sabato 30 marzo 2019

Conoscere se stessi

Come arrivare alla conoscenza di se stessi? Il corso dell’esperienza interiore, il proprio sentire sono la guida più sicura per capire se stessi, il terreno su cui poggiare, la traccia da seguire. Nel sentire prende volto e vuole rendersi riconoscibile la verità di noi stessi, il nostro sentire acuisce, evidenzia, sottolinea, ci fa toccare con mano ciò che vive in noi e che ci muove nelle nostre scelte, nelle nostre risposte, ci fa riconoscere ciò che, al di là delle apparenze, ci sta accadendo, i nodi e le questioni scottanti dentro cui rispecchiarci e con cui confrontarci, per una conoscenza di noi stessi non astratta, ma fondata e vera. E' idea comune che le emozioni e tutti i moti e stati interiori, che il sentire sia una componente da trattare con riserva, da tenere sotto tutela, che, definita irrazionale, sia per ciò stesso niente affatto affidabile come guida, come fondamento per capire, perchè soggetta a eccessi, a parzialità a intemperanze. Si dà viceversa in genere fiducia prevalente e indiscussa alla componente razionale, considerata capace di dare visione lucida e obiettiva, non in balia di capricciose, viscerali e miopi istanze. In realtà, se isolati in questa funzione razionale, non si può che rimanere confinati in un pensiero, che, a un attento esame e ben diversamente dalle aspettative, si rivela spesso tutt'altro che libero da limiti e parzialità, da distorsioni e capricci. Quando ci si occupa di se stessi si ama infatti rappresentarsi in ciò che pregiudizialmente si ritiene consono e adeguato all'immagine che si ha cara di se stessi, con fatica si accolgono verità scomode, con frequenza nel percorso di pensiero ragionato si omette, anche se in modo velato, ciò che scombina o che smentisce le proprie convinzioni, che delude le proprie attese e previsioni. In ciò che passo dopo passo, cogliendoci spesso di sorpresa, prende forma nel nostro corso interiore, in ciò che sentiamo, che si muove dentro di noi, c’è invece la testimonianza più sincera, il continuo stimolo, acuto e intelligente, a aprire gli occhi, a guardare dentro di noi, a non trascurare parti essenziali. La prospettiva da cui e entro cui si muove il profondo, che è la parte di noi che muove e che plasma il nostro corso interiore, il succedersi di tutto ciò che sentiamo e che, fuori dal controllo di volontà e ragione, accade dentro di noi, è ben diversa da quella della nostra parte cosciente. L'inconscio, libero dal vincolo di essergli compiacente e di dargli conferma, è interessato a garantire all'individuo l'accesso al vero e a una visione ben più aperta e lungimirante di quella che in superficie lo sguardo e il pensiero cosciente sanno offrirgli, spesso vincolati al bisogno di tenere compatta e ben difesa col ragionamento l’idea di se stesso che gli è gradita, di proseguire e di far persistere ciò che gli è usuale, in conformità e dentro i limiti di ciò che comunemente è considerato normale, degno e possibile. Si soffre, pur non patendolo e non riconoscendolo come problema, anzi a volte con l'illusione di disporre di chissà quale libertà e ampiezza di idee, di appiattimento della visione, di univocità del pensiero, come se altro non fosse possibile, concepibile e da salvare se non ciò che è nel solco di ciò che già si sa, dentro cui da tempo si è incanalati. E' comprensibile che, ignorando le proprie risorse interiori, inconsapevole e incurante di vedere la vera natura le ragioni del proprio modo di procedere, spesso, anche se coperto da illusioni circa il suo valore, senza radice dentro se stesso, dove il pensiero e l’intenzione, persino i progetti sono desunti da ipotesi e da modelli preconfezionati, riprodotti pari pari o in qualche misura riplasmati, l'individuo si disperi se interiormente, per iniziativa del profondo, che sa vedere oltre le apparenze, gli si aprono crepe, discontinuità o se si impongono veri e propri intralci. Dando tutto per già compreso e acquisito di se stesso, l'individuo si oppone come a una minaccia e a un fastidio a tutto ciò che interiormente non gira per il verso voluto e considerato valido e conveniente, non si dà disponibilità di ascolto, concentra viceversa il suo interesse sul proseguire linearmente, spesso avendo come aspirazione più forte quella di dare prova di capacità di riuscita, di merito. Verso se stesso la pretesa e l'attesa prevalenti sono di tirar fuori da sè argomenti e abilità da mostrare e dimostrare, come se nient'altro contasse. Come se tutto dovesse di sè concordare con i propositi di efficienza e di riuscita, dare espressione e dare prova sono la principale attesa rivolta a se stessi, perchè la buona riuscita da dimostrare è l'unica o la più forte sorgente di entusiasmo e di autostima da inseguire, da non compromettere. Il profondo dell'individuo, depositario delle personali e originali ragioni di vita e potenzialità, con la consapevolezza di ciò che l'individuo coerentemente con se stesso potrebbe concepire, generare, far vivere, dare al mondo e dire, non ci sta a una simile misera resa della propria esistenza, dove allinearsi e farsi apprezzare e benedire, farsi confermare in ciò che allo sguardo dei più pare degno e adeguato, sembrano gli unici scopi perseguibili, fortemente sostenuti e strenuamente dalla parte ragionante e volitiva di superficie. Il profondo non getta la spugna, anzi dà di continuo attraverso il sentire l’occasione per veder chiaro dentro se stessi. Si vorrebbe far funzionare le cose, si vede spesso tutto in termini di riuscita e di resa efficiente, come se su un cammino già segnato non ci fosse che da proseguire e col miglior passo, illudendosi che in questo ci sia l'espressione della propria forza e capacità di iniziativa e ci siano le migliori fortune possibili da non farsi sfuggire. Non per caso e coerentemente con questa tendenza comune, oggi nell'ambito delle psicoterapie sono assai diffusi gli indirizzi che si propongono di correggere in senso funzionale ciò che nel malessere interiore è considerato (dando questo per evidente e certo) solo una risposta anomala e inadatta, non utile, che penalizza chi la vive, non diversamente da come con l'uso degli psicofarmaci, pure assai diffuso, ci si propone di intervenire sul sentire giudicato anomalo e patologico per metterlo a tacere, per correggerlo, per rimetterlo in riga con ciò che è ritenuto normale, sano, vantaggioso. L'importante è risolvere, rimettere tutto in "buono" stato di funzionamento. L'individuo e il modo di pensare comune sono predisposti a una simile scelta curativa, dove quel che conta è superare, passare oltre tutto ciò che nell'esperienza interiore disagevole è giudicato solo un peso, un aggravio inutile e limitante, un assurdo, un ostacolo di troppo e svantaggioso. Se dentro di sè compare disagio, se interiormente la propria situazione si complica, subito, ancor prima di rivolgersi al curante riparatore di turno, si interpreta l’accadimento come condizione malaugurata, come guasto e espressione di insufficienza, di incapacità di vivere le cose per il verso giusto e normale, come disturbo, come patologia che preoccupa, che allarma. Proporrò un esempio per far capire la diversità tra lo sguardo e il modo di intervenire del profondo e il modo di giudicare e di reagire dell'individuo strettamente attaccato alla visione razionale. Accade che ci sia chi si sente, via via in modo più paralizzante e intenso, impacciato, timoroso, intimidito nel contatto con gli altri, particolarmente con individui a cui, per ruolo, per statuto e per considerazione comune, si riconosce e attribuisce autorità, titolo d'essere capaci e intelligenti, in grado di fare da modello e di valutare dall'alto meriti e capacità personali. Di fronte a un'esperienza come questa la risposta più frequente dell'individuo, affidato ai criteri e ai giudizi razionali, è di volersi porre prontamente al riparo dal disagio patito, di considerare come difettoso il proprio sentire, di volerlo spegnere e sostituire, invocando una sicurezza, una fiducia in se stesso che ritiene essergli dovuta, che pensa sia scontato, normale possedere. Può partire la ricerca del rimedio nel farmaco, che smorzi l'ansia e risollevi l'umore o nell'aiuto psicologico che, mettendosi nelle mani del terapeuta, delle sue spiegazioni, dei suoi suggerimenti, delle tecniche proposte, consenta di mettere le cose a posto, che aiuti a rovesciare presto quelle sensazioni così disagevoli in altre più desiderabili e positive o che, andando a cercare nel passato, in esperienze dolorose, in traumi patiti, in condizionamenti negativi subiti, in carenze di figure significative, la presunta causa, l'origine nascosta di una così debole sicurezza e fiducia in se stessi, consenta di rompere la catena del malessere. In sintesi l'idea che sottende non poche esperienze di psicoterapia, così come l'uso degli psicofarmaci, è che quel sentire nel rapporto con altri ansia, timore e soggezione, così marcata insicurezza e impaccio, sia il risultato di una cattiva impostazione, che sia un guasto, una distorsione che andrebbe prontamente sanata, aggiustata, corretta o da cui ci si potrebbe liberare scavando nel passato, scovando la causa che avrebbe creato il punto debole, la distorsione. L'ottica e il punto di vista del profondo, il problema che vuole sollevare, lo scopo cui tende l'inconscio, che tiene vivo il disagio di cui ho parlato, sono decisamente tutt'altra cosa. Ciò che il disagio vuole far capire, le questioni fondamentali che vuole sollevare, sono ben altro che un problema di cattivo funzionamento da riparare con qualche tecnica o trucco, per (provare a) proseguire contenti e regolari. Si tratta di ascoltare ciò che il sentire dice con attenzione e fedelmente. Se il profondo vuole rendere consapevole l'individuo, non attraverso ragionamento, ma attraverso esperienza viva, da un lato del suo affannasi a cercare consenso, del peso non secondario che ha nella sua vita lo sguardo altrui, dall'altro della scarsità di autonomia di giudizio attorno a se stesso, conseguente al non aver coltivato e dato sviluppo alla conoscenza di se stesso, cos'altro di meglio potrebbe scegliere che rendere acuta nell'esperienza la percezione del problema, non consentendo di passare oltre? Non è casuale che, senza conoscenza di sè profonda, senza lo sviluppo di una autonomia di sguardo e di giudizio su se stessi e sulla propria esperienza, senza la conquista di una vera capacità di guidarsi da sè (lacune e necessità di crescita cui non si rimedia con qualche tecnica e ragionamento), lo sguardo e il giudizio altrui siano un riferimento così presente e condizionante, che diventino l'autorità a cui rifarsi e da cui dipendere. Se il profondo dell'individuo prende l'iniziativa di rendergli nel sentire cocente tutta questa questione, accentuando le sensazioni di impaccio, di soggezione, di paura dello sguardo altrui, lo fa per indurlo a aprire gli occhi, a non prescindere da questa verità, a trattare questa come l’occasione per cominciare a capire, a capirsi, a lavorarci sopra e in profondità e non come la disfunzione da correggere con qualche tecnica impartita di gestione e di preteso controllo sul proprio sentire o come il disturbo da debellare andando a ritroso a cercare qualche motivo di afflizione, trauma o cattivo condizionamento subito che possa spiegare tutto, augurandosi di riportare tutto al dritto, per proseguire come prima e nelle stesse condizioni fondamentali di sempre. Se il profondo, anzichè sostenerlo nello sforzo di ben funzionare, gli scassa e gli intralcia la corsa a dar buona prova, a dare dimostrazione, a metter fuori gli argomenti, a dire, rendendola affannosa e timida, fino a imbrigliarla, lo fa perché casomai quella di ottenere la buona prestazione e di averci un pò di apparente sicurezza è da un lato solo una maschera e una figura da mostrare e difendere (per non fare brutta figura), con sotto nulla che sostenga davvero quella messa in scena e dall'altro perchè, anche dove gli riuscisse, sarebbe misera cosa e altra da ciò che l'individuo potrebbe scoprire, costruire e offrire a se stesso passando attraverso di sè, facendo un valido lavoro su se stesso. Prima di dare buona prova per sentirsi a norma e funzionanti, c’è la necessità di vedere chiaro il proprio modo di procedere, di conoscersi senza restrizioni, in profondità e senza veli, prendendo consapevolezza di ciò che ai propri occhi vale e merita davvero di essere conquistato, smettendola di cercare soltanto e ciecamente prestazioni vuote per raccattare consenso esterno e poco più. Il rischio per l'individuo, ancora privo di visione propria, di comprensione di ciò che profondamente gli appartiene e che potrebbe comprendere e generare, di incanalare e di spingere la sua vita in qualcosa che è pallida sembianza di una vita propria e di ciò che sarebbe capace di realizzare, fa sì che il profondo prenda ferma, intransigente posizione. Se l'individuo, che vive l'esperienza disagevole che ho descritto, affidandosi ai suoi criteri razionali, cerca di porre rimedio e di correggere o di farsi aiutare a correggere ciò che considera solo una distorsione da sanare per procedere più libero da intralci il cammino di sempre, il suo inconscio vuole invece attraverso il malessere metterlo alle strette su una questione ben più importante, vuole evidenziargli invece il vuoto che sta sotto il  suo procedere abituale, la sua non conoscenza di se stesso e la non consapevolezza del modo di condurre la sua vita, vuole stimolare in lui la responsabilità di prenderne visione e di modificarne i fondamenti. Nell'incontro col proprio intimo, nell'ascolto e nel dialogo con la propria interiorità, c'è tutto ciò che può dare la visione chiara del proprio stato, senza mistificazioni, la scoperta della propria identità vera, la formazione graduale del proprio bagaglio di idee fondate, comprese da sè e alla radice, che rendono capaci di sostenere progetti e percorsi di cui essere protagonisti e artefici, con passione e  con convinzione salda, liberando se stessi dalla dipendenza dalla autorità dello sguardo e del giudizio degli altri. E' questa la condizione per dare un nuovo volto, originalmente proprio, alla propria vita di cui essere fieri, capace di sostenere e a ragion veduta una fiducia in se stessi forte e tenace come non si è mai avuta, una fiducia, un'autostima e una sicurezza ben piantate e motivate, non gonfiate ad arte e gratuite come si sarebbe preteso. L'inconscio spinge verso la conquista di questi traguardi. Se serve aiuto, questo può rivelarsi valido e prezioso se favorisce la scoperta di se stessi, particolarmente della parte di sè più intima e profonda sinora ignorata, sottovalutata o temuta, se favorisce la propria crescita solida e vera e non aggiustamenti che lasciano intatta la propria fragilità e lontananza da se stessi. La conoscenza di se stessi può essere  piegata alla pretesa di tenersi sul binario di ciò che si considera normale, adoperandosi per far funzionare tutto secondo gli andamenti soliti, anche se in disarmonia e in disaccordo col proprio profondo, che non ha mancato e che non mancherà di farsi sentire. Ben altra cosa è la conoscenza trasparente, sincera e approfondita verso cui spinge il profondo, una conoscenza che, alimentata dall'inconscio col sentire e in modo straordinariamente valido con i sogni, se assecondata e coltivata, diventa la base del cambiamento di qualità e di sostanza della propria vita, per prenderla davvero in mano, per darle volto e contenuto originali e propri, per avere unità di visione e d'intenti con tutto il proprio essere.

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