Chi si confronta con la sofferenza depressiva, con un
lago di infelicità, con la sensazione che nulla abbia più colore, che di se
stessi non ci sia più nulla che vale, che non ci sia più credo e spinta vitale
possibile per sè, dentro un tutto solo opprimente, teme che si sia aperta una
voragine, che non ci sia più nulla di se stessi, solo un male oscuro. E'
proprio con queste parole "male oscuro" che si chiama abitualmente
quel dolore che scava, che non cede, che stronca ogni iniziativa, che spegne
tutti i desideri e affonda ogni speranza. Eppure quel male, che pare solo
togliere, spegnere e negare qualsiasi anelito vitale, ha in sè altro. Anche se
così doloroso e impietoso, senza limiti e radicale, non è affatto detto che sia
un insano modo di vedere e di sentire, che non colga in profondità e che non
dica il vero. Una vita cercata e inseguita ponendosi in appoggio e a rimorchio
d'altro ha di fatto chiuso, ha lasciato intentate altre strade, ha lasciato
cadere altre possibilità, più impegnative, ma anche più connaturate, più
interiormente vive, non ha certo fatto sì che il proprio originale fosse
cercato e riconosciuto, che fosse coltivato, che fosse portato alla luce e
fatto crescere. Una vita condotta facendo affidamento più su altro e su credo
comune che sul proprio sguardo, facendosi portare e ispirare nell'assumere modi
e soluzioni che le avrebbero dato completezza e dignità, a volte persino di
apparente ottima riuscita e pregio, piuttosto che investire, casomai con più
dispendio di tempo, di impegno e di coraggio, su propria ricerca, sul dare
credito e portare a maturazione e a compimento
proprie idee e convinzioni, non può che andare incontro a verifica circa
la sua debole, anzi assente radice interna, valida, forte, irriducibile. Se una
simile vita, affidata a altro e copia d'altro a cui si è ispirata e omologata,
zoppica, se infine interiormente non è più sorretta e non sta più in piedi, non
può fare meraviglia. La depressione è onesto bilancio e sguardo, che non
maschera più le falle, che non nasconde più i vuoti. Si ha un bel da dire, così
ci provano le persone vicine a stimolare e a incoraggiare, che ci sarebbero
validi motivi per risollevarsi, per rilanciare la fiducia in se stessi, la
motivazione e la voglia di vivere, che ci sarebbero i perchè per sentirsi non
così infelici, facendo riferimento a cose, a realizzazioni fatte, a affetti, a
legami, ma la parte intima sincera dice che manca alla vita condotta sinora ciò
che potrebbe renderla riconoscibile come la propria vita, come la propria storia
con un suo costrutto, un'opera originale, un che che non si dissolva, che si
possa sinceramente amare e che si possa sentire vicino, caldo e vicino davvero.
Se si è vissuto o, forse sarebbe meglio dire, sopravvissuto, casomai facendo e
agendo, ma dentro ruoli e parti, sì ben svolte, in alcuni casi persino con grande e acclamato successo, ma prese in prestito, rese
credibili da considerazione, da stima e da pensiero comune, se si sono portate
e legate a sè le vite altrui, che sia un familiare, il compagno/a o i figli o
altro a cui ci si è votati e vincolati per stare su, che cosa si è creato
davvero di cui ci si possa sentire artefici, a cui ci si possa rivolgere per
riconoscere che la propria vita ha valore,
consistenza e volto autentico e proprio, per trovare un filo vero di
passi compiuti, di fatiche e di errori e di presa di coscienza e di crescita a
partire da errori, un filo di scoperte, di credo proprio, di passioni
originali? Da una verità amara si può comunque finalmente ripartire, una verità
dolorosa e amara, ben riconosciuta, lucidamente e senza sconti e fughe fatta
propria, è comunque un valido punto di partenza per cominciare a ritrovarsi,
molto meglio e ben diversamente dal tornare a stare appesi a illusioni, da cui
prima o poi si tornerà a precipitare al suolo. In questo la depressione è
coraggiosa, oltre che onesta e sincera e offre un punto di partenza valido e
affidabile, purchè non le si spari addosso, giudicandola semplicemente insana e
malata, senza ascoltarla e valorizzarla, per rilanciare, per gonfiare ancora
l'illusorio, il facile, comodo, ingenuo illusorio. Il profondo, che consegna
una simile dolorosa quanto sincera verità su se stessi e su quanto sinora fatto
della propria vita, ha tutta l'intenzione e la capacità, dove si crei sintonia
e gli si dia accordo nell'aprire finalmente gli occhi e nel proposito di
invertire la rotta, di fare sul serio, stavolta facendo leva su impegno di
intelligenza e di ricerca proprie e non su risorse prese in prestito e
appoggiandosi a altro e a altri, di sostenere e di alimentare una simile svolta epocale, con pazienza, con
determinazione, con coraggio. Il profondo sa dare le guide e le occasioni per
formare finalmente visione e idee proprie, sentite, comprese, in sintonia con
se stessi, l'inconscio, che espone alla verità senza sconti, vuole aprire la
strada alla rinascita su basi salde, originalmente proprie e vere. La cura, il
prendersi cura su questo può fare conto per essere vera cura e per non
limitarsi a essere tentativo di rilancio e di recupero di una vita cui, al di
là delle illusorie solide parvenze, in quella forma manca l'essenziale per
essere tale, per stare su, per credere in se stessa. La depressione,
un'esperienza interiore dolorosa e impietosa come poche, fermamente mossa e
così plasmata dal profondo, non certo senza intelligenza e senza scopo, chiede
imperiosamente di essere ascoltata. Vista come patologia o come caduta da cui
essere tratti in salvo e risollevati, per tornare a abbracciare il solito,
nella sostanza tali e quali a prima, non trova di certo l'ascolto e la
rispondenza che cerca, non vede raccolto il suo invito tanto difficile quanto
profondamente sano.
sabato 13 settembre 2025
Il male oscuro: la depressione
domenica 7 settembre 2025
Il potere del marchio
E' sorprendente come risulti gradita e ben considerata da
parte di chi vive un'esperienza di disagio e di sofferenza interiore
l'operazione di vedersi attribuire un'etichetta riconosciuta come atto di
scienza. Pare risolvere ogni dubbio circa il significato di ciò che sta
provando, di cui sta facendo intima esperienza. Fatta equivalere alla diagnosi
in medicina, sembra dare a chi la riceve certezze, la certezza di sapere da
quale presunto morbo sarebbe afflitto, in qualche modo traendo conforto, nel
tribolato confronto con la sua esperienza interiore difficile e sofferta, dalla
possibilità, vidimata, certificata dalla diagnosi dell'esperto, di incasellarla
come disturbo e come guasto, di stigmatizzarla come accidente e carico negativo
di cui, dopo l'etichettamento diagnostico, con più persuasione considerarsi
vittima e volersi liberare. L'etichetta diagnostica pare offrire un ulteriore
vantaggio, perchè ritenere di avere comune sorte con altri, pur essi inseriti
nella stessa casella della stessa presunta patologia, sembra in qualche modo
dare rassicurazione e rincuorare. La delega a altri di sancire da esperto o presunto
tale cosa sia ciò che l'individuo sta vivendo nell'intimo è il primo passo di
una delega più ampia fatta al terapeuta diagnosta, di prendersi cura di sé, esercitando
un ruolo di arbitro nel dire come provvedere, che farmaci o soluzioni adottare.
Tutto questo, la presa di distanza dal proprio che vive dentro se stesso, il
disimpegno dal difficile confronto con la propria vicenda interiore, dal
compito di capire se stesso nella parte intima e profonda, di comprendere ciò
che la propria interiorità attraverso il malessere vuole comunicare e far
intendere, sembra dare sollievo, garantire un vantaggio, sembra un modo valido
e favorevole di prendersi cura di sè. D’altra parte la propria vita interiore,
ciò che nel sentire si muove e si propone passo dopo passo nella propria
esperienza quotidiana, non ha avuto di certo nel tempo, nella vita di molti,
della stragrande maggioranza, un posto di rilievo. Considerando sempre le
proprie emozioni, il proprio sentire come conseguenza di cause e di fattori
esterni e non come voce della parte intima e profonda, come richiamo e proposta
rivolti alla parte cosiddetta conscia, il rapporto col proprio intimo, col
proprio sentire è stato e è di convivenza poco attenta. Un rapporto fatto di
attenzione saltuaria verso sensazioni e stati d’animo, a cui, quando più
marcati, è destinato qualche commento, deduzione e spiegazione, che, affidate
all’arbitrio del ragionamento, per quanto in apparenza plausibili, fatalmente nulla
hanno a che vedere con ciò che quel sentire vuole comunicare, con ciò che
potrebbe essere raccolto e inteso se si fosse portata a maturazione capacità di
ascolto, di comprensione del linguaggio interiore. Intendersi con la parte
intima di sé non è stata e continua a non essere per molti la priorità. Nel
percorso di crescita è stato e è il legame e lo scambio con l’esterno, con gli
altri al centro del proprio apprendimento, del proprio sguardo e delle proprie preoccupazioni
e attenzioni. Ciò che vive interiormente è considerato solo una coda, un’eco di
accadimenti esterni, un loro seguito su cui prevale l’intento di tenerlo in
qualche modo a bada e a rimorchio. Quando dunque le cose interiormente si fanno
difficili, poco piacevoli e insistenti la reazione è quella di allarmarsi, di mettersi
da subito sulla difensiva e sulla controffensiva, di reagire contro una sorta
di minaccia, di peso molesto, finendo per consegnare quell’esperienza al
titolare di una cura, perché gli dia una definizione e da lì un trattamento,
possibilmente rapido e risolutivo. La possibilità di scarico di ciò che
interiormente impegnativo e che già in partenza, prima dell'incasellamento
diagnostico, era considerato un guasto e una presenza molesta, una volta
ottenuta la cosiddetta diagnosi, la diciturina di sindrome o di patologia tal
dei tali, è confortata, autorizzata e incentivata dalla scienza, da chi ne
sarebbe esponente e depositario, che autorizza a rigettare come patologia ciò
che di sè è difficile da sostenere e da comprendere. In presenza di una
esperienza interiore certamente sofferta e all'inizio di difficile
comprensione, sarebbe importantissimo essere aiutati a avvicinarla, a
ascoltarla e a capirla in ciò che dice. Dopo l'etichettamento come patologia col
suo bel nome l'auspicio viceversa è soltanto di metterla a tacere, di
combatterla e di debellarla. L'operazione diagnostica di incasellamento di una
complessa e personalissima esperienza interiore in una categoria o casella del
patologico anche se comporta la conseguenza, non certo lieve, di affossare ogni
fiducia in ciò che vive dentro se stessi, anche se in una forma così insolita e
difficile da reggere, è però tutt'altro che sgradita, anzi è benvoluta,
riverita e accreditata come capace, oltre che di riaprire una possibilità di
salvezza, di spiegare tutto, di dare definizione, volto definitivo, di fare
chiarezza. Magia delle parole di sapore tecnico che illudono che ci sia scienza
e conoscenza dove invece scatta solo un'operazione di grossolana descrizione
delle apparenze, sostenuta da pregiudiziale distinzione tra ciò che è ritenuto
valido, sano, accettabile e normale e ciò che invece è, senza ombra di dubbio,
collocato nella serie delle cose anomale, devianti dalla norma, diligentemente
distinte e catalogate in varie caselle diagnostico descrittive. Capire se
stessi, scoprire che nulla di ciò che si prova è insensato e privo di capacità
di dire, di favorire l'avvicinamento a se stessi e la presa di coscienza di
qualcosa di importante, è possibile con l'aiuto giusto. E' la parte profonda
del proprio essere a muovere il malessere, in una forma niente affatto casuale,
per spingere e impegnare a fermarsi, a aprire gli occhi sulla propria
condizione vera, fuori da illusioni, a vedere ciò che nel modo di procedere, di
pensare e di pensarsi abituale è totalmente ignorato, travisato, non compreso.
Non c'è nulla nelle proprie vicende e vicissitudini interiori che non sia
capace di dire e di dare consapevolezza utile e fondata, che non abbia questo
scopo. E' la fiducia nella propria interiorità che va conquistata, scoprendo
appunto, a dispetto della insofferenza, dell'allarme e del timore verso ciò che
genera e propone, che invece tutto ciò che si sente e che si sperimenta
interiormente ha sempre, anche nelle sue espressioni meno facili e in
apparenza, solo in apparenza, abnormi, un senso, dice, vuole condurre a capire,
a capirsi. Solo l'aiuto volto a ascoltarsi e a comprendere il linguaggio della
propria interiorità può offrire questa opportunità, può permettere di non porsi
in fuga o in guerra col proprio intimo. Prendersi cura di sè senza creare
dissidio e disunione con ciò che si vive interiormente, senza alimentare paura
e diffidenza verso parte intima di se stessi, traendo viceversa occasioni di
crescita dalla propria crisi e sofferenza, è possibile.
sabato 30 agosto 2025
Ingenuità e incanto
Com'è facile la presa, la capacità di persuasione e di coinvolgimento di quanto nella realtà esterna è organizzato e predisposto a indirizzare e a dare soluzione a necessità di crescita e di realizzazione personale, quando, ignari di sè, digiuni di scoperte proprie, si è pronti a farsi istruire e dire, stimolare e variamente condurre e soddisfare! Ogni potenziale espressione di se stessi, prima ancora di essere autonomamente compresa, prima di riconoscerne dentro e in unità con se stessi il volto e il significato, trova pronta traduzione in un sistema organizzato, in un modo di concepire l'individuo, le sue necessità, i modi della sua crescita e della sua realizzazione, in uso e ampiamente condiviso. Scatta così, come fosse ovvia e naturale, l'adesione a altro da sè che offre l'aggancio, che mette a disposizione la definizione, le guide e la soluzione pronta, oltre che le verifiche e le convalide, che diventa la base e il volano per espressioni di se stessi, per il perseguimento di traguardi, che non sembrano richiedere altro che capacità di selezione tra opzioni già definite e capacità di esecuzione. Non sembra esserci necessità e possibilità di riservare a sè il compito e la facoltà di generare alla radice le risposte, ma solo di applicare ciò che già è definito, che è già concepito. Nel modo di procedere più comune e abituale le espressioni di sè nel verso dell'intelligenza, delle abilità varie, della sensibilità, dei sentimenti e degli affetti e di quant'altro vanno dimostrate, applicate, messe in campo, non hanno necessità di essere trattenute a sè per essere intimamente riconosciute, per essere con pazienza coltivate fino a prendere volto originale e forma consona, corrispondente a sè. Essere sprovvisti di forza di legame e di intesa con se stessi, conseguente al non avere trovato dentro e attraverso di sè risposte originali e congeniali, al non averle cercate e coltivate, fa da slancio a abbracciare in un moto di irresistibile attrattiva ciò che sembra dare occasione di espressione e di realizzazione propria, che anzi sembra esserne la traduzione più ovvia e naturale. E' una risposta ingenua, che vede il cortocircuito della intelligenza, la rottura del vincolo a vedere con i propri occhi, a concepire da sè, a convalidare per presa di visione propria e verificata un'idea, un'affermazione, un proposito, che non è una pretesa di troppo o fantascienza, ma che è ciò che spetterebbe all'individuo umano perchè possa considerarsi tale. Accade invece che il movimento passivo e senza riserve a aderire, a farsi portare e dire, si compia e non raramente, che non sia riconosciuto come tale, anzi che appaia come prova di intraprendenza, come corso ovvio e naturale, nella normalità, finendo per trovare nel "così fan tutti" ancora più forza di persuasione. Tutto finisce per declinarsi e per muoversi dentro dei canali stretti, pur dentro un'apparente quadro di libere scelte e variopinte. Conoscere diventa a senso unico istruirsi, acculturarsi, casomai viaggiare per ampliare i propri orizzonti, gioire diventa fruire di uso e consumo di piattaforme del divertimento, di quanto è offerto di godibile, di quanto è esaltato di feste organizzate, di appuntamenti da non perdere e di legami da afferrare e di cui non essere privi, la realizzazione personale e la conquista di traguardi significativi diventano la corsa alla carriera, alle promozioni e agli attestati vari e a quanto dà segno di merito e di raggiungimento di qualche traguardo o primato. Senza dimenticare che c'è poi, per alcuni a complemento, per altri a consolazione, la conquista mediata e per procura abbracciando una bandiera, tifando per un qualche eroe sportivo, sposando un credo, una ideologia con ben imbanditi valori e ideali. Senza scordare che, per uscire dalla noia dell'appiattimento del gusto e dell'interesse, c'è la tv o la rete, c'è la vita dei famosi da spiare a compensazione di una vita, la propria, lasciata nelle secche dell'inconsapevolezza e dell'abbandono. Com'è bello e seducente il mondo, che offre tante risposte e soluzioni pronte e che diventa e si autoproclama come la realtà, la realtà in assoluto, riconosciuta e celebrata come imprescindibile e elettivo luogo dove stare per stare nella vita, tenendo lì ben attiva la presenza e l'attaccamento, come se null'altro possa esistere e essere riconosciuto come reale e degno di essere abitato, coltivato, amato e fatto vivere e crescere! Certo, in questo modo di condursi e di interpretare la propria vita non c'è il motore della passione autentica, non c'è la gioia e la persuasione profonda, che non ha bisogno di conferme e di attestati di merito esterni, di far vivere qualcosa di intimamente riconosciuto come proprio e di valore. La contropartita diventa allora il far bella mostra di ciò che ai più piace, la rassicurazione di essere ben dotati secondo ciò che è ammirato e considerato giusto e degno. In sostanza avviene una sorta di baratto implicito, anche se inconsapevole, tra il valore e il gusto della autonomia, del far vivere qualcosa di tratto, di generato da sè e che si ama sinceramente e disinteressatamente, tra la realizzazione di sè autentica e la realizzazione pilotata e venduta al consenso, trainata dalla convalida e dall'approvazione comune, cosa che riesce a incantare, a sedurre, a convincere. Ingenuità e incanto sono dunque le leve di un modo di intendere e condurre l'esistenza di cui ci si può considerare soddisfatti. C'è una parte di se stessi che però non si fa incantare, che non cade nell'irretimento delle false persuasioni e di comodo dentro cui spesso si trincera la parte conscia, c'è una parte che sa vedere e distinguere il vero dal fasullo, l'autentico dal posticcio, l'apparente autorealizzazione da ciò che è e che vale realmente, che sa riconoscere il risucchio dell'umano nel programmato e già plasmato. E' la parte intima e profonda del proprio essere, è l'inconscio, che non ha intenzione di rinunciare a rendere acutamente visibile il vero, che non intende desistere dal proporre e dal promuovere altro dall'andare dietro e dal farsi governare da soluzioni e da risposte pronte, che rilancia con insistenza l'idea "folle" di cercare dentro sè risposte e punti chiave di orientamento, di portare a maturazione autonoma visione, di non concedere a altro di menare le danze. E' l'idea folle di diventare creatori di un proprio pensiero e scopritori di una idea di vita e di un progetto autonomi e forti di sostanza, di lucida consapevolezza e di risorse proprie. Questa parte non desiste, dà segnali continui nel sentire e offre con i sogni, preziosissima risorsa, pensiero vero che guarda dentro e in profondità, non ammaestrato e non fotocopia del comune pensato. E' la parte intima e profonda, è l'inconscio che spinge verso la consapevolezza, che non asseconda ingenuità e incanto, leve e garanzie del perdersi nel realizzarsi dentro e secondo stampo. Non ha altra ragione e altro senso il malessere interiore, che il profondo anima e acutizza, non ha altro scopo, anche se stravolgerne la lettura e il significato e considerarlo disturbo o patologia da sanare è operazione assai frequente, normale. Ci si potrebbe chiedere perchè l'inconscio fa tante storie, perchè interviene in modo così forte. Ne vale la pena? Perchè non lascia che la vita scorra senza intralci così com'è? E' così importante la questione che solleva? Se si esce dall'idea che stare in pace e proseguire come d'abitudine sia la cosa più desiderabile e si comprende che il rischio è di diventare e ciecamente solo copia d'altro, spegnendo ogni possibilità di aprire gli occhi sul vero, di cercare e di far scaturire da sè le risposte, le ragioni e gli sviluppi della propria vita e non di farsele consegnare e dettare, si può cominciare a comprendere, a condividere l'intento e la spinta del profondo. Più frequentemente però la lettura data al malessere interiore è di ben altro tipo e percorre altre strade. Non è certo raro che la terapia, che sia quella farmacologica o che sia una psicoterapia, spesso poco cambia, incapace e mal disposta a comprendere il significato di ciò che si svolge interiormente, soprattutto nelle sue espressioni più ardue e dolorose, facendo leva su criteri di giudizio circa ciò che sarebbe motivato o immotivato, disfunzionale o valido e funzionale, sano o patologico, concepisca solo il recupero, il riassesto. E' un prendersi cura che ignora l'origine profonda, che non concepisce e non riconosce lo scopo del malessere, ciò a cui tende. Non è raro, ne è la fatale conseguenza, che l'azione di rabbercio di terapie varie, che le scoperte, date per decisive e illuminanti, delle presunte cause della sofferenza interiore, frutto in realtà dell'idea preconcetta che la sofferenza, che il malessere interiore sia la conseguenza di un guasto da danno psicologico patito, che la fiducia data alla bontà e all'efficacia del lavoro di riaggiustamento, lascino intatto il quadro di insieme, che confermino l'incomprensione di ciò che il profondo voleva e insiste nel dire e smuovere. La risposta, in presenza di nuovi e ripetuti segnali di malessere, che spesso non mancano di riproporsi, l'inconscio infatti non desiste, è in genere di serrare i ranghi, di provare a combattere le presunte "ricadute" di una presunta patologia che non recede, non comprendendo che il riproporsi del malessere interiore segnala con forza che non ci sono stati ascolto, corrispondenza e comprensione delle questioni e delle necessità rilanciate dal profondo del proprio essere, che non ignora, che sa vedere ciò che la parte conscia non sa e non vuole riconoscere. Il profondo non rinuncia infatti, pur dopo tentativi di risoluzione della crisi che ha promosso e alimentato, crisi mal intesa e travisata, non compresa nelle sue ragioni e non assecondata nei suoi scopi, a spingere con forza, smuovendo il sentire, tornando a agitare il quadro interiore. Il suo scopo, non certo malefico e irragionevole, è di far aprire gli occhi dell'individuo sulla verità del proprio stato e del proprio modo di procedere, è di smuovere il suo pensiero dalla inerzia delle certezze prese in prestito, è di porre in primo piano la necessità di trarre da sè, di costruire in unità con tutto il proprio essere (l'inconscio è pronto a dare il contributo che più conta) le fondamenta della personale realizzazione autentica e non artificiale e illusoria, modellata e tenuta su da altro.
venerdì 29 agosto 2025
Il lavoro dell'inconscio
(Ripropongo
oggi questo mio scritto, perchè ritengo possa aiutare a comprendere ciò che
l'inconscio può offrire e a sentire più vicina questa parte preziosa e
irrinunciabile del nostro essere)
L'inconscio
interviene di continuo nella nostra esperienza, sia attraverso i vissuti (il
nostro sentire) e governando nel suo insieme il corso della nostra vicenda
interna, sia in modo privilegiato, illuminando il nostro cammino interiore, con
i sogni. Contro i tentativi, avvalendoci dell'iniziativa e del filtro della
razionalità, di mantenere sostanzialmente intatta e a noi compiacente la nostra
visione di noi stessi (tanti accadimenti interiori fastidiosi o imbarazzanti
passati sotto silenzio, lasciati scorrere via o fraintesi e manipolati a
piacimento col ragionamento), l'inconscio non ha pudore, "pietà" o
riserbo di intervenire e di insistere, senza chiedere permesso e
sorprendendoci, perché di noi sappiamo, vediamo, cogliamo ciò che importa, il
vero. L'inconscio è attivo perché non rimaniamo passivi o altro da noi stessi.
Per passività intendo il quieto aderire al dato e al pensato comune e abituale,
la riproduzione di un pensiero e di una visione di noi stessi che, se anche in
apparenza convincenti e verosimili, in realtà altro non fanno se non ripetere
ciò che già è stato concepito e detto, ciò che ci torna comodo credere.
L'inconscio è la parte di noi che agisce e che lavora perché non evadiamo da
noi stessi, perché sappiamo di noi, perché transitiamo nelle pieghe del nostro
essere, perché vediamo, anche a costo di ferirci e di soffrire, ciò che ci
spetta, ciò che ci è necessario conoscere. Nulla di ciò che si propone a noi
nel nostro sentire è casuale, bensì è traccia e guida per prendere contatto e
conoscenza viva di aspetti del nostro essere, del nostro modo di procedere, di
questioni, anche non semplici, che abbiamo vitale necessità di elaborare, di
capire. L'inconscio suggerisce e offre di continuo attraverso il sentire
spunti, occasioni, crea trame e sviluppi utili per capire. Il lavoro
dell'inconscio raggiunge il suo apice creativo nei sogni, che, se ben intesi,
analizzati e compresi, si rivelano impareggiabili mezzi per guardare dentro noi
stessi, per conoscere, per crescere. Se compreso e fatto proprio l'aiuto
dell'inconscio è assolutamente decisivo per trovare il proprio spessore umano e
di pensiero, per scoprire le proprie vere potenzialità e il proprio progetto.
Accade però che, ignari e impreparati a tutto questo, ci si senta non di rado
delusi o semplicemente disturbati da ciò che succede dentro se stessi, che si
giudichino le esperienze interiori (che per intero l'inconscio regola e
dirige), quando discordanti dalle attese o disagevoli, come inopportune, come
limitanti, come dannose, arrivando, se insistono, a definirle un
disturbo, una patologia. Diffusa e prevalente la tendenza a escogitare, a farsi
consigliare, a applicare rimedi, spiegazioni che aiutino a ripianare, a
mettere a tacere l'esperienza interiore scomoda e sofferta. La psicoterapia
stessa è spesso cercata e non di rado nasce con simili auspici, in
contrapposizione a parte di sé interna vissuta come nemica, con desiderio di
disarmarla, di rimetterla in riga o di erigere una sicura barriera contro ciò
che sembra solo molesto, pericoloso e incoerente. L'inconscio non si fa
plagiare e zittire. Se aveva ragione di smuovere, di porre in crisi la
stabilità interiore per favorire sviluppi, processi conoscitivi nuovi,
cambiamenti necessari, se inascoltato e incompreso, seguiterà nel tempo e con
rinnovata forza a riaprire la ferita, pur col rischio che si torni ottusamente
a parlare di semplice ripresa del disturbo, di "ricaduta" di malattia
e che si torni a schierarsi contro l'iniziativa interiore anziché disporsi ad
ascoltarla e a capire. Nel rapporto con esperienze interiori difficili e
sofferte il vero problema, la vera insufficienza o anomalia non è nel
(presunto) corso sbagliato o insano di ciò che si prova, che si vive
interiormente, anche se doloroso e accidentato, ma sta nel non essere capaci di
entrare in rapporto e in dialogo con la propria esperienza interiore, con
l'inconscio, sta nel non avere ancora capacità e opportunità di capire.
Cominciare a fidarsi della propria interiorità, fino ad aprirsi totalmente e
senza preclusioni al proprio corso interiore, imparare ad ascoltare la voce e a
cogliere l'intima proposta del proprio sentire, capacitarsi dello straordinario
lavoro svolto dal proprio inconscio dentro i sogni, intenderlo, capirlo,
assimilarlo, farlo proprio, seguire con attenzione il percorso di ricerca e di
trasformazione tracciato dall'inconscio attraverso il succedersi dei sogni e
dei vissuti... questo un'esperienza analitica ben fatta cerca, fa vivere e
realizza. L'inconscio apre crisi, movimenta il quadro interiore, rompe
equilibri, per condurci con fermezza, costi quel che costi, verso noi stessi,
verso la nostra capacità vera di vedere con i nostri occhi, di pensare, un
pensare che abbia guida e fondamento dentro ciò che sperimentiamo intimamente,
che sia comprensione fedele della nostra esperienza. Il nostro inconscio spinge
perché, non ignari di ciò che siamo e che possiamo, mettiamo al mondo il
nostro. Come analista da oltre vent'anni lavoro avendo per maestro l'inconscio.
Se aiuto l'altro a rivolgersi alla sua interiorità, all'ascolto del suo
profondo, so di non fargli acquisire un armamentario inutile di formule e di
spiegazioni, so di non condannarlo a rimanere vittima del suo corto respiro e
pensiero, ingabbiato dentro una visione di sé e delle sue possibilità precostituita
e chiusa, ma so di avvicinarlo alla fonte della sua conoscenza e della sua
rinascita come individuo davvero autonomo, capace di trovare la sua guida
dentro se stesso e di dare volto e contenuto propri alla propria vita.
(16/4/2007)
lunedì 18 agosto 2025
Che lo si voglia o no
Siamo creature complesse, non siamo riducibili a una sorta di congegno che deve girare con meccanica regolarità. Subito mal disposti verso momenti e esperienze interiori in cui sensazioni e stati d'animo non corrispondono alle attese, presto inclini a considerarle anomale quando assumono carattere insistito e poco piacevole, quando sembrano intralciare o nuocere al perseguimento di risultati considerati validi e convenienti, si insiste nella pretesa che tutto di se stessi debba girare a senso unico e concorde con le valutazioni di opportunità e di necessità di cui si è portatori. Ci appartiene però una parte profonda, che non è certo poca cosa, anche se ampiamente misconosciuta, ignorata. Questa parte della nostra psiche che lo si voglia o no è attiva, fa avvertire di continuo la sua presenza, è decisiva nell'indirizzare, nel plasmare ogni momento interiore, ogni espressione del nostro sentire. La nostra vita interiore, il divenire di ciò che si svolge dentro di noi le appartiene. Mica è poca cosa. I sogni poi sono il suo per eccellenza, dove dà il meglio delle sue capacità di pensiero. Insomma una parte non da poco quella svolta dal nostro profondo. Eppure è idea comune che ciò che conta e che segna i confini del proprio essere, ciò su cui è fondamentale fare conto stia nella parte conscia, nell'esercizio del pensiero conscio razionale prima di tutto, nell'impiego della capacità decisionale e della volontà di riuscita. Il resto di sensazioni, stati d'animo, moti interiori è visto solo come una cassa di risonanza di eventi e di condizionamenti esterni e nei momenti decisionali e dell'agire può lasciar vedere solo l'adeguatezza o meno nella propria capacità di reggere il confronto con l'esterno, la propria validità nel dare prova di essere all'altezza. La parte profonda del proprio essere non può subire più radicale misconoscimento delle sue qualità, proprietà e valenze. Eppure questa visione del proprio essere ridotta e circoscritta a una parte, quella di esercizio di intelligenza razionale e volontà, che comunque è considerata egemone e che al resto di emozioni e di vicende interiori riconosce solo un ruolo subalterno, una funzione accessoria e di rincalzo, è la visione comune, imperante. D'altra parte a cosa si bada nell'assistere e nel promuovere il processo di crescita di un individuo se non a che apprenda e si attrezzi di capacità di dare prova di intelligenza, di abilità e di prestanza secondo i criteri convenzionali? E' tutto un equipaggiarsi di schemi di pensiero, di moduli di prestazione in totale disgiunzione dall'intimo. Anzi l'educazione prevede che il dentro si accordi, non faccia storie, che semmai si converta a essere voce gregaria, che si addomestichi. Gioia, esaltazione, entusiasmo, viceversa delusione, frustrazione e sconforto tirati bene con i fili che ormai fanno capo non al dentro sè autonomo, ma a alla autorità del senso comune. Il ben figurare, l'avere successo, l'essere ben considerati diventano la misura del proprio valore, il giudizio altrui è l'autorità di riferimento. Non c'è entusiasmo che più tenga di quello di ben figurare, non c'è delusione e avvilimento più cocente di quello di non riuscire a dare buona prova, a salire il gradino del successo, della prova di merito e di bravura, della conquista di posizioni carriera e di notorietà, del possesso di ciò che pare invidiabile e segno di capacità di riuscita, secondo i criteri comuni e dominanti. Questo stravolgimento di natura raggiunge un tale livello di consolidamento e di consuetudine da risultare ovvio e naturale. Non cè corrispondenza con se stessi, non c'è autonoma scoperta di significati e di valori, tutto corre dietro a altro, ma paradossalmente finisce per apparire normale, dunque naturale, questa condizione di ribaltamento del vero ordine naturale, che vorrebbe che a partire da sè e con l'impiego delle proprie risorse interiori, lavorando sulla propria esperienza, in pieno accordo col proprio intimo si formi la propria scoperta dei significati e di ciò che vale per se stessi e che non la si assuma già concepita e formata da altro che, fornendo le guide e le chiavi di lettura, oltre che i percorsi già segnati, diventa fatalmente regolatore del proprio pensiero e delle proprie aspirazioni. La parte profonda però non sta a guardare, soprattutto non si lascia travolgere e stravolgere da questo corso anomalo, anzi lo vede con chiarezza per quello che è e perciò prende posizione e anima a modo suo il quadro interiore, incalza col malessere interiore, gli dà forte risonanza, proprio per porre il problema, che l'altra parte ignora, così assuefatta com'è al corso innaturale che viceversa considera ormai normale. Che lo si voglia o no siamo creature complesse, in cui per fortuna c'è una parte di noi stessi che non si uniforma, che sa aprire gli occhi, che, seppure considerata subalterna, ha capacità di concepire l'umano come ricerca autonoma, come libertà di pensiero, come desiderio di uscire dal recinto della prestazione da dare, per costruire le basi di una vita autonoma che sappia sviluppare qualcosa di originale e non gregario. Per fortuna l'inconscio c'è, anche se non gode di attenzione, anche se spesso frainteso. Chi lo sa riconoscere per ciò che è e che vale scopre quanto possa e sappia dare per ritrovare la propria vera natura.
sabato 16 agosto 2025
La scienza e la pseudoscienza
La scienza nel suo significato più autentico si nutre di
pensiero critico, del rigore della ricerca, che, non imbrigliata nel già
concepito e consolidato, libera da preconcetti, da impazienza e da bisogno di
trovare risposte pronte e di comodo, vuole vedere chiaro e verificare ogni
cosa, senza limitazioni e riduzioni, senza approssimazioni, senza forzature e semplificazioni,
senza concedere all'idea dell'ovvio e dell'inconfutabile mai. Tutto questo
senza posa. La ricerca di verità e di conoscenza non è una prerogativa e una
esclusiva di nessuno, per ognuno la possibilità e il compito di esercitare
pensiero critico e attento, impegnato nella ricerca del vero, la facoltà di
sviluppare conoscenza, di non farsela semplicemente propinare da chi sale sul
pulpito di un presunto sapere indiscusso. Non è accettabile, è in totale
contrasto con ciò che è e che persegue, sacralizzare la scienza, chiudendola
nel santuario delle verità definitive e che non ammettono dubbi, rese tali
dalla supposta autorevolezza e dall’ossequio a loro concesso di esperti, che
pretendano e cui sia attribuita l’autorità di dettare cosa sia l'indiscutibile
della conoscenza. Sul terreno psicologico non sono poche le insidie della
scienza, sarebbe meglio dire della pseudoscienza, che si auto consacra come
autorevole fonte di teorie, spiegazioni e soluzioni, che si pretendono
scientificamente provate, da applicare a questo individuo e a quello. E' in
gioco per ognuno, sul terreno della conoscenza di se stesso, qualcosa di
estremamente prezioso e importante, decisivo per la sorte della propria
vita. La conoscenza di se stessi e la
scoperta del senso e del potenziale della propria vita sono infatti il fulcro,
la bussola e sono il patrimonio vero di una vita, su cui fare conto per non
lasciarsi portare da altro, sono qualcosa di singolare non equiparabile a
altro. Sono scoperte da coltivare con cura, col massimo di apertura a se
stessi, di disponibilità all’ascolto della propria interiorità, sono scoperte
originali e inedite, non riportabili, se non attraverso forzature e
manipolazioni, nello stampo di questa teoria o di quell’altra che pretendano di
possedere risposta applicabile a ognuno. Si può facilmente comprendere che affidarsi a simili teorie
semplifichi, anzi faccia saltare a pie pari, il lavoro personale di ricerca,
sia che a farvi ricorso siano i discepoli di questa o di quella scuola e teoria
psicologica, che diventa per loro dottrina, con quali effetti è facile
immaginare quando si propongano come terapeuti, sia che a cercare risposte sia
chi vive in prima persona disagi interiori
e confidi di trovarle già
confezionate in qualche presunta autorevole fonte, pronta a
dispensarle. Le esperienze interiori, le
verità da scoprire, i modi e i percorsi per raggiungerle sono in realtà non
uniformabili a nulla, sono unici, diversi per ognuno, non rientrano in niente
di già detto e spiegato e concepito. Non ci si può permettere di essere passivi
e al traino di pensieri altrui, anche dei presunti accreditati esperti, di
essere illusi o creduloni, ne va della propria sorte e del valore compiuto e
soprattutto ancora incompiuto della propria vita. Nulla va dato per scontato.
L'esperienza interiore di ognuno è patrimonio e risorsa di straordinario
valore, unica e originale, merita perciò attenta considerazione e verifica il
modo in cui è considerata e trattata. L'esperienza interiore è esposta infatti
troppo spesso al rischio di essere oggetto di spiegazioni e di trattamenti a
dir poco inappropriati. Lo è nel modo comune di pensare e di trattare
l'esperienza e il disagio interiore, lo è non di meno e non raramente nel modo
professionale dei cosiddetti esperti della psiche e delle scuole di pensiero a
cui si affidano. La sofferenza interiore è specchio di se stessi, è lievito di
verità e pungolo alla presa di coscienza, senza più rimandi e fughe, senza
rifugio nell'abitudinaria lontananza da se stessi. L'esperienza interiore difficile
e sofferta, che non concede agio e distensione, quieto vivere e andamento
indisturbato e sciolto al passo con l'insieme, è crogiolo di verità da
riconoscere, è presa decisa sull'individuo esercitata dal suo intimo e
profondo, che non gli concede più
rinvii, che non vuole stare in ombra e alla periferia del suo essere, che vuole
consegnargli e mettergli in primo piano sotto gli occhi non la cronaca e le
invenzioni del ragionamento, ma il suo stato e modo di procedere, i nodi veri e
insoluti della sua vita. Il profondo, che con decisione smuove la situazione
interiore, che la orienta e plasma, vuole sostenere e promuovere, non la corsa
per dare buona prova, non la tenacia del rimanere incollati agli eventi
esterni, pronti a rimasticare i discorsi in auge, a non farsi sfuggire ciò che
in genere si giudica importante e irrinunciabile, ma la necessità della
personale crescita, non di immagine, ma di sostanza, del cambiamento per non
essere solo un ruolo, una parte ben svolta e una parvenza d'essere, ma
un'identità definita e originale, vera. Ebbene, se la tribolazione interiore,
se il malessere interiore nelle sue diverse forme, è espressione
dell'iniziativa di una componente intima e profonda dell'individuo che vuole,
senza se e senza ma, dargli occasione di vedere chiaro in se stesso, per non
proseguire incurante di verifiche attente e serie, accontentandosi del corso
dell’esistenza secondo cosiddetta normalità, perdendo di vista la necessità di
aprire gli occhi, di conoscere il vero di se stesso, di formare pensiero
proprio e ben piantato sull'intima esperienza, per aprire la strada alla
realizzazione autentica di se stesso, per non fare sciupio della propria vita,
pago soltanto di essere ben conforme all'insieme e confermato da sguardo e da
giudizio comune, è sconfortante vedere come una simile esperienza interiore,
così carica per chi la vive di significati e di potenzialità trasformative
importanti e decisive, è spiegata e trattata abitualmente. La difficile e
sofferta esperienza interiore è spesso letta come segno di malfunzionamento da
correggere, come disturbo che nuoce da mettere a tacere, come patologia da
sanare, come malaugurata conseguenza di questo o di quello che nel passato o
nel presente avrebbe fatto danno. Ogni espressione della vita interiore,
tutt'altro che secondaria a un danno patito, ben altro che espressione di
malfunzionamento, sa e vuole dire e rendere tangibile una questione vera,
rendere riconoscibile il modo d'essere e di procedere, di condurre la propria
vita, di cui si è attori e responsabili verso se stessi, rendere più che
fondata e comprensibile la necessità di adoperarsi per un profondo cambiamento.
Nulla di ciò che si prova e si patisce interiormente, anche se difficile,
doloroso e spiacevole, è privo di senso, anzi è carico di capacità di svelare,
di far capire, non in modo freddo come con i ragionamenti, ma tangibile e
toccante, acuto, qualcosa di centrale di se stessi, che riguarda il proprio
stato e modo di procedere. Sia che, per fare qualche esempio, con l'ansia, dove
si abbia la pretesa di procedere, anche se totalmente privi di conoscenza vera
e fondata di se stessi e delle vere ragioni e implicazioni per sé del proprio
modo di condurre la propria vita, segnali la verità di un traballante
equilibrio, di un terreno fragilissimo e per nulla affidabile su cui si sta
poggiando e muovendo i propri passi, sia che col vissuto depressivo spinga alla
percezione cruda e dolorosissima del vuoto e dell'inconsistente, dell'anonimo e
incolore, del volto spoglio di una vita, ora quasi insopportabile e opprimente,
costruita solo sulla dipendenza da altri, sul far proprio ciò che altro da
fuori, nell’esempio e nel pensato comune, ha indicato come strada da seguire e
come realizzazione da cercare, senza nulla di generato e tratto da sè capace di
dare alla propria vita volto, ricchezza e luce proprie, sia che con l'incastro
ossessivo dei mille e disparati ragionamenti e dei controlli minuziosi, delle
azioni preventive per tenere tutto in ordine e sotto controllo sveli impietosa
che l'istanza di stare ben al sicuro e al riparo dalle proprie incognite e da
se stessi ha fatto da fulcro dell'intera vita, tutto ciò che l'esperienza e la
sofferenza interiore dice è significativo, è un forte richiamo alla ricerca
della verità di se stessi, è un pungolo al lavoro di presa di coscienza e di
cambiamento per portare la propria vita a una realizzazione autentica. Il vero ostacolo
da superare in presenza di un'esperienza interiore difficile e sofferta è la
mancanza di familiarità e di capacità di ascolto dell'esperienza interiore, che
si trascina da sempre. Purtroppo nel suo percorso di (cosiddetta) crescita
l'individuo impara a relazionarsi col fuori e non col dentro se stesso, anzi il
legame col fuori assume carattere dominante fino al punto che il dentro è
inteso come eco e appendice che deve unicamente accordarsi col fuori, stare al
passo. Accade così che dentro questa abituale mancanza di rispettoso e
fiducioso dialogo con la propria interiorità l'unica risposta che prende piede
in presenza di malessere interiore è di allertarsi per tenerlo a bada e
possibilmente per metterlo a tacere. Eppure sarebbe possibile imparare, casomai
con l’aiuto di chi sia capace di dare valido contributo in tale direzione, a superare la abituale distanza dal proprio
intimo, per cominciare piuttosto che a mettere in atto trattamenti e
spiegazioni incongrue, a ascoltare il proprio sentire, a comprenderne il
linguaggio, anche se pare così difficile, per farne tesoro, per riconoscerlo
non come patologia, ma per quello che è veramente, cioè terreno fertile seppur
impegnativo per coltivare conoscenza di se stessi e nascita di qualcosa di
proprio e di autentico. Dare addosso al disagio, al malessere interiore per
metterlo sotto cura e trattamento, affinchè taccia e si normalizzi, facendo
proprio il contributo di una pseudoscienza pronta a dare sostegno , credito e
manforte a simili propositi, svela solo l'ignoranza circa la vita interiore,
che non è roba aliena, ma è la personale intima vita interiore, ignoranza di
cui si è portatori, che dà campo libero all'ottuso e pervicace attaccamento a
far girare le cose nell'unico verso conosciuto e ritenuto normale e dovuto,
reso scioccamente indiscutibile e assoluto.
martedì 12 agosto 2025
Il terreno incolto
Si dà tanto valore alla cultura, alla conoscenza che si nutre del già detto, dell'altrui detto e coltivato, talora ben e originalmente creato e coltivato, talaltra assai meno, perchè di produzioni che rigirano e ricalcano il già concepito e il concepito d'altri sono pieni gli scaffali. Intanto vige la incapacità di entrare in rapporto e di coltivare ciò che la proposta interiore suggerisce di continuo nei vissuti, nel sentire, nelle emozioni, nelle spinte interiori, nei sogni, in tutto ciò di cui la propria interiorità è testimone, di cui il proprio inconscio è artefice e promotore. Solitamente l'esperienza interiore è fraintesa nella sua origine e significato. Si dà sempre la priorità ai fattori esterni e si pensa che ciò che il proprio sentire mette in campo sia condizionato da stimoli esterni, che ne sia l'eco, la meccanica risposta e se talora questa può apparire esagerata o strana, la si fa risalire, se non a vizi di fabbrica e costituzionali, a eventi, a traumi passati, a educazione ricevuta e a altro che si ritene sempre determinante, che avrebbero lasciato impronta più o meno distorsiva su quello che si suppone dover essere il normale o fisiologico modo di sentire e di reagire. Che esista una parte intima e profonda dotata di intelligenza e di capacità propositiva, che questa parte intervenga per dare stimoli e per esercitare richiami ben precisi per aprire lo sguardo riflessivo sui propri modi di procedere, di rapportarsi all'esperienza, di pensare se stessi e ciò che si sta facendo, conoscenza di cui si è spesso deficitari in abbandonza, è idea che non appartiene ai più. Nella idea e nella pratica comune ciò che si muove interiormente va essenzialmente tenuto a bada, è considerato un corteo di sensazioni che nulla sono in grado di dire e di offrire se non quello che già si sa e che sbrigativamente gli si mette sopra col ragionamento. Dunque ciò che la propria interiorità offre come terreno da coltivare per trarne il frutto della conoscenza di se stessi e della verità della propria condizione, delle possibilità trasformative e di crescita possibili, rimane trascurato, totalmente incolto. Si fa uso di un sapere preso da altra fonte e matrice, quella condivisa, dove le attribuzioni di significato, le concatenazioni logiche sono già pronte e si finisce per vedere con occhi che paiono i propri, ma che in realtà replicano il preso in prestito dalla mentalità comune, casomai affinato dal ricorso a altre fonti più o meno nobili, con l'utilizzo di ciò che gli esperti, i pensatori d'accademia, hanno detto, con l'impiego di tutto ciò che, tratto da studi e da letture d'autore, ci si è procurati. Da un lato c'è la propria fonte intima di conoscenza che dà di continuo il materiale e le guide su cui lavorare per vedere con i propri occhi e su base di esperienza e di ricerca proprie, utilizzando farina del proprio sacco, dall'altro, ignari della prima, si mette in esercizio un pensiero che prende da altro i contenuti, le guide e la logica che lo tiene insieme. Il risultato non può che essere quello di mettere in moto pensieri, di vendere a se stessi come conoscenza quello che è nella sostanza un parlare e pensare a vanvera e a sproposito rispetto a ciò che accade nella propria esperienza e a ciò che riguarda la conoscenza di se stessi. La mancanza di capacità di raccogliere la proposta interiore, di capirne il valore e il significato come alimento di crescita personale e di conoscenza vera e fondata ha come triste conseguenza quella di trattare come ospite indesiderato e di prendere a badilate ciò che la propria interiorità propone con intensità e con forza nel malessere interiore, in cui diventano fitti e ficcanti i richiami, in cui la presa del profondo diventa più forte e non per caso. La parte profonda del proprio essere non accetta la lontananza da sè dell'individuo, che devia da ciò che gli è intimo e connaturato, che si spende per essere all'altezza di altro e che ignora la necessità di capire, di vedere cosa sta in realtà facendo di se stesso e della propria vita, di conoscersi, di comprendere cosa più intimamente gli appartiene. La reazione assai frequente al malessere interiore, l'intervento che vuole mettere a tacere ansia e altre espressioni di malessere, che sono stimoli e guide per aprire finalmente gli occhi, producono assai frequentemente come risposta quella di volersi difendere da un presunto nemico interno, di volerlo sedare e controllare, di comprimere le sensazioni, di evadere, di spiegarle, quando si decida di indagare per capire e casomai ci si faccia aiutare in questo dentro una psicoterapia, come retaggio di cattive esperienze del passato. Belle pensate queste ultime, che a un attento esame ahimè si rivelano essere, per quanto messe in piedi con quadratura logica, argomentazioni sballate, lontane dal vero, conseguenza fatale della incapacità di rapporto, di ascolto e di dialogo con la propria interiorità, in cui l'incolto trionfa. Non è infrequente che l'intervento di una psicologia, che si propone come scientifica e professionale e che di fatto è omogenea con la psicologia comune, che cerca soluzioni, spiegazioni e presunti rimedi che in nulla comprendono il significato e il valore della proposta interiore, che ignorano la presenza decisiva sulla scena interiore del profondo, finisca per chiudere il cerchio dell'incomprensione. Finisce per lasciare incolto il terreno che merita di essere coltivato, il terreno della conoscenza di se stessi su base viva e affidabile, quella offerta dalla propria interiorità nel sentire, nei sogni (sono la via maestra per conoscere se stessi), in tutto ciò di cui è artefice e cui dà voce e espressione il proprio profondo.
domenica 3 agosto 2025
La vera solitudine
Si pensa in genere alla solitudine come a uno stato di allontanamento e di mancanza di contatti e di rapporto con gli altri. La si considera in non pochi casi come uno stato infelice, oggetto, quando coinvolti, di auto e di altrui commiserazione, come una condizione di abbandono, che depriva, che sottrae un che di vitale, collocato fuori, negli svolgimenti esterni, negli altri, considerati essenziali per dare sostegno e contenuto alla propria esistenza, per procurare a se stessi occasione di entrare nel corso (ritenuto) reale della vita, per non rimanerne esclusi, per avere opportunità di arricchimento della propria esperienza, di crescita o più semplicemente per trarne qualche sollievo e rassicurazione, per evadere da quel senso di mancanza. C'è chi guarda allo stare da solo con minore pena e angoscia, come a un che di necessario a tratti e di utile. Accade non di rado che in quei momenti di solitudine ben accetti, più che un vero ascolto, incontro e dialogo con se stessi, con la propria interiorità, prenda il sopravvento l'iniziativa di riempire quegli spazi con altro, che sia una lettura, l'ascolto di musica, la visione di qualche programma in tv o in connessione a internet, oppure l'impegno in qualcosa di pratico o di convenzionalmente considerato "creativo", poco importa, purchè sia in grado di dare riempimento. Se c'è interesse per il prendersi cura di sè, per il rapporto con se stessi, non è raro, soprattutto in presenza di qualcosa di interiormente difficile, che si cerchi di adottare qualche forma di rilassamento o che si ricorra, giusto per fare qualche esempio, a tecniche tipo meditazione, che in ogni caso implicano applicare un procedimento appreso, che non sono apertura schietta e incondizionata alla propria interiorità in ciò che dice e propone, che viceversa chiedono distacco da ciò che di più intimo e vero si propone come inquieto e teso. Da soli può anche accadere che si dia il via a una sorta di riflessione sulla propria esperienza e condizione, sulle questioni in primo piano, che in realtà si traduce in una rielaborazione ragionata che vede l'intimo di sè, il proprio sentire, la propria esperienza intima viva più come oggetto di spiegazioni e di commento, che come parte viva propositiva, cui sia data parola, con cui porsi in ascolto e in dialogo. Prende forma in sostanza un monologo, dove la parte dei soliti noti del ragionamento e dell'iniziativa conscia ha il sopravvento e l'interiorità diventa solo oggetto di intervento e non soggetto dialogante. Accade così che si permanga nel rapporto con se stessi nella condizione di distacco, di lontananza, di solitudine vera, di mancanza di relazione viva, di privazione e addirittura di ignoranza di tutto ciò che può dare e significare l'incontro, la vicinanza e lo scambio vivo e fecondo con la propria interiorità. Questa è la vera solitudine che è privazione di un legame davvero vitale e di uno scambio decisivo, importante, quello con la propria interiorità e che spinge a cercare in altro indiscriminatamente, bisognosamente, ogni apporto e supporto vitale. Questa condizione di solitudine nel rapporto mancato con la propria interiorità ha conseguenze rilevanti, anche se abitualmente ignorate, non considerate, incomprese, sul proprio modo di pensarsi, di percepire se stessi. Permane l'idea e l'immagine distorta del proprio essere, che, limitato a stare nella sostanza nei confini di una parte, quella conscia di volontà e ragione, vede il resto come appendice subalterna, che a tratti può risultare scomoda, difficile da comprendere e soprattutto da "gestire", ma che non entra a far parte, che non diventa parte fondamentale del proprio essere. Dico che è parte fondamentale, perchè, senza il contributo di questa parte intima e profonda, continuando a ignorarne il vero volto, ci si priva della possibilità di aprire gli occhi, di avere visione vera e fondata di sè, dei nodi veri della propria vita, perchè senza lo scambio col proprio intimo e profondo, senza il suo apporto non c'è nulla di davvero visto da vicino di sè, di vero, nulla di scoperto come autentico, di riconosciuto come originale e proprio, non c'è comprensione autonoma dei significati della propria vita, riconoscibili dentro e attraverso la propria esperienza, non c'è formazione e conquista di punti cardine e di orientamento propri, non c'è scoperta della grande affidabilità della propria guida interna, esercitata dal proprio profondo, non c'è scoperta di quanto sia rigenerante e arricchente attingere al proprio intimo. Accade di conseguenza che tutto, risorse per arricchire la propria vita o semplicemente per non vederla languire, modi di pensare e di intendere i significati dell'esperienza e ciò che vale, sia cercato fuori, sia tratto da modelli e da aspirazioni comuni, che il rapporto con gli altri e con l'esterno appaiano come fonte vitale essenziale. Quando si esce dalla solitudine interna, che è la vera solitudine, che è mancanza di rapporto vivo e dialogico con la propria interiorita, è conseguente che il rapporto con gli altri assuma un ben diverso volto da quello spesso prevalente, segnato da istanze di attaccamento dipendente, da necessità di piacere, di compiacere, di cercare e di dare consenso. Disponendo di un proprio centro, di una base si ascolto e di dialogo con la propria interiorità, l'incontro e lo scambio con l'altro, è vissuto con senso di libertà, che consente, se se ne avverte la possibilità e la spinta interiore, di coinvolgersi nella ricerca di un incontro umano non superficiale, fondato su capacità di ascolto e di dialogo attento e sincero, con possibiltà di scambio e di arricchimento vero.
mercoledì 30 luglio 2025
Le ragioni del malessere
(Rimetto in primo piano questo mio
scritto di alcuni anni fa) Perché succede, cosa vuole questo malessere interiore,
questo tormento? Spesso chi lo vive lo tratta con preoccupazione crescente e
con insofferenza. Teme sia, oltre che un ostacolo, una minacciosa presenza. Lo
vive come un accidente sfavorevole, una sorta di corpo estraneo, che
lavorerebbe contro i propri interessi, pur così interno, intimo, addentro il
proprio essere. E' convinzione assai diffusa che il malessere sia provocato o
indotto da circostanze e da condizionamenti sfavorevoli, che sia la
manifestazione o la conseguenza di un meccanismo, fisico o psicologico, logoro
o guasto. Dirò subito che il malessere interiore, nelle sue diverse possibili
espressioni, tutte significative e da comprendere attentamente, è viceversa la
manifestazione di una forte, risoluta presa di posizione interna della parte
intima e profonda, che non vuol tacere, che vuole che la verità e l'attenzione
a se stesso diventino per l'individuo questioni centrali e esigenze
prioritarie. Pensa che sia un’anomalia, vuoi la manifestazione di un meccanismo
guasto, vuoi la conseguenza di un distorto modo di vedere la realtà e di
reagire, vuoi ancora una pena intima indotta da qualcosa, esterno a sè, nocivo,
risalente al passato o attuale, chi, pur con diverse spiegazioni circa il
presunto "guasto", concepisce la superficie come fosse il tutto.
Pensa al guasto e alla necessità della riparazione per la ripresa del normale,
chi pensa la modalità solita e presente di esistere e di procedere come l’unica
possibile, chi non comprende il malessere interiore come intervento e
espressione, non cieca, del profondo. Liquida sbrigativamente il malessere
interiore come disturbo e basta, chi pensa che emozioni, vissuti, sentire e
vita interiore, che tutto ciò che non è ragionamento e volontà, sia solo un
accessorio irrilevante e subalterno, un po’ colorito, ma poco o nulla
affidabile quanto a intelligenza e a capacità di dare orientamento. Nel nostro
essere il profondo, l'inconscio c’è e non è certo presenza di poco peso e
valore. Tutto ciò che accade nel nostro sentire e nel corso della nostra
esperienza interiore è governato, in modo mirato e intelligente, dal nostro
inconscio, è sua voce, non è affatto casuale, non è semplice risposta
automatica, riflessa a situazioni e a stimoli esterni. Che accada di sentire
inquietudine, timore e apprensione insistenti e pervasivi, persistente pena,
senso di fragilità, di vuoto, di infelicità e quant’altro definito come ansia,
depressione o altrimenti, non è frutto del caso, non è traduzione
meccanica di logorio subito, nè sgangherato modo di reagire, non è insana o
abnorme risposta, è viceversa lucida e consapevole, ferma e irremovibile
espressione di capacità e di volontà interiore e profonda, di una parte non
irrilevante di se stessi, di intervenire perché si guardi dentro di sè,
nell‘intimo vero, cosa sta accadendo della propria vita, perché non ci siano
stasi e assenza di consapevolezza, lontananza da se stessi e passivo
adattamento. Basta, con l'aiuto giusto, di chi sappia guidare ad avvicinarsi a
se stessi e al proprio mondo interiore, risolversi a cercare rapporto,
ascolto e dialogo con se stessi e col proprio profondo, basta risolversi a
dargli voce, a riconoscergli voce, senza squalificarlo in partenza come
dannoso, negativo o malato, perché il malessere, perchè l'intimo sentire faccia
ben intendere e vedere cosa sa, cosa riesce efficacemente e puntualmente a
evidenziare, a far conoscere di se stessi, a smuovere. Basta disporsi, come si
è aiutati e incoraggiati a fare dentro una buona esperienza analitica,
all’ascolto, aperto e disponibile, senza pregiudizi, alla ricerca del senso
piuttosto che del rimedio che spazzi via, con impazienza e ciecamente, tutta
l’esperienza interiore disagevole, per rendersi conto (sempre meglio via
via che dialogo e ricerca procedono), che non c’è guasto e meccanismo rotto,
che non c’è caos o irrazionalità dentro se stessi, che il malessere non è
maledetta sorte o accidente, patologia o altro, ma specchio per vedersi e per
capire. E' potente richiamo, invito fermo a lavorare su di sé, a prendere
coscienza di come si è e di come si procede, di ciò che manca, che va
finalmente costruito, che mai finora è stato cercato e costruito. Non ci sono
cause e responsabilità da cercare altrove da se stessi, in altro e in altri,
come odiosi impedimenti al proprio star bene, non c'è stupida incapacità di
vivere normalmente e felicemente, c'è semmai prima di tutto consapevolezza da trovare,
senza sconti e senza equivoci, del proprio stato attuale, verità anche scomode
da riconoscere e da non rimpallare. L'inconscio, sia con le tracce vive del
sentire sia coi sogni, non tace nulla e cerca l'intimo vero, il senso, non usa
nè pregiudizio nè camuffamento. L'inconscio, che richiama in modo così forte
l'individuo alla partecipazione al dentro prima che al fuori, esercita una
spinta formidabile, che, se saputa comprendere e condividere, offre visione
lucida e appassionata, consapevolezza profonda di sè e del proprio da mettere
al centro e a fondamento della propria vita. L'inconscio col malessere
interiore smuove e turba il quieto vivere per uno scopo riconosciuto nel
profondo del proprio essere come irrinunciabile: far vivere se stessi, il proprio
potenziale vero. Per realizzare questo scopo, non già in tasca e traducibile in
un attimo, come spesso si pretende, è necessaria una graduale e profonda
trasformazione. Ci sono fondamenta nuove da gettare, nuovo rapporto da creare
pazientemente con se stessi, nuove scoperte, originali e utili, anzi
essenziali, da fare dentro sè e col proprio sguardo, ci sono vicinanza al
proprio sentire, comprensione intima e unità d’essere con se stessi, mai
possedute e mai cercate, da trovare e rafforzare finalmente. Era sufficiente
infatti in precedenza, prima della stretta più decisa del malessere, andare per
la strada segnata, fare come si usa in genere e in genere si dice, bastava quel
riferimento comune, bastava un po’ di ordine mentale regolato dal ragionamento,
che chiarisce e oscura contemporaneamente ciò che fa comodo oscurare o che non
si comprende, bastava tutto questo per sentirsi a posto e "normali".
Capitava in realtà, non raramente, che il proprio sentire complicasse
l'esperienza, che inserisse elementi dissonanti, veri richiami per vedere le
cose più nitidamente, per non trascurare implicazioni, non certo dettagli
insignificanti, ma tutto questo lo si trattava come un inutile rumore di fondo,
come fastidiose interferenze di una parte emotiva "irrazionale". Era
sufficiente darsi un pò di quieto vivere, di adattamento, bastava variare
qualche luogo, abitudine o altro per convincersi che la questione decisiva per
il proprio "star bene" fosse solo la scelta delle circostanze e delle
persone giuste, delle opzioni esterne che avrebbero cambiato tutto per sè,
deciso le proprie fortune in bene o in male. Bastava un pò di allineamento al
modello comune, un pò di parvenza di buon funzionamento, di possesso delle cose
o delle espressioni ritenute in genere irrinunciabili o da molti apprezzate,
non importa se portandosi interiormente mille segnali diversi e incompresi, non
importa se senza mai sentirsi davvero su terreno saldo di consapevolezza, su
sostegno di desiderio profondo, di corrispondenza con se stessi. Procedere
in quel modo bastava alla parte di sé cosiddetta conscia, ma non bastava di
certo alla parte profonda, meno illusa dalle apparenze, meno preoccupata di
stare in linea e al passo con la normalità, meno timorosa di perdere quel
treno, più preoccupata di non perdere se stessi. Quel che sto dicendo lo dico
dopo lunga ricerca e dialogo col profondo, dopo aver fatto cammino di ascolto e
di ricerca con chi accompagno da oltre trent’anni nella ricerca di comprensione
della radice del perché, del senso e dello scopo del proprio malessere
interiore. Quando davvero gli si dà retta, come si fa in una buona esperienza
analitica, il profondo prende a dire subito il perché e il senso del malessere.
Bisogna ascoltarlo sia dentro il sentire, che il profondo muove e orienta, sia
nei sogni. Da subito nei sogni l’inconscio comincia a far vedere dov’è la
ragione del malessere e della crisi, da subito conduce a vedersi allo specchio
nel proprio modo d’essere e di procedere, da subito comincia a evidenziare i
nodi mai avvicinati, i vuoti, le illusorie verità che non reggono, da subito,
con grandi forza e fiducia, apre il cantiere della costruzione del proprio
originale modo di essere, di esistere, di pensare e di progettare. E’ un
cantiere dove serve fare un lavoro serio e paziente, perché la normalità è
maschera o vestito già confezionato che basta indossare, mentre essere
individui pensanti di pensiero e di visione propria e coerente con se stessi
richiede molto, molto di più e comprensibilmente. Si pensa la psicoterapia e la
si pratica spesso come officina di riparazione per tornare normali, per trovare
da qualche parte qualche ipotetica causa attuale o preferibilmente remota, che
avrebbe ingrippato il meccanismo. Non c’è, per ciò che, pur difficile e
sofferto, vive oggi interiormente, da cercare causa o fattore avverso di
cui si sia o si sia stati vittime, c’è semmai da comprendere ciò che l’intimo
sentire oggi dice e fa vedere di se stessi. C'è da intendere ciò che la
propria interiorità spinge, attraverso sentire e sogni, a formare di
consapevolezza, di pensiero proprio e di progetto, che finora sono mancati e
che sono prezioso e indispensabile bagaglio, per non perdere davvero scopo e
valore della propria vita. So che questa mia lettura del significato della
crisi e del malessere interiore, non filosofica o inventata, ma frutto di
esperienza e di confronto con l’intima esperienza e sofferenza, di dialogo e di
lavoro quotidiano col profondo, non coincide con l‘immediata attesa di molti
che vivono disagio interiore, che chiedono, come proprio bene, prima di
tutto l'annullamento del malessere e la normalizzazione, come so che non è
omogenea a modi assai frequenti di intendere la cura, il prendersi cura di chi
vive simili esperienze interiori. L’atteggiamento curativo, che, in apparenza
benevolo e favorevole, cerca il rimedio, che col farmaco vuole sedare o
mitigare, che con prescrizioni e suggerimenti vuole riplasmare i comportamenti
e le reazioni, abbattere "l'ostacolo" interiore o che va a caccia di
ipotetiche cause per costruire una sorta di spiegazione logica del perché del
malessere, per tornare a chiudere il cerchio, lasciando tutto, del procedere e
del rapporto con se stessi, come prima, rischia, malgrado le buone intenzioni,
di diventare una barriera, se non una vera pietra tombale messa sopra una parte
di sé intima e profonda, tutt’altro che malintenzionata, certamente non
compresa nella sua intenzione e non valorizzata nella sua capacità propositiva.
Rischia di perpetuare paura e incomprensione di se stessi, di ciò che vive
dentro se stessi, di bloccare sul nascere o di non favorire, come la spinta
interiore richiede, un necessario, utilissimo processo di cambiamento, di
rinnovamento. Prendersi davvero cura di sè significa aprire a se stessi e
scoprire che ciò che di sè si temeva può diventare la fonte, il fondamento
della propria salvezza, del proprio vero benessere.
sabato 19 luglio 2025
La guida interiore
La parte conscia dell'individuo si fa vanto di
superiorità rispetto alla componente interiore e profonda nel garantirgli
capacità di guida affidabile, la suppone. E' comprensibile che lo faccia, visto
che nell’esperienza di molti, questa parte di se stessi, che fa leva su volontà
e pensiero ragionato, da sola e volendo fare da sola, ha tirato e tira la
carretta. La parte inconscia però non è, come ritiene spesso il pensiero
comune, un magma di paure, un serbatoio di brutte esperienze, uno strepitio di
pretese infantili e di convincimenti irragionevoli e assurdi, dunque una parte
inaffidabile, da tenere comunque in subordine. L'inconscio è la parte di noi
stessi che sa vedere le cose che ci riguardano da vicino con trasparenza e
fedeltà di sguardo, sapendo, ben diversamente dalla parte conscia,
contemporaneamente allargare e estendere la prospettiva per cogliere l'insieme
e ciò che nel tempo ne sarebbe di noi stessi procedendo nella modalità
consueta. La parte conscia vuole la continuità, concepisce e dice cose che
confermano solo ciò che è solita credere, sostanzialmente non sa staccare da
ciò che le è abituale e che dà per scontato, per vedere riflessivamente e senza
pregiudizio cosa sta sostenendo e in che modo. La parte conscia si illude di
essere lucida, obiettiva, capace di riconoscere e di garantire a se stessi il
meglio della conoscenza e le più favorevoli delle risposte e delle soluzioni,
in realtà è spesso cieca e passiva, ripete più di quanto non creda luoghi
comuni, si avvale nel pensare, nel ragionare sull'esperienza, di attribuzioni
di significato prese in prestito e assunte passivamente, dando per scontato di
sapere cosa sta dicendo, cerca all’esterno e si fa dare convalide rassicuranti,
si fa persuadere dall'approvazione altrui, ne dipende, perciò si chiude e si
rigira su se stessa. Non sa vedere la passività che la costringe a far suo ciò
che nell’uso e nel credo comuni è già definito come significato valido e
normale, non sa vedere la propria inconsistenza di pensiero. Ciò che si pensa è
importante, anzi fondamentale, indirizza e sostiene le proprie scelte, è
decisivo per la propria sorte. Se è un pensiero, quello di cui ci si avvale,
che, per come viene messo assieme, articolato e composto, per le attribuzioni
di significato che impiega e variamente combina, è coerente e conforme a una
visione della vita e delle sue possibili realizzazioni già concepita e
sistemata, il peso della incapacità di conoscersi davvero e di conoscere
autonomamente e fedelmente a sé è rilevante, decisivo per la propria sorte.
Solo la capacità di formare pensiero autonomo e fondato sulla comprensione dei
significati tratti dalla propria esperienza può rendere indipendenti e capaci
di prendere in mano la propria sorte. Perché il proprio pensiero sia fondato,
davvero valido e affidabile, capace di garantire a se stessi capacità di
orientamento e di giudizio, libertà di scelta, è necessario che tutto del
pensiero di cui ci si avvale sia formato partendo da se stessi, da scoperta di
significati dentro e attraverso la propria esperienza, i propri vissuti. Le
proprie vere ragioni di vita e potenzialità, che rischiano di essere oscurate o
malamente confuse con le aspirazioni e le mete prese in copia e in aderenza a
ciò che fuori di sé è comunemente promosso e organicamente concepito e
organizzato, sono in realtà tutte ancora da scoprire, da riconoscere.
L'inconscio non ignora queste lacune, ha ben presenti tutte queste questioni e
necessità vitali, l'inconscio è la parte di noi stessi portatrice di ciò che
autenticamente e profondamente siamo, con cui e per cui siamo venuti al mondo e
che potremmo far vivere e realizzare, è la parte che non chiude gli occhi, che
non riconosce come priorità stare al passo con gli altri e proseguire, che ha
ben altra preoccupazione e cura di noi stessi, è la parte che sa riconoscere il
niente camuffato da tutto, il vuoto, l'inconsistente dove la parte conscia
crede ci sia chissà quale sostanza. L'inconscio è la risorsa di cui profondamente
disponiamo per vedere senza illusioni e trucchi, è la capacità insita in noi di
porre in primo piano il vero, rispetto alla tendenza, spesso prevalente, a far
funzionare comunque le cose, cercando a testa bassa di non perdere punti, di
non rimanere indietro rispetto agli altri, provando con ogni mezzo a far girare
il meccanismo, a proseguire comunque. L'inconscio, contrastando la tendenza
dominante nella parte conscia a salvaguardare un modo di procedere e un
equilibrio mal fondato e per nulla rispondente alle proprie necessità e
possibilità, cerca di far sentire, smuovendo il quadro interiore, di segnalare
nel sentire, lo scricchiolio dell'insieme dell'assetto di un modo di essere e
di procedere, che pretenderebbe di essere solido, quando in realtà è spiantato,
fragile, sconnesso. L'inconscio al mantenimento di questo insieme non dà
manforte. Ansia e quant'altro trovi espressione nel disagio interiore, spinti e
messi in campo dall'inconscio, servono a far sentire l'intimo profondo
disaccordo, il pericolo e il senso di inaffidabilità di un modo d'essere e di
procedere tutt'altro che validi e promettenti, a far sentire la necessità di un
cambiamento di sguardo e di rotta, a consegnare il compito non di tirare avanti
dritto incuranti, ma di cominciare davvero a guardare senza veli, a capire come
si sta procedendo, di cosa si è sostanzialmente privi. Nel disagio interiore e
nelle sue punte di malessere ci sono apporti e stimoli accorti e intelligenti,
carichi di significato e con ben valido fondamento, anche se scioccamente
trattati e considerati come segni di anomalia, come ansia immotivata ad
esempio. Il vizio di fondo di tanto pensiero psicologico e psicopatologico è di
considerare l'uomo come un meccanismo che deve stare dentro, funzionare
regolarmente e realizzarsi nel cosiddetto "reale", il che altro non
significa se non lo stare sui binari e nell'adesione a ciò che, pur con tante
varianti e opzioni alternative, nella sostanza è già modellato e dato, già
pensato e detto, che nulla ha a che vedere con la formazione di pensiero
proprio, con la scoperta di se stessi e del proprio progetto, che l'inconscio
stimola con insistenza, che vuole con forza, perchè condizione per essere
artefici del proprio destino e liberi, non gregari, non ridotti a essere copia
d’altro, di un disegno di vita nelle sue linee guida e nei suoi percorsi
possibili preso da fuori. Dove la parte
conscia tira dritto e consolida solo il pregiudizio, l'inconscio
"pensa" e cerca di far sentire la sua presenza, di esercitare la sua
influenza, tutt'altro che negativa, anche se vissuta come disturbante, anche se
bollata come disturbo e patologia da trattare e eliminare. L'inconscio non è
lontano o destinato per sua natura a rimanere tale. Anzi il nostro inconscio
vuole esserci nella nostra vita, stimolarci e sostenerci nell'impegno di
crescita, consegnandoci (attraverso i sogni principalmente, ma anche plasmando
tutto il corso interiore dei nostri vissuti, del nostro sentire) nuova linfa e
pensiero, vuole che sia condiviso dalla nostra parte conscia, cui chiede
coinvolgimento, impegno e serietà, messa in discussione e rinuncia alla pretesa
di capire tutto in un attimo o, peggio, di sapere già. L'inconscio non è uno
strano accessorio o una presenza aliena, non è un'entità oscura, destinata a
sfuggirci, di cui solo gli esperti possono dire, con quale cognizione di causa
è tutto da vedere. L’inconscio siamo noi in una parte del nostro essere, la più
autentica e vitale, la meno passiva e rinunciataria, la meno addomesticabile,
la più dotata di intelligenza acutissima nel riconoscere quanto c’è nel proprio
presente e la più lungimirante, che ahimè spesso è ignorata letteralmente, come
non esistesse, oppure che è fatta oggetto di attribuzioni che ne fraintendono e
ne sminuiscono il potenziale e la
natura, ripetendo sul suo conto definizioni prese qua e là, applicandole
stereotipi, come quello di considerarla un serbatoio di esperienze negative
rimosse, che oscuramente alimenterebbero paure e disagi, vivendola e
trattandola come parte oscura e assai poco accessibile da tenere a bada, verso
cui stare in guardia perché non turbi il proprio equilibrio e benestare, in
definitiva finendo molto spesso per non riconoscerne il vero volto, il
significato e il potenziale trasformativo che può portare nella propria vita.
L’inconscio è ben altro che una parte oscura, poco affidabile e assai poco
accessibile e intelligibile, che abita il nostro essere, è la parte di noi
stessi che svolge un lavoro estremamente attento, che raccoglie e documenta
ogni passo del nostro procedere, che evidenzia continuamente nelle nostre
emozioni e stati d'animo il vivo e la complessità di cui è fatta la nostra
esperienza, il vero e l'intero, senza omissioni o aggiustamenti di significato
o riduzioni di comodo, come, pensando col ragionamento, tendiamo spesso a fare.
L’inconscio è la parte più accorta e affidabile del nostro essere. Capita che
già giovani o giovanissimi si veda il proprio corso d'esistenza, che si
vorrebbe quietamente e piacevolmente sereno, turbato da malesseri o da crisi
interiori, non per caso, non per cedimenti o per insufficienze banali, non per
difetti di buon funzionamento, non per condizionamenti, insufficienze e
responsabilità esterne, cui si tende sempre a ricondurre l’origine e la causa
di malesseri e disagi, ma per ragioni più profonde, di mancanza di basi salde
di unità con se stessi, di conoscenza di se stessi, senza le quali,
particolarmente per chi è giovane (dico particolarmente, perché la questione
non riguarda solo chi è giovane) e nella necessità di comprendere e decidere
come indirizzare la propria vita, è mancante e compromessa la capacità di
trarre da sé le risposte, di farsi attenti e fedeli interpreti di se stessi e
di guidarsi autonomamente, di sventare il rischio di farsi sostituire, di
affidare l’orientamento della propria vita e del proprio futuro a guida esterna
piuttosto che interna. Già pare infatti modellato, spiegato e detto ciò che va
inteso per realizzazione personale, per crescita, per ricerca del bene della
propria vita. Le tappe, le occasioni, i modi di intendere la maturità sembrano
già definiti e scolpiti nell'esempio comune, nel pensiero vigente, prima di
ogni possibilità e impegno di scoperta e di ricerca personali. Il rischio di
saltare la propria ricerca e di imboccare strade già segnate, tradendo,
deludendo le proprie ragioni e aspirazioni profonde, nemmeno indagate,
coltivate e conosciute, è fortissimo. L’inconscio non per caso intralcia il
cammino, fa sentire con ansia, attacchi di panico o quant’altro cosa vacilla e
manca, forza l'individuo col malessere ad andare più verso se stesso che verso
l‘esterno e verso altri, gli fa toccare con mano la sua non familiarità e lo
smarrimento nel contatto con il proprio mondo interiore, gli fa sentire
l'urgenza di porvi rimedio, di non procedere incurante di questo stato di
incomprensione con se stesso. Non è distruttiva la pressione che l’inconscio
esercita sull'individuo, è provvidenziale e saggia, gli vuole togliere
illusioni, vuole spingerlo a delle verifiche attente e approfondite da farsi
con i propri occhi, con trasparenza e coraggio di verità finalmente. L'inconscio
vuole aprire all'individuo una stagione di profonda trasformazione per
sostituire il posticcio di una identità e di un senso della propria vita prese
in prestito, fragili, non verificate e comprese davvero (fondate più
sull’imitazione e sulla ricerca dell’intesa con l’esterno e con gli altri che
sul confronto con se stesso) con la presa di coscienza, con la formazione di
proprie idee fondate e verificate, con la formazione di propria visione, in
stretta unità e accordo col proprio intimo e profondo. Il rischio per
l'individuo di sprecare la propria vita diventando copia d’altro e dipendente
da altro, che, nel pensato e nell'esempio comune, nel già organizzato e
strutturato, nel cosiddetto "reale", è pronto a suggerire, a
convalidare, a sostenere, a dare le dritte, non è sottovalutato dalla parte
profonda di se stesso. Non è un caso se l’inconscio fa il guastafeste, se fa ad
esempio sentire senso di fragilità, di sfiducia, senso di vuoto e di inutilità.
Simili vissuti sono facilmente giudicati patologici, sbagliati, espressione di
qualcosa che non funziona come dovrebbe. E’ frequentissima in chi ne vive
l’esperienza, l’istanza prima di tutto di liberarsi di questi malesseri, visti
come intralci malauguratamente dolorosi e limitanti, per restituirsi, come si
ritiene sia normale, il proprio benessere come libertà di vivere e di procedere
senza gravami interiori. E’ abituale cercare aiuti per mettere a tacere con
farmaci o con psicoterapie che dettino strategie e tecniche varie per
controllare il sentire così penoso e
arduo o per indagare e trovare sul suo conto qualche presunto motivo d’origine, particolarmente cercando
nel passato e riconducendo a altro e a altri le responsabità, che, per
inadempienze o condizionamenti negativi da parte di genitori o dell’ambiente o per un trauma
subito, avrebbero intaccato il proprio
equilibrio e compromesso il sano processo di crescita. Risposte al malessere e
alla crisi vissuta interiormente che non comprendono la natura del problema e
il senso di ciò che sta accadendo dentro se stessi, tutt’altro che segno di un
guasto o di una anomalia di cui si si sarebbe sfortunate vittime e da cui
urgerebbe liberarsi, lasciando tutto di sé, del proprio modo di procedere,
della conoscenza di se stessi, dello stato di lontananza e di non rapporto con
la parte intima e profonda di sé, fondamentalmente intatto e irrisolto. Ciò,
che certamente impegnativo e difficile sta accadendo dentro se stessi vede la
presenza e l’iniziativa forte della propria parte profonda. L’inconscio smuove
le acque, turba il quieto vivere per dare indicazioni impegnative quanto
fondate e vere, sollecitando attraverso il sentire, spesso proponendo sogni che
hanno forte capacità di dare guide di ricerca e chiarimenti, la presa di
coscienza che ad esempio non ci può essere fiducia in se stessi, che non può
esserci base salda nel proprio procedere e affidabile per sé, se di proprio non
si è ancora compreso e messo assieme nulla. L'inconscio può diventare la guida
più affidabile e sicura, se si impara a riconoscerlo e a rispettarlo in ciò che
è, se se ne comprende e condivide lo spirito e l'intento, se, dando risposta
appropriata al malessere interiore, si decide, procurandosi l'aiuto valido e
necessario, di cominciare, imparando prima di tutto a ascoltare e a conoscere
il linguaggio della propria interiorità, un serio lavoro su se stessi, di aprire una
stagione di crescita e di cambiamento, in stretta unità e con l’aiuto e la
guida fondamentali del proprio profondo. L'inconscio non difende il quieto
vivere, perchè non ha a cuore il persistere in ciò dentro cui si è solo pallida
immagine e inautentica di se stessi e in cui c’è un rischio, anzi ben di più di
un rischio, di realizzazione impropria della propria vita. L'inconscio è
impegnativo, perchè non appoggia passività e rinuncia, illusioni e comodo, ma è
un potente alleato nell'impegno di far vivere se stessi, di concepire e di mettere
al mondo con le proprie forze e risorse qualcosa che abbia un contenuto
originale e un senso.
mercoledì 16 luglio 2025
La psicologia del rattoppo e del rilancio
Pensa a senso unico, non concepisce se non il già
concepito, perciò non è in grado di capire cosa davvero avviene sulla scena
interiore. Questa è la psicologia corrente, in tante delle sue varianti,
pronta, pur nelle sue diverse declinazioni, a intervenire in emergenza per
fronteggiare malesseri e crisi interiori come psicologia del rattoppo e del
rilancio. Quando, guardando alla propria esperienza, si riconosce solo ciò che
si è soliti e inclini a intendere, provvedendo a dare a se stessi, per il
proprio quieto vivere, conferma nei propri giudizi abituali e convalida al
proprio modo di procedere consueto, resi, in appoggio a modelli e a mentalità
comune, scontati, “normali” e fuori da ogni necessità di verifica, già si è ben
sintonizzati e in perfetta consonanza con la psicologia corrente, sia con
quella convenzionale e diffusa, che con quella professionale dei non pochi
esperti che, all’occorrenza, in caso di difficoltà, è pronta a intervenire come
psicologia della diagnosi del (presunto) guasto
e della ricerca del suo rimedio. Quando, seguendo l'onda e il modo di
pensare comune, si fanno scelte di vita, si fanno proprie, rifacendosi a modalità
e a modelli condivisi, le tappe e i tempi di esecuzione, si perseguono i
traguardi di presunta crescita e realizzazione personale in qualche modo già
designati e si considera se stessi, in realtà attori di un copione già scritto,
calati dentro ruoli e parti già ben definite e configurate, come artefici e
capaci di dire in quei panni la propria, quando illusi di compiere il proprio
cammino per intraprendenza e iniziativa proprie, ci si muove in realtà su
percorsi già segnati, ben indirizzati e regolati, ecco che la psicologia, che
convalida e assesta la credibilità della (fasulla e inautentica)
autorealizzazione messa in scena, è pronta, in caso di difficoltà, di malessere
interiore, di cui non sa riconoscere le ragioni profonde e lo scopo, a
intervenire per fare azione di rimedio, di rattoppo e rilancio. Ben accolta
come salvatrice e provvidenziale, resa affidabile dall’autorità concessa ai
cosiddetti esperti, la si fa intervenire a fare rattoppo quando, mentre
l'interiorità, con segnali, per nulla casuali e insignificanti, di malessere e
di crisi, produce strappi, apre crepe affinché il vero emerga e tutto possa
finalmente prendere una via nuova, quella della presa di coscienza, del
recupero a sè del compito e della occasione di fondare su di sè la propria
vita, si cerca invece, casomai facendosi aiutare in questo, di adoprarsi per
trovare rimedio a presunti guasti, per ripristinare la corsa solita, a senso
unico, per ridarle slancio e respiro. Non conduce alla presa di coscienza, la
psicologia che la dà per naturale e la traveste, che non persegue lo scopo di aprire lo
sguardo, di vedere cosa è realmente e cosa implica la modalità di procedere in
cui ci si affida a altra guida, cercata fuori di sè, che già ha concepito e
predisposto, casomai con ampia gamma di soluzioni e binari, ciò che si può e
che va realizzato e perseguito, illudendo che quello messo in atto sia
movimento autonomo e fondato su basi proprie ben comprese e evolute, cosa che
solo un serio lavoro su se stessi potrebbe formare e costruire. Un lavoro
necessario per fondare la propria autonomia su presa di visione propria, su
scoperta di ciò che vale, di aspirazioni che si riconoscono originali, di cui
si è profondamente portatori, lavoro che solo in unità col proprio profondo può
svilupparsi senza inglobare significati e risposte e soluzioni preconcette e
già pronte, prese da fuori. I binari, il copione già scritto esonerano però dal
compiere questo lavoro, anzi lo rendono, oltre che inutile, inaffidabile,
offrono e sanciscono come via maestra e necessaria, addirittura ovvia e
naturale, per la propria realizzazione soluzioni, vie da percorrere già
segnate, da seguire, da assecondare. Non serve allora altro che testare su di
sè se non la predilezione, l'interesse per questo o per quell'altro già
configurato che sta là fuori dentro il ventaglio delle opzioni possibili,
scegliendo la preferita, come il mezzo e come l’itinerario da seguire e il
traguardo da raggiungere per dare realizzazione alla propria vita. Così
assuefatti a cercare pronta soluzione, a prenderla da fuori, ben poco si è
disponibili e interessati a fermarsi, a aprire riflessione e verifiche attente,
a ascoltare la parte intima e profonda, a lavorare con cura su di sè. Serve
solo ai propri occhi afferrare le soluzioni già prefigurate e pronte, serve non
perdere il treno, salire di volta in volta e tempestivamente sul treno che pare
confacente a sè, per non rimanere a piedi e indietro rispetto agli altri, per
darsi la persuasione e la rassicurazione di mettere la propria vita in corso
d'opera e in corsa di riuscita. Capita nei sogni di essere in procinto di
salire su un treno, a volte di correre il rischio di perderlo, di affannarsi
per non perderlo, di non arrivare in tempo. L'inconscio ci mette l'intelligenza
di cui dispone, non conforme e non al guinzaglio della psicologia del rattoppo
e del rilancio, per segnalare l'impossibilità ormai di acciuffare quella falsa
grande opportunità del treno in partenza, impossibilità da intendersi come
condizione utile e necessaria, tutt’altro che infelice. La perdita del treno in
partenza non è infatti sciagurata, ma viceversa è favorevole per riportare a sè
la scoperta del cammino, dell'orientamento da trovare, della meta da scoprire,
del modo di raggiungerla da affidare alla propria intelligenza, facendo conto
sulla sensibilità dei propri piedi sul
proprio terreno, sulla loro capacità di sostegno e di movimento e non sul farsi
portare da veicolo a pronto uso, che, se offre agio di muoversi, ha però le sue regole e destinazioni segnate,
i suoi andamenti cui aderire, cui affidarsi passivamente, i binari ben segnati
su cui correre. Quando non si comprende quanta necessità c'è di aprire gli
occhi sul modo abituale di condursi e sugli autoinganni, sulle illusioni che
alimenta e di cui si avvale per stare in piedi, per sussistere, ecco che la
visione di sè, che la psicologia del rattoppo e del rilancio di ciò che ormai è
consacrato come regola e come unica prospettiva possibile, prende il
sopravvento, risulta funzionale e quasi indispensabile per tenere su l'intero
costrutto. La psicologia del rattoppo interviene per accomodare tutto, mettendo
le mani su situazioni di crisi e di malessere interiore, fraintendendo e
dirigendo tutto nella ricostituzione e nel rilancio, casomai con qualche
apparente novità e aggiustamento, della solita storia e direzione. La
psicologia del rattoppo, in presenza di momenti e passaggi interiori critici e
problematici, in cui la componente profonda interviene per spezzare la quiete,
la continuità del procedere e del pensare soliti, per sollecitare con forza la riflessione, il
recupero della presa di visione di ciò che si sta facendo di se stessi e verso
se stessi, cerca cause di presunti disturbi da rimuovere e da correggere, offre
spiegazioni e soluzioni, salvando e riconfermando nella sostanza l'impianto
solito, tentando di renderlo più scorrevole, se intralciato da dentro. Ma gli
intralci, i segnali di crisi e di malessere, sono richiami e spunti di
verifica, spinte e guide di ricerca di verità e di consapevolezza su se stessi,
che la parte profonda mette in campo, che, se non intesi come tali e non ascoltati, se fatti invece oggetto e pretesto
di rattoppo, portano solo a fraintendere e a chiudere la possibilità di
conoscenza di se stessi e di profondo cambiamento, indispensabile per uscire da
una condizione impropria, di dipendenza e di allineamento a altro, pur con
l'illusione di decidere, di dire e di metterci del proprio. La psicologia del
rattoppo e del rilancio, che sembra nella crisi e rispetto al malessere
interiore dare risposta utile e benefica, di fatto vanifica la spinta che nelle
intenzioni del profondo, che anima e solleva la crisi, vuole portare a
verifiche attente, a aprire gli occhi sulla natura del proprio modo di
procedere, a invertire la rotta, a passare da finti artefici e realizzatori
della propria vita, a veri artefici,
accettando non di consumare soluzioni pronte e di salire su treni da non
perdere, ma di costruire con impegno e pazienza e gettare le fondamenta della
propria autonomia, di trovare dentro di sè le guide e le risposte, di tesserle
con cura, in unità con un'interiorità che, se da un lato apre crisi, dall'altro
ha capacità di dare sostegno e di guidare la ricerca per diventare davvero
protagonisti della propria vita. Quando l'intento del profondo è compreso e
condiviso, accade che la psicologia, non del cieco aderire e della conferma del
corso abituale, non del rattoppo e del rilancio del solito, ma la psicologia della
riscoperta e del riscatto dell'umano vero e della sua realizzazione autentica
riesca finalmente a prendere il sopravvento. L'inconscio questo vuole e di
questo sa essere maestro e guida.
sabato 12 luglio 2025
Le vicende interiori
Non è affatto facile capire le vicende interiori,
particolarmente se complesse e inquiete. Prima di tutto si fa e spessissimo
l'errore di applicare agli svolgimenti interiori una logica interpretativa e
una lettura che sono a loro estranee, improprie. Ci si aspetta, si suppone che
ciò che accade interiormente sia solo l’eco, la coda, il seguito passivo di ciò
che si ritiene essere il senso delle cose come tenuto insieme nella propria
testa. Si ha pretesa di tenere con la testa il comando esclusivo delle operazioni
di pensiero e di indirizzo delle scelte e che tutto di se stessi debba muoversi
al seguito. Se l’intimo di sé nel sentire non dà segni conformi alle attese,
prontamente lo si considera segno di risposta insufficiente, inefficiente, non
valida e non adeguata come si vorrebbe.
Tutto ciò che accade interiormente è ben altro in realtà e ha ben altra
capacità e intento che di seguire le orme e i dettami della testa padrona, ma
questo lo si ignora, implicitamente lo si esclude, con pretesa convinzione inossidabile
che ciò che conta è ciò che nei ragionamenti si pensa e si argomenta e che il
resto sia comunque subalterno e da gestire. C’è poi la tendenza a fare uso, a esaltare
le emozioni che hanno buon gradimento e che godono di apprezzamento comune, a indurle,
a porle a rimorchio e al traino di circostanze (ad esempio un luogo, una vista
chissà quanto incantevole e irresistibile, oppure una situazione che si pensa
non possa che commuovere o altro) o di fonti ispirative, come la visione di un’opera
d’arte, assistere a una rappresentazioni teatrale o cinematografica, come l’ascolto
di una musica, la lettura di un libro o simili, che avrebbero capacità di
suscitare e accendere emozioni, come se ce ne fosse necessità, come se il
sentire spontaneo fosse poca cosa e ci fosse necessità di animarlo, guidarlo e sostenerlo per farlo entrare in bella
vibrazione, perchè dia il meglio di sé, perché caldamente prenda forma e si manifesti.
Contrariamente e ben diversamente dal pensato comune, ciò che si propone
interiormente nel sentire, spontaneamente, senza trucchi, manipolazioni e
incentivi, davvero in modo spontaneo e autonomo, quando rispettato, correttamente
inteso e fedelmente compreso, si rivela essere ben altro e avere ben altro
peso, valore e capacità rispetto a ciò che gli assegna il preconcetto usuale e
ricorrente. Ben diversamente dai limiti che si suppone lo caratterizzino, lo si
considera infatti componente a volte deludente e senza pretese se poco vivace e affatto appagante, altre
volte, se più acceso e incalzante, irrazionale e viscerale, non affidabile in
termini di intelligenza e di capacità propositiva, il proprio sentire, il corso
delle intime sensazioni e stati d’animo, è viceversa capace, ben guidato dalla
parte profonda della propria psiche, di dare contributo e guida intelligente
per comprendere ciò che la testa, scissa dal sentire, non può e non sa intendere, alimentata com’è nei suoi
ragionamenti dal pensato comune, condizionata com’è da interessi di conservazione e di
conferma dei suoi convincimenti soliti. Il sentire sa dare testimonianza viva
di verità intime, verso cui lo sguardo abituale non cerca e non si dirige, riguardanti
lo stato del rapporto con se stessi, l'orientamento e il modo di farsi
interpreti della propria vita, il grado di maturità vera, di autonomia
raggiunte, la corrispondenza con se stessi di ciò che si persegue o segue. Sono
verità tutt’altro che di poco conto per chi non voglia procedere a testa bassa
o dentro convinzioni mai verificate, sono verità solitamente ignorate e
trascurate, rese vive e tangibili proprio dentro e attraverso stati
d'animo, vissuti, che di continuo
offrono base viva di comprensione e di ricerca, che solo un autentico sguardo
riflessivo (che non c'entra nulla con la riflessione comunemente intesa e
praticata, che è tutto un ragionare sopra e sul conto di esperienze e momenti
interiori di cui non si riconosce il volto, che non si lasciano parlare) può
avvicinare e gradualmente cogliere. Lo sguardo razionale non sa nè raccogliere
nè concepire una simile proposta, abituato com'è a far da solo, senza vincolo e
senza aderenza stretta al sentire, a commentare e non a ascoltare, a definire e
non a riconoscere ciò che il sentire dice e rivela. Prevenuto com'è,
supponente, perchè pensa di aver già nel suo bagaglio la comprensione,
impaziente, perchè non sa reggere la tensione del non vedere già e del non
sapere subito o presto, poco o nulla duttile e accogliente, perchè rigidamente
attaccato a idee e a principi di coerenza formale e di normalità, imbevuto di a
priori, di significati presi in prestito dall'uso comune, fondamentalmente
incompresi e semplicemente replicati, incline a spiegazioni lineari di causa e
effetto, il pensare razionale non ha certo l'animo e la stoffa per entrare in
rapporto rispettoso, utile e fecondo col sentire. Ciò che accade interiormente
vuole far vedere da vicino la propria condizione, i propri modi, vuole
illuminare complesse relazioni intime. Solo con uno sguardo riflessivo portato
su di sé, solo guardando negli occhi, come in uno specchio, il proprio sentire
e riconoscendo cosa vuole comunicare e dire, ci si può accordare col senso e
con la proposta di ciò che di volta in volta si rende vivo e presente
interiormente, viceversa l'attenzione sempre portata all'esterno, l'abitudine a
riferire tutto ciò che si prova a relazioni concrete con altro e con altri non
può permettere di cogliere, di capire il senso dell'esperienza interiore. Se ad
esempio l'ansia cresce non è per debole capacità di procedere e di avanzare con
sicurezza nel rapporto con l'esterno, sempre inteso come unica realtà di
riferimento e assoluta, ma per testimoniare la fragilità di ciò che fa da base
d'appoggio al proprio modo di stare al mondo e di procedere, dove manca
l'essenziale, dove manca tutto ciò che gli faccia interiormente da fondamento
valido, che lo renda affidabile e saldo. Senza unità con tutto il proprio
essere, senza capacità di ascolto e di dialogo con la propria interiorità,
senza conoscenza di se stessi, aperta e approfondita, non addomesticata alle
proprie pretese e condizionata da convinzioni di comodo, non può esserci base
salda e affidabile. Lontani dal proprio intimo e senza intesa con se stessi,
senza aver compreso nulla, aggrappati solo all'agire e al ragionare spiantato,
supportato da luoghi comuni, da convincimenti senza conferma interiore e
sfasati rispetto al proprio sentire, come si può pretendere di starsene quieti,
che non suoni l'allarme, a causa di una dotazione nel vivere, di un
equipaggiamento nel procedere scadenti e lacunosi, dell'inconsapevolezza di ciò
che si sta realmente facendo di se stessi, di ciò a cui ci si sta nel tempo
destinando?