sabato 13 settembre 2025

Il male oscuro: la depressione

Chi si confronta con la sofferenza depressiva, con un lago di infelicità, con la sensazione che nulla abbia più colore, che di se stessi non ci sia più nulla che vale, che non ci sia più credo e spinta vitale possibile per sè, dentro un tutto solo opprimente, teme che si sia aperta una voragine, che non ci sia più nulla di se stessi, solo un male oscuro. E' proprio con queste parole "male oscuro" che si chiama abitualmente quel dolore che scava, che non cede, che stronca ogni iniziativa, che spegne tutti i desideri e affonda ogni speranza. Eppure quel male, che pare solo togliere, spegnere e negare qualsiasi anelito vitale, ha in sè altro. Anche se così doloroso e impietoso, senza limiti e radicale, non è affatto detto che sia un insano modo di vedere e di sentire, che non colga in profondità e che non dica il vero. Una vita cercata e inseguita ponendosi in appoggio e a rimorchio d'altro ha di fatto chiuso, ha lasciato intentate altre strade, ha lasciato cadere altre possibilità, più impegnative, ma anche più connaturate, più interiormente vive, non ha certo fatto sì che il proprio originale fosse cercato e riconosciuto, che fosse coltivato, che fosse portato alla luce e fatto crescere. Una vita condotta facendo affidamento più su altro e su credo comune che sul proprio sguardo, facendosi portare e ispirare nell'assumere modi e soluzioni che le avrebbero dato completezza e dignità, a volte persino di apparente ottima riuscita e pregio, piuttosto che investire, casomai con più dispendio di tempo, di impegno e di coraggio, su propria ricerca, sul dare credito e portare a maturazione e a compimento  proprie idee e convinzioni, non può che andare incontro a verifica circa la sua debole, anzi assente radice interna, valida, forte, irriducibile. Se una simile vita, affidata a altro e copia d'altro a cui si è ispirata e omologata, zoppica, se infine interiormente non è più sorretta e non sta più in piedi, non può fare meraviglia. La depressione è onesto bilancio e sguardo, che non maschera più le falle, che non nasconde più i vuoti. Si ha un bel da dire, così ci provano le persone vicine a stimolare e a incoraggiare, che ci sarebbero validi motivi per risollevarsi, per rilanciare la fiducia in se stessi, la motivazione e la voglia di vivere, che ci sarebbero i perchè per sentirsi non così infelici, facendo riferimento a cose, a realizzazioni fatte, a affetti, a legami, ma la parte intima sincera dice che manca alla vita condotta sinora ciò che potrebbe renderla riconoscibile come la propria vita, come la propria storia con un suo costrutto, un'opera originale, un che che non si dissolva, che si possa sinceramente amare e che si possa sentire vicino, caldo e vicino davvero. Se si è vissuto o, forse sarebbe meglio dire, sopravvissuto, casomai facendo e agendo, ma dentro ruoli e parti, sì ben svolte, in alcuni casi persino con grande e acclamato successo, ma prese in prestito, rese credibili da considerazione, da stima e da pensiero comune, se si sono portate e legate a sè le vite altrui, che sia un familiare, il compagno/a o i figli o altro a cui ci si è votati e vincolati per stare su, che cosa si è creato davvero di cui ci si possa sentire artefici, a cui ci si possa rivolgere per riconoscere che la propria vita ha valore,  consistenza e volto autentico e proprio, per trovare un filo vero di passi compiuti, di fatiche e di errori e di presa di coscienza e di crescita a partire da errori, un filo di scoperte, di credo proprio, di passioni originali? Da una verità amara si può comunque finalmente ripartire, una verità dolorosa e amara, ben riconosciuta, lucidamente e senza sconti e fughe fatta propria, è comunque un valido punto di partenza per cominciare a ritrovarsi, molto meglio e ben diversamente dal tornare a stare appesi a illusioni, da cui prima o poi si tornerà a precipitare al suolo. In questo la depressione è coraggiosa, oltre che onesta e sincera e offre un punto di partenza valido e affidabile, purchè non le si spari addosso, giudicandola semplicemente insana e malata, senza ascoltarla e valorizzarla, per rilanciare, per gonfiare ancora l'illusorio, il facile, comodo, ingenuo illusorio. Il profondo, che consegna una simile dolorosa quanto sincera verità su se stessi e su quanto sinora fatto della propria vita, ha tutta l'intenzione e la capacità, dove si crei sintonia e gli si dia accordo nell'aprire finalmente gli occhi e nel proposito di invertire la rotta, di fare sul serio, stavolta facendo leva su impegno di intelligenza e di ricerca proprie e non su risorse prese in prestito e appoggiandosi a altro e a altri, di sostenere e di alimentare  una simile svolta epocale, con pazienza, con determinazione, con coraggio. Il profondo sa dare le guide e le occasioni per formare finalmente visione e idee proprie, sentite, comprese, in sintonia con se stessi, l'inconscio, che espone alla verità senza sconti, vuole aprire la strada alla rinascita su basi salde, originalmente proprie e vere. La cura, il prendersi cura su questo può fare conto per essere vera cura e per non limitarsi a essere tentativo di rilancio e di recupero di una vita cui, al di là delle illusorie solide parvenze, in quella forma manca l'essenziale per essere tale, per stare su, per credere in se stessa. La depressione, un'esperienza interiore dolorosa e impietosa come poche, fermamente mossa e così plasmata dal profondo, non certo senza intelligenza e senza scopo, chiede imperiosamente di essere ascoltata. Vista come patologia o come caduta da cui essere tratti in salvo e risollevati, per tornare a abbracciare il solito, nella sostanza tali e quali a prima, non trova di certo l'ascolto e la rispondenza che cerca, non vede raccolto il suo invito tanto difficile quanto profondamente sano.

domenica 7 settembre 2025

Il potere del marchio

E' sorprendente come risulti gradita e ben considerata da parte di chi vive un'esperienza di disagio e di sofferenza interiore l'operazione di vedersi attribuire un'etichetta riconosciuta come atto di scienza. Pare risolvere ogni dubbio circa il significato di ciò che sta provando, di cui sta facendo intima esperienza. Fatta equivalere alla diagnosi in medicina, sembra dare a chi la riceve certezze, la certezza di sapere da quale presunto morbo sarebbe afflitto, in qualche modo traendo conforto, nel tribolato confronto con la sua esperienza interiore difficile e sofferta, dalla possibilità, vidimata, certificata dalla diagnosi dell'esperto, di incasellarla come disturbo e come guasto, di stigmatizzarla come accidente e carico negativo di cui, dopo l'etichettamento diagnostico, con più persuasione considerarsi vittima e volersi liberare. L'etichetta diagnostica pare offrire un ulteriore vantaggio, perchè ritenere di avere comune sorte con altri, pur essi inseriti nella stessa casella della stessa presunta patologia, sembra in qualche modo dare rassicurazione e rincuorare. La delega a altri di sancire da esperto o presunto tale cosa sia ciò che l'individuo sta vivendo nell'intimo è il primo passo di una delega più ampia fatta al terapeuta diagnosta, di prendersi cura di sé, esercitando un ruolo di arbitro nel dire come provvedere, che farmaci o soluzioni adottare. Tutto questo, la presa di distanza dal proprio che vive dentro se stesso, il disimpegno dal difficile confronto con la propria vicenda interiore, dal compito di capire se stesso nella parte intima e profonda, di comprendere ciò che la propria interiorità attraverso il malessere vuole comunicare e far intendere, sembra dare sollievo, garantire un vantaggio, sembra un modo valido e favorevole di prendersi cura di sè. D’altra parte la propria vita interiore, ciò che nel sentire si muove e si propone passo dopo passo nella propria esperienza quotidiana, non ha avuto di certo nel tempo, nella vita di molti, della stragrande maggioranza, un posto di rilievo. Considerando sempre le proprie emozioni, il proprio sentire come conseguenza di cause e di fattori esterni e non come voce della parte intima e profonda, come richiamo e proposta rivolti alla parte cosiddetta conscia, il rapporto col proprio intimo, col proprio sentire è stato e è di convivenza poco attenta. Un rapporto fatto di attenzione saltuaria verso sensazioni e stati d’animo, a cui, quando più marcati, è destinato qualche commento, deduzione e spiegazione, che, affidate all’arbitrio del ragionamento, per quanto in apparenza plausibili, fatalmente nulla hanno a che vedere con ciò che quel sentire vuole comunicare, con ciò che potrebbe essere raccolto e inteso se si fosse portata a maturazione capacità di ascolto, di comprensione del linguaggio interiore. Intendersi con la parte intima di sé non è stata e continua a non essere per molti la priorità. Nel percorso di crescita è stato e è il legame e lo scambio con l’esterno, con gli altri al centro del proprio apprendimento, del proprio sguardo e delle proprie preoccupazioni e attenzioni. Ciò che vive interiormente è considerato solo una coda, un’eco di accadimenti esterni, un loro seguito su cui prevale l’intento di tenerlo in qualche modo a bada e a rimorchio. Quando dunque le cose interiormente si fanno difficili, poco piacevoli e insistenti la reazione è quella di allarmarsi, di mettersi da subito sulla difensiva e sulla controffensiva, di reagire contro una sorta di minaccia, di peso molesto, finendo per consegnare quell’esperienza al titolare di una cura, perché gli dia una definizione e da lì un trattamento, possibilmente rapido e risolutivo. La possibilità di scarico di ciò che interiormente impegnativo e che già in partenza, prima dell'incasellamento diagnostico, era considerato un guasto e una presenza molesta, una volta ottenuta la cosiddetta diagnosi, la diciturina di sindrome o di patologia tal dei tali, è confortata, autorizzata e incentivata dalla scienza, da chi ne sarebbe esponente e depositario, che autorizza a rigettare come patologia ciò che di sè è difficile da sostenere e da comprendere. In presenza di una esperienza interiore certamente sofferta e all'inizio di difficile comprensione, sarebbe importantissimo essere aiutati a avvicinarla, a ascoltarla e a capirla in ciò che dice. Dopo l'etichettamento come patologia col suo bel nome l'auspicio viceversa è soltanto di metterla a tacere, di combatterla e di debellarla. L'operazione diagnostica di incasellamento di una complessa e personalissima esperienza interiore in una categoria o casella del patologico anche se comporta la conseguenza, non certo lieve, di affossare ogni fiducia in ciò che vive dentro se stessi, anche se in una forma così insolita e difficile da reggere, è però tutt'altro che sgradita, anzi è benvoluta, riverita e accreditata come capace, oltre che di riaprire una possibilità di salvezza, di spiegare tutto, di dare definizione, volto definitivo, di fare chiarezza. Magia delle parole di sapore tecnico che illudono che ci sia scienza e conoscenza dove invece scatta solo un'operazione di grossolana descrizione delle apparenze, sostenuta da pregiudiziale distinzione tra ciò che è ritenuto valido, sano, accettabile e normale e ciò che invece è, senza ombra di dubbio, collocato nella serie delle cose anomale, devianti dalla norma, diligentemente distinte e catalogate in varie caselle diagnostico descrittive. Capire se stessi, scoprire che nulla di ciò che si prova è insensato e privo di capacità di dire, di favorire l'avvicinamento a se stessi e la presa di coscienza di qualcosa di importante, è possibile con l'aiuto giusto. E' la parte profonda del proprio essere a muovere il malessere, in una forma niente affatto casuale, per spingere e impegnare a fermarsi, a aprire gli occhi sulla propria condizione vera, fuori da illusioni, a vedere ciò che nel modo di procedere, di pensare e di pensarsi abituale è totalmente ignorato, travisato, non compreso. Non c'è nulla nelle proprie vicende e vicissitudini interiori che non sia capace di dire e di dare consapevolezza utile e fondata, che non abbia questo scopo. E' la fiducia nella propria interiorità che va conquistata, scoprendo appunto, a dispetto della insofferenza, dell'allarme e del timore verso ciò che genera e propone, che invece tutto ciò che si sente e che si sperimenta interiormente ha sempre, anche nelle sue espressioni meno facili e in apparenza, solo in apparenza, abnormi, un senso, dice, vuole condurre a capire, a capirsi. Solo l'aiuto volto a ascoltarsi e a comprendere il linguaggio della propria interiorità può offrire questa opportunità, può permettere di non porsi in fuga o in guerra col proprio intimo. Prendersi cura di sè senza creare dissidio e disunione con ciò che si vive interiormente, senza alimentare paura e diffidenza verso parte intima di se stessi, traendo viceversa occasioni di crescita dalla propria crisi e sofferenza, è possibile.

sabato 30 agosto 2025

Ingenuità e incanto

Com'è facile la presa, la capacità di persuasione e di coinvolgimento di quanto nella realtà esterna è  organizzato e predisposto a indirizzare e a dare soluzione a necessità di crescita e di realizzazione personale, quando, ignari di sè, digiuni di scoperte proprie, si è pronti a farsi istruire e dire, stimolare e variamente condurre e soddisfare! Ogni potenziale espressione di se stessi, prima ancora di essere autonomamente compresa, prima di riconoscerne dentro e in unità con se stessi il volto e il significato, trova pronta traduzione in un sistema organizzato, in un modo di concepire l'individuo, le sue necessità, i modi della sua crescita e della sua realizzazione, in uso e ampiamente condiviso. Scatta così, come fosse ovvia e naturale, l'adesione a altro da sè che offre l'aggancio, che mette a disposizione la definizione, le guide e la soluzione pronta, oltre che le verifiche e le convalide, che diventa la base e il volano per espressioni di se stessi, per il perseguimento di traguardi, che non sembrano richiedere altro che capacità di selezione tra opzioni già definite e capacità di esecuzione. Non sembra esserci necessità e possibilità di riservare  a sè il compito e la facoltà di generare alla radice le risposte, ma solo di applicare ciò che già è definito, che è già concepito. Nel modo di procedere più comune e abituale le espressioni di sè nel verso dell'intelligenza, delle abilità varie, della sensibilità, dei sentimenti e degli affetti e di quant'altro vanno dimostrate, applicate, messe in campo, non hanno necessità di essere trattenute a sè per essere intimamente riconosciute, per essere con pazienza coltivate fino a prendere volto originale e forma consona, corrispondente a sè. Essere sprovvisti di forza di legame e di intesa con se stessi, conseguente al non avere trovato dentro e attraverso di sè risposte originali e congeniali, al non averle cercate e coltivate, fa da slancio a abbracciare in un moto di irresistibile attrattiva ciò che sembra dare occasione di espressione e di realizzazione propria, che anzi sembra esserne la traduzione  più ovvia e naturale. E' una risposta ingenua, che vede il cortocircuito della intelligenza, la rottura del vincolo a vedere con i propri occhi, a concepire da sè, a convalidare per presa di visione propria e verificata un'idea, un'affermazione, un proposito, che non è una pretesa di troppo o fantascienza, ma  che è ciò che spetterebbe all'individuo umano perchè possa considerarsi tale. Accade invece che il movimento passivo e senza riserve a aderire, a farsi portare e dire, si compia e non raramente, che non sia riconosciuto come tale, anzi che appaia come prova di intraprendenza, come corso ovvio e naturale, nella normalità, finendo per trovare nel "così fan tutti" ancora più forza di persuasione. Tutto finisce per declinarsi e per muoversi dentro dei canali stretti, pur dentro un'apparente quadro di libere scelte e variopinte. Conoscere diventa a senso unico istruirsi, acculturarsi, casomai viaggiare per ampliare i propri orizzonti, gioire diventa fruire di uso e consumo di piattaforme del divertimento, di quanto è offerto di godibile, di quanto è esaltato di feste organizzate, di appuntamenti da non perdere e di legami da afferrare e di cui non essere privi, la realizzazione personale e la conquista di traguardi significativi diventano la corsa alla carriera, alle promozioni e agli attestati vari e a quanto dà segno di merito e di raggiungimento di qualche traguardo o primato. Senza dimenticare che c'è poi, per alcuni a complemento, per altri a consolazione, la conquista mediata e per procura abbracciando una bandiera, tifando per un qualche eroe sportivo, sposando un credo, una ideologia con ben imbanditi valori e ideali. Senza scordare che, per uscire dalla noia dell'appiattimento del gusto e dell'interesse, c'è la tv o la rete, c'è la vita dei famosi da spiare a compensazione di una vita, la propria, lasciata nelle secche dell'inconsapevolezza e dell'abbandono. Com'è bello e seducente il mondo, che offre tante risposte e soluzioni pronte e che diventa e si autoproclama come la realtà, la realtà in assoluto, riconosciuta e celebrata come imprescindibile e elettivo luogo dove stare per stare nella vita, tenendo lì ben attiva la presenza e l'attaccamento, come se null'altro possa esistere e essere riconosciuto come reale e degno di essere abitato, coltivato, amato e fatto vivere e crescere! Certo, in questo modo di condursi e di interpretare la propria vita non c'è il motore della passione autentica, non c'è la gioia e la persuasione profonda, che non ha bisogno di conferme e di attestati di merito esterni, di far vivere qualcosa di intimamente riconosciuto come proprio e di valore. La contropartita diventa allora il far bella mostra di ciò che ai più piace, la rassicurazione di essere ben dotati secondo ciò che è ammirato e considerato giusto e degno. In sostanza avviene una sorta di baratto implicito, anche se inconsapevole, tra il valore e il gusto della autonomia, del far vivere qualcosa di tratto, di generato da sè e che si ama sinceramente e disinteressatamente, tra la realizzazione di sè autentica e la realizzazione pilotata e venduta al consenso, trainata dalla convalida e dall'approvazione comune, cosa che riesce a incantare, a sedurre, a convincere. Ingenuità e incanto sono dunque le leve di un modo di intendere e condurre l'esistenza di cui ci si può considerare soddisfatti. C'è una parte di se stessi che però non si fa incantare, che non cade nell'irretimento delle false persuasioni e di comodo dentro cui spesso si trincera la parte conscia, c'è una parte che sa vedere e distinguere il vero dal fasullo, l'autentico dal posticcio, l'apparente autorealizzazione da ciò che è e che vale realmente, che sa riconoscere il risucchio dell'umano nel programmato e già plasmato. E' la parte intima e profonda del proprio essere, è l'inconscio, che non ha intenzione di rinunciare a rendere acutamente visibile il vero, che non intende desistere dal proporre e dal promuovere altro dall'andare dietro e dal farsi governare da soluzioni e da risposte pronte, che rilancia con insistenza  l'idea "folle" di cercare dentro sè risposte e punti chiave di orientamento, di portare a maturazione autonoma visione, di non concedere a altro di menare le danze. E' l'idea folle di diventare creatori di un proprio pensiero e scopritori di una idea di vita e di un progetto autonomi e forti di sostanza, di lucida consapevolezza e di  risorse proprie. Questa parte non desiste, dà segnali continui nel sentire e offre con i sogni, preziosissima risorsa, pensiero vero che guarda dentro e in profondità, non ammaestrato e non fotocopia del comune pensato. E' la parte intima e profonda, è l'inconscio che spinge verso la consapevolezza, che non asseconda ingenuità e incanto, leve e garanzie del perdersi nel realizzarsi dentro e secondo stampo. Non ha altra ragione e altro senso il malessere interiore, che il profondo anima e acutizza, non ha altro scopo, anche se stravolgerne la lettura e il significato e considerarlo disturbo o patologia da sanare è operazione assai frequente, normale. Ci si potrebbe chiedere perchè l'inconscio fa tante storie, perchè interviene in modo così forte. Ne vale la pena? Perchè non lascia che la vita scorra senza intralci così com'è? E' così importante la questione che solleva? Se si esce dall'idea che stare in pace e proseguire come d'abitudine sia la cosa più desiderabile e si comprende che il rischio è di diventare e ciecamente  solo copia d'altro, spegnendo ogni possibilità di aprire gli occhi sul vero, di cercare e di far scaturire da sè le risposte, le ragioni e gli sviluppi della propria vita e non di farsele consegnare e dettare, si può cominciare a comprendere, a condividere l'intento e la spinta del profondo. Più frequentemente però la lettura data al malessere interiore è di ben altro tipo e percorre altre strade. Non è certo raro che la terapia, che sia quella farmacologica o che sia una psicoterapia, spesso poco cambia, incapace e mal disposta a comprendere il significato di ciò che si svolge interiormente, soprattutto nelle sue espressioni più ardue e dolorose, facendo leva su criteri di giudizio circa ciò che sarebbe motivato o immotivato, disfunzionale o valido e funzionale, sano o  patologico, concepisca solo il recupero, il riassesto. E' un prendersi cura che ignora l'origine profonda, che non concepisce e non riconosce lo scopo del malessere, ciò a cui tende. Non è raro, ne è la fatale conseguenza, che l'azione di rabbercio di terapie varie, che le scoperte, date per decisive e illuminanti, delle presunte cause della sofferenza  interiore, frutto in realtà dell'idea preconcetta che la sofferenza, che il malessere interiore sia la conseguenza di un guasto da danno psicologico patito, che la fiducia data alla bontà e all'efficacia del lavoro di riaggiustamento, lascino intatto il quadro di insieme, che confermino l'incomprensione di ciò che il profondo voleva e insiste nel dire e smuovere. La risposta, in presenza di nuovi e ripetuti segnali di malessere, che spesso non mancano di riproporsi, l'inconscio infatti non desiste, è in genere di serrare i ranghi, di provare a combattere le presunte "ricadute" di una presunta patologia che non recede, non comprendendo che il riproporsi del malessere interiore segnala con forza che non ci sono stati ascolto, corrispondenza e comprensione delle questioni e delle necessità rilanciate dal profondo del proprio essere, che non ignora, che sa vedere ciò che la parte conscia non sa e non vuole riconoscere. Il profondo non rinuncia infatti, pur dopo tentativi di risoluzione della crisi che ha promosso e alimentato, crisi mal intesa e travisata, non compresa nelle sue ragioni e non assecondata nei suoi scopi, a spingere con forza, smuovendo il sentire, tornando a agitare il quadro interiore. Il suo scopo, non certo malefico e irragionevole, è di far aprire gli occhi dell'individuo sulla verità del proprio stato e del proprio modo di procedere, è di smuovere il suo pensiero dalla inerzia delle certezze prese in prestito, è di porre in primo piano la necessità di trarre da sè, di costruire in unità con tutto il proprio essere (l'inconscio è pronto a dare il contributo che più conta) le fondamenta della personale realizzazione autentica e non artificiale e illusoria, modellata e tenuta su da altro.

venerdì 29 agosto 2025

Il lavoro dell'inconscio

(Ripropongo oggi questo mio scritto, perchè ritengo possa aiutare a comprendere ciò che l'inconscio può offrire e a sentire più vicina questa parte preziosa e irrinunciabile del nostro essere)

L'inconscio interviene di continuo nella nostra esperienza, sia attraverso i vissuti (il nostro sentire) e governando nel suo insieme il corso della nostra vicenda interna, sia in modo privilegiato, illuminando il nostro cammino interiore, con i sogni. Contro i tentativi, avvalendoci dell'iniziativa e del filtro della razionalità, di mantenere sostanzialmente intatta e a noi compiacente la nostra visione di noi stessi (tanti accadimenti interiori fastidiosi o imbarazzanti passati sotto silenzio, lasciati scorrere via o fraintesi e manipolati a piacimento col ragionamento), l'inconscio non ha pudore, "pietà" o riserbo di intervenire e di insistere, senza chiedere permesso e sorprendendoci, perché di noi sappiamo, vediamo, cogliamo ciò che importa, il vero. L'inconscio è attivo perché non rimaniamo passivi o altro da noi stessi. Per passività intendo il quieto aderire al dato e al pensato comune e abituale, la riproduzione di un pensiero e di una visione di noi stessi che, se anche in apparenza convincenti e verosimili, in realtà altro non fanno se non ripetere ciò che già è stato concepito e detto, ciò che ci torna comodo credere. L'inconscio è la parte di noi che agisce e che lavora perché non evadiamo da noi stessi, perché sappiamo di noi, perché transitiamo nelle pieghe del nostro essere, perché vediamo, anche a costo di ferirci e di soffrire, ciò che ci spetta, ciò che ci è necessario conoscere. Nulla di ciò che si propone a noi nel nostro sentire è casuale, bensì è traccia e guida per prendere contatto e conoscenza viva di aspetti del nostro essere, del nostro modo di procedere, di questioni, anche non semplici, che abbiamo vitale necessità di elaborare, di capire. L'inconscio suggerisce e offre di continuo attraverso il sentire spunti, occasioni, crea trame e sviluppi utili per capire. Il lavoro dell'inconscio raggiunge il suo apice creativo nei sogni, che, se ben intesi, analizzati e compresi, si rivelano impareggiabili mezzi per guardare dentro noi stessi, per conoscere, per crescere. Se compreso e fatto proprio l'aiuto dell'inconscio è assolutamente decisivo per trovare il proprio spessore umano e di pensiero, per scoprire le proprie vere potenzialità e il proprio progetto. Accade però che, ignari e impreparati a tutto questo, ci si senta non di rado delusi o semplicemente disturbati da ciò che succede dentro se stessi, che si giudichino le esperienze interiori (che per intero l'inconscio regola e dirige), quando discordanti dalle attese o disagevoli, come inopportune, come limitanti, come dannose, arrivando, se  insistono, a definirle un disturbo, una patologia. Diffusa e prevalente la tendenza a escogitare, a farsi consigliare, a applicare rimedi, spiegazioni che aiutino a ripianare, a mettere a tacere l'esperienza interiore scomoda e sofferta. La psicoterapia stessa è spesso cercata e non di rado nasce con simili auspici, in contrapposizione a parte di sé interna vissuta come nemica, con desiderio di disarmarla, di rimetterla in riga o di erigere una sicura barriera contro ciò che sembra solo molesto, pericoloso e incoerente. L'inconscio non si fa plagiare e zittire. Se aveva ragione di smuovere, di porre in crisi la stabilità interiore per favorire sviluppi, processi conoscitivi nuovi, cambiamenti necessari, se inascoltato e incompreso, seguiterà nel tempo e con rinnovata forza a riaprire la ferita, pur col rischio che si torni ottusamente a parlare di semplice ripresa del disturbo, di "ricaduta" di malattia e che si torni a schierarsi contro l'iniziativa interiore anziché disporsi ad ascoltarla e a capire. Nel rapporto con esperienze interiori difficili e sofferte il vero problema, la vera insufficienza o anomalia non è nel (presunto) corso sbagliato o insano di ciò che si prova, che si vive interiormente, anche se doloroso e accidentato, ma sta nel non essere capaci di entrare in rapporto e in dialogo con la propria esperienza interiore, con l'inconscio, sta nel non avere ancora capacità e opportunità di capire. Cominciare a fidarsi della propria interiorità, fino ad aprirsi totalmente e senza preclusioni al proprio corso interiore, imparare ad ascoltare la voce e a cogliere l'intima proposta del proprio sentire, capacitarsi dello straordinario lavoro svolto dal proprio inconscio dentro i sogni, intenderlo, capirlo, assimilarlo, farlo proprio, seguire con attenzione il percorso di ricerca e di trasformazione tracciato dall'inconscio attraverso il succedersi dei sogni e dei vissuti... questo un'esperienza analitica ben fatta cerca, fa vivere e realizza. L'inconscio apre crisi, movimenta il quadro interiore, rompe equilibri, per condurci con fermezza, costi quel che costi, verso noi stessi, verso la nostra capacità vera di vedere con i nostri occhi, di pensare, un pensare che abbia guida e fondamento dentro ciò che sperimentiamo intimamente, che sia comprensione fedele della nostra esperienza. Il nostro inconscio spinge perché, non ignari di ciò che siamo e che possiamo, mettiamo al mondo il nostro. Come analista da oltre vent'anni lavoro avendo per maestro l'inconscio. Se aiuto l'altro a rivolgersi alla sua interiorità, all'ascolto del suo profondo, so di non fargli acquisire un armamentario inutile di formule e di spiegazioni, so di non condannarlo a rimanere vittima del suo corto respiro e pensiero, ingabbiato dentro una visione di sé e delle sue possibilità precostituita e chiusa, ma so di avvicinarlo alla fonte della sua conoscenza e della sua rinascita come individuo davvero autonomo, capace di trovare la sua guida dentro se stesso e di dare volto e contenuto propri alla propria vita. (16/4/2007)

lunedì 18 agosto 2025

Che lo si voglia o no

Siamo creature complesse, non siamo riducibili a una sorta di congegno che deve girare con meccanica regolarità. Subito mal disposti verso momenti e esperienze interiori in cui sensazioni e stati d'animo non corrispondono alle attese, presto inclini a considerarle anomale quando assumono carattere insistito e poco piacevole, quando sembrano intralciare o nuocere al perseguimento di risultati considerati validi e convenienti, si insiste nella pretesa che tutto di se stessi debba girare a senso unico e concorde con le valutazioni di opportunità e di necessità di cui si è portatori. Ci appartiene però una parte profonda, che non è certo poca cosa, anche se ampiamente misconosciuta, ignorata. Questa parte della nostra psiche che lo si voglia o no è attiva, fa avvertire di continuo la sua presenza, è decisiva nell'indirizzare, nel plasmare ogni momento interiore, ogni espressione del nostro sentire. La nostra vita interiore, il divenire di ciò che si svolge dentro di noi le appartiene. Mica è poca cosa. I sogni poi sono il suo per eccellenza, dove dà il meglio delle sue capacità di pensiero. Insomma una parte non da poco quella svolta dal nostro profondo. Eppure è idea comune che ciò che conta e che segna i confini del proprio essere, ciò su cui è fondamentale fare conto stia nella parte conscia, nell'esercizio del pensiero conscio razionale prima di tutto, nell'impiego della capacità decisionale e della volontà di riuscita. Il resto di sensazioni, stati d'animo, moti interiori è visto solo come una cassa di risonanza di eventi e di condizionamenti esterni e nei momenti decisionali e dell'agire  può lasciar vedere  solo l'adeguatezza o meno nella propria capacità di reggere il confronto con l'esterno, la propria validità nel dare prova di essere all'altezza. La parte profonda del proprio essere non può subire più radicale misconoscimento delle sue qualità, proprietà e valenze. Eppure questa visione del proprio essere ridotta e circoscritta a una parte, quella di esercizio di intelligenza razionale e volontà,  che comunque è considerata egemone e che al resto di emozioni e di vicende interiori riconosce solo un ruolo subalterno, una funzione accessoria e di rincalzo, è la visione comune, imperante. D'altra parte a cosa si bada nell'assistere e nel promuovere il processo di crescita di un individuo se non a che apprenda e si attrezzi di capacità di dare prova di intelligenza, di abilità e di prestanza secondo i criteri convenzionali? E' tutto un equipaggiarsi di schemi di pensiero, di moduli di prestazione in totale disgiunzione dall'intimo. Anzi l'educazione prevede che il dentro si accordi, non faccia storie, che semmai si converta a essere voce gregaria, che si addomestichi. Gioia, esaltazione, entusiasmo, viceversa delusione, frustrazione e sconforto tirati bene con i fili che ormai fanno capo non al dentro sè autonomo, ma a alla autorità del senso comune. Il ben figurare, l'avere successo, l'essere ben considerati diventano la misura del proprio valore, il giudizio altrui è l'autorità di riferimento. Non c'è entusiasmo che più tenga di quello di ben figurare, non c'è delusione e avvilimento più cocente di quello di non riuscire a dare buona prova, a salire il gradino del successo, della prova di merito e di bravura, della conquista di posizioni carriera e  di notorietà, del possesso di ciò che pare invidiabile e segno di capacità di riuscita, secondo i criteri comuni e dominanti. Questo stravolgimento di natura raggiunge un tale livello di consolidamento e di consuetudine da risultare ovvio e naturale. Non cè corrispondenza con se stessi, non c'è autonoma scoperta di significati e di valori, tutto corre dietro a altro, ma paradossalmente finisce per apparire normale, dunque naturale, questa condizione di ribaltamento del vero ordine naturale, che vorrebbe che a partire da sè e con l'impiego delle proprie risorse interiori, lavorando sulla propria esperienza, in pieno accordo col proprio intimo si formi la propria scoperta dei significati e di ciò che vale per se stessi e che non la si assuma già concepita e formata da altro che, fornendo le guide e le chiavi di lettura, oltre che i percorsi già segnati, diventa fatalmente  regolatore del proprio pensiero e delle proprie aspirazioni. La parte profonda però non sta a guardare, soprattutto non si lascia travolgere e stravolgere da questo corso anomalo, anzi lo vede con chiarezza per quello che è e perciò prende posizione e anima a modo suo il quadro interiore, incalza col malessere interiore, gli dà forte risonanza, proprio per porre il problema, che l'altra parte ignora, così assuefatta com'è al corso innaturale che viceversa considera ormai normale. Che lo si voglia o no siamo creature complesse, in cui per fortuna c'è una parte di noi stessi che non si uniforma, che sa aprire gli occhi, che, seppure considerata subalterna, ha capacità di concepire l'umano come ricerca autonoma, come libertà di pensiero, come desiderio di uscire dal recinto della prestazione da dare, per costruire le basi di una vita autonoma che sappia sviluppare qualcosa di originale e non gregario. Per fortuna l'inconscio c'è, anche se non gode di attenzione, anche se spesso frainteso. Chi lo sa riconoscere per ciò che è e che vale scopre quanto possa e sappia dare per ritrovare la propria vera natura. 

sabato 16 agosto 2025

La scienza e la pseudoscienza

La scienza nel suo significato più autentico si nutre di pensiero critico, del rigore della ricerca, che, non imbrigliata nel già concepito e consolidato, libera da preconcetti, da impazienza e da bisogno di trovare risposte pronte e di comodo, vuole vedere chiaro e verificare ogni cosa, senza limitazioni e riduzioni, senza approssimazioni, senza forzature e semplificazioni, senza concedere all'idea dell'ovvio e dell'inconfutabile mai. Tutto questo senza posa. La ricerca di verità e di conoscenza non è una prerogativa e una esclusiva di nessuno, per ognuno la possibilità e il compito di esercitare pensiero critico e attento, impegnato nella ricerca del vero, la facoltà di sviluppare conoscenza, di non farsela semplicemente propinare da chi sale sul pulpito di un presunto sapere indiscusso. Non è accettabile, è in totale contrasto con ciò che è e che persegue, sacralizzare la scienza, chiudendola nel santuario delle verità definitive e che non ammettono dubbi, rese tali dalla supposta autorevolezza e dall’ossequio a loro concesso di esperti, che pretendano e cui sia attribuita l’autorità di dettare cosa sia l'indiscutibile della conoscenza. Sul terreno psicologico non sono poche le insidie della scienza, sarebbe meglio dire della pseudoscienza, che si auto consacra come autorevole fonte di teorie, spiegazioni e soluzioni, che si pretendono scientificamente provate, da applicare a questo individuo e a quello. E' in gioco per ognuno, sul terreno della conoscenza di se stesso, qualcosa di estremamente prezioso e importante, decisivo per la sorte della propria vita.  La conoscenza di se stessi e la scoperta del senso e del potenziale della propria vita sono infatti il fulcro, la bussola e sono il patrimonio vero di una vita, su cui fare conto per non lasciarsi portare da altro, sono qualcosa di singolare non equiparabile a altro. Sono scoperte da coltivare con cura, col massimo di apertura a se stessi, di disponibilità all’ascolto della propria interiorità, sono scoperte originali e inedite, non riportabili, se non attraverso forzature e manipolazioni, nello stampo di questa teoria o di quell’altra che pretendano di possedere risposta applicabile a ognuno. Si può facilmente  comprendere che affidarsi a simili teorie semplifichi, anzi faccia saltare a pie pari, il lavoro personale di ricerca, sia che a farvi ricorso siano i discepoli di questa o di quella scuola e teoria psicologica, che diventa per loro dottrina, con quali effetti è facile immaginare quando si propongano come terapeuti, sia che a cercare risposte sia chi vive in prima persona disagi interiori  e confidi di trovarle già  confezionate in qualche presunta autorevole fonte, pronta a dispensarle.  Le esperienze interiori, le verità da scoprire, i modi e i percorsi per raggiungerle sono in realtà non uniformabili a nulla, sono unici, diversi per ognuno, non rientrano in niente di già detto e spiegato e concepito. Non ci si può permettere di essere passivi e al traino di pensieri altrui, anche dei presunti accreditati esperti, di essere illusi o creduloni, ne va della propria sorte e del valore compiuto e soprattutto ancora incompiuto della propria vita. Nulla va dato per scontato. L'esperienza interiore di ognuno è patrimonio e risorsa di straordinario valore, unica e originale, merita perciò attenta considerazione e verifica il modo in cui è considerata e trattata. L'esperienza interiore è esposta infatti troppo spesso al rischio di essere oggetto di spiegazioni e di trattamenti a dir poco inappropriati. Lo è nel modo comune di pensare e di trattare l'esperienza e il disagio interiore, lo è non di meno e non raramente nel modo professionale dei cosiddetti esperti della psiche e delle scuole di pensiero a cui si affidano. La sofferenza interiore è specchio di se stessi, è lievito di verità e pungolo alla presa di coscienza, senza più rimandi e fughe, senza rifugio nell'abitudinaria lontananza da se stessi. L'esperienza interiore difficile e sofferta, che non concede agio e distensione, quieto vivere e andamento indisturbato e sciolto al passo con l'insieme, è crogiolo di verità da riconoscere, è presa decisa sull'individuo esercitata dal suo intimo e profondo, che non gli  concede più rinvii, che non vuole stare in ombra e alla periferia del suo essere, che vuole consegnargli e mettergli in primo piano sotto gli occhi non la cronaca e le invenzioni del ragionamento, ma il suo stato e modo di procedere, i nodi veri e insoluti della sua vita. Il profondo, che con decisione smuove la situazione interiore, che la orienta e plasma, vuole sostenere e promuovere, non la corsa per dare buona prova, non la tenacia del rimanere incollati agli eventi esterni, pronti a rimasticare i discorsi in auge, a non farsi sfuggire ciò che in genere si giudica importante e irrinunciabile, ma la necessità della personale crescita, non di immagine, ma di sostanza, del cambiamento per non essere solo un ruolo, una parte ben svolta e una parvenza d'essere, ma un'identità definita e originale, vera. Ebbene, se la tribolazione interiore, se il malessere interiore nelle sue diverse forme, è espressione dell'iniziativa di una componente intima e profonda dell'individuo che vuole, senza se e senza ma, dargli occasione di vedere chiaro in se stesso, per non proseguire incurante di verifiche attente e serie, accontentandosi del corso dell’esistenza secondo cosiddetta normalità, perdendo di vista la necessità di aprire gli occhi, di conoscere il vero di se stesso, di formare pensiero proprio e ben piantato sull'intima esperienza, per aprire la strada alla realizzazione autentica di se stesso, per non fare sciupio della propria vita, pago soltanto di essere ben conforme all'insieme e confermato da sguardo e da giudizio comune, è sconfortante vedere come una simile esperienza interiore, così carica per chi la vive di significati e di potenzialità trasformative importanti e decisive, è spiegata e trattata abitualmente. La difficile e sofferta esperienza interiore è spesso letta come segno di malfunzionamento da correggere, come disturbo che nuoce da mettere a tacere, come patologia da sanare, come malaugurata conseguenza di questo o di quello che nel passato o nel presente avrebbe fatto danno. Ogni espressione della vita interiore, tutt'altro che secondaria a un danno patito, ben altro che espressione di malfunzionamento, sa e vuole dire e rendere tangibile una questione vera, rendere riconoscibile il modo d'essere e di procedere, di condurre la propria vita, di cui si è attori e responsabili verso se stessi, rendere più che fondata e comprensibile la necessità di adoperarsi per un profondo cambiamento. Nulla di ciò che si prova e si patisce interiormente, anche se difficile, doloroso e spiacevole, è privo di senso, anzi è carico di capacità di svelare, di far capire, non in modo freddo come con i ragionamenti, ma tangibile e toccante, acuto, qualcosa di centrale di se stessi, che riguarda il proprio stato e modo di procedere. Sia che, per fare qualche esempio, con l'ansia, dove si abbia la pretesa di procedere, anche se totalmente privi di conoscenza vera e fondata di se stessi e delle vere ragioni e implicazioni per sé del proprio modo di condurre la propria vita, segnali la verità di un traballante equilibrio, di un terreno fragilissimo e per nulla affidabile su cui si sta poggiando e muovendo i propri passi, sia che col vissuto depressivo spinga alla percezione cruda e dolorosissima del vuoto e dell'inconsistente, dell'anonimo e incolore, del volto spoglio di una vita, ora quasi insopportabile e opprimente, costruita solo sulla dipendenza da altri, sul far proprio ciò che altro da fuori, nell’esempio e nel pensato comune, ha indicato come strada da seguire e come realizzazione da cercare, senza nulla di generato e tratto da sè capace di dare alla propria vita volto, ricchezza e luce proprie, sia che con l'incastro ossessivo dei mille e disparati ragionamenti e dei controlli minuziosi, delle azioni preventive per tenere tutto in ordine e sotto controllo sveli impietosa che l'istanza di stare ben al sicuro e al riparo dalle proprie incognite e da se stessi ha fatto da fulcro dell'intera vita, tutto ciò che l'esperienza e la sofferenza interiore dice è significativo, è un forte richiamo alla ricerca della verità di se stessi, è un pungolo al lavoro di presa di coscienza e di cambiamento per portare la propria vita a una realizzazione autentica. Il vero ostacolo da superare in presenza di un'esperienza interiore difficile e sofferta è la mancanza di familiarità e di capacità di ascolto dell'esperienza interiore, che si trascina da sempre. Purtroppo nel suo percorso di (cosiddetta) crescita l'individuo impara a relazionarsi col fuori e non col dentro se stesso, anzi il legame col fuori assume carattere dominante fino al punto che il dentro è inteso come eco e appendice che deve unicamente accordarsi col fuori, stare al passo. Accade così che dentro questa abituale mancanza di rispettoso e fiducioso dialogo con la propria interiorità l'unica risposta che prende piede in presenza di malessere interiore è di allertarsi per tenerlo a bada e possibilmente per metterlo a tacere. Eppure sarebbe possibile imparare, casomai con l’aiuto di chi sia capace di dare valido contributo in tale direzione,  a superare la abituale distanza dal proprio intimo, per cominciare piuttosto che a mettere in atto trattamenti e spiegazioni incongrue, a ascoltare il proprio sentire, a comprenderne il linguaggio, anche se pare così difficile, per farne tesoro, per riconoscerlo non come patologia, ma per quello che è veramente, cioè terreno fertile seppur impegnativo per coltivare conoscenza di se stessi e nascita di qualcosa di proprio e di autentico. Dare addosso al disagio, al malessere interiore per metterlo sotto cura e trattamento, affinchè taccia e si normalizzi, facendo proprio il contributo di una pseudoscienza pronta a dare sostegno , credito e manforte a simili propositi, svela solo l'ignoranza circa la vita interiore, che non è roba aliena, ma è la personale intima vita interiore, ignoranza di cui si è portatori, che dà campo libero all'ottuso e pervicace attaccamento a far girare le cose nell'unico verso conosciuto e ritenuto normale e dovuto, reso scioccamente indiscutibile e assoluto.

martedì 12 agosto 2025

Il terreno incolto

Si dà tanto valore alla cultura, alla conoscenza che si nutre del già detto, dell'altrui detto e coltivato, talora ben e originalmente creato e coltivato, talaltra assai meno, perchè di produzioni che rigirano e ricalcano il già concepito e il concepito d'altri sono pieni gli scaffali. Intanto vige la incapacità di entrare in rapporto e di coltivare ciò che la proposta interiore suggerisce di continuo nei vissuti, nel sentire, nelle emozioni, nelle spinte interiori, nei sogni, in tutto ciò di cui la propria interiorità è testimone, di cui il proprio inconscio è artefice e promotore. Solitamente l'esperienza interiore è fraintesa nella sua origine e significato. Si dà sempre la priorità ai fattori esterni e si pensa che ciò che il proprio sentire mette in campo sia condizionato da stimoli esterni, che ne sia l'eco, la meccanica risposta e se talora questa può apparire esagerata o strana, la si fa risalire, se non a vizi di fabbrica e costituzionali, a eventi, a traumi passati, a educazione ricevuta e a altro che si ritene sempre determinante, che avrebbero lasciato impronta più o meno distorsiva su quello che si suppone dover essere il normale o fisiologico modo di sentire e di  reagire. Che esista una parte intima e profonda dotata di intelligenza e di capacità propositiva, che questa parte intervenga per dare stimoli e per esercitare richiami ben precisi per aprire lo sguardo riflessivo sui propri modi di procedere, di rapportarsi all'esperienza, di pensare se stessi e  ciò che si sta facendo, conoscenza di cui si è spesso deficitari in abbandonza, è idea che non appartiene ai più. Nella idea e nella  pratica comune ciò che si muove interiormente va essenzialmente tenuto a bada, è considerato un corteo di sensazioni che nulla sono in grado di dire e di offrire se non quello che già si sa e che sbrigativamente gli si mette sopra col ragionamento. Dunque ciò che la propria interiorità offre come terreno da coltivare per trarne il frutto della conoscenza di se stessi e della verità della propria condizione, delle possibilità trasformative e di crescita possibili, rimane trascurato, totalmente incolto. Si fa uso di un sapere preso da altra fonte e matrice, quella condivisa, dove le attribuzioni di significato, le concatenazioni logiche sono già pronte e si finisce per vedere con occhi che paiono i propri, ma che in realtà replicano il preso in prestito dalla mentalità comune, casomai affinato dal ricorso a altre fonti più o meno nobili, con l'utilizzo di ciò che gli esperti, i pensatori d'accademia, hanno detto, con l'impiego di tutto ciò che, tratto da studi e da letture d'autore, ci si è procurati. Da un lato c'è la propria fonte intima di conoscenza che dà di continuo il materiale e le guide su cui lavorare per vedere con i propri occhi e su base di esperienza e di ricerca proprie, utilizzando farina del proprio sacco, dall'altro, ignari della prima, si mette in esercizio un pensiero che prende da altro i contenuti, le guide e la logica che lo tiene insieme. Il risultato non può che essere quello di mettere in moto pensieri, di vendere a se stessi come conoscenza quello che è nella sostanza un parlare e pensare a vanvera e a sproposito rispetto a ciò che accade nella propria esperienza e a ciò che riguarda la conoscenza di se stessi. La mancanza di capacità di raccogliere la proposta interiore, di capirne il valore e il significato come alimento di crescita personale e di conoscenza vera e fondata ha come triste conseguenza quella di trattare come ospite indesiderato e di prendere a badilate ciò che la propria interiorità propone con intensità e con forza nel malessere interiore, in cui diventano fitti e ficcanti i richiami, in cui la presa del profondo diventa più forte e non per caso. La parte profonda del proprio essere non accetta la lontananza da sè dell'individuo, che devia da ciò che gli è intimo e connaturato, che si spende per essere all'altezza di altro e che ignora la necessità di capire, di vedere cosa sta in realtà facendo di se stesso e della propria vita, di conoscersi, di comprendere cosa più intimamente gli appartiene. La reazione assai frequente al malessere interiore, l'intervento che vuole mettere a tacere ansia e altre espressioni di malessere, che sono stimoli e guide per aprire finalmente gli occhi, producono assai frequentemente come risposta quella di volersi difendere da un presunto nemico interno, di volerlo sedare e controllare, di comprimere le sensazioni, di evadere, di spiegarle, quando si decida di indagare per capire e casomai ci si faccia aiutare in questo dentro una psicoterapia, come retaggio di cattive esperienze del passato. Belle pensate queste ultime, che a un attento esame ahimè si rivelano essere, per quanto messe in piedi con quadratura logica, argomentazioni sballate, lontane dal vero, conseguenza fatale della incapacità di rapporto, di ascolto e di dialogo con la propria interiorità, in cui l'incolto trionfa. Non è infrequente che l'intervento di una psicologia, che si propone come scientifica e professionale e che di fatto è omogenea con la psicologia comune, che cerca soluzioni, spiegazioni e presunti rimedi che in nulla comprendono il significato e il valore della proposta interiore, che ignorano la presenza decisiva sulla scena interiore del profondo, finisca per chiudere  il cerchio dell'incomprensione. Finisce per lasciare incolto il terreno che merita di essere coltivato, il terreno della conoscenza di se stessi su base viva e affidabile, quella offerta dalla propria interiorità nel sentire, nei sogni (sono la via maestra per conoscere se stessi), in tutto ciò di cui è artefice e cui dà voce e espressione il proprio profondo.

domenica 3 agosto 2025

La vera solitudine

Si pensa in genere alla solitudine come a uno stato di allontanamento  e di mancanza di contatti e di rapporto con gli altri. La si considera in non pochi casi come uno stato infelice, oggetto, quando coinvolti, di auto e di altrui commiserazione, come una condizione di abbandono, che depriva, che sottrae un che di vitale, collocato fuori, negli svolgimenti esterni, negli altri, considerati essenziali per dare sostegno e contenuto alla propria esistenza, per procurare a se stessi occasione di entrare nel corso (ritenuto) reale della vita, per non rimanerne esclusi, per avere opportunità di arricchimento della propria esperienza, di crescita o più semplicemente per trarne qualche sollievo e rassicurazione, per evadere da quel senso di mancanza. C'è chi guarda allo stare da solo con minore pena e angoscia, come a un che di necessario a tratti e di utile. Accade non di rado che in quei momenti di solitudine ben accetti, più che un vero ascolto, incontro e dialogo con se stessi, con la propria interiorità, prenda il sopravvento l'iniziativa di riempire quegli spazi con altro, che sia una lettura, l'ascolto di musica, la visione di qualche programma in tv o in connessione a internet, oppure l'impegno in qualcosa di pratico o di convenzionalmente considerato "creativo", poco importa, purchè sia in grado di dare riempimento. Se c'è interesse per il prendersi cura di sè, per il rapporto con se stessi, non è raro, soprattutto in presenza di qualcosa di interiormente difficile, che si cerchi di adottare qualche forma di rilassamento o che si ricorra, giusto per fare qualche esempio, a tecniche tipo meditazione, che in ogni caso implicano applicare un procedimento appreso, che non sono apertura schietta e incondizionata alla propria interiorità in ciò che dice e propone, che viceversa chiedono distacco da ciò che di più intimo e vero si propone come inquieto e teso. Da soli può anche accadere che si dia il via a una sorta di riflessione sulla propria esperienza e condizione, sulle questioni in primo piano, che in realtà si traduce in una rielaborazione ragionata che vede l'intimo di sè, il proprio sentire, la propria esperienza intima viva più come oggetto di spiegazioni e di commento, che come parte viva propositiva, cui sia data parola, con cui porsi in ascolto e in dialogo. Prende forma in sostanza un monologo, dove la parte dei soliti noti del ragionamento e dell'iniziativa conscia ha il sopravvento e l'interiorità diventa solo oggetto di intervento e non soggetto dialogante. Accade così che si permanga nel rapporto con se stessi nella condizione di distacco, di lontananza, di solitudine vera, di mancanza di relazione viva, di privazione e addirittura di ignoranza di tutto ciò che può dare e significare l'incontro, la vicinanza e lo scambio vivo e fecondo con la propria interiorità. Questa è la vera solitudine che è privazione di un legame davvero vitale e di uno scambio decisivo, importante, quello con la propria interiorità e che spinge a cercare in altro indiscriminatamente, bisognosamente, ogni apporto e supporto vitale. Questa condizione di solitudine nel rapporto mancato con la propria interiorità ha conseguenze rilevanti, anche se abitualmente ignorate, non considerate, incomprese, sul proprio modo di pensarsi, di percepire se stessi. Permane l'idea e l'immagine distorta del proprio essere, che, limitato a stare nella sostanza nei confini di una parte, quella conscia di volontà e ragione,  vede il resto come appendice subalterna, che a tratti può risultare scomoda, difficile da comprendere e soprattutto da "gestire", ma che non entra a far parte, che non diventa parte fondamentale del proprio essere. Dico che è parte  fondamentale, perchè, senza il contributo di questa parte intima e profonda, continuando a ignorarne il vero volto, ci si priva della possibilità di aprire gli occhi, di avere visione vera e fondata di sè, dei nodi veri della propria vita, perchè senza lo scambio col proprio intimo e profondo, senza il suo apporto  non c'è nulla di davvero visto da vicino di sè, di vero, nulla di scoperto come autentico, di riconosciuto come originale e proprio, non c'è comprensione autonoma dei significati della propria vita, riconoscibili dentro e attraverso la propria esperienza, non c'è formazione e conquista di punti cardine e di orientamento propri, non c'è scoperta della grande affidabilità della propria guida interna, esercitata dal proprio profondo, non c'è scoperta di quanto sia rigenerante e arricchente attingere al proprio intimo. Accade di conseguenza che tutto, risorse per arricchire la propria vita o semplicemente per non vederla languire, modi di pensare e di intendere i significati dell'esperienza e ciò che vale, sia cercato fuori, sia tratto da modelli e da aspirazioni comuni, che il rapporto con gli altri e con l'esterno appaiano come fonte vitale essenziale. Quando si esce dalla solitudine interna, che è la vera solitudine, che è mancanza di rapporto vivo e dialogico con la propria interiorita, è conseguente che il rapporto con gli altri assuma un ben diverso volto da quello spesso prevalente, segnato da istanze di attaccamento dipendente, da necessità di piacere, di compiacere, di cercare e di dare consenso. Disponendo di un proprio centro, di una base si ascolto e di dialogo con la propria interiorità, l'incontro e lo scambio con l'altro, è vissuto con senso di libertà, che consente, se se ne avverte la possibilità e la spinta interiore, di coinvolgersi nella ricerca di un incontro umano non superficiale, fondato su capacità di ascolto e di dialogo attento e  sincero, con possibiltà di scambio e di arricchimento vero.

mercoledì 30 luglio 2025

Le ragioni del malessere

(Rimetto in primo piano questo mio scritto di alcuni anni fa)                                             Perché succede, cosa vuole questo malessere interiore, questo tormento? Spesso chi lo vive lo tratta con preoccupazione crescente e con insofferenza. Teme sia, oltre che un ostacolo, una minacciosa presenza. Lo vive come un accidente sfavorevole, una sorta di corpo estraneo, che lavorerebbe contro i propri interessi, pur così interno, intimo, addentro il proprio essere. E' convinzione assai diffusa che il malessere sia provocato o indotto da circostanze e da condizionamenti sfavorevoli, che sia la manifestazione o la conseguenza di un meccanismo, fisico o psicologico, logoro o guasto. Dirò subito che il malessere interiore, nelle sue diverse possibili espressioni, tutte significative e da comprendere attentamente, è viceversa la manifestazione di una forte, risoluta presa di posizione interna della parte intima e profonda, che non vuol tacere, che vuole che la verità e l'attenzione a se stesso diventino per l'individuo questioni centrali e esigenze prioritarie. Pensa che sia un’anomalia, vuoi la manifestazione di un meccanismo guasto, vuoi la conseguenza di un distorto modo di vedere la realtà e di reagire, vuoi ancora una pena intima indotta da qualcosa, esterno a sè, nocivo, risalente al passato o attuale, chi, pur con diverse spiegazioni circa il presunto "guasto", concepisce la superficie come fosse il tutto. Pensa al guasto e alla necessità della riparazione per la ripresa del normale, chi pensa la modalità solita e presente di esistere e di procedere come l’unica possibile, chi non comprende il malessere interiore come intervento e espressione, non cieca, del profondo. Liquida sbrigativamente il malessere interiore come disturbo e basta, chi pensa che emozioni, vissuti, sentire e vita interiore, che tutto ciò che non è ragionamento e volontà, sia solo un accessorio irrilevante e subalterno, un po’ colorito, ma poco o nulla affidabile quanto a intelligenza e a capacità di dare orientamento. Nel nostro essere il profondo, l'inconscio c’è e non è certo presenza di poco peso e valore. Tutto ciò che accade nel nostro sentire e nel corso della nostra esperienza interiore è governato, in modo mirato e intelligente, dal nostro inconscio, è sua voce, non è affatto casuale, non è semplice risposta automatica, riflessa a situazioni e a stimoli esterni. Che accada di sentire inquietudine, timore e apprensione insistenti e pervasivi, persistente pena, senso di fragilità, di vuoto, di infelicità e quant’altro definito come ansia, depressione o altrimenti, non è frutto del caso, non è  traduzione meccanica di logorio subito, nè sgangherato modo di reagire, non è insana o abnorme risposta, è viceversa lucida e consapevole, ferma e irremovibile espressione di capacità e di volontà interiore e profonda, di una parte non irrilevante di se stessi, di intervenire perché si guardi dentro di sè, nell‘intimo vero, cosa sta accadendo della propria vita, perché non ci siano stasi e assenza di consapevolezza, lontananza da se stessi e passivo adattamento. Basta, con l'aiuto giusto, di chi sappia guidare ad avvicinarsi a se stessi e al proprio mondo interiore, risolversi a cercare rapporto, ascolto e dialogo con se stessi e col proprio profondo, basta risolversi a dargli voce, a riconoscergli voce, senza squalificarlo in partenza come dannoso, negativo o malato, perché il malessere, perchè l'intimo sentire faccia ben intendere e vedere cosa sa, cosa riesce efficacemente e puntualmente a evidenziare, a far conoscere di se stessi, a smuovere. Basta disporsi, come si è aiutati e incoraggiati a fare dentro una buona esperienza analitica, all’ascolto, aperto e disponibile, senza pregiudizi, alla ricerca del senso piuttosto che del rimedio che spazzi via, con impazienza e ciecamente, tutta l’esperienza interiore disagevole,  per rendersi conto (sempre meglio via via che dialogo e ricerca procedono), che non c’è guasto e meccanismo rotto, che non c’è caos o irrazionalità dentro se stessi, che il malessere non è maledetta sorte o accidente, patologia o altro, ma specchio per vedersi e per capire. E' potente richiamo, invito fermo a lavorare su di sé, a prendere coscienza di come si è e di come si procede, di ciò che manca, che va finalmente costruito, che mai finora è stato cercato e costruito. Non ci sono cause e responsabilità da cercare altrove da se stessi, in altro e in altri, come odiosi impedimenti al proprio star bene, non c'è stupida incapacità di vivere normalmente e felicemente, c'è semmai prima di tutto consapevolezza da trovare, senza sconti e senza equivoci, del proprio stato attuale, verità anche scomode da riconoscere e da non rimpallare. L'inconscio, sia con le tracce vive del sentire sia coi sogni, non tace nulla e cerca l'intimo vero, il senso, non usa nè pregiudizio nè camuffamento. L'inconscio, che richiama in modo così forte l'individuo alla partecipazione al dentro prima che al fuori, esercita una spinta formidabile, che, se saputa comprendere e condividere, offre visione lucida e appassionata, consapevolezza profonda di sè e del proprio da mettere al centro e a fondamento della propria vita. L'inconscio col malessere interiore smuove e turba il quieto vivere per uno scopo riconosciuto nel profondo del proprio essere come irrinunciabile: far vivere se stessi, il proprio potenziale vero. Per realizzare questo scopo, non già in tasca e traducibile in un attimo, come spesso si pretende, è necessaria una graduale e profonda trasformazione. Ci sono fondamenta nuove da gettare, nuovo rapporto da creare pazientemente con se stessi, nuove scoperte, originali e utili, anzi essenziali, da fare dentro sè e col proprio sguardo, ci sono vicinanza al proprio sentire, comprensione intima e unità d’essere con se stessi, mai possedute e mai cercate, da trovare e rafforzare finalmente. Era sufficiente infatti in precedenza, prima della stretta più decisa del malessere, andare per la strada segnata, fare come si usa in genere e in genere si dice, bastava quel riferimento comune, bastava un po’ di ordine mentale regolato dal ragionamento, che chiarisce e oscura contemporaneamente ciò che fa comodo oscurare o che non si comprende, bastava tutto questo per sentirsi a posto e "normali". Capitava in realtà, non raramente, che il proprio sentire complicasse l'esperienza, che inserisse elementi dissonanti, veri richiami per vedere le cose più nitidamente, per non trascurare implicazioni, non certo dettagli insignificanti, ma tutto questo lo si trattava come un inutile rumore di fondo, come fastidiose interferenze di una parte emotiva "irrazionale". Era sufficiente darsi un pò di quieto vivere, di adattamento, bastava variare qualche luogo, abitudine o altro per convincersi che la questione decisiva per il proprio "star bene" fosse solo la scelta delle circostanze e delle persone giuste, delle opzioni esterne che avrebbero cambiato tutto per sè, deciso le proprie fortune in bene o in male. Bastava un pò di allineamento al modello comune, un pò di parvenza di buon funzionamento, di possesso delle cose o delle espressioni ritenute in genere irrinunciabili o da molti apprezzate, non importa se portandosi interiormente mille segnali diversi e incompresi, non importa se senza mai sentirsi davvero su terreno saldo di consapevolezza, su sostegno di desiderio profondo, di corrispondenza con se stessi.  Procedere in quel modo bastava alla parte di sé cosiddetta conscia, ma non bastava di certo alla parte profonda, meno illusa dalle apparenze, meno preoccupata di stare in linea e al passo con la normalità, meno timorosa di perdere quel treno, più preoccupata di non perdere se stessi. Quel che sto dicendo lo dico dopo lunga ricerca e dialogo col profondo, dopo aver fatto cammino di ascolto e di ricerca con chi accompagno da oltre trent’anni nella ricerca di comprensione della radice del perché, del senso e dello scopo del proprio malessere interiore. Quando davvero gli si dà retta, come si fa in una buona esperienza analitica, il profondo prende a dire subito il perché e il senso del malessere. Bisogna ascoltarlo sia dentro il sentire, che il profondo muove e orienta, sia nei sogni. Da subito nei sogni l’inconscio comincia a far vedere dov’è la ragione del malessere e della crisi, da subito conduce a vedersi allo specchio nel proprio modo d’essere e di procedere, da subito comincia a evidenziare i nodi mai avvicinati, i vuoti, le illusorie verità che non reggono, da subito, con grandi forza e fiducia, apre il cantiere della costruzione del proprio originale modo di essere, di esistere, di pensare e di progettare. E’ un cantiere dove serve fare un lavoro serio e paziente, perché la normalità è maschera o vestito già confezionato che basta indossare, mentre essere individui pensanti di pensiero e di visione propria e coerente con se stessi richiede molto, molto di più e comprensibilmente. Si pensa la psicoterapia e la si pratica spesso come officina di riparazione per tornare normali, per trovare da qualche parte qualche ipotetica causa attuale o preferibilmente remota, che avrebbe ingrippato il meccanismo. Non c’è, per ciò che, pur difficile e sofferto, vive oggi interiormente, da cercare causa o fattore avverso di cui si sia o si sia stati vittime, c’è semmai da comprendere ciò che l’intimo sentire oggi dice e fa vedere di se stessi.  C'è da intendere ciò che la propria interiorità spinge, attraverso sentire e sogni, a formare di consapevolezza, di pensiero proprio e di progetto, che finora sono mancati e che sono prezioso e indispensabile bagaglio, per non perdere davvero scopo e valore della propria vita. So che questa mia lettura del significato della crisi e del malessere interiore, non filosofica o inventata, ma frutto di esperienza e di confronto con l’intima esperienza e sofferenza, di dialogo e di lavoro quotidiano col profondo, non coincide con l‘immediata attesa di molti che vivono disagio interiore, che chiedono, come proprio bene,  prima di tutto l'annullamento del malessere e la normalizzazione, come so che non è omogenea a modi assai frequenti di intendere la cura, il prendersi cura di chi vive simili esperienze interiori. L’atteggiamento curativo, che, in apparenza benevolo e favorevole, cerca il rimedio, che col farmaco vuole sedare o mitigare, che con prescrizioni e suggerimenti vuole riplasmare i comportamenti e le reazioni, abbattere "l'ostacolo" interiore o che va a caccia di ipotetiche cause per costruire una sorta di spiegazione logica del perché del malessere, per tornare a chiudere il cerchio, lasciando tutto, del procedere e del rapporto con se stessi, come prima, rischia, malgrado le buone intenzioni, di diventare una barriera, se non una vera pietra tombale messa sopra una parte di sé intima e profonda, tutt’altro che malintenzionata, certamente non compresa nella sua intenzione e non valorizzata nella sua capacità propositiva. Rischia di perpetuare paura e incomprensione di se stessi, di ciò che vive dentro se stessi, di bloccare sul nascere o di non favorire, come la spinta interiore richiede, un necessario, utilissimo processo di cambiamento, di rinnovamento. Prendersi davvero cura di sè significa aprire a se stessi e scoprire che ciò che di sè si temeva può diventare la fonte, il fondamento della propria salvezza, del proprio vero benessere.

sabato 19 luglio 2025

La guida interiore

La parte conscia dell'individuo si fa vanto di superiorità rispetto alla componente interiore e profonda nel garantirgli capacità di guida affidabile, la suppone. E' comprensibile che lo faccia, visto che nell’esperienza di molti, questa parte di se stessi, che fa leva su volontà e pensiero ragionato, da sola e volendo fare da sola, ha tirato e tira la carretta. La parte inconscia però non è, come ritiene spesso il pensiero comune, un magma di paure, un serbatoio di brutte esperienze, uno strepitio di pretese infantili e di convincimenti irragionevoli e assurdi, dunque una parte inaffidabile, da tenere comunque in subordine. L'inconscio è la parte di noi stessi che sa vedere le cose che ci riguardano da vicino con trasparenza e fedeltà di sguardo, sapendo, ben diversamente dalla parte conscia, contemporaneamente allargare e estendere la prospettiva per cogliere l'insieme e ciò che nel tempo ne sarebbe di noi stessi procedendo nella modalità consueta. La parte conscia vuole la continuità, concepisce e dice cose che confermano solo ciò che è solita credere, sostanzialmente non sa staccare da ciò che le è abituale e che dà per scontato, per vedere riflessivamente e senza pregiudizio cosa sta sostenendo e in che modo. La parte conscia si illude di essere lucida, obiettiva, capace di riconoscere e di garantire a se stessi il meglio della conoscenza e le più favorevoli delle risposte e delle soluzioni, in realtà è spesso cieca e passiva, ripete più di quanto non creda luoghi comuni, si avvale nel pensare, nel ragionare sull'esperienza, di attribuzioni di significato prese in prestito e assunte passivamente, dando per scontato di sapere cosa sta dicendo, cerca all’esterno e si fa dare convalide rassicuranti, si fa persuadere dall'approvazione altrui, ne dipende, perciò si chiude e si rigira su se stessa. Non sa vedere la passività che la costringe a far suo ciò che nell’uso e nel credo comuni è già definito come significato valido e normale, non sa vedere la propria inconsistenza di pensiero. Ciò che si pensa è importante, anzi fondamentale, indirizza e sostiene le proprie scelte, è decisivo per la propria sorte. Se è un pensiero, quello di cui ci si avvale, che, per come viene messo assieme, articolato e composto, per le attribuzioni di significato che impiega e variamente combina, è coerente e conforme a una visione della vita e delle sue possibili realizzazioni già concepita e sistemata, il peso della incapacità di conoscersi davvero e di conoscere autonomamente e fedelmente a sé è rilevante, decisivo per la propria sorte. Solo la capacità di formare pensiero autonomo e fondato sulla comprensione dei significati tratti dalla propria esperienza può rendere indipendenti e capaci di prendere in mano la propria sorte. Perché il proprio pensiero sia fondato, davvero valido e affidabile, capace di garantire a se stessi capacità di orientamento e di giudizio, libertà di scelta, è necessario che tutto del pensiero di cui ci si avvale sia formato partendo da se stessi, da scoperta di significati dentro e attraverso la propria esperienza, i propri vissuti. Le proprie vere ragioni di vita e potenzialità, che rischiano di essere oscurate o malamente confuse con le aspirazioni e le mete prese in copia e in aderenza a ciò che fuori di sé è comunemente promosso e organicamente concepito e organizzato, sono in realtà tutte ancora da scoprire, da riconoscere. L'inconscio non ignora queste lacune, ha ben presenti tutte queste questioni e necessità vitali, l'inconscio è la parte di noi stessi portatrice di ciò che autenticamente e profondamente siamo, con cui e per cui siamo venuti al mondo e che potremmo far vivere e realizzare, è la parte che non chiude gli occhi, che non riconosce come priorità stare al passo con gli altri e proseguire, che ha ben altra preoccupazione e cura di noi stessi, è la parte che sa riconoscere il niente camuffato da tutto, il vuoto, l'inconsistente dove la parte conscia crede ci sia chissà quale sostanza. L'inconscio è la risorsa di cui profondamente disponiamo per vedere senza illusioni e trucchi, è la capacità insita in noi di porre in primo piano il vero, rispetto alla tendenza, spesso prevalente, a far funzionare comunque le cose, cercando a testa bassa di non perdere punti, di non rimanere indietro rispetto agli altri, provando con ogni mezzo a far girare il meccanismo, a proseguire comunque. L'inconscio, contrastando la tendenza dominante nella parte conscia a salvaguardare un modo di procedere e un equilibrio mal fondato e per nulla rispondente alle proprie necessità e possibilità, cerca di far sentire, smuovendo il quadro interiore, di segnalare nel sentire, lo scricchiolio dell'insieme dell'assetto di un modo di essere e di procedere, che pretenderebbe di essere solido, quando in realtà è spiantato, fragile, sconnesso. L'inconscio al mantenimento di questo insieme non dà manforte. Ansia e quant'altro trovi espressione nel disagio interiore, spinti e messi in campo dall'inconscio, servono a far sentire l'intimo profondo disaccordo, il pericolo e il senso di inaffidabilità di un modo d'essere e di procedere tutt'altro che validi e promettenti, a far sentire la necessità di un cambiamento di sguardo e di rotta, a consegnare il compito non di tirare avanti dritto incuranti, ma di cominciare davvero a guardare senza veli, a capire come si sta procedendo, di cosa si è sostanzialmente privi. Nel disagio interiore e nelle sue punte di malessere ci sono apporti e stimoli accorti e intelligenti, carichi di significato e con ben valido fondamento, anche se scioccamente trattati e considerati come segni di anomalia, come ansia immotivata ad esempio. Il vizio di fondo di tanto pensiero psicologico e psicopatologico è di considerare l'uomo come un meccanismo che deve stare dentro, funzionare regolarmente e realizzarsi nel cosiddetto "reale", il che altro non significa se non lo stare sui binari e nell'adesione a ciò che, pur con tante varianti e opzioni alternative, nella sostanza è già modellato e dato, già pensato e detto, che nulla ha a che vedere con la formazione di pensiero proprio, con la scoperta di se stessi e del proprio progetto, che l'inconscio stimola con insistenza, che vuole con forza, perchè condizione per essere artefici del proprio destino e liberi, non gregari, non ridotti a essere copia d’altro, di un disegno di vita nelle sue linee guida e nei suoi percorsi possibili  preso da fuori. Dove la parte conscia tira dritto e consolida solo il pregiudizio, l'inconscio "pensa" e cerca di far sentire la sua presenza, di esercitare la sua influenza, tutt'altro che negativa, anche se vissuta come disturbante, anche se bollata come disturbo e patologia da trattare e eliminare. L'inconscio non è lontano o destinato per sua natura a rimanere tale. Anzi il nostro inconscio vuole esserci nella nostra vita, stimolarci e sostenerci nell'impegno di crescita, consegnandoci (attraverso i sogni principalmente, ma anche plasmando tutto il corso interiore dei nostri vissuti, del nostro sentire) nuova linfa e pensiero, vuole che sia condiviso dalla nostra parte conscia, cui chiede coinvolgimento, impegno e serietà, messa in discussione e rinuncia alla pretesa di capire tutto in un attimo o, peggio, di sapere già. L'inconscio non è uno strano accessorio o una presenza aliena, non è un'entità oscura, destinata a sfuggirci, di cui solo gli esperti possono dire, con quale cognizione di causa è tutto da vedere. L’inconscio siamo noi in una parte del nostro essere, la più autentica e vitale, la meno passiva e rinunciataria, la meno addomesticabile, la più dotata di intelligenza acutissima nel riconoscere quanto c’è nel proprio presente e la più lungimirante, che ahimè spesso è ignorata letteralmente, come non esistesse, oppure che è fatta oggetto di attribuzioni che ne fraintendono e ne sminuiscono il potenziale  e la natura, ripetendo sul suo conto definizioni prese qua e là, applicandole stereotipi, come quello di considerarla un serbatoio di esperienze negative rimosse, che oscuramente alimenterebbero paure e disagi, vivendola e trattandola come parte oscura e assai poco accessibile da tenere a bada, verso cui stare in guardia perché non turbi il proprio equilibrio e benestare, in definitiva finendo molto spesso per non riconoscerne il vero volto, il significato e il potenziale trasformativo che può portare nella propria vita. L’inconscio è ben altro che una parte oscura, poco affidabile e assai poco accessibile e intelligibile, che abita il nostro essere, è la parte di noi stessi che svolge un lavoro estremamente attento, che raccoglie e documenta ogni passo del nostro procedere, che evidenzia continuamente nelle nostre emozioni e stati d'animo il vivo e la complessità di cui è fatta la nostra esperienza, il vero e l'intero, senza omissioni o aggiustamenti di significato o riduzioni di comodo, come, pensando col ragionamento, tendiamo spesso a fare. L’inconscio è la parte più accorta e affidabile del nostro essere. Capita che già giovani o giovanissimi si veda il proprio corso d'esistenza, che si vorrebbe quietamente e piacevolmente sereno, turbato da malesseri o da crisi interiori, non per caso, non per cedimenti o per insufficienze banali, non per difetti di buon funzionamento, non per condizionamenti, insufficienze e responsabilità esterne, cui si tende sempre a ricondurre l’origine e la causa di malesseri e disagi, ma per ragioni più profonde, di mancanza di basi salde di unità con se stessi, di conoscenza di se stessi, senza le quali, particolarmente per chi è giovane (dico particolarmente, perché la questione non riguarda solo chi è giovane) e nella necessità di comprendere e decidere come indirizzare la propria vita, è mancante e compromessa la capacità di trarre da sé le risposte, di farsi attenti e fedeli interpreti di se stessi e di guidarsi autonomamente, di sventare il rischio di farsi sostituire, di affidare l’orientamento della propria vita e del proprio futuro a guida esterna piuttosto che interna. Già pare infatti modellato, spiegato e detto ciò che va inteso per realizzazione personale, per crescita, per ricerca del bene della propria vita. Le tappe, le occasioni, i modi di intendere la maturità sembrano già definiti e scolpiti nell'esempio comune, nel pensiero vigente, prima di ogni possibilità e impegno di scoperta e di ricerca personali. Il rischio di saltare la propria ricerca e di imboccare strade già segnate, tradendo, deludendo le proprie ragioni e aspirazioni profonde, nemmeno indagate, coltivate e conosciute, è fortissimo. L’inconscio non per caso intralcia il cammino, fa sentire con ansia, attacchi di panico o quant’altro cosa vacilla e manca, forza l'individuo col malessere ad andare più verso se stesso che verso l‘esterno e verso altri, gli fa toccare con mano la sua non familiarità e lo smarrimento nel contatto con il proprio mondo interiore, gli fa sentire l'urgenza di porvi rimedio, di non procedere incurante di questo stato di incomprensione con se stesso. Non è distruttiva la pressione che l’inconscio esercita sull'individuo, è provvidenziale e saggia, gli vuole togliere illusioni, vuole spingerlo a delle verifiche attente e approfondite da farsi con i propri occhi, con trasparenza e coraggio di verità finalmente. L'inconscio vuole aprire all'individuo una stagione di profonda trasformazione per sostituire il posticcio di una identità e di un senso della propria vita prese in prestito, fragili, non verificate e comprese davvero (fondate più sull’imitazione e sulla ricerca dell’intesa con l’esterno e con gli altri che sul confronto con se stesso) con la presa di coscienza, con la formazione di proprie idee fondate e verificate, con la formazione di propria visione, in stretta unità e accordo col proprio intimo e profondo. Il rischio per l'individuo di sprecare la propria vita diventando copia d’altro e dipendente da altro, che, nel pensato e nell'esempio comune, nel già organizzato e strutturato, nel cosiddetto "reale", è pronto a suggerire, a convalidare, a sostenere, a dare le dritte, non è sottovalutato dalla parte profonda di se stesso. Non è un caso se l’inconscio fa il guastafeste, se fa ad esempio sentire senso di fragilità, di sfiducia, senso di vuoto e di inutilità. Simili vissuti sono facilmente giudicati patologici, sbagliati, espressione di qualcosa che non funziona come dovrebbe. E’ frequentissima in chi ne vive l’esperienza, l’istanza prima di tutto di liberarsi di questi malesseri, visti come intralci malauguratamente dolorosi e limitanti, per restituirsi, come si ritiene sia normale, il proprio benessere come libertà di vivere e di procedere senza gravami interiori. E’ abituale cercare aiuti per mettere a tacere con farmaci o con psicoterapie che dettino strategie e tecniche varie per controllare il sentire così  penoso e arduo o per indagare e trovare sul suo conto qualche presunto  motivo d’origine, particolarmente cercando nel passato e riconducendo a altro e a altri le responsabità, che, per inadempienze o condizionamenti negativi da parte  di genitori o dell’ambiente o per un trauma subito,  avrebbero intaccato il proprio equilibrio e compromesso il sano processo di crescita. Risposte al malessere e alla crisi vissuta interiormente che non comprendono la natura del problema e il senso di ciò che sta accadendo dentro se stessi, tutt’altro che segno di un guasto o di una anomalia di cui si si sarebbe sfortunate vittime e da cui urgerebbe liberarsi, lasciando tutto di sé, del proprio modo di procedere, della conoscenza di se stessi, dello stato di lontananza e di non rapporto con la parte intima e profonda di sé, fondamentalmente intatto e irrisolto. Ciò, che certamente impegnativo e difficile sta accadendo dentro se stessi vede la presenza e l’iniziativa forte della propria parte profonda. L’inconscio smuove le acque, turba il quieto vivere per dare indicazioni impegnative quanto fondate e vere, sollecitando attraverso il sentire, spesso proponendo sogni che hanno forte capacità di dare guide di ricerca e chiarimenti, la presa di coscienza che ad esempio non ci può essere fiducia in se stessi, che non può esserci base salda nel proprio procedere e affidabile per sé, se di proprio non si è ancora compreso e messo assieme nulla. L'inconscio può diventare la guida più affidabile e sicura, se si impara a riconoscerlo e a rispettarlo in ciò che è, se se ne comprende e condivide lo spirito e l'intento, se, dando risposta appropriata al malessere interiore, si decide, procurandosi l'aiuto valido e necessario, di cominciare, imparando prima di tutto a ascoltare e a conoscere il linguaggio della propria interiorità,  un serio lavoro su se stessi, di aprire una stagione di crescita e di cambiamento, in stretta unità e con l’aiuto e la guida fondamentali del proprio profondo. L'inconscio non difende il quieto vivere, perchè non ha a cuore il persistere in ciò dentro cui si è solo pallida immagine e inautentica di se stessi e in cui c’è un rischio, anzi ben di più di un rischio, di realizzazione impropria della propria vita. L'inconscio è impegnativo, perchè non appoggia passività e rinuncia, illusioni e comodo, ma è un potente alleato nell'impegno di far vivere se stessi, di concepire e di mettere al mondo con le proprie forze e risorse qualcosa che abbia un contenuto originale e un senso.

mercoledì 16 luglio 2025

La psicologia del rattoppo e del rilancio

Pensa a senso unico, non concepisce se non il già concepito, perciò non è in grado di capire cosa davvero avviene sulla scena interiore. Questa è la psicologia corrente, in tante delle sue varianti, pronta, pur nelle sue diverse declinazioni, a intervenire in emergenza per fronteggiare malesseri e crisi interiori come psicologia del rattoppo e del rilancio. Quando, guardando alla propria esperienza, si riconosce solo ciò che si è soliti e inclini a intendere, provvedendo a dare a se stessi, per il proprio quieto vivere, conferma nei propri giudizi abituali e convalida al proprio modo di procedere consueto, resi, in appoggio a modelli e a mentalità comune, scontati, “normali” e fuori da ogni necessità di verifica, già si è ben sintonizzati e in perfetta consonanza con la psicologia corrente, sia con quella convenzionale e diffusa, che con quella professionale dei non pochi esperti che, all’occorrenza, in caso di difficoltà, è pronta a intervenire come psicologia della diagnosi del (presunto) guasto  e della ricerca del suo rimedio. Quando, seguendo l'onda e il modo di pensare comune, si fanno scelte di vita, si fanno proprie, rifacendosi a modalità e a modelli condivisi, le tappe e i tempi di esecuzione, si perseguono i traguardi di presunta crescita e realizzazione personale in qualche modo già designati e si considera se stessi, in realtà attori di un copione già scritto, calati dentro ruoli e parti già ben definite e configurate, come artefici e capaci di dire in quei panni la propria, quando illusi di compiere il proprio cammino per intraprendenza e iniziativa proprie, ci si muove in realtà su percorsi già segnati, ben indirizzati e regolati, ecco che la psicologia, che convalida e assesta la credibilità della (fasulla e inautentica) autorealizzazione messa in scena, è pronta, in caso di difficoltà, di malessere interiore, di cui non sa riconoscere le ragioni profonde e lo scopo, a intervenire per fare azione di rimedio, di rattoppo e rilancio. Ben accolta come salvatrice e provvidenziale, resa affidabile dall’autorità concessa ai cosiddetti esperti, la si fa intervenire a fare rattoppo quando, mentre l'interiorità, con segnali, per nulla casuali e insignificanti, di malessere e di crisi, produce strappi, apre crepe affinché il vero emerga e tutto possa finalmente prendere una via nuova, quella della presa di coscienza, del recupero a sè del compito e della occasione di fondare su di sè la propria vita, si cerca invece, casomai facendosi aiutare in questo, di adoprarsi per trovare rimedio a presunti guasti, per ripristinare la corsa solita, a senso unico, per ridarle slancio e respiro. Non conduce alla presa di coscienza, la psicologia che la dà per naturale e la traveste,  che non persegue lo scopo di aprire lo sguardo, di vedere cosa è realmente e cosa implica la modalità di procedere in cui ci si affida a altra guida, cercata fuori di sè, che già ha concepito e predisposto, casomai con ampia gamma di soluzioni e binari, ciò che si può e che va realizzato e perseguito, illudendo che quello messo in atto sia movimento autonomo e fondato su basi proprie ben comprese e evolute, cosa che solo un serio lavoro su se stessi potrebbe formare e costruire. Un lavoro necessario per fondare la propria autonomia su presa di visione propria, su scoperta di ciò che vale, di aspirazioni che si riconoscono originali, di cui si è profondamente portatori, lavoro che solo in unità col proprio profondo può svilupparsi senza inglobare significati e risposte e soluzioni preconcette e già pronte, prese da fuori. I binari, il copione già scritto esonerano però dal compiere questo lavoro, anzi lo rendono, oltre che inutile, inaffidabile, offrono e sanciscono come via maestra e necessaria, addirittura ovvia e naturale, per la propria realizzazione soluzioni, vie da percorrere già segnate, da seguire, da assecondare. Non serve allora altro che testare su di sè se non la predilezione, l'interesse per questo o per quell'altro già configurato che sta là fuori dentro il ventaglio delle opzioni possibili, scegliendo la preferita, come il mezzo e come l’itinerario da seguire e il traguardo da raggiungere per dare realizzazione alla propria vita. Così assuefatti a cercare pronta soluzione, a prenderla da fuori, ben poco si è disponibili e interessati a fermarsi, a aprire riflessione e verifiche attente, a ascoltare la parte intima e profonda, a lavorare con cura su di sè. Serve solo ai propri occhi afferrare le soluzioni già prefigurate e pronte, serve non perdere il treno, salire di volta in volta e tempestivamente sul treno che pare confacente a sè, per non rimanere a piedi e indietro rispetto agli altri, per darsi la persuasione e la rassicurazione di mettere la propria vita in corso d'opera e in corsa di riuscita. Capita nei sogni di essere in procinto di salire su un treno, a volte di correre il rischio di perderlo, di affannarsi per non perderlo, di non arrivare in tempo. L'inconscio ci mette l'intelligenza di cui dispone, non conforme e non al guinzaglio della psicologia del rattoppo e del rilancio, per segnalare l'impossibilità ormai di acciuffare quella falsa grande opportunità del treno in partenza, impossibilità da intendersi come condizione utile e necessaria, tutt’altro che infelice. La perdita del treno in partenza non è infatti sciagurata, ma viceversa è favorevole per riportare a sè la scoperta del cammino, dell'orientamento da trovare, della meta da scoprire, del modo di raggiungerla da affidare alla propria intelligenza, facendo conto sulla sensibilità  dei propri piedi sul proprio terreno, sulla loro capacità di sostegno e di movimento e non sul farsi portare da veicolo a pronto uso, che, se offre agio di muoversi,  ha però le sue regole e destinazioni segnate, i suoi andamenti cui aderire, cui affidarsi passivamente, i binari ben segnati su cui correre. Quando non si comprende quanta necessità c'è di aprire gli occhi sul modo abituale di condursi e sugli autoinganni, sulle illusioni che alimenta e di cui si avvale per stare in piedi, per sussistere, ecco che la visione di sè, che la psicologia del rattoppo e del rilancio di ciò che ormai è consacrato come regola e come unica prospettiva possibile, prende il sopravvento, risulta funzionale e quasi indispensabile per tenere su l'intero costrutto. La psicologia del rattoppo interviene per accomodare tutto, mettendo le mani su situazioni di crisi e di malessere interiore, fraintendendo e dirigendo tutto nella ricostituzione e nel rilancio, casomai con qualche apparente novità e aggiustamento, della solita storia e direzione. La psicologia del rattoppo, in presenza di momenti e passaggi interiori critici e problematici, in cui la componente profonda interviene per spezzare la quiete, la continuità del procedere e del pensare soliti,  per sollecitare con forza la riflessione, il recupero della presa di visione di ciò che si sta facendo di se stessi e verso se stessi, cerca cause di presunti disturbi da rimuovere e da correggere, offre spiegazioni e soluzioni, salvando e riconfermando nella sostanza l'impianto solito, tentando di renderlo più scorrevole, se intralciato da dentro. Ma gli intralci, i segnali di crisi e di malessere, sono richiami e spunti di verifica, spinte e guide di ricerca di verità e di consapevolezza su se stessi, che la parte profonda mette in campo, che, se non intesi come tali e non  ascoltati, se fatti invece oggetto e pretesto di rattoppo, portano solo a fraintendere e a chiudere la possibilità di conoscenza di se stessi e di profondo cambiamento, indispensabile per uscire da una condizione impropria, di dipendenza e di allineamento a altro, pur con l'illusione di decidere, di dire e di metterci del proprio. La psicologia del rattoppo e del rilancio, che sembra nella crisi e rispetto al malessere interiore dare risposta utile e benefica, di fatto vanifica la spinta che nelle intenzioni del profondo, che anima e solleva la crisi, vuole portare a verifiche attente, a aprire gli occhi sulla natura del proprio modo di procedere, a invertire la rotta, a passare da finti artefici e realizzatori della propria vita,  a veri artefici, accettando non di consumare soluzioni pronte e di salire su treni da non perdere, ma di costruire con impegno e pazienza e gettare le fondamenta della propria autonomia, di trovare dentro di sè le guide e le risposte, di tesserle con cura, in unità con un'interiorità che, se da un lato apre crisi, dall'altro ha capacità di dare sostegno e di guidare la ricerca per diventare davvero protagonisti della propria vita. Quando l'intento del profondo è compreso e condiviso, accade che la psicologia, non del cieco aderire e della conferma del corso abituale, non del rattoppo e del rilancio del solito, ma la psicologia della riscoperta e del riscatto dell'umano vero e della sua realizzazione autentica riesca finalmente a prendere il sopravvento. L'inconscio questo vuole e di questo sa essere maestro e guida.

sabato 12 luglio 2025

Le vicende interiori

Non è affatto facile capire le vicende interiori, particolarmente se complesse e inquiete. Prima di tutto si fa e spessissimo l'errore di applicare agli svolgimenti interiori una logica interpretativa e una lettura che sono a loro estranee, improprie. Ci si aspetta, si suppone che ciò che accade interiormente sia solo l’eco, la coda, il seguito passivo di ciò che si ritiene essere il senso delle cose come tenuto insieme nella propria testa. Si ha pretesa di tenere con la testa il comando esclusivo delle operazioni di pensiero e di indirizzo delle scelte e che tutto di se stessi debba muoversi al seguito. Se l’intimo di sé nel sentire non dà segni conformi alle attese, prontamente lo si considera segno di risposta insufficiente, inefficiente, non valida e non adeguata come si vorrebbe.  Tutto ciò che accade interiormente è ben altro in realtà e ha ben altra capacità e intento che di seguire le orme e i dettami della testa padrona, ma questo lo si ignora, implicitamente lo si esclude, con pretesa convinzione inossidabile che ciò che conta è ciò che nei ragionamenti si pensa e si argomenta e che il resto sia comunque subalterno e da gestire. C’è poi la tendenza a fare uso, a esaltare le emozioni che hanno buon gradimento e che godono di apprezzamento comune, a indurle, a porle a rimorchio e al traino di circostanze (ad esempio un luogo, una vista chissà quanto incantevole e irresistibile, oppure una situazione che si pensa non possa che commuovere o altro) o di fonti ispirative, come la visione di un’opera d’arte, assistere a una rappresentazioni teatrale o cinematografica, come l’ascolto di una musica, la lettura di un libro o simili, che avrebbero capacità di suscitare e accendere emozioni, come se ce ne fosse necessità, come se il sentire spontaneo fosse poca cosa e ci fosse necessità di animarlo, guidarlo e  sostenerlo per farlo entrare in bella vibrazione, perchè dia il meglio di sé, perché caldamente prenda forma e si manifesti. Contrariamente e ben diversamente dal pensato comune, ciò che si propone interiormente nel sentire, spontaneamente, senza trucchi, manipolazioni e incentivi, davvero in modo spontaneo e autonomo, quando rispettato, correttamente inteso e fedelmente compreso, si rivela essere ben altro e avere ben altro peso, valore e capacità rispetto a ciò che gli assegna il preconcetto usuale e ricorrente. Ben diversamente dai limiti che si suppone lo caratterizzino, lo si considera infatti componente a volte deludente e senza pretese  se poco vivace e affatto appagante, altre volte, se più acceso e incalzante, irrazionale e viscerale, non affidabile in termini di intelligenza e di capacità propositiva, il proprio sentire, il corso delle intime sensazioni e stati d’animo, è viceversa capace, ben guidato dalla parte profonda della propria psiche, di dare contributo e guida intelligente per comprendere ciò che la testa, scissa dal sentire, non può e non sa  intendere, alimentata com’è nei suoi ragionamenti dal pensato comune, condizionata  com’è da interessi di conservazione e di conferma dei suoi convincimenti soliti. Il sentire sa dare testimonianza viva di verità intime, verso cui lo sguardo abituale non cerca e non si dirige, riguardanti lo stato del rapporto con se stessi, l'orientamento e il modo di farsi interpreti della propria vita, il grado di maturità vera, di autonomia raggiunte, la corrispondenza con se stessi di ciò che si persegue o segue. Sono verità tutt’altro che di poco conto per chi non voglia procedere a testa bassa o dentro convinzioni mai verificate, sono verità solitamente ignorate e trascurate, rese vive e tangibili proprio dentro e attraverso stati d'animo,  vissuti, che di continuo offrono base viva di comprensione e di ricerca, che solo un autentico sguardo riflessivo (che non c'entra nulla con la riflessione comunemente intesa e praticata, che è tutto un ragionare sopra e sul conto di esperienze e momenti interiori di cui non si riconosce il volto, che non si lasciano parlare) può avvicinare e gradualmente cogliere. Lo sguardo razionale non sa nè raccogliere nè concepire una simile proposta, abituato com'è a far da solo, senza vincolo e senza aderenza stretta al sentire, a commentare e non a ascoltare, a definire e non a riconoscere ciò che il sentire dice e rivela. Prevenuto com'è, supponente, perchè pensa di aver già nel suo bagaglio la comprensione, impaziente, perchè non sa reggere la tensione del non vedere già e del non sapere subito o presto, poco o nulla duttile e accogliente, perchè rigidamente attaccato a idee e a principi di coerenza formale e di normalità, imbevuto di a priori, di significati presi in prestito dall'uso comune, fondamentalmente incompresi e semplicemente replicati, incline a spiegazioni lineari di causa e effetto, il pensare razionale non ha certo l'animo e la stoffa per entrare in rapporto rispettoso, utile e fecondo col sentire. Ciò che accade interiormente vuole far vedere da vicino la propria condizione, i propri modi, vuole illuminare complesse relazioni intime. Solo con uno sguardo riflessivo portato su di sé, solo guardando negli occhi, come in uno specchio, il proprio sentire e riconoscendo cosa vuole comunicare e dire, ci si può accordare col senso e con la proposta di ciò che di volta in volta si rende vivo e presente interiormente, viceversa l'attenzione sempre portata all'esterno, l'abitudine a riferire tutto ciò che si prova a relazioni concrete con altro e con altri non può permettere di cogliere, di capire il senso dell'esperienza interiore. Se ad esempio l'ansia cresce non è per debole capacità di procedere e di avanzare con sicurezza nel rapporto con l'esterno, sempre inteso come unica realtà di riferimento e assoluta, ma per testimoniare la fragilità di ciò che fa da base d'appoggio al proprio modo di stare al mondo e di procedere, dove manca l'essenziale, dove manca tutto ciò che gli faccia interiormente da fondamento valido, che lo renda affidabile e saldo. Senza unità con tutto il proprio essere, senza capacità di ascolto e di dialogo con la propria interiorità, senza conoscenza di se stessi, aperta e approfondita, non addomesticata alle proprie pretese e condizionata da convinzioni di comodo, non può esserci base salda e affidabile. Lontani dal proprio intimo e senza intesa con se stessi, senza aver compreso nulla, aggrappati solo all'agire e al ragionare spiantato, supportato da luoghi comuni, da convincimenti senza conferma interiore e sfasati rispetto al proprio sentire, come si può pretendere di starsene quieti, che non suoni l'allarme, a causa di una dotazione nel vivere, di un equipaggiamento nel procedere scadenti e lacunosi, dell'inconsapevolezza di ciò che si sta realmente facendo di se stessi, di ciò a cui ci si sta nel tempo destinando?