Si può fare dell’intima sofferenza non la minaccia da
combattere e da cui fuggire, ma viceversa l’occasione, il punto di incontro
vivo ritrovato con se stessi, la via d’ingresso per cominciare a comunicare con
la propria interiorità, con la parte di sé, intima e profonda, che ha scelto di
non stare inerte e zitta e che, smuovendo l'interno anche vivacemente e non
dando tregua, ha in realtà intenzione di comunicare, di dare. Dove, rinunciando
a contrastarla o a metterle sopra giudizi o spiegazioni, le si dà apertura e
ascolto, come si impara a fare in una buona esperienza analitica, questa parte
viva del proprio essere si rivela capace di dire e di dare tanto. Non è un caso
che attraverso il malessere prenda vigore la presa e il fermo richiamo della
propria interiorità a portare l’attenzione su di sé, un’attenzione altrimenti
sempre rivolta a non perdere contatto e posizioni con l’esterno, dando per scontato
e già definito tutto nella conoscenza di se stessi, del significato e delle
possibilità realizzative della propria vita. Il malessere non è segno di
fragilità e di patologia, semmai è segno di salute nell'intento che ha il
profondo di dare spinta e occasione per mettere mano alla propria vita, per
vederne senza veli lo stato attuale, per capirne significato vero e originale e
possibilità, consoni e corrispondenti a sè. La parte profonda prende
iniziativa, vuole segnare una cesura nel solito modo di procedere e di
pensarsi, un fermo per guardarci dentro, per riaprire tutto, per mettersi nelle
condizioni di trovare il vero e l’autentico di se stessi. La risposta è in
genere quella di considerare anomalo e minaccioso lo stato interiore segnato da
crisi e da malessere, di considerare le espressioni del disagio come segni di
difettoso funzionamento, pronti a correre ai ripari, esercitando cura verso se
stessi nella forma della ricerca del sollievo, dell'evasione, cercando aiuto
che procuri armi e soluzioni per mettere a tacere, per trovare rimedi e
aggiustamenti, per darsi e per farsi dare spiegazioni di ipotetiche cause, ricercate
il più spesso nel passato remoto, in torti patiti, in traumi subiti, ritenuti
cause di guasti che prolungherebbero i loro effetti nel presente, di una
sofferenza di cui si auspica di liberarsi finalmente per stare bene. E’ uno
stare bene, tanto esaltato e ben voluto, che in realtà si fonda e si traduce in
uno stato di disunione, di disaccordo col proprio intimo, di cui si ha più
diffidenza e timore, verso cui c’è più pregiudizio e insofferenza che capacità
di ascolto e di intesa. E’ un modo di pensare e di trattare le vicende intime
che ognuno applica a se stesso e che ha dalla sua una persuasione molto diffusa
e comune. E’ raro che sia compreso cosa c’è all’origine e cosa c’è in gioco nel
malessere interiore, quale sia il suo scopo. Si pensa che ci siano nelle
espressioni del malessere interiore solo i segni di un alterato stato interiore
cui provvedere, per ridare continuità e togliere pesi e intralci al corso abituale,
ignorando che il malessere e la crisi vogliono aprire la strada a un diverso, profondamente
diverso rapporto con se stessi, con la propria parte intima, capace di
rinnovare profondamente il proprio essere e la propria vita. Formare e
sviluppare la capacità di accogliere, di ascoltare, di comunicare con parte
viva e profonda di se stessi è dunque la conquista da fare, che tanto è
fondamentale e decisiva per l'andamento e per la qualità della propria vita,
quanto è solitamente trascurata e sottovalutata. Se c'è un'anomalia nel proprio
stato è proprio nella mancata unità e nella incapacità di incontro, di ascolto
e di dialogo col proprio intimo, di cui si ignora tutto, il linguaggio,
l'intento e le potenzialità. Tutto si è imparato in anni e anni nel corso della
propria vita tranne che a rivolgersi a se stessi, a ascoltarsi, a capire il
linguaggio delle proprie emozioni e dei propri stati d’animo, a scoprire il
potenziale e il valore, l’affidabilità del proprio sentire, a comprendere che i
propri sogni notturni sono ben di più e ben altro che i residui sparsi
dell'esperienza diurna o costruzioni immaginarie ingenue e di nessun valore, ma
potentissime guide di pensiero e di conoscenza, a intendere che i confini del
proprio essere, delle proprie potenzialità conoscitive e di realizzazione vanno
ben oltre quelli dell'esercizio del pensiero ragionato, della volontà e della
capacità di agire. Tutto questo, il recupero di una unità e di una capacità di
rapporto con l'intimo e profondo di se stessi va costruito e coltivato. Se ci
si è esercitati solo a trattare il rapporto col mondo esterno e a riconoscere e
a rincorrere solo occasioni esterne, va costruita la capacità di entrare in
rapporto col proprio mondo interno, con ciò che vive e che di continuo si
propone dentro se stessi. Quello interiore non è un mondo fragile e di nessuna
consistenza, nel proprio intimo e profondo c’è la parte di se stessi più
attenta a cogliere senso e implicazioni della propria esperienza, meno incline
alla dispersione e alla fuga, c’è un potenziale di forza d'animo e di pensiero
che non ci si aspetta. Si può andargli incontro, stabilire un rapporto, far sì
che possa dare a se stessi ciò di cui si ha profonda necessità. Senza il
contributo di questa parte preziosa di se stessi, che purtroppo tanto è
essenziale, quanto è facilmente e abitualmente sottovalutata e fraintesa nel
suo significato, si è esposti al rischio di non capire nulla di se stessi, di
non avere occhi per vedere il vero, che, anche se scomodo, fa crescere e dà
forza, di non avere guida per orientarsi, di rimanere ingabbiati nella visione
che considera realistico e possibile solo ciò che è già comunemente concepito e
dato. Senza questa unità con se stessi, orfani del proprio intimo, incapaci di
un dialogo aperto e fecondo con la propria interiorità, si è inclini a cercare
sostegno e compensazione in altro per avere una parvenza di stabilità e di
contatto vitale, di vicinanza. La paura della solitudine, vissuta come terra
arida e come vuoto, spinge di continuo a legarsi e a fondersi con altro e con
altri, allontanando sempre più la possibilità di un rapporto aperto e sincero,
caldo e fecondo con se stessi e di conseguenza di un rapporto autentico e
rispettoso, non strumentale con chiunque. Non si può essere se stessi se non si
è uniti a se stessi. Se, come è inevitabile, vista l’inesperienza, si rende
necessario l’aiuto di chi introduca al dialogo con se stessi, di chi sappia
aiutare a formare e a far crescere capacità di ascolto e di incontro con la
propria interiorità, per ritrovare finalmente il filo di un discorso proprio e
per tesserlo con cura perché diventi bussola per orientarsi e terreno saldo su
cui poggiare, ciò non minerà, ma arricchirà soltanto la propria crescita. Far
ricorso a un simile aiuto non intaccherà la propria autonomia, ma contribuirà
viceversa a farle trovare il suo più valido e solido fondamento: il legame e il
rapporto con la propria interiorità, l'unità con se stessi. Si può, basta
volerlo.
domenica 23 novembre 2025
Si può
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