere capaci di
entrare in rapporto e in dialogo con la propria esperienza interiore, con
l'inconscio, sta nel non avere ancora capacità e opportunità di capire.
Cominciare a fidarsi della propria interiorità, fino ad aprirsi totalmente e
senza preclusioni al proprio corso interiore, imparare ad ascoltare la voce e a
cogliere l'intima proposta del proprio sentire, capacitarsi dello straordinario
lavoro svolto dal proprio inconscio dentro i sogni, intenderlo, capirlo,
assimilarlo, farlo proprio, seguire con attenzione il percorso di ricerca e di
trasformazione tracciato dall'inconscio attraverso il succedersi dei sogni e
dei vissuti... questo un'esperienza analitica ben fatta cerca, fa vivere e
realizza. L'inconscio apre crisi, movimenta il quadro interiore, rompe
equilibri, per condurci con fermezza, costi quel che costi, verso noi stessi,
verso la nostra capacità vera di vedere con i nostri occhi, di pensare, un
pensare che abbia guida e fondamento dentro ciò che sperimentiamo intimamente,
che sia comprensione fedele della nostra esperienza. Il nostro inconscio spinge
perché, non ignari di ciò che siamo e che possiamo, mettiamo al mondo il
nostro. Come analista da oltre vent'anni lavoro avendo per maestro l'inconscio.
Se aiuto l'altro a rivolgersi alla sua interiorità, all'ascolto del suo
profondo, so di non fargli acquisire un armamentario inutile di formule e di
spiegazioni, so di non condannarlo a rimanere vittima del suo corto respiro e
pensiero, ingabbiato dentro una visione di sé e delle sue possibilità precostituita
e chiusa, ma so di avvicinarlo alla fonte della sua conoscenza e della sua
rinascita come individuo davvero autonomo, capace di trovare la sua guida
dentro se stesso e di dare volto e contenuto propri alla propria vita.
(16/4/2007)
lunedì 18 agosto 2025
Che lo si voglia o no
Siamo creature complesse, non siamo riducibili a una sorta di congegno che deve girare con meccanica regolarità. Subito mal disposti verso momenti e esperienze interiori in cui sensazioni e stati d'animo non corrispondono alle attese, presto inclini a considerarle anomale quando assumono carattere insistito e poco piacevole, quando sembrano intralciare o nuocere al perseguimento di risultati considerati validi e convenienti, si insiste nella pretesa che tutto di se stessi debba girare a senso unico e concorde con le valutazioni di opportunità e di necessità di cui si è portatori. Ci appartiene però una parte profonda, che non è certo poca cosa, anche se ampiamente misconosciuta, ignorata. Questa parte della nostra psiche che lo si voglia o no è attiva, fa avvertire di continuo la sua presenza, è decisiva nell'indirizzare, nel plasmare ogni momento interiore, ogni espressione del nostro sentire. La nostra vita interiore, il divenire di ciò che si svolge dentro di noi le appartiene. Mica è poca cosa. I sogni poi sono il suo per eccellenza, dove dà il meglio delle sue capacità di pensiero. Insomma una parte non da poco quella svolta dal nostro profondo. Eppure è idea comune che ciò che conta e che segna i confini del proprio essere, ciò su cui è fondamentale fare conto stia nella parte conscia, nell'esercizio del pensiero conscio razionale prima di tutto, nell'impiego della capacità decisionale e della volontà di riuscita. Il resto di sensazioni, stati d'animo, moti interiori è visto solo come una cassa di risonanza di eventi e di condizionamenti esterni e nei momenti decisionali e dell'agire può lasciar vedere solo l'adeguatezza o meno nella propria capacità di reggere il confronto con l'esterno, la propria validità nel dare prova di essere all'altezza. La parte profonda del proprio essere non può subire più radicale misconoscimento delle sue qualità, proprietà e valenze. Eppure questa visione del proprio essere ridotta e circoscritta a una parte, quella di esercizio di intelligenza razionale e volontà, che comunque è considerata egemone e che al resto di emozioni e di vicende interiori riconosce solo un ruolo subalterno, una funzione accessoria e di rincalzo, è la visione comune, imperante. D'altra parte a cosa si bada nell'assistere e nel promuovere il processo di crescita di un individuo se non a che apprenda e si attrezzi di capacità di dare prova di intelligenza, di abilità e di prestanza secondo i criteri convenzionali? E' tutto un equipaggiarsi di schemi di pensiero, di moduli di prestazione in totale disgiunzione dall'intimo. Anzi l'educazione prevede che il dentro si accordi, non faccia storie, che semmai si converta a essere voce gregaria, che si addomestichi. Gioia, esaltazione, entusiasmo, viceversa delusione, frustrazione e sconforto tirati bene con i fili che ormai fanno capo non al dentro sè autonomo, ma a alla autorità del senso comune. Il ben figurare, l'avere successo, l'essere ben considerati diventano la misura del proprio valore, il giudizio altrui è l'autorità di riferimento. Non c'è entusiasmo che più tenga di quello di ben figurare, non c'è delusione e avvilimento più cocente di quello di non riuscire a dare buona prova, a salire il gradino del successo, della prova di merito e di bravura, della conquista di posizioni carriera e di notorietà, del possesso di ciò che pare invidiabile e segno di capacità di riuscita, secondo i criteri comuni e dominanti. Questo stravolgimento di natura raggiunge un tale livello di consolidamento e di consuetudine da risultare ovvio e naturale. Non cè corrispondenza con se stessi, non c'è autonoma scoperta di significati e di valori, tutto corre dietro a altro, ma paradossalmente finisce per apparire normale, dunque naturale, questa condizione di ribaltamento del vero ordine naturale, che vorrebbe che a partire da sè e con l'impiego delle proprie risorse interiori, lavorando sulla propria esperienza, in pieno accordo col proprio intimo si formi la propria scoperta dei significati e di ciò che vale per se stessi e che non la si assuma già concepita e formata da altro che, fornendo le guide e le chiavi di lettura, oltre che i percorsi già segnati, diventa fatalmente regolatore del proprio pensiero e delle proprie aspirazioni. La parte profonda però non sta a guardare, soprattutto non si lascia travolgere e stravolgere da questo corso anomalo, anzi lo vede con chiarezza per quello che è e perciò prende posizione e anima a modo suo il quadro interiore, incalza col malessere interiore, gli dà forte risonanza, proprio per porre il problema, che l'altra parte ignora, così assuefatta com'è al corso innaturale che viceversa considera ormai normale. Che lo si voglia o no siamo creature complesse, in cui per fortuna c'è una parte di noi stessi che non si uniforma, che sa aprire gli occhi, che, seppure considerata subalterna, ha capacità di concepire l'umano come ricerca autonoma, come libertà di pensiero, come desiderio di uscire dal recinto della prestazione da dare, per costruire le basi di una vita autonoma che sappia sviluppare qualcosa di originale e non gregario. Per fortuna l'inconscio c'è, anche se non gode di attenzione, anche se spesso frainteso. Chi lo sa riconoscere per ciò che è e che vale scopre quanto possa e sappia dare per ritrovare la propria vera natura.
sabato 16 agosto 2025
La scienza e la pseudoscienza
La scienza nel suo significato più autentico si nutre di
pensiero critico, del rigore della ricerca, che, non imbrigliata nel già
concepito e consolidato, libera da preconcetti, da impazienza e da bisogno di
trovare risposte pronte e di comodo, vuole vedere chiaro e verificare ogni
cosa, senza limitazioni e riduzioni, senza approssimazioni, senza forzature e semplificazioni,
senza concedere all'idea dell'ovvio e dell'inconfutabile mai. Tutto questo
senza posa. La ricerca di verità e di conoscenza non è una prerogativa e una
esclusiva di nessuno, per ognuno la possibilità e il compito di esercitare
pensiero critico e attento, impegnato nella ricerca del vero, la facoltà di
sviluppare conoscenza, di non farsela semplicemente propinare da chi sale sul
pulpito di un presunto sapere indiscusso. Non è accettabile, è in totale
contrasto con ciò che è e che persegue, sacralizzare la scienza, chiudendola
nel santuario delle verità definitive e che non ammettono dubbi, rese tali
dalla supposta autorevolezza e dall’ossequio a loro concesso di esperti, che
pretendano e cui sia attribuita l’autorità di dettare cosa sia l'indiscutibile
della conoscenza. Sul terreno psicologico non sono poche le insidie della
scienza, sarebbe meglio dire della pseudoscienza, che si auto consacra come
autorevole fonte di teorie, spiegazioni e soluzioni, che si pretendono
scientificamente provate, da applicare a questo individuo e a quello. E' in
gioco per ognuno, sul terreno della conoscenza di se stesso, qualcosa di
estremamente prezioso e importante, decisivo per la sorte della propria
vita. La conoscenza di se stessi e la
scoperta del senso e del potenziale della propria vita sono infatti il fulcro,
la bussola e sono il patrimonio vero di una vita, su cui fare conto per non
lasciarsi portare da altro, sono qualcosa di singolare non equiparabile a
altro. Sono scoperte da coltivare con cura, col massimo di apertura a se
stessi, di disponibilità all’ascolto della propria interiorità, sono scoperte
originali e inedite, non riportabili, se non attraverso forzature e
manipolazioni, nello stampo di questa teoria o di quell’altra che pretendano di
possedere risposta applicabile a ognuno. Si può facilmente comprendere che affidarsi a simili teorie
semplifichi, anzi faccia saltare a pie pari, il lavoro personale di ricerca,
sia che a farvi ricorso siano i discepoli di questa o di quella scuola e teoria
psicologica, che diventa per loro dottrina, con quali effetti è facile
immaginare quando si propongano come terapeuti, sia che a cercare risposte sia
chi vive in prima persona disagi interiori
e confidi di trovarle già
confezionate in qualche presunta autorevole fonte, pronta a
dispensarle. Le esperienze interiori, le
verità da scoprire, i modi e i percorsi per raggiungerle sono in realtà non
uniformabili a nulla, sono unici, diversi per ognuno, non rientrano in niente
di già detto e spiegato e concepito. Non ci si può permettere di essere passivi
e al traino di pensieri altrui, anche dei presunti accreditati esperti, di
essere illusi o creduloni, ne va della propria sorte e del valore compiuto e
soprattutto ancora incompiuto della propria vita. Nulla va dato per scontato.
L'esperienza interiore di ognuno è patrimonio e risorsa di straordinario
valore, unica e originale, merita perciò attenta considerazione e verifica il
modo in cui è considerata e trattata. L'esperienza interiore è esposta infatti
troppo spesso al rischio di essere oggetto di spiegazioni e di trattamenti a
dir poco inappropriati. Lo è nel modo comune di pensare e di trattare
l'esperienza e il disagio interiore, lo è non di meno e non raramente nel modo
professionale dei cosiddetti esperti della psiche e delle scuole di pensiero a
cui si affidano. La sofferenza interiore è specchio di se stessi, è lievito di
verità e pungolo alla presa di coscienza, senza più rimandi e fughe, senza
rifugio nell'abitudinaria lontananza da se stessi. L'esperienza interiore difficile
e sofferta, che non concede agio e distensione, quieto vivere e andamento
indisturbato e sciolto al passo con l'insieme, è crogiolo di verità da
riconoscere, è presa decisa sull'individuo esercitata dal suo intimo e
profondo, che non gli concede più
rinvii, che non vuole stare in ombra e alla periferia del suo essere, che vuole
consegnargli e mettergli in primo piano sotto gli occhi non la cronaca e le
invenzioni del ragionamento, ma il suo stato e modo di procedere, i nodi veri e
insoluti della sua vita. Il profondo, che con decisione smuove la situazione
interiore, che la orienta e plasma, vuole sostenere e promuovere, non la corsa
per dare buona prova, non la tenacia del rimanere incollati agli eventi
esterni, pronti a rimasticare i discorsi in auge, a non farsi sfuggire ciò che
in genere si giudica importante e irrinunciabile, ma la necessità della
personale crescita, non di immagine, ma di sostanza, del cambiamento per non
essere solo un ruolo, una parte ben svolta e una parvenza d'essere, ma
un'identità definita e originale, vera. Ebbene, se la tribolazione interiore,
se il malessere interiore nelle sue diverse forme, è espressione
dell'iniziativa di una componente intima e profonda dell'individuo che vuole,
senza se e senza ma, dargli occasione di vedere chiaro in se stesso, per non
proseguire incurante di verifiche attente e serie, accontentandosi del corso
dell’esistenza secondo cosiddetta normalità, perdendo di vista la necessità di
aprire gli occhi, di conoscere il vero di se stesso, di formare pensiero
proprio e ben piantato sull'intima esperienza, per aprire la strada alla
realizzazione autentica di se stesso, per non fare sciupio della propria vita,
pago soltanto di essere ben conforme all'insieme e confermato da sguardo e da
giudizio comune, è sconfortante vedere come una simile esperienza interiore,
così carica per chi la vive di significati e di potenzialità trasformative
importanti e decisive, è spiegata e trattata abitualmente. La difficile e
sofferta esperienza interiore è spesso letta come segno di malfunzionamento da
correggere, come disturbo che nuoce da mettere a tacere, come patologia da
sanare, come malaugurata conseguenza di questo o di quello che nel passato o
nel presente avrebbe fatto danno. Ogni espressione della vita interiore,
tutt'altro che secondaria a un danno patito, ben altro che espressione di
malfunzionamento, sa e vuole dire e rendere tangibile una questione vera,
rendere riconoscibile il modo d'essere e di procedere, di condurre la propria
vita, di cui si è attori e responsabili verso se stessi, rendere più che
fondata e comprensibile la necessità di adoperarsi per un profondo cambiamento.
Nulla di ciò che si prova e si patisce interiormente, anche se difficile,
doloroso e spiacevole, è privo di senso, anzi è carico di capacità di svelare,
di far capire, non in modo freddo come con i ragionamenti, ma tangibile e
toccante, acuto, qualcosa di centrale di se stessi, che riguarda il proprio
stato e modo di procedere. Sia che, per fare qualche esempio, con l'ansia, dove
si abbia la pretesa di procedere, anche se totalmente privi di conoscenza vera
e fondata di se stessi e delle vere ragioni e implicazioni per sé del proprio
modo di condurre la propria vita, segnali la verità di un traballante
equilibrio, di un terreno fragilissimo e per nulla affidabile su cui si sta
poggiando e muovendo i propri passi, sia che col vissuto depressivo spinga alla
percezione cruda e dolorosissima del vuoto e dell'inconsistente, dell'anonimo e
incolore, del volto spoglio di una vita, ora quasi insopportabile e opprimente,
costruita solo sulla dipendenza da altri, sul far proprio ciò che altro da
fuori, nell’esempio e nel pensato comune, ha indicato come strada da seguire e
come realizzazione da cercare, senza nulla di generato e tratto da sè capace di
dare alla propria vita volto, ricchezza e luce proprie, sia che con l'incastro
ossessivo dei mille e disparati ragionamenti e dei controlli minuziosi, delle
azioni preventive per tenere tutto in ordine e sotto controllo sveli impietosa
che l'istanza di stare ben al sicuro e al riparo dalle proprie incognite e da
se stessi ha fatto da fulcro dell'intera vita, tutto ciò che l'esperienza e la
sofferenza interiore dice è significativo, è un forte richiamo alla ricerca
della verità di se stessi, è un pungolo al lavoro di presa di coscienza e di
cambiamento per portare la propria vita a una realizzazione autentica. Il vero ostacolo
da superare in presenza di un'esperienza interiore difficile e sofferta è la
mancanza di familiarità e di capacità di ascolto dell'esperienza interiore, che
si trascina da sempre. Purtroppo nel suo percorso di (cosiddetta) crescita
l'individuo impara a relazionarsi col fuori e non col dentro se stesso, anzi il
legame col fuori assume carattere dominante fino al punto che il dentro è
inteso come eco e appendice che deve unicamente accordarsi col fuori, stare al
passo. Accade così che dentro questa abituale mancanza di rispettoso e
fiducioso dialogo con la propria interiorità l'unica risposta che prende piede
in presenza di malessere interiore è di allertarsi per tenerlo a bada e
possibilmente per metterlo a tacere. Eppure sarebbe possibile imparare, casomai
con l’aiuto di chi sia capace di dare valido contributo in tale direzione, a superare la abituale distanza dal proprio
intimo, per cominciare piuttosto che a mettere in atto trattamenti e
spiegazioni incongrue, a ascoltare il proprio sentire, a comprenderne il
linguaggio, anche se pare così difficile, per farne tesoro, per riconoscerlo
non come patologia, ma per quello che è veramente, cioè terreno fertile seppur
impegnativo per coltivare conoscenza di se stessi e nascita di qualcosa di
proprio e di autentico. Dare addosso al disagio, al malessere interiore per
metterlo sotto cura e trattamento, affinchè taccia e si normalizzi, facendo
proprio il contributo di una pseudoscienza pronta a dare sostegno , credito e
manforte a simili propositi, svela solo l'ignoranza circa la vita interiore,
che non è roba aliena, ma è la personale intima vita interiore, ignoranza di
cui si è portatori, che dà campo libero all'ottuso e pervicace attaccamento a
far girare le cose nell'unico verso conosciuto e ritenuto normale e dovuto,
reso scioccamente indiscutibile e assoluto.
martedì 12 agosto 2025
Il terreno incolto
Si dà tanto valore alla cultura, alla conoscenza che si nutre del già detto, dell'altrui detto e coltivato, talora ben e originalmente creato e coltivato, talaltra assai meno, perchè di produzioni che rigirano e ricalcano il già concepito e il concepito d'altri sono pieni gli scaffali. Intanto vige la incapacità di entrare in rapporto e di coltivare ciò che la proposta interiore suggerisce di continuo nei vissuti, nel sentire, nelle emozioni, nelle spinte interiori, nei sogni, in tutto ciò di cui la propria interiorità è testimone, di cui il proprio inconscio è artefice e promotore. Solitamente l'esperienza interiore è fraintesa nella sua origine e significato. Si dà sempre la priorità ai fattori esterni e si pensa che ciò che il proprio sentire mette in campo sia condizionato da stimoli esterni, che ne sia l'eco, la meccanica risposta e se talora questa può apparire esagerata o strana, la si fa risalire, se non a vizi di fabbrica e costituzionali, a eventi, a traumi passati, a educazione ricevuta e a altro che si ritene sempre determinante, che avrebbero lasciato impronta più o meno distorsiva su quello che si suppone dover essere il normale o fisiologico modo di sentire e di reagire. Che esista una parte intima e profonda dotata di intelligenza e di capacità propositiva, che questa parte intervenga per dare stimoli e per esercitare richiami ben precisi per aprire lo sguardo riflessivo sui propri modi di procedere, di rapportarsi all'esperienza, di pensare se stessi e ciò che si sta facendo, conoscenza di cui si è spesso deficitari in abbandonza, è idea che non appartiene ai più. Nella idea e nella pratica comune ciò che si muove interiormente va essenzialmente tenuto a bada, è considerato un corteo di sensazioni che nulla sono in grado di dire e di offrire se non quello che già si sa e che sbrigativamente gli si mette sopra col ragionamento. Dunque ciò che la propria interiorità offre come terreno da coltivare per trarne il frutto della conoscenza di se stessi e della verità della propria condizione, delle possibilità trasformative e di crescita possibili, rimane trascurato, totalmente incolto. Si fa uso di un sapere preso da altra fonte e matrice, quella condivisa, dove le attribuzioni di significato, le concatenazioni logiche sono già pronte e si finisce per vedere con occhi che paiono i propri, ma che in realtà replicano il preso in prestito dalla mentalità comune, casomai affinato dal ricorso a altre fonti più o meno nobili, con l'utilizzo di ciò che gli esperti, i pensatori d'accademia, hanno detto, con l'impiego di tutto ciò che, tratto da studi e da letture d'autore, ci si è procurati. Da un lato c'è la propria fonte intima di conoscenza che dà di continuo il materiale e le guide su cui lavorare per vedere con i propri occhi e su base di esperienza e di ricerca proprie, utilizzando farina del proprio sacco, dall'altro, ignari della prima, si mette in esercizio un pensiero che prende da altro i contenuti, le guide e la logica che lo tiene insieme. Il risultato non può che essere quello di mettere in moto pensieri, di vendere a se stessi come conoscenza quello che è nella sostanza un parlare e pensare a vanvera e a sproposito rispetto a ciò che accade nella propria esperienza e a ciò che riguarda la conoscenza di se stessi. La mancanza di capacità di raccogliere la proposta interiore, di capirne il valore e il significato come alimento di crescita personale e di conoscenza vera e fondata ha come triste conseguenza quella di trattare come ospite indesiderato e di prendere a badilate ciò che la propria interiorità propone con intensità e con forza nel malessere interiore, in cui diventano fitti e ficcanti i richiami, in cui la presa del profondo diventa più forte e non per caso. La parte profonda del proprio essere non accetta la lontananza da sè dell'individuo, che devia da ciò che gli è intimo e connaturato, che si spende per essere all'altezza di altro e che ignora la necessità di capire, di vedere cosa sta in realtà facendo di se stesso e della propria vita, di conoscersi, di comprendere cosa più intimamente gli appartiene. La reazione assai frequente al malessere interiore, l'intervento che vuole mettere a tacere ansia e altre espressioni di malessere, che sono stimoli e guide per aprire finalmente gli occhi, producono assai frequentemente come risposta quella di volersi difendere da un presunto nemico interno, di volerlo sedare e controllare, di comprimere le sensazioni, di evadere, di spiegarle, quando si decida di indagare per capire e casomai ci si faccia aiutare in questo dentro una psicoterapia, come retaggio di cattive esperienze del passato. Belle pensate queste ultime, che a un attento esame ahimè si rivelano essere, per quanto messe in piedi con quadratura logica, argomentazioni sballate, lontane dal vero, conseguenza fatale della incapacità di rapporto, di ascolto e di dialogo con la propria interiorità, in cui l'incolto trionfa. Non è infrequente che l'intervento di una psicologia, che si propone come scientifica e professionale e che di fatto è omogenea con la psicologia comune, che cerca soluzioni, spiegazioni e presunti rimedi che in nulla comprendono il significato e il valore della proposta interiore, che ignorano la presenza decisiva sulla scena interiore del profondo, finisca per chiudere il cerchio dell'incomprensione. Finisce per lasciare incolto il terreno che merita di essere coltivato, il terreno della conoscenza di se stessi su base viva e affidabile, quella offerta dalla propria interiorità nel sentire, nei sogni (sono la via maestra per conoscere se stessi), in tutto ciò di cui è artefice e cui dà voce e espressione il proprio profondo.
domenica 3 agosto 2025
La vera solitudine
Si pensa in genere alla solitudine come a uno stato di allontanamento e di mancanza di contatti e di rapporto con gli altri. La si considera in non pochi casi come uno stato infelice, oggetto, quando coinvolti, di auto e di altrui commiserazione, come una condizione di abbandono, che depriva, che sottrae un che di vitale, collocato fuori, negli svolgimenti esterni, negli altri, considerati essenziali per dare sostegno e contenuto alla propria esistenza, per procurare a se stessi occasione di entrare nel corso (ritenuto) reale della vita, per non rimanerne esclusi, per avere opportunità di arricchimento della propria esperienza, di crescita o più semplicemente per trarne qualche sollievo e rassicurazione, per evadere da quel senso di mancanza. C'è chi guarda allo stare da solo con minore pena e angoscia, come a un che di necessario a tratti e di utile. Accade non di rado che in quei momenti di solitudine ben accetti, più che un vero ascolto, incontro e dialogo con se stessi, con la propria interiorità, prenda il sopravvento l'iniziativa di riempire quegli spazi con altro, che sia una lettura, l'ascolto di musica, la visione di qualche programma in tv o in connessione a internet, oppure l'impegno in qualcosa di pratico o di convenzionalmente considerato "creativo", poco importa, purchè sia in grado di dare riempimento. Se c'è interesse per il prendersi cura di sè, per il rapporto con se stessi, non è raro, soprattutto in presenza di qualcosa di interiormente difficile, che si cerchi di adottare qualche forma di rilassamento o che si ricorra, giusto per fare qualche esempio, a tecniche tipo meditazione, che in ogni caso implicano applicare un procedimento appreso, che non sono apertura schietta e incondizionata alla propria interiorità in ciò che dice e propone, che viceversa chiedono distacco da ciò che di più intimo e vero si propone come inquieto e teso. Da soli può anche accadere che si dia il via a una sorta di riflessione sulla propria esperienza e condizione, sulle questioni in primo piano, che in realtà si traduce in una rielaborazione ragionata che vede l'intimo di sè, il proprio sentire, la propria esperienza intima viva più come oggetto di spiegazioni e di commento, che come parte viva propositiva, cui sia data parola, con cui porsi in ascolto e in dialogo. Prende forma in sostanza un monologo, dove la parte dei soliti noti del ragionamento e dell'iniziativa conscia ha il sopravvento e l'interiorità diventa solo oggetto di intervento e non soggetto dialogante. Accade così che si permanga nel rapporto con se stessi nella condizione di distacco, di lontananza, di solitudine vera, di mancanza di relazione viva, di privazione e addirittura di ignoranza di tutto ciò che può dare e significare l'incontro, la vicinanza e lo scambio vivo e fecondo con la propria interiorità. Questa è la vera solitudine che è privazione di un legame davvero vitale e di uno scambio decisivo, importante, quello con la propria interiorità e che spinge a cercare in altro indiscriminatamente, bisognosamente, ogni apporto e supporto vitale. Questa condizione di solitudine nel rapporto mancato con la propria interiorità ha conseguenze rilevanti, anche se abitualmente ignorate, non considerate, incomprese, sul proprio modo di pensarsi, di percepire se stessi. Permane l'idea e l'immagine distorta del proprio essere, che, limitato a stare nella sostanza nei confini di una parte, quella conscia di volontà e ragione, vede il resto come appendice subalterna, che a tratti può risultare scomoda, difficile da comprendere e soprattutto da "gestire", ma che non entra a far parte, che non diventa parte fondamentale del proprio essere. Dico che è parte fondamentale, perchè, senza il contributo di questa parte intima e profonda, continuando a ignorarne il vero volto, ci si priva della possibilità di aprire gli occhi, di avere visione vera e fondata di sè, dei nodi veri della propria vita, perchè senza lo scambio col proprio intimo e profondo, senza il suo apporto non c'è nulla di davvero visto da vicino di sè, di vero, nulla di scoperto come autentico, di riconosciuto come originale e proprio, non c'è comprensione autonoma dei significati della propria vita, riconoscibili dentro e attraverso la propria esperienza, non c'è formazione e conquista di punti cardine e di orientamento propri, non c'è scoperta della grande affidabilità della propria guida interna, esercitata dal proprio profondo, non c'è scoperta di quanto sia rigenerante e arricchente attingere al proprio intimo. Accade di conseguenza che tutto, risorse per arricchire la propria vita o semplicemente per non vederla languire, modi di pensare e di intendere i significati dell'esperienza e ciò che vale, sia cercato fuori, sia tratto da modelli e da aspirazioni comuni, che il rapporto con gli altri e con l'esterno appaiano come fonte vitale essenziale. Quando si esce dalla solitudine interna, che è la vera solitudine, che è mancanza di rapporto vivo e dialogico con la propria interiorita, è conseguente che il rapporto con gli altri assuma un ben diverso volto da quello spesso prevalente, segnato da istanze di attaccamento dipendente, da necessità di piacere, di compiacere, di cercare e di dare consenso. Disponendo di un proprio centro, di una base si ascolto e di dialogo con la propria interiorità, l'incontro e lo scambio con l'altro, è vissuto con senso di libertà, che consente, se se ne avverte la possibilità e la spinta interiore, di coinvolgersi nella ricerca di un incontro umano non superficiale, fondato su capacità di ascolto e di dialogo attento e sincero, con possibiltà di scambio e di arricchimento vero.