L'inconscio interviene di continuo per stimolare la presa di coscienza. Vuole promuovere consapevolezza dove regna la pretesa di saper già e il circuito chiuso del preconcetto, dove il pensiero della parte conscia si arresta difronte alla ricerca del vero, non se ne cura di veder chiaro e di approfondire, pensa di saperne a sufficienza e, quando interiormente incontra qualche intralcio, si inventa ogni argomento per superare l'ostacolo senza guardarci dentro, facendo sua ogni svista e distrazione pur di confermare e di far proseguire il consueto. Cosa fa l'inconscio lavorando sul sentire, su tutta la vicenda interiore che per intero modula e dirige, proponendo i sogni, cosa vuole ottenere? Vuole correggere la tendenza della parte conscia a darsi il convincimento di esserci con padronanza, di avere parte attiva e consapevole, dove invece c'è sostanziale passiva adesione e riproduzione di schemi e di tendenze comuni e prevalenti. L'inconscio interviene dando gli spunti appropriati e gli stimoli più accorti e intelligenti per aprire riflessione sull'esperienza e sui propri modi di condursi, per svelare cosa sta accadendo, su quali basi e in quali modi, con quali vincoli, si sta procedendo. La psicologia corrente, sia quella diffusa nelle teste e nelle idee comuni, sia quella professionale e cosiddetta scientifica, ignorano, non riconoscono in tutto ciò che si muove interiormente la presenza di una dialettica interiore, i segni di una iniziativa della parte profonda che di continuo e con intelligenza interviene, stimola, interroga la parte conscia e le dà richiami, perchè esca dal sonno e dalla nebbia della falsa coscienza, dei ragionamenti che ottundono la mente, che illudono di capire, che in realtà non sanno vedere il vero, cosa realmente si sta facendo di se stessi con le lacune, le inadempienze circa la realizzazione vera di se stessi, pur in presenza di apparenti risultati raggiunti, costruiti però e resi credibili in aderenza e in appoggio a credo comune. Se, come quando compaiono segnali tipo ansia o altri, facilmente etichettati come sindromi o malattie, che possono apparire sfavorevoli e preoccupanti, ma che mai per caso e senza uno scopo smuovono la scena interiore, si finisce in genere per considerare anomalo e espressione di disfunzionalità da combattere e correggere ciò che invece è richiamo e allarme del profondo per cominciare a prendere atto dell'equilibrio precario e insostenibile su cui si fonda il proprio modo di essere e di procedere, per prendere sul serio la necessità di veder chiaro, di conoscere se stessi e di comprendere il vero della propria condizione, con tutti gli sviluppi nuovi e diversi che ne possono nascere e su cui lavorare, significa che la visione di se stessi continua a essere parziale e distorta, che del significato e del valore dell'esperienza e della vita interiore non si è compreso nulla. D'altra parte la visione dell'individuo più diffusa dà la priorità e lo restringe nelle parti di capacità di iniziativa e di testa che ragiona, che servono per destreggiarsi e stare in corsa nel solito procedere, ma che sono le meno valide per fondare la ricerca del vero, assegnando al resto dell'individuo, che non è volontà e pensiero ragionato, un ruolo subalterno, una sorta di meccanica delle emozioni e del sentire che va in qualche modo tenuta sotto controllo, gestita. Dei sogni c'è chi, spacciandola per verità scientifica, dice che sono scarica notturna di ciò che nel corso della giornata ha sovraccaricato di stimoli il cervello e altre fesserie del genere. I sogni, se si analizzano con rispetto e cura, se li si fa parlare, sono una risorsa di pensiero formidabile, pensiero riflessivo e non piattamente operativo e che osserva la superficie, ma che sa guardare dentro l'esperienza e svelarne i modi, i significati, pensiero che interroga cosa si sta facendo di se stessi, dentro quali vincoli e con quali limitazioni e perdite di capacità di crescita e di autonomia. I sogni sono guide per conoscersi, per prendere visione e per elaborare il vero, indispensabili per generare un pensiero che non sia quello razionale, che nella conoscenza di se stessi, visto da vicino e analizzato, ragionando chiude, che, dando spiegazioni, occulta, che difronte a ogni difficoltà e momento interiormente critico punta prima di tutto a risolvere e a far proseguire le cose, che, quando ci prova a approfondire, per troppi limiti, per dipendenza dall'uso di attribuzioni di significato e dall'impiego di schemi comuni e abituali, in realtà si rigira su se stesso e non vede oltre. L'inconscio non demorde mai, preme, interferisce, dice nelle trame e nelle pieghe di emozioni, di stati d'animo, di rilievi continui messi in campo nel corso dell'esperienza, l'inconscio offre nei sogni le migliori guide, mette in campo i simboli che hanno capacità di rendere visibili i modi e i volti della propria verità umana, che la testa ragionante non sa e non può concepire. L'inconscio parla, interviene, richiama, ma il resto è spesso e volentieri chiuso sulle sue. E' un dialogo che avrebbe straordinarie possibilità di risultare fecondo se condiviso dall'insieme dell'individuo, se riconosciuto e rispettato, se valorizzato il contributo della parte profonda, ma troppo spesso è un dialogo col sordo.
lunedì 5 agosto 2024
giovedì 1 agosto 2024
"Depressione" e ricerca del filo interno
Cercare il filo, il nostro filo interno di scoperta del
senso di ciò che si muove in noi e che nell'intimo ci accade, il filo di un
discorso, il nostro, non inventato, non forzato e non manipolato per stare
dentro quello comune e ritenuto ovvio...il filo che sottende i nostri passi,
anche quelli più dolorosi e ardui. Questo e non altro la sofferta esperienza
intima cerca e insegue, spesso incompresa. Intesa e trattata come malattia,
come anomalo precipitare e oscurarsi di sana fiducia e di voglia di vivere,
equiparata a tante altre descritte e incasellate come depressione nei trattati
di patologia, ridotta a biochimica alterata, da riparare come un meccanismo
guasto, vissuta come minaccia oscura da combattere senza discussione, per
riportare tutto al consueto, un'esperienza interiore così unica, così intima e
pervasiva, non trova ascolto, non è riconosciuta in ciò che vuole in modo così
toccante, anche se doloroso e crudo, dire. Sembra soltanto una rovina, un venir
meno insano, distruttivo e minaccioso, ma... se fa il vuoto, se scava, se
scolora e rende indifferente il mondo, se mutila il sentire, se non gli
permette se non di testimoniare una mancanza e un'impotenza, un senso di
inutilità e di fallimento, una pena infinita, è per far riconoscere di ogni
altra cosa, che non sia il ritrovamento del proprio filo, filo di verità, l'assenza
di valore e l'impraticabilità. Se la propria interiorità costringe a mettersi
allo specchio e mostra di se stessi, pur dolorosamente, l'inconsistenza e il
vuoto, bilancio vero e onesto di ciò che è stato messo assieme in appoggio a altro, per imitazione
e per stare al passo col comune procedere, per ben figurare, non è per insane
disistima e assenza di calore, ma per lucida visione, per fondata pretesa di
"essere" e non di sembrare, per pretesa di invertire radicalmente la
rotta, di generare il proprio, senza più prese in giro, senza più compromessi
perdenti, cercando e coltivando ciò che abbia dentro se stessi radice e
fondamento vero, che non stia su solo per sostegno, per conferma e per
approvazione esterni. Quanto del modo di procedere abituale e precedente le
fasi di più acuto malessere e sofferenza, quelle di cui chi è interiormente
sofferente, come chi gli sta attorno, è nostalgico e che vorrebbe ricreare, era
in realtà così valido e saldo? Che vita era quella che oggi pare svanire?
Quanto c’era di sfilacciato nella consapevolezza di se stesso, di disunito nel
rapporto tra ciò che l'individuo si rappresentava e si proponeva e ciò che
sentiva, quanto c'era di affidato solo a guida, a legami e a supporti esterni?
Quanto c’era e quanto invece radicalmente mancava di ricerca di un filo
interno, che unisse, che facesse vedere la continuità e il senso nella propria
personale esperienza? Quanto a fine giornata si poteva dire d’aver raccolto,
compreso o generato e quanto invece, casomai evitando di pensarci, volgendo lo
sguardo sempre altrove, c’era di inutile, di banale, di impersonale, di
raffazzonato, di valido solo per tirar avanti con espedienti, per inerzia? Il
problema pareva non porsi e non esistere...e però è venuto il giorno in cui
un’interiorità, non certo debole o malata, ha cominciato a rendere più
acutamente sensibile e vistosa la questione dell’assenza...di un filo, di un
costrutto proprio e allora è arrivato il tempo della consapevolezza, dolorosa e
senza sconti e su queste basi il filo vero, non più illusorio, non più
inventato, ha cominciato in realtà, proprio dentro una sofferenza così
irriducibile, ad essere tracciato, spazzando via le false costruzioni, le
abituali distrazioni. Cercare il filo, il proprio filo interno... nulla è
mostruoso, nulla è abnorme nell'intimo sentire, purché non lo si squalifichi
perché doloroso, purché non gli si contrapponga come regola una normalità cui
aderire, purché non gli si chieda soltanto di sparire...per far posto a che? A
gioia fittizia, a calcolo e a compiacimento per qualcosa, che simile a quello
che hanno tutti, potrebbe pur bastare? L'impegno di cercarsi sul sentiero
accidentato, di accettare di costruire finalmente e non di rivendicare, di ritrovare
il proprio filo e di tesserlo con onestà e pazienza per farne tessuto vitale e
di pensiero nuovo, proprio e resistente, che non svanisca...per una vita, la
propria vita, che non sia riempita d'altro raffazzonato e preso in prestito, ma
finalmente del proprio...questo sì e con l’aiuto giusto è possibile e è
risposta consona all'intimo sentire, a ciò che dice e chiede...e se lo si vuole
chiamare cura e processo di guarigione lo si faccia pure...finalmente queste
parole avranno senso e contenuto seri.
sabato 27 luglio 2024
L'inconscio, maestro di vita e di pensiero
Ciò che caratterizza l'esperienza analitica e che la differenzia da tutte le altre esperienze psicoterapeutiche è la funzione guida riconosciuta all'inconscio, cui è dato il compito di indirizzare, di condurre la ricerca. E' una scelta che ha fondamentali e solide ragioni. E' infatti dall'inconscio, dalla parte profonda di se stessi, che origina e è regolata tutta quanta la propria esperienza interiore, fatta di emozioni, di stati d'animo, di spinte, di tutto ciò che spontaneamente, fuori dal controllo e dalle aspettative di volontà e ragione, si svolge nel proprio intimo. Il malessere interiore, quell'intima esperienza disagevole, nelle sue diverse espressioni, al pari di ogni altro movimento del sentire, origina e è modulato dal profondo. Non è un guasto, uno stato di alterazione psichica, un disordine, è esperienza intima e assai coinvolgente, certamente non facile e non agevole, voluta, plasmata, per intero guidata dall'inconscio. Non è mai casuale ciò che l'intima esperienza, pur disagevole, pur strana e accidentata, propone. Attraverso le particolarità dell'esperienza interiore l'inconscio dà indicazioni molto precise e pertinenti per cominciare a vedere la propria condizione, per cominciare a capirsi. Smuovendo e caricando di intensità l'esperienza interiore, l'inconscio attrae e sposta con forza l'attenzione dell'individuo, solitamente rivolta all'esterno, sul suo stato interiore, sui suoi vissuti, per avvicinarlo su queste basi e tracce vive alla consapevolezza intima. Per non divergere e per assecondare la richiesta che arriva dal proprio profondo, per cogliere l'opportunità che l'inconscio con tanta decisione sollecita e propone, è necessario porsi in rapporto aperto e disponibile col proprio sentire, non rifuggirlo o contrastarlo, non trattarlo come disturbo, ma come voce, come esperienza da ascoltare, da comprendere. E' assolutamente necessario dotarsi di vera capacità riflessiva (che, lo dico spesso nei miei scritti, non ha nulla a che vedere con il modo corrente di intendere e di svolgere la riflessione come ragionamento, come costruzione di ipotesi e di spiegazioni sul conto di ciò che si prova, della propria esperienza) per raccogliere e riconoscere fedelmente ciò che il proprio sentire dice. Perchè l'inconscio possa spiegare per intero le ragioni e il fine della sua iniziativa, del malessere che sostiene e che muove con tanta incisività, è fondamentale comunque rivolgersi ai sogni. Nei sogni l'inconscio introduce e guida l'individuo in un percorso di riflessione e di ricerca, che gli fa via via capire (i sogni vanno attentamente e pazientemente analizzati perchè possano dare tutto il loro originale contributo di pensiero) sia le ragioni del malessere, che lo scopo, ciò cui è necessario dare svolgimento e compimento per trovare se stesso, per uscire da una condizione di inconsapevolezza e di alienazione. Parlo di alienazione per dire di una condizione, non importa se ritenuta in genere normale, in cui l'individuo cerca di conformarsi, di soddisfare indicazioni e pretese più esterne che interne a se stesso, in cui, aderendo a qualcosa di altro da sè e prevalente, già modellato e detto, si illude di capire, di pensare autonomamente, in realtà finisce invece, pur inconsapevolmente, per ricalcare idee, per riprodurre definizioni e attribuzioni di significato comuni e convenzionali. Riproducendo e sostenendosi su altro già concepito, ordinato e promosso, l'individuo si illude di scegliere, di dare proprie risposte, di realizzarsi. Si esprime senza rapporto con se stesso, senza aver tratto da sè la conoscenza e le guide necessarie per capirsi, per fondare le sue scelte, per averne chiaro il significato, il motivo vero. L'inconscio vuole rimettere l'individuo piedi a terra e in piedi, vuole prima di tutto ricongiungerlo a se stesso, al suo sentire, all'interiorità con cui non ha rapporto. Solo il suo sentire ascoltato e intimamente compreso, solo il dialogo con la sua interiorità può dargli la base vera e affidabile per capirsi, per conoscersi, per accertare e concordare con se stesso scoperte di significato e di valore, per sfuggire, pur gradualmente, al governo d'altro, che lo orienta e regola. L'inconscio, dentro i sogni, mostra all'individuo il suo modo di procedere attuale e abituale, cosa sta seguendo e inseguendo, spesso la sua lontananza da se stesso, la sua dipendenza dallo sguardo e dal giudizio esterno, la sua ignoranza di ciò che profondamente gli appartiene, di ciò che potrebbe vedere con i suoi occhi, sulla base e attraverso ciò che sente, che vive interiormente, che invece abitualmente mette tra parentesi o sottovaluta, che al più fa oggetto di commenti e di spiegazioni ragionate e non di rispettoso ascolto. E' l'inconscio e non la parte conscia a volere per l'individuo la sua piena libertà, la sua vera, non illusoria, autonomia, la sua capacità di autodeterminazione. L'inconscio "soffre" qualsiasi tradimento di se stessi e non lo tace. Non tace all'individuo l'ignoranza del proprio, lasciato inerte, incompreso, non cercato e non coltivato. L'inconscio non accetta la passività, l'incuria, la non preoccupazione per la propria reale sorte. Anche un'esistenza di apparente riuscita e normale può essere infatti ritenuta soddisfacente in appoggio e in consonanza col senso comune, ma in realtà fallimentare per sè, tradite le proprie vere e intime ragioni e potenzialità, lasciate incomprese e incolte. Lo scopo della propria vita può essere dunque sviato, disatteso. Non è implicazione da poco. L'inconscio non agita mai le acque per questioni da poco. Lo fa con insistenza, lo fa per tempo, lo fa con l'intenzione e con la capacità, che dentro il percorso analitico si manifesta appieno, di sostenere, di alimentare soprattutto con i sogni, il processo di trasformazione che conduce via via l'individuo a sostituire il posticcio con l'autentico, il preso in prestito con l'originale creato da sè. Purtroppo raramente l'inconscio è capito, anzi il suo agitare interiormente le acque è spesso bollato come disturbo, come danno, come patologia. L'inconscio non desiste, non tace, è la parte profonda, attenta, intelligente di se stessi, che non rinuncia a sollevare i problemi, a tentare di guidare la presa di coscienza, contro la tendenza a permanere nel solito dei propri (illusori) convincimenti, a preoccuparsi più di stare al passo con altro e con altri che di trovare aderenza e accordo con se stessi, a non preoccuparsi di veder davvero chiaro. L'inconscio non tollera i bluff, gli autoinganni, la falsa coscienza, la rinuncia a vedere, ad aprire, costi quel che costi, gli occhi, l'incomprensione del senso vero di ciò che si fa, che si vive. L'inconscio è insopportazione per tutto ciò che è stasi, chiusura, fuga dal proprio sentire, non volontà di confrontarsi con se stessi. L'inconscio è risveglio dell'umano, chiamato prima di tutto alla consapevolezza, alla conoscenza del vero, stimolato a non essere presenza anonima e vana, ma a esistere, a scoprire, a generare e a mettere al mondo il proprio. L'inconscio è un interlocutore certamente impegnativo, persino scomodo, ma affidabile, come lo è l'amico che non manca di dirti il vero, anche se spiacevole, di stimolarti a prendere coscienza, per il tuo bene. L'inconscio è cura assidua e indomita volontà di perseguire il proprio bene, che non è conformarsi, incuranti di sapere, di vedere, ma è aprire gli occhi, trarre da sè l'originale con cui si è venuti al mondo, il potenziale cui si può dare forma e compimento. Nulla è più vitale e nel verso della vita dell'inconscio. Paradossalmente l'inconscio, la vita interiore, ciò che produce, sono spesso ritenuti ostacoli alla vita. E' davvero un paradosso, che sta in piedi solo in virtù di pregiudizi, di ignoranza. Quando si va a scoprire, come dentro una valida esperienza analitica, cos'è davvero l'inconscio, cosa propone, di cosa è capace, ci si può rendere conto di quanta magistrale sapienza e di quanta umanità e volontà d'umano ci sia nel profondo. Ci si rende conto della distanza che purtroppo separa spesso gli individui dalla scoperta di ciò che, prezioso e enorme, il loro profondo potrebbe dare loro.
domenica 21 luglio 2024
Centralità del dialogo interiore
Il dialogo interiore è la risposta più consona al
malessere interiore. Quando, come accade in situazioni di crisi e di sofferenza
interiore, la parte intima e profonda prende iniziativa e smuove il quadro
interiore, cosa va fatto se non cercare di aprire il dialogo con questa parte,
cosa va fatto se non ascoltare e cercare di intendere cosa sta dicendo, cosa
vuole far capire e mettere in primo piano? Il dialogo con la propria
interiorità oltre a essere la risposta giusta e consona al malessere è anche il
fulcro necessario di un'esistenza che voglia essere indipendente e autentica,
che, mettendo al centro l’ascolto e la guida dell’interiorità, non voglia
consegnarsi alla guida più che imperfetta della parte razionale, che, agendo,
come fa in genere, da sola nella conoscenza di se stessi e dei significati
della propria esperienza, a un attento esame si rivela decisamente inadeguata a
perseguire conoscenza vera di se stessi e inaffidabile. La parte del nostro
essere che ci garantisce l’accesso al vero è quella interiore. La parte conscia
razionale, priva del supporto e della guida della componente intima e profonda,
non può, per quanta inventiva cerchi di mettere in campo, che tessere e
riproporre tesi e costrutti che si basano su definizioni, su attribuzioni di
significato consuete, date per scontate, prese in prestito dal pensato comune,
convenzionale. Accade poi che, non interrogandosi su ciò che dice e su ciò che
vuole ottenere, la parte razionale finisca per fare da garante per l'individuo della
conservazione, della conferma di idee di comodo e di salvaguardia di ciò che
vuole tenere in piedi, degli equilibri cui non vuole rinunciare. Dunque
l’apporto della parte intima è decisivo per rimettere il discorso nel vivo e su
base vera, per ritrovare, anche se a volte scomoda e imbarazzante, la visione
veritiera. La parte conscia vuole in genere sistemare le cose, trovare
soluzioni, in sostanza soddisfa l'esigenza di proseguire senza interrogarsi su
cosa si sta facendo e cercando, mossi da che cosa e perseguendo quali scopi. La
parte intima che si esprime nel sentire tocca e punge, anima, complica, si
potrebbe dire, il quadro, a volte, come nelle situazioni di crisi e di
malessere interiore, in modo molto marcato, ma per mettere in primo piano la
percezione e la visione di ciò che si sta facendo di se stessi, per spingere a
passare dal piano dell’agire, soltanto rivestito da spiegazioni di comodo e
nella sostanza cieco e inconsapevole, al pensare riflessivo, attento e mirato a
capire cosa si sta facendo, come si sta procedendo e con quali nodi finora
ignorati, incompresi e perciò insoluti. Senza rapporto aperto con la propria
interiorità, senza approccio che riconosca nelle vicende interiori, nelle
espressioni del proprio sentire, anche se sofferto e in apparenza contorto e
anomalo, un messaggio e una proposta da capire, senza capacità di ascolto e di
comprensione di ciò che la propria interiorità dice e muove, si è privi di una
guida e di una capacità di visione e di conoscenza necessarie per trovare
orientamento e intesa con se stessi, costretti altrimenti, pur se inconsapevoli
di questo, a muoversi e a stare invece dentro le coordinate e le
guide di un pensiero che sta in appoggio a altro preso da fuori e che non
garantisce certo di dare corso e realizzazione alle proprie vere ragioni
d’esistenza. Purtroppo è spesso e in
genere incompreso il significato vero e il valore della vita interiore, degli
svolgimenti intimi, di ciò che si muove nel sentire, nelle emozioni, nel
succedersi degli stati d'animo, nelle spinte, in tutto ciò che, passo dopo
passo, si propone interiormente, di ciò che realmente significano i sogni, che
sono l'espressione più alta dell'intelligenza profonda di cui si dispone. Non
c’è in genere capacità e propensione all’ascolto e al dialogo interiore, non si
prende neppure in considerazione la necessità di trovare intesa e accordo con
l'intimo e il profondo di se stessi, la si considera comunque irrilevante, data
la priorità invece riconosciuta alle relazioni e alle iniziative esterne, alla
necessità di non perdere contatto e intesa con altri e col fuori. Questo segna
una lontananza dall’intimo. Nel malessere interiore, nelle diverse espressioni
della sofferenza interiore l’interiorità sensatamente esercita una forte presa
e coinvolge, vuole comunicare, dire della propria condizione, del proprio
stato, dei nodi decisivi che è importante che siano riconosciuti. Lo fa in modo
puntuale e attento, intelligente e pertinente. Nelle iniziative che prende,
nelle sue espressioni, anche in quelle meno facili da reggere, anche in quelle
più tormentose e insistenti, anche in quelle più sconquassanti come nel caso
degli attacchi di panico, non segnala di certo di essere in stato di
alterazione e di malattia, come subito si è pronti a giudicare, peraltro in
questa persuasione ben supportati dalle affermazioni di una presunta scienza
psicologica che è più la somma e la risultante di idee e di preconcetti comuni,
che vera scienza che vuole e sa cercare il senso senza preconcetti. Solo
imparando a dialogare con il profondo si può scoprire che non c'è anomalia, ma
capacità di dire in modo significativo in ogni espressione del sentire e della
vita interiore. Parlare di normalità o di alterazione è criterio di selezione e
di giudizio, tanto rapido e sbrigativo, quanto semplicistico e ottuso, che
appartiene a chi non ha capacità di intendere, a chi non si cura di capire con
rispetto, con intelligenza, con sensibilità e con cura. Il dialogo interiore, fatto
di ascolto e di attenzione a riconoscere ciò che l'interiorità dice e propone,
non è facile e immediato da instaurare. L'ostacolo primo è proprio il
pregiudizio negativo verso il sentire che si presenti spiacevole o arduo, visto
già in partenza come minaccia, come guasto, come alterazione di una presunta
normalità, come ferita da sanare, cercando più fuga e sollievo immediato che
concedendo apertura piena. La ferita è sempre un fatto intimo e in quel che
geme c'è più verità e possibile conoscenza di se stessi che altro, considerato
anomalo e di cui considerarsi vittime, ipotizzando
di essere colpiti da un che di sfavorevole e nocivo che risalirebbe a altro, a
qualche accidente o causa o trauma che
abbia agito o che agisca da fuori. La domanda che ci si può rivolgere per non
stare in opposizione e in fuga da ciò che intimamente risulta doloroso: cosa mi
dice questa pena, cosa di me soffre? L'opportunità di andare verso se stessi e
di essere accompagnati dal proprio soffrire a vedere, a scoprire qualcosa di
sè, a lavorare creativamente su di sè si può aprire proprio lì, nella ferita
che geme, in modo più sensibile e privilegiato, perché nel dolore sono toccati
punti decisivi, perche lì c’è garanzia di non evadere sterilmente, ma di
avvicinarsi a sé, al vero. Ogni volta il nostro sentire acutizza e illumina
qualcosa, ciò che intimamente proviamo non è conseguenza obbligata e scontata,
automatica e riflessa, dell'agire sfavorevole di qualcosa di esterno che ci
procura patimento, ampi sono viceversa i margini di iniziativa e di scelta, di
proposta di quella parte di noi, intima e profonda, che accende la risposta,
che casomai col dolore e con la ferita vuole renderci visibile qualcosa di noi
principalmente. In ogni caso è meglio, per aprire a noi e alla conoscenza
capace di farci crescere, non avere pretese d'ordine circa ciò che ci deve
accadere. Ogni esperienza interiore, occasione per aprire alla scoperta di
qualcosa di noi stessi, ci arriva non casualmente o a sproposito. Renderci
disponibili, non rifiutarci a noi stessi, è condizione per non creare finti
equilibri e rigidi. Quel che s'accende nel sentire, non importa se doloroso e
arduo, se inconsueto e incalzante, quel che prende viva forma in noi è la via
per entrare in rapporto con noi, per fare un altro passo e significativo,
importante e necessario, del nostro cammino di conoscenza. Capita invece assai
spesso che cercando un rapporto col sentire pur con le migliori intenzioni di
capire, ma spesso l'intenzione sottesa è comunque di farlo fuori, come roba che
disturba, che non va bene, si torni (questo capita ahimè anche e non di radio
in psicoterapia) a parlargli sopra piuttosto che ascoltarlo, a confezionare ipotesi
di cause risalenti a questo o a quello del passato principalmente, a influenze
negative subite, a mancanze e responsabilità di altri, a eventi e traumi, che
trarne l'intima proposta fedelmente. Ascoltare richiede l'acquisizione della
capacità riflessiva, che non ha nulla a che fare col ragionare sull'esperienza,
traendo dal cassetto delle elaborazioni pronte o inventando col ragionamento
ipotesi e spiegazioni che si adattino all'esperienza, a sensazioni, a stati
d'animo, o che cerchino in qualche modo di spiegarla. Facilmente per una simile
via si ricade nel già conosciuto, ci si ingarbuglia nei soliti schemi e
riferimenti. La riflessione non è lavorio per far rientrare il vissuto nello
stampo di un'idea già formata o rimodellata o partorita col ragionamento, ma è
dar luce e riconoscimento a ciò che il sentire porta, genera, fa incontrare nel
vivo. Come guardandoci allo specchio, che ci restituisce la nostra immagine
riflessa, la riflessione ci consente di vedere cosa nell'esperienza viva dei
nostri stati d'animo e sensazioni sta prendendo forma, cosa ci stanno
comunicando, esprimendo. La conoscenza vera e fondata si forma così, passo dopo
passo, senza mai fare aggiunte indebite, senza estrapolazioni, senza deduzioni,
senza cedere all'impazienza di capire tutto subito, senza concedere a nulla che
non sia scoperta fedele. Aprire alla propria interiorità significa lasciarla
davvero parlare e impegnarsi ad ascoltarla, senza parlarle sopra, significa
trovare questo nostro filo interno e tesserlo così come l'esperienza interiore
via via consente. La nostra interiorità ha capacità di dire e di
dirigere/orientare la ricerca su di noi, ricerca attentissima e fondata, che ci
mostra chi siamo, senza evitamenti o sconti, come procediamo, cosa è possibile
attingendo a noi e lo dimostra non solo in ciò che il nostro sentire di
continuo propone, ma anche e in una forma eccellente nei sogni. I sogni che in
analisi, in una vera analisi, sono il vero motore della ricerca, non sono
robetta, ma laboratorio di idee e di pensiero che il profondo sa generare e
proporre e che come nient'altro hanno capacità di abituarci a metterci allo
specchio, a leggerci nell'intimo, a farci trovare il nostro sguardo,
prigionieri come siamo di luoghi comuni e di pensiero preso in prestito, di
propensione più a trovare accomodamenti che visione. In sintesi, il rapporto
con la nostra interiorità bisogna imparare a costruirlo, con rispetto
dell'interiorità e imparando a farci dare tutto ciò che, nel sentire e nei
sogni, è capace di darci. Non si è in genere abituati a trattare il rapporto
con l'interno e nemmeno a valorizzarlo, anzi in genere ci si aspetta poco o
nulla da lì. Si è abituati a prendere o inseguire tutto all'esterno, a mettere
al centro sempre la relazione con l'esterno. Per aprire al proprio mondo
interno può diventare necessario farsi aiutare a farlo, a costruire questa
capacità e fiducia, ma seriamente e da chi questo aiuto lo sa dare davvero.
mercoledì 3 luglio 2024
Quando il pensiero va in affanno
L'elemento
cardine per potersi muovere fiduciosamente nell'esperienza qual'è? E' il più
trascurato, il meno considerato, anche se decisivo. E' il rapporto con se
stessi, con la propria interiorità, è la capacità di rapporto, di incontro, di
intesa, di ascolto e di comprensione di ciò che si sente, che vive dentro se
stessi, essenziale per trovare base fondata per capirsi e per capire. Si pensa
che nel proprio sentire, che in tutto ciò che si muove interiormente, ci sia
solo l’eco e la conseguenza di stimoli esterni, che comunque non ci sia nelle
emozioni e negli stati d’animo, nei moti interiori che accompagnano il corso
dell’esperienza nulla di pari e di altrettanto affidabile dello sguardo e della
valutazione razionali. Si pensa spesso del sentire che sia un che di marginale
e di poco attendibile, comunque da non porre al centro, perché ci si dà
persuasi che comporti il rischio di fuorviare, di alimentare visioni parziali,
di offuscare la lucidità del dispositivo razionale. Certamente il sentire va
ben ascoltato e inteso in ciò che dice, imparando a non liquidarlo in fretta,
senza ascoltarlo e intenderlo nell’originale di ciò che sa svelare, con
sovrapposizioni di significato pronte e convenzionali, tanto facili e scontate
quanto improprie. E’ proprio nel sentire, ben inteso e rispettato, fedelmente
compreso e valorizzato, che possiamo trovare la base lucida e fedele per
comprendere il vero che nell’esperienza si rivela e prende risalto dentro di noi.
Senza questo terreno su cui poggiare, il pensiero razionale scisso non fa che
farci vedere ciò che già scontatamente pensiamo e che rigira luoghi comuni e
attribuzioni di significato attinte dal sapere comune, dunque ben lontano dal
cuore vivo e dal vero dell’esperienza, di ciò che ci vuole rivelare di noi
stessi. Finisce dunque per prevalere una tendenza conservativa a ridirsi ciò
che si sa e si suppone, a mettere in atto meccanismi di pensiero, a volte anche
sofisticati, per proteggere e dare conferma al proprio modo di pensarsi, per
attribuirsi ciò che più risulta gradito. Nel sentire viceversa il vero vuole
rendersi tangibile e riconoscibile, solo l’incontro e il legame saldo col
sentire può permettere al pensiero di mettere e di tenere i piedi ben a terra e
saldamente. Solo facendo leva sulla capacità di scambio con se stessi è
possibile procedere nell'esperienza disponendo di capacità di vero orientamento,
di radicamento nel vero. Se il distacco dal piano vivo dell’esperienza, se la
lontananza dal sentire permangono, può accadere che ci si ritrovi come in stato
di allarme interiore, alle prese con sensazioni di ansietà e di pericolo, segnali
che l’interiorità lancia proprio per far capire che manca base affidabile,
capacità di orientamento. Scioccamente, è il caso di dire, quando a questi
segnali interiori, che hanno ben fondato motivo, che dicono dello stato del
rapporto con se stessi, con la propria interiorità, che è chiuso e non
comunicante, che rende il proprio equilibrio fragile e il proprio modo di
procedere niente affatto affidabile, rischioso, si dà loro viceversa il
significato di risposte anomale, tecnicamente bollate come disfunzionali, di
modi di sentire e di rapportarsi alle situazioni esterne non adeguati, senza
reale motivo e utilità, anzi dannose, si finisce per fraintendere tutto, per
lasciar cadere un segnale interiore molto sensato e valido, tutt’altro che
indice di anomalia o di un cattivo sentire e sfavorevole. Capita allora che,
non raccogliendo il significato, il senso vero dell’allarme, si cerchi, da un
lato per quanto si può di tenere a bada e di zittire l’allarme interiore,
l’ansietà che si ritiene ostile e dannosa e dall’altro, traducendo, interpretando
malamente l’allarme interiore, di fare ancora più forte ricorso e leva sulla
solita strumentazione, che si cerchi di mobilitare le funzioni di previsione e
di premunirsi, mettendo in campo il marchingegno del ragionamento, che sembra
l'unica risorsa disponibile su cui fare leva, per provare a tenere sotto
controllo, a spremere capacità di comprensione delle situazioni trascorse e
degli eventi possibili, per non essere sguarniti, sprovveduti, per porsi al
riparo. Se però agisce da sola e unilateralmente la parte razionale, senza
l'apporto e la guida della parte intima del sentire, non ha possibilità se non
di produrre qualcosa di astratto e in definitiva macchinoso e insensato,
sparando ipotesi e contromisure, polarizzando tutto l'impegno di se stessi sulla
difensiva. Insomma tutto il lavorio del rigirare e mettere ordine, del
rimuginare razionale è il segno e la denuncia della mancanza di capacità di
pieno affidamento a sè, del non possesso di punti base e di orientamento validi
e verificati, perciò in perenne stato di allerta più che di possibile fiducia
di sapersi muovere nell'esperienza, di poterne comprendere il significato,
senza mettere sempre le mani avanti. Per ottenere un diverso modo di
rapportarsi all'esperienza è necessario fruire di tutte le proprie risorse
interiori, fare conto su capacità di trovare risposte passo dopo passo in piena
unità e scambio con la propria interiorità, col proprio sentire e non facendo
leva solo su ragionamento, che da solo non ce la fa a dare ciò che serve. Un
nuovo rapporto con se stessi è ciò che serve formare, coltivare, costruire,
diversamente continuerà a arrivare, come attraverso il rimuginare, l’affannoso
lavorio del pensiero ragionato scisso dal sentire e l'allertarsi continuo, il
segnale di una mancanza cui provvedere.
domenica 9 giugno 2024
Il passato
E' convinzione molto diffusa che, per capire esperienze e situazioni interiori difficili di oggi, si debba risalire al passato. Se l'intento, rivolgendo lo sguardo al passato, è di individuare le cause che spieghino il malessere attuale, l'auspicio è, una volta trovate le cause, di potersi liberare di una condizione interiore giudicata senza alcun dubbio anomala e capace solo di procurare danno e impedimento a un sano modo di vivere e di procedere. E' un modo comune e ricorrente di rapportarsi alla crisi e al malessere interiore, che non appartiene solo a chi ne è coinvolto, ma che trova conferma e diventa asse portante di molte esperienze di psicoterapia. Di fatto la ricerca che, distraendosi rapidamente dall'ascolto del sentire vivo di oggi, si rivolge al passato per cercare le presunte cause del malessere attuale, segna una fuga dall'incontro col presente della propria vicenda interiore, segno dell'incapacità di entrare in rapporto con la propria interiorità, che, dentro e attraverso il sentire disagevole e sofferto, dice, comunica e avanza oggi proposte. Sono proposte utili e importanti, che, girando lo sguardo altrove sul passato, persuasi che il malessere sia solo una situazione negativa e nociva di cui liberarsi, non sono raccolte e comprese. C'è una domanda che però va posta. Esiste un nesso, un legame significativo tra la vicenda interiore dell'oggi e quanto è stato vissuto e si è reso acuto in momenti e in passaggi precedenti della propria storia interiore? Certamente gli svolgimenti interiori del presente sono in continuità e in relazione significativa con il cammino fino a oggi compiuto. Il passato, il proprio passato, cui in genere si vuole attribuire un peso determinante per capire se stessi e le problematiche attuali, se lo si vuole davvero comprendere e valorizzare, va però recuperato e riscoperto correttamente, non come una selezione ad arte di fatti, di episodi traumatici, di incidenti e di condizionamenti subiti, dove la parte decisiva e determinante è consegnata alla famiglia, all'ambiente, all'educazione e simili, ma come un cammino in cui, anche nei passaggi più ardui, non si è mai stati semplici oggetti passivi. Viceversa, se si vuole del passato recuperare e rispettare il vero, se non cè interesse a far quadrare tesi preconcette, ma a conoscersi, si può vedere come nel succedersi delle vicende personali, ci sono stati al centro dell'esperienza che si va a rivisitare momenti e passaggi interiori anche complessi di cui si è stati intimamente parte attiva e protagonisti, che, già a volte nella elaborazione immediata e poi soprattutto nel ricordo, sono stati spesso appiattiti, offuscati o del tutto ignorati. Si tende infatti nelle ricostruzioni, nelle rivisitazioni del passato a mettere in primo piano il peso dei fattori esterni, trascurando invece la riscoperta del filo interno di vissuti, di spinte, di risposte intime, che dell'esperienza sono state invece il nucleo centrale, l'anima, la parte essenziale. La vera storia personale non è primariamente fatta o riducibile a quel che altro o altri hanno fatto nei propri confronti e condizionato, ipotizzando tra l'azione del fuori e le risposte del proprio dentro una semplice relazione automatica e meccanica di causa e effetto, ma è da ritrovarsi in quel che, passo dopo passo, è successo interiormente, dove tutto si è svolto in modo ben più autonomo e complesso. In quegli svolgimenti interiori infatti il proprio profondo si è reso presente, ha ripetutamente preso iniziativa e attraverso il sentire ha dato segnali, indicazioni per evidenziare, per rendere riconoscibile nell'esperienza in corso prima di tutto la parte svolta e spettante a se stessi, ciò che si è espresso, che si è fatto. Nei diversi momenti l'inconscio ha, attraverso i vissuti che ha generato, incoraggiato e sostenuto l'impegno e la capacità di lettura autonoma dell'esperienza, la scoperta o l'intuizione di significati importanti, ha stimolato l'insorgere di interrogativi, ha reso acutamente riconoscibili nel vissuto i contrasti, il proprio modo di trattarli e di dare risposta, non ha mai messo in secondo piano la propria personale responsabilità. Non c'è un passato in cui si sia stati semplicemente materia plasmata e, in un modo o nell'altro, la conseguenza e la risultante, le "vittime" di quanto fatto da altri e determinato da circostanze e da fattori esterni. C'è un passato, quello vero e integralmente ritrovato, dove, pur non indifferenti alle influenze esterne, pur interiorizzando modi di vedere e di reagire presenti nell'educazione, il filo interno delle vicende e dei passaggi interiori, carichi di significato e di implicazioni importanti, con al centro se stessi, con se stessi in posizione non inerte nel modo di cogliere i significati, è sempre stato interiormente in primo piano. Ciò che l'esperienza interiore nel passato come nel presente è stata e è capace di dire è ben diverso da ciò che spesso si tende a raccontarsi e a spiegare, è ben altro rispetto a certe letture dell'esperienza, niente affatto rare, che cercano cause e spiegazioni, chiamando in causa principalmente altri e l'esterno. Sono ricostruzioni del proprio passato condizionate, viziate dalla necessità di trovare una causa, che dunque alterano per posizione preconcetta e deviano dalla ricerca del vero.In psicoterapia queste ricostruzioni e indagini sul passato danno soddisfazione alla necessità dello psicoterapeuta di produrre un risultato e a quella complementare della persona di liberarsi di un carico interiore da subito inteso come pena che malamente l'affligerebbe, come stortura effetto di cause e di condizionamenti o di traumi subiti che avrebbero prodotto il danno. Ciò che è racchiuso e di cui è testimone il proprio passato, se avvicinato senza preconcetto e interesse precostituito a procurarsi il presunto beneficio di trovare la presunta causa, ciò che avrebbe segnato e messo le radici del malessere interiore prolungato all'oggi, ma guidati da sincero desiderio di conoscersi anche nelle vicende passate conduce a ben altro che a operazioni di conferma di un teorema di partenza, quello del presunto danno psicologico subito. Il corso dei vissuti, degli accadimenti interiori, ciò che si è mosso e che si muove sulla scena intima e che nel racconto abituale, che mette sempre al centro ciò che agisce e condiziona da fuori, è trascurato, distorto e appiattito, in realtà è ben altro nella sua genesi e nei suoi svolgimenti, nei suoi significati e nella ricchezza di contenuto. Ciò che accade nella vicenda interiore, che accompagna che sottende i fatti, gli eventi dell'esperienza, che è il risvolto più interessante e fondamentale per capire, per conoscersi, vede la presenza del proprio intimo e profondo, niente affatto oggetto passivo condizionato e modellato dall'agire esterno, bensì capace di dare spunti, di dare base di ricerca di verità. Tutto ciò che prende forma nell'intimo del sentire è regolato e mosso dal nostro profondo, che in ogni momento vuole mettere in primo piano in ciò che ci accade ciò che ci spetta, che ci coinvolge, spingendoci a cogliere significati anche di notevole profondità, per non lasciarci inconsapevoli e sprovveduti. Nella complessità del sentire, che fin da piccoli accompagna la propria esperienza, riconosciuto e rispettato nella sua integrità e completezza, come possono essere rintracciati i segni di spinte, di risposte interiori originali, di intuizioni capaci di portare il proprio sguardo al di là o in disaccordo con le idee e con la logica dell'ambiente circostante, così non sono taciute la tendenza a scansare e a scaricare interrogativi e difficoltà, a porsi al riparo da tensioni conflittuali, a muoversi nell'adattamento e nell'adesione a ciò che è prevalente e comune, la tendenza a cercare scorciatoie e soluzioni a portata di mano e conformi all'esempio dei più, evitando incognite e carichi personali più gravosi e incerti, seppure per scopi più sentiti e autentici. La parte profonda del nostro essere, l'inconscio ha sempre fin dal principio del nostro cammino di vita reso tangibile la sua presenza, non ha mai mancato di dare stimoli e spunti per capire, per approfondire, per metterci allo specchio, per conoscerci nel vero, per capire per tempo questioni centrali, per non esserne ignari, non ha mai trascurato di stimolare la nostra potenzialità di prendere consapevolezza, di crescere in autonomia di pensiero e in fedeltà a noi stessi. L'infanzia non è un tempo di soli giochi, di assenza di responsabilità e spensieratezza, non di rado si affaccia la percezione di questioni importanti, si fanno strada inquietudini non insignificanti. I sogni stessi sono esperienza che fin dai primi passi della propria vita accompagna il cammino personale. L'inconscio interviene e è promotore non dell'adattamento, della presa dipendente da altro che guidi e orienti, che dia risposte e indichi traguardi, che definisca ciò che vale e in cosa si è riconosciuti come di valore, l'inconscio viceversa dà continui spunti e richiami per aprire gli occhi, per trovare da sè risposte, per crescere in autonomia di sguardo e di ricerca. Mi è capitato in alcune occasioni con individui adulti, durante il percorso analitico, di riavvicinare sogni da loro fatti in età infantile, anche molto indietro nel tempo. Motivo di una simile ricerca il rimando presente in sogni fatti oggi a quei sogni remoti. Ebbene quei sogni dell'infanzia già delineavano temi e nodi diventati nel presente cruciali e oggetto di riflessione più avanzata e di ricerca. L'inconscio è presente da sempre nella vita di ognuno e fin dai primi passi fa sentire la sua voce sia nei sogni, sia contrappuntando l'esperienza in ogni momento con vissuti, con stati d'animo, con emozioni, con l'articolarsi di momenti interiori utili per capire i punti decisivi e veri, per alimentare il confronto e il dialogo con se stessi, per cominciare a attrezzarsi di consapevolezza utile e necessaria per cercare la propria strada, per non subire la regola comune e per non appiattirsi sulle concezioni prevalenti. Se è accaduto che in parte questi momenti interiori, perché incisivi e forti, siano stati sentiti cruciali, riconoscendo se stessi soggetti e parte in gioco saliente e decisiva nell'esperienza, non meno delle azioni dell'ambiente, è però successo anche che via via ci si allontanasse dalla vicenda intima per stare sempre più nelle secche del ragionare e del fare, dando primato e prevalente attenzione a circostanze e a condizioni esterne, all'agire piuttosto che al sentire, con gli occhi tutti puntati fuori, fino a abituarsi a considerare decisivo ogni fattore esterno, fino a definire realtà solo quell'insieme e quello scenario esterni. Ho svolto questa riflessione per far capire che, se il passato personale ha valore, lo ha se riconosciuto nella sua vera natura di cammino interiore, unico e originale e non, come nelle ricostruzioni parziali e sostanzialmente infedeli, come racconto fatto soprattutto o soltanto di condizionamenti, di influenze esterne, di reazioni quasi automatiche e condizionate dall'agire di qualcosa di esterno e altrui, di semplice interiorizzazione di modi e di atteggiamenti assorbiti da figure influenti, cancellando o minimizzando tutto l'intimo della propria esperienza. Compiere questa semplificazione e riduzione del proprio a conseguenza dell'agire altrui e di altrui responsabilità è un'operazione di comodo, che libera se stessi da ogni carico e responsabilità nell'accertare e trovare il vero, nel riconoscersi soggetti del proprio destino, delle proprie scelte. Tanto è comoda questa modalità di trattare la propria esperienza, che enfatizzando il peso e l'incidenza di fattori esterni, oscura e non riconosce il primato di ciò che spetta a sé e che è rintracciabile nella propria esperienza interiore, quanto è deleteria per il proprio interesse di recuperare la propria visione delle cose e tutto il proprio potenziale di scoperte e di crescita. Se ci si priva del rapporto col proprio materiale vivo di esperienza, da cui può nascere conoscenza, autonomia e forza di pensiero, capacità di cambiamento, ne consegue che più facilmente e tenacemente ci si lega a altro e a altri e se ne dipende, ci si rifà a idee e modelli comuni e ci si fa portare, anche quando si insista nel contestarli, nel ribellarsi e contrapporsi. La modalità di ridurre tutto a responsabilità, a colpe o a potere di condizionamento di altro e di altri, applicata con più agio al passato, dove le "ricostruzioni" che appiattiscono il proprio e lo riducono a conseguenza d'altro, sono più facili, agevolate dalla distanza temporale che separa dagli accadimenti, è comunque ricorrente anche nel rapporto con l'esperienza attuale. Urge dunque imparare a leggere la propria esperienza, dando riconoscimento e aprendo riflessione su ciò che interiormente si prova, perché è lì che c'è il vero e tutto il potenziale che porta a capirsi, senza semplificazioni e omissioni, a trovare sintonia con se stessi e possibilità di ritrovarsi, di sviluppare il proprio originale pensiero, di crescere in autonomia e in fedeltà a se stessi. Se si lavora sul presente è più efficace questa ricerca, perché tutto dell'esperienza vissuta, del sentire, in tutte le sue espressioni e movimenti, capaci di aprire alla comprensione del vero, è vicino, è vivo e attuale. In ogni caso anche dove ci si aprisse al confronto con momenti e esperienze del proprio passato, è importante rispettare la stessa esigenza di mettere in primo piano e fedelmente ciò che interiormente si è vissuto, per non manipolare la propria storia, per non appiattirla, rendendola sì utile allo scarico di ogni personale responsabilità, alla costruzione di teoremi liberatori attorno al perché dei propri problemi e difficoltà, ma nello stesso tempo svuotandola e privandosi di ciò che potrebbe arricchire, nutrire la conoscenza di se stessi. Il presente, ciò che oggi la propria interiorità sta proponendo e promuovendo è il cuore della ricerca a cui rivolgersi prima di tutto, ma c'è un che di unitario, un filo che unisce il presente e ciò che sta nascendo col passato, col proprio passato. Il cammino, passato e presente, se visto e compreso dall'interno e col contributo fondamentale del profondo, è il proprio cammino, lo è e lo è sempre stato fin dai primi passi.
mercoledì 5 giugno 2024
Cos'è disfunzionale?
Il termine “disfunzionale” è molto usato,
particolarmente nell'ambito della psicoterapia cognitivo comportamentale. Sposa
e asseconda perfettamente l'idea comune che ritiene che quando in ciò che si
prova, nelle proprie risposte interiori e nei modi di vivere le diverse
situazioni, c'è qualcosa che non asseconda le attese e che si scosta da
ciò che è solitamente giudicato normale e valido, ci sia un difetto, un
funzionamento e una reazione anomali e controproducenti, non utili, anzi
dannosi per i propri interessi. Tutto concorda e converge nell'idea della bontà
di un intervento curativo volto a ottenere un modo (ritenuto) favorevole e
sensato di reagire e di procedere. Muovendo dalla persuasione che ci sia una
anomalia nel sentire, ci si dispone a contrastarla, provando a contenerla con
farmaci o con tecniche di rilassamento, proponendosi di correggerla, come nella
psicoterapia cognitivo comportamentale, con interventi su (supposti) modi
errati, disfunzionali di leggere e di pensare le diverse situazioni, che
condizionerebbero la risposta emotiva, la reazione giudicata incongrua e
limitante, nociva per i propri interessi. La correzione si propone pertanto di
ottenere che i modi e le risposte date alle diverse situazioni siano finalmente
corretti e validi, favorenti i propri interessi. Tutto sembra non fare una
grinza. C'è però, a starci attenti, il rischio di rimanere imprigionati in un
modo cieco di intendere le cose. In presenza di ciò che accade interiormente si
tende a piegare all'arbitrio della ragione ciò che una parte di se stessi,
intima e profonda, sta mettendo in campo nel sentire, bollato subito, se non
piacevole e discordante con le aspettative, come anomalo e sbagliato, privo di
senso e dannoso. Se ci si leva dalla posizione intransigente e rigida di chi
vuole imporre la verità e la regola a ciò che non conosce, in questo caso a una
parte di sè poco o nulla conosciuta, può aprirsi una riflessione e
riconsiderazione davvero utile e “funzionale” a non rimanere intrappolati nel
pregiudizio e in schemi rigidi. Tutto allora può mostrarsi sotto una luce ben
diversa. Tenendo conto dello stato del rapporto con se stessi, spesso di
lontananza e di non conoscenza del proprio intimo e profondo, disfunzionale, se
proprio si vuole usare questo termine, è il proprio non riuscire, in presenza
di un malessere interiore e di risposte interiori a prima vista strane e poco
piacevoli (siano esse ansia, fobie o altro), a comunicare con se stessi, con
ciò che si sente. Disfunzionale, cioè limitante e non idoneo a sostenere i
propri veri interessi, è non saper fare proprio ciò che il proprio sentire
vuole dire e far intendere, è non comprendere cosa la parte intima, profonda di
se stessi vuole condurre a capire di sè, della propria condizione vera.
Disfunzionale è insistere nel ripetersi le solite cose, nel volere che tutto
giri e proceda a senso unico di marcia, nel concepire come difetto di
funzionamento da correggere, per rilanciare il consueto, ciò che invece ha
tutt’altro senso, importanza e valore e che origina da tutt’altro sguardo, non
estraneo e alieno, ma profondamente proprio, insito nel profondo del proprio
essere. Se l'esperienza interiore disagevole che si vive di fatto è stata così
insistente e continua a incidere con forza, se ha intralciato e
intralcia l’iniziativa verso l'esterno, se non consente di aderire
ai richiami della cosiddetta normalità, del cosiddetto normale funzionamento,
con tutte le sue regole, tipo la necessità di provarsi che si è capaci come
tutti (sarà poi vero proprio tutti?) di stare sereni e di godersi la vita, è
per condurre quasi a forza a convergere su di sè, a portare tutta la propria
attenzione su se stessi, perché ci sono in gioco necessità fondamentali di cui
prendere consapevolezza e cui provvedere. Alla parte profonda non importa
nulla di garantire e di perseguire la normalità, che si faccia come tutti, che
si mantenga o si raggiunga quell'efficienza lì, al profondo interessa che si
metta assieme ciò che manca e che sinora non si è cercato e costruito: intesa e
unità con se stessi, un bagaglio di conoscenze di sè e di guide valide perché
non ci si perda, perché, pur illusi di essere artefici delle proprie scelte,
non ci si faccia guidare e persuadere da altro, perché invece, compreso cosa
profondamente appartiene, si sappia far vivere con fiducia, con
determinazione e con passione ciò che si è, che è autenticamente proprio. La
lettura in termini disfunzionali di ciò che si sente e di ciò che
interiormente accade, anche se sembra sostenuto da buon senso, anche se sembra una
lettura quasi ovvia, non coglie in realtà, non riconosce il significato vero di
ciò che la propria interiorità sta procurando: un forte richiamo, un
invito pressante a occuparsi di se stessi, a riconoscere l’inconsistenza delle
attuali basi di riferimento e di appoggio, la disunione con se stessi, la
spinta a costruire ciò che manca, a comporre l'unità con se stessi di cui non
si dispone. Il proprio sentire oggi è come un che di estraneo. La necessità
vera non è di proseguire indisturbati, di uscire, fare, procedere come sempre,
senza più impedimenti e paura che attanagli, la vera urgenza e priorità, che la
parte profonda del proprio essere non ignora, è di costruire un nuovo rapporto
con se stessi, di coltivare , in stretto rapporto e dialogo col profondo
(rapporto e dialogo che qualcuno dovrebbe aiutare a cercare e a sviluppare,
questa la terapia) ciò che serve per avere una identità davvero propria e
un bagaglio di scoperte, di conoscenze, una nuova condizione di
unità e di sintonia con se stessi, di cui si è privi. Ci si dà come regola
quella di ristabilire o di raggiungere la normalità, di riuscire a andare, a
fare questo o quello come fan tutti, intendendo questa come la giusta e ovvia
regola funzionale per se stessi, perciò ci si definisce e ci si lascia definire
come disfunzionali, convinti che sia questo il bene da inseguire, convinti che
sia verità evidente che saper vivere significhi ottenere le prestazioni
che oggi sono non casualmente intralciate da una parte di se stessi.
Questa parte di sè profonda ha giustamente e saggiamente in mente altro per se
stessi come urgenza e come bene da cercare e da costruire per affrontare,
poggiando saldamente su di sè, con piena aderenza e sintonia col proprio
intimo, con capacità di scoprire e sapere cosa si vuole e come lo si
vuole, il proprio futuro. I segnali che la parte profonda dà nel sentire sono
tutt’altro che segni di malfunzionamento, che risposte alterate che nuocciono e
fanno solo danno. Se la costruzione della propria personalità e dell’impianto
della propria vita è malfatta, più a copia d’altro, che di matrice propria, se
è posticcia e inautentica, perciò incapace di garantire la propria vera e
originale realizzazione, l’ansia, il senso di fragilità, di instabilità e di
pericolo cui in simili condizioni si è esposti ha sì o no un senso e una
capacità di dire? Disfunzionale non è il proprio sentire nelle sue espressioni
solo in apparenza sgangherate e anomale, ma è stare al di qua della presa di
coscienza del vero di se stessi e della propria condizione, della necessità di
profondo cambiamento, che quel sentire sta spingendo a riconoscere,
disfunzionale e niente affatto favorevole ai propri interessi è dare per
affidabile la marcia solita, insistendo sulla tenuta e sul rilancio di un
modello astratto di efficienza e di capacità di riuscita, non dando retta ai
richiami intimi e profondi, tutt’altro che stupidi e insensati, tutt'altro che
nocivi e sfavorevoli ai propri interessi, che con insistenza si fanno valere
dentro di sè. Purtroppo le questioni interiori, ciò che c’è veramente in gioco
in una crisi e in uno stato di sofferenza interiore sono spesso incompresi e
fraintesi.
martedì 28 maggio 2024
La cura e la meccanica del preconcetto
Chi in presenza di malessere interiore auspica prima di
tutto l'eliminazione del malessere, di ciò che considera un danno per sè e una
alterazione, vede con favore qualsiasi intervento curativo, sia esso
farmacologico che psicologico, che dichiari di voler combattere il
"disturbo", di metterlo a tacere o di sostituire risposte interiori
considerate sfavorevoli e nocive, etichettate in gergo come disfunzionali, con
altre ritenute utili e normali. Il presupposto è che tutto interiormente debba
funzionare in modo "regolare" e secondo linee di svolgimento
definite, senza ombra di dubbio, come normali e sane. La vita interiore è
considerata null'altro che un accessorio, un'appendice subalterna rispetto alla
testa del pensare e del decidere razionali, come un insieme di reazioni, di
risposte emotive e di stati d'animo che dovrebbe declinarsi in una forma che
sia concorde con il modo di pensare e di intendere, con i propositi e le attese
della testa e comunque non tale da procurare intralci o aggravi. Che tutto debba
girare a discrezione e secondo i giudizi della testa, senza mettere in mezzo
difficoltà e ostacoli al procedere, che si considera normale, valido e
vantaggioso, trova conforto da un lato nella idea che “così pensano e fan
tutti" e dall'altro nel vasto apparato delle cure e delle teorie, che
fanno loro da supporto, che dicono di offrire rimedio, soluzione a ciò che
implicitamente e anche esplicitamente considerano una alterazione, una
sofferenza anomala e dannosa, un malessere interiore da mettere a tacere.
Sembra evidente a chi ne fa esperienza che in una condizione di disagio e di
malessere interiore la miglior cosa sia cercare di toglierlo di mezzo per non
compromettere il corso abituale e per rimettere in piedi un modo di procedere
che non debba subire ostacoli. L’idea che l’esperienza interiore sofferta e
disagevole sia un danno, che lo “stare bene” richieda liberarsene, sembra
talmente ovvia da non richiedere ulteriori ricerche e approfondimenti. Dentro
questa direttrice di marcia, quando ci si trovi in presenza di difficoltà e di
disagi interiori, rispetto a cui in partenza non si desidera altro che porre
loro fine e sbarazzarsene, non si è affatto inclini a riconoscere nel proprio
intimo malessere, nel proprio sentire segnali significativi miranti a mettere
in luce il vero e non l’apparente del proprio stato, la presa stringente a fare
propria, senza fughe e rinvii, la necessità di fare chiarezza, di porsi allo
specchio nel proprio modo di condursi, riconoscendo in modo trasparente ciò
che, per proprio intento e responsabilità, muove le proprie scelte, ciò a cui
tendono e che implicano per se stessi. Tutt'al più quello che, andando un po'
al di là dell’idea che sia in gioco una pura patologia da combattere e da
correggere con farmaci e similari, si è inclini a pensare, concedendo all’idea
che nel proprio malessere ci sia un che da comprendere, è che al suo interno ci
siano i segni di un cattivo funzionamento, di difettosi e mali modi di
rapportarsi all'esperienza, che non gioverebbero al corretto e fisiologico
(ritenuto tale) procedere, che anzi
creerebbero inciampi nel cammino, che malamente procurerebbero frustrazione e
sfiducia, eccessi di paura, fuga o debole supporto alla volontà e alla capacità
di sostenere e di persistere negli impegni presi, qualche malo modo di
affrontarli che li appesantirebbe, che produrrebbe insoddisfazione e danno, che
anziché giovare infilerebbe dentro trappole, incastri dolorosi e sciagurati. A
questo riguardo si pensa in genere, considerandosene vittime, che cause
esterne, che cattive influenze subite nel passato, che insegnamenti sbagliati,
che affetti negati, che contributi tossici di figure significative, che
pressioni indebite e nocive, che carenze dell'ambiente, che traumi patiti
possano aver compromesso e guastato il più fisiologico e sano sviluppo
psicologico e interiore di cui si sarebbe stati in diritto, che ancora stiano
disturbando e recando danno. Anche quando non si intenda limitarsi alla
soppressione del sintomo attraverso il ricorso a psicofarmaci o a interventi
correttivi sul comportamento, quando si ritenga valido, con l’intento di andare
alla radice del malessere, intervenire nella ricerca delle cosiddette cause e
si fa propria l'idea di indagare, casomai di essere aiutati a farlo, lo scopo è
sempre, andandone a scovare la causa, di liberarsi dalle insane conseguenze di
ciò che avrebbe fatto danno, dagli effetti che tuttora ci si porterebbe dentro,
per rimettere in sesto e in corsa un modo di procedere, casomai con qualche
correttivo e aggiustamento, nella sostanza dato per scontato come valido e a sè
favorevole. Un lavorio che vede comunque la parte interiore oggetto di
spiegazioni, di interpretazioni, più che soggetto che dice, che rivela, che
conduce alla conoscenza. Un lavorio che vorrebbe liberare da incastri e da
invischiamenti, da trappole interiori e da circuiti dannosi della mente, per
rimettersi in piedi, casomai con la promessa di avere più libertà e più
capacità di esprimere se stessi, di accedere a un modo più sano di vivere e più
corrispondente ai propri interessi e aspirazioni. L'officina di diagnosi e
riparazione della psiche sembra avere molte frecce al proprio arco, offrendo un
ventaglio di approcci e di tecniche psicoterapeutiche, dai nomi accattivanti e
suggestivi, in una situazione via via in fermento di nuove proposte, in cui di
volta in volta spunta qualche nuova teoria e tecnica, pronta a farsi vanto di
essere la migliore e a più a pronto uso nel saper intervenire, spiegare,
risolvere. Tutto l'impianto teorico e pratico della diagnosi e cura del
malessere interiore, che mostra così varie offerte e che punta sulla
risoluzione del malessere, si regge su preconcetti. Prima di tutto, come
immagine di se stessi, c'è, data per scontata e preconcetta, la visione
gerarchico piramidale che vede in posizione inferiore e subalterna la
componente interiore rispetto a quella conscia cui è riconosciuta la funzione
direttiva, il monopolio dell’esercizio del pensiero, la prerogativa del
possesso della capacità di condurre, nelle valutazioni e nelle scelte, con
affidabilità di guida. In secondo luogo, ma non seconda per rilevanza, c'è
l'idea preconcetta che i modi e gli strumenti della crescita e della
realizzazione personale siano già concepiti e ben presenti e tracciati nella
prassi comune e nel sistema organizzato e che per ognuno si tratti di favorirne
il valido e regolare impiego e svolgimento. Cosa sia e quanto valga
l'interiorità pare già definito, pare scontato che non possa svolgere funzione
guida, che non abbia capacità di generare pensiero e di dare contributo
sostanziale alla ricerca di verità e di orientamento e nutrimento della
crescita personale, che questo compito ricada sulla parte in posizione di
testa. Che non ci sia necessità per l’individuo di costruire da sè ciò che
serve per la propria autentica realizzazione, di portare a maturazione la
conoscenza approfondita di se stesso, la
scoperta attenta e fondata, per non aderire al già pensato comune o d’autore,
dei significati, lavorando su ciò che la sua esperienza gli rivela e gli rende
possibile conoscere davvero, di dotarsi di scoperte proprie per orientarsi da
sé e per trovare ragioni e scopi della propria vita, è persuasione diffusa e
consolidata e diventa facilmente per ognuno un solido preconcetto. Nel modo di
pensare le proprie necessità e di procedere cui ci si affida, non serve, non è
richiesto un simile lavoro, semmai è richiesta a se stessi capacità di
intervento e di dare prova su un terreno già segnato, dove i supporti e le
guide, pure la lettura e la definizione dei significati sono già presenti, dove
è più accreditato il contributo esterno per la propria formazione e crescita,
che quello interno, cui, per preconcetto, non può essere riconosciuta una
simile capacità, che non può avere una simile pretesa. L’idea è che quello che
si può trarre da sè sia non più che l’indicazione di preferenze e inclinazioni,
in favore di scelte più mirate dentro un ventaglio di opzioni, di soluzioni
consolidate, che invece la propria crescita, lo sviluppo delle proprie
conoscenze ha necessità di avvalersi di supporti e di apporti esterni, che non
è pensabile che da sé si possa trarre di più e di sostanziale. Se, per fare un
esempio che chiarisca, la lettura di libri, l'apprendimento di teorie, la
fruizione di vari apporti culturali hanno credito come luogo e supporto
formativo per l'accrescimento di idee, di pensiero valido e
credibile, al lavoro su se stessi, a ciò che autonomamente può nascere e
crescere attingendo alla propria fonte, per preconcetto, è data una fiducia
assai limitata sia per la consistenza di ciò che può produrre sia per la sua
attendibilità. E' vero che se la produzione autonoma di pensiero è affidata
all'iniziativa isolata del pensiero conscio razionale presto questa si
chiuderebbe nel cerchio del già detto e concepito. Soltanto dando spazio alle
capacità del pensiero che origina dal profondo, soltanto attingendo a questa
fonte, si può scoprire di che cosa la creazione autonoma è capace. Se si apre
un confronto senza preconcetti e prevenzione, senza partito preso a riaffermare
ciò che non si vuole mettere in dubbio, senza predisposizione a far dire ciò
che si presuppone a ciò che si incontra interiormente, il quadro e l’orizzonte
della conoscenza e della scoperta di se stessi, il potenziale di ciò che può
scaturire dal dialogo interiore, cambia radicalmente. E' possibile allora
scoprire, come accade dentro un valido percorso analitico, che la vita
interiore, che ciò che si svolge al suo interno, è espressione e fonte di
un'intelligenza, che scaturisce dal profondo, ben mirata a trovare il vero e
non a ridurre il pensiero, come capita fatalmente lasciandone il monopolio al
pensiero razionale, alla ripetizione e al ricombinazione di idee prese in
prestito, di schemi assimilati e riprodotti, di attribuzioni di significato e
di risposte già formate. L’intelligenza di cui è portatore e anima il profondo
è quella di vedere con i propri occhi, di guardare riflessivamente dentro la
propria esperienza, di riportare a sé la funzione di comprensione e di
convalida e non di riprodurre e rimasticare, pur con qualche illusione di
originalità, ciò che è già concepito e assodato, facendosi dare da fuori
supporto e conferma. Non tutto sul terreno della conoscenza è già stato detto,
assodato e garantito da autorevoli fonti, residuando per se stessi solo la
possibilità di dire la propria, ma dentro un quadro già definito e dato.
Viceversa ciò che viene a dire il profondo, sia nel sentire e nei vissuti che
anima sia e in modo mirabile nei sogni, è che tutto è da farsi, se si vuole
uscire dal torpore dell'inconsapevolezza e se si vuole mettere assieme una
visione propria, una conoscenza approfondita e fondata di se stessi, per nulla
anticipata e fotocopia di ciò che la cultura e il sapere di “chi sa” ha
compreso e concepito, una scoperta di significati validi, verificabili da sé,
tratti da terreno vivo d’esperienza. Sono scoperte possibili e inattese, di
respiro e forza ben diverse delle costruzioni del pensiero razionale scisso e
ripiegato su di sè, capaci di rendere davvero autonomi, coinvolti e appassionati
finalmente a sviluppare visione e a aprire percorsi propri, svincolati dalla
dipendenza da altro e liberi dalla necessità, per ottenere soddisfazione, di
correre dietro a altro, per raccogliere la conferma e la gratificazione del
farsi riconoscere bravi e capaci, liberi perché in possesso di una vera
autonomia di scelta, di progetto, di realizzazione. Il malessere interiore,
quando si apra un attento, rispettoso e fedele ascolto dell'interiorità in ciò
che propone e dice dentro e attraverso vissuti non certo facili, ma non per
questo privi di senso, rivela di non essere il segno di un guasto, della
alterazione e compromissione di una
normale funzionalità, intaccata da qualche causa da scovare nel passato,
nell'ambiente o in cattive modalità di pensiero e di sentire, ma viceversa è il
segno di una forte iniziativa interiore volta a mettere al primo posto la
ricerca del vero. Nel malessere interiore c’è il forte richiamo di un profondo
che spinge per costruire ciò che non c'è, mettendo in crisi, non dando manforte
a un procedere che cerca solo continuità di esercizio, che presuppone che non
ci sia necessità d’altro che di proseguire. Nel vivo delle espressioni di
malessere l’inconscio, oltre che mettere in primo piano all’attenzione il
dentro del sentire rispetto al fuori dell’agire e del fare, dà tracce e segnali
validissimi per vedere prima di tutto la verità della propria condizione e del
proprio modo di procedere in ciò che è realmente e di cui manca, che visto da
dentro e non con la lente deformante del preconcetto si rivela insostenibile,
inautentico e affatto affidabile e favorevole. Così, inautentico e per nulla
corrispondente e all’altezza di ciò che da sé potrebbe nascere, il proprio
profondo lo ha riconosciuto e cerca di renderlo riconoscibile, svelandone i
modi e la natura vera, un modo di procedere affidato e plasmato più su altro
che ha dettato e che ancora suggerisce modi e contenuti, altro già concepito e
di comune uso che conduce, anche se offrendo l'illusione di essere artefici dei
propri pensieri e delle proprie scelte, che in consonanza con il potenziale e l’originale di se stessi, più
frutto di intesa e di connessione con l’esterno che col proprio intimo, tenuto
ancora lontano, non valorizzato,
incompreso e a priori sottovalutato. Lo stravolgimento che consegue
all’adesione acritica e tenace a un
simile modo di procedere e di pensarsi, l'incapacità, proseguendo inconsapevoli,
di riconoscere la verità della propria condizione, la mancanza di un lavoro di
ricerca su di sé e di maturazione di scoperte proprie, non riconosciute come
necessarie da sviluppare e coltivare, visto che tutto pare già definito e in
normale compimento, per dotarsi dei punti di riferimento, delle conoscenze di
sé, della conquista dei punti chiave di comprensione di ciò che è importante,
che ha valore per se stessi per poter
dirigere autonomamente e consapevolmente e in pieno accordo con se stessi le
proprie scelte, per sfuggire al rischio, altrimenti fatale, di farsi portare,
affidandosi a altre guide che non siano quella interiore, su percorsi e con
traguardi non corrispondenti a se stessi, confermati da fuori, ma non da dentro
se stessi, tutto questo, che non è certamente poco e di poco conto, fa sì che
il profondo intervenga per sollevare il problema. L’inconscio aprendo la crisi,
animando e agitando il quadro interiore, dando all’interno sempre segnali
appropriati e ben mirati, mai agendo in modo convulso e confuso come si è
portati a giudicare confrontandosi con il malessere interiore, vuole richiamare
l'attenzione su ciò che si sta facendo di stessi, per sollecitare una attenta
verifica e un serio lavoro di ricerca, prioritari su tutto. Pensare il
malessere come guasto e segno della compromissione di un regolare e efficace
procedere, che fa desiderare la messa in opera di interventi di cura nel segno
del ripristino e correzione, senza verifica attenta e lucida messa in luce
dell'intero impianto del proprio procedere, conduce solo a mantenere la
distanza e l'incomprensione di ciò che il proprio intimo vuole dire e spingere
a cercare e a costruire per il proprio bene. Uscire dall'inconsapevolezza,
prendere visione di un procedere passivo dipendente dove altro segna i passi da
seguire e dà le chiavi di lettura, l'illusione lì dentro di dire e di portare a
compimento qualcosa di proprio, pur senza essersi mai avvicinati a sè e alla
conoscenza di se stessi e di quanto di proprio vorrebbe e potrebbe vivere e
realizzarsi, tutto questo è nello sguardo del profondo, tutto questo sta
all'origine dell'iniziativa messa in atto dall'inconscio, che attraverso il
malessere interiore vuole aprire una fase importante di riflessione e di
ricerca. Se si sta nel preconcetto, nella definizione aprioristica della
propria realtà come semplicemente normale e di conseguenza di ciò che va inteso
come il proprio bene, fatto coincidere inequivocabilmente col fare salvo il
procedere solito dall'insidia del malessere, che tutt'altro è che un segno di
guasto e di anomalia, ecco che nulla del significato vero della crisi si
rischia di comprendere. Ci si riserva solo l'intento di scrollarsi di dosso il
malessere e semmai di fare qualche operazione di restauro e di rinnovo, ma
sempre nel solco di un procedere e di una ignoranza di se stessi, mai prese sul
serio come questioni da affrontare, da indagare, su cui riflettere e lavorare.
Nulla del significato della crisi e del malessere interiore si finisce per
capire, ci si tiene all'oscuro di scoperte importanti e decisive, che sono
l’intento del profondo, che proprio a questo scopo ha aperto la crisi e mosso
il malessere interiore, conquiste capaci di restituire a sè la guida della
propria vita, la sua realizzazione autentica. Non ci si dà l'opportunità,
procurandosi l'aiuto valido a questo scopo, di imparare a intendere e a capire
fedelmente ciò che la propria interiorità vuole dire e favorire, non se ne
scopre l'affidabilità anche nelle sue espressioni più sofferte e difficili, non
si recupera un rapporto di unità piena col proprio intimo e profondo, ci si
rende viceversa ancora estranei alla propria vita interiore, persino ostili a
questa parte così importante di se stessi, si fraintende e si squalifica il suo
apporto, che, se compreso senza preconcetto, se valorizzato e fatto proprio,
tanto di favorevole saprebbe dare per una vera e profonda rinascita. La rinascita
da se stessi, in unità col proprio autentico, col proprio intimo profondo.
Prendersi cura di sé, decidere come farlo, mette in gioco fatalmente la propria
intelligenza, oltre che la propria responsabilità verso se stessi. Se si
impiega e si dà seguito alla meccanica del preconcetto si rischia di chiudere a
se stessi, di permanere nella lontananza da sè, di perseguire un bene presunto,
all’insegna del tentativo di liquidare e comunque di superare e passare oltre
il malessere interiore, che se pare ovvio, secondo il preconcetto proprio e
comune, essere un obiettivo benefico e vantaggioso, si fonda però sul
mantenimento di una condizione di spaccatura del proprio essere, di sostanziale
incomprensione e disaccordo col proprio intimo, su cui si va a agire, vuoi con
l’intento di metterlo a tacere o di correggerne le espressioni, vuoi con la
pretesa di spiegare e con l’illusione di capire, senza dargli in realtà spazio
di parola e ascolto, intimo che comunque di questo mancato incontro e ascolto
non cesserà di dare segno. E’ un presunto bene che implica il mancato sviluppo
di una conoscenza fondata e vera di se stessi, di una capacità di realizzazione
autenticamente propria, che sono ragione, scopo e intento della crisi e del
malessere interiore, che soltanto un rapporto aperto e dialogico con la propria
interiorità, che soltanto attingendo al contributo e affidandosi alla guida del
proprio profondo si potrebbe realizzare. Sono conseguenze tutt’altro che
irrilevanti. Vale dunque la pena in situazioni di malessere e di crisi porsi
domande, cercare di capire con apertura di sguardo, senza preconcetti, senza
dare nulla per scontato, senza delega a opinioni altrui, neppure a quelle dei
cosiddetti esperti, cosa stia realmente accadendo dentro se stessi, vale la pena
cominciare a ascoltarsi per comprendere quale risposta, quale modo di prendersi
cura di sé offrire a se stessi, quale scopo perseguire.
domenica 19 maggio 2024
La riscoperta di ciò che siamo
La lontananza da se stessi, l'estraneità alla propria
vita interiore, relegata in uno spazio marginale, trattata come appendice
affatto essenziale e degna di considerazione, vigilata e temuta quando non
corrispondente alle proprie istanze di riuscita e di quieto vivere, disegnano
il quadro triste di una condizione umana, immiserita del suo potenziale e della
sua risorsa più valida, quella interiore e profonda. E' una condizione, non
certo rara, questa in cui l'individuo è fondamentalmente affidato e appiattito
sul binomio volontà e ragione, che, senza vincolo e rapporto col sentire e con
la vicenda interiore, pretende di strafare e di tenere il resto in soggezione.
E’ una condizione che, malgrado le velleità e le illusioni, comporta rimanere
più al di qua e al di sotto che al livello di una realizzazione compiutamente
umana. Tutto l'impegno e l'aspettativa dell'individuo si concentrano sulla
pretesa della riuscita, del dare prova, del farsi valere, del trovare soluzioni
e capacità di rendimento dentro le guide e le regole della cosiddetta
normalità, assecondando e traendo conferma dal giudizio altrui e dall'essere in
linea con l'insieme, senza cura dell'ascolto delle proprie risposte intime e
del confronto con la propria interiorità. La visione di se stessi insita in un
simile modo di stare al mondo e di procedere concepisce il proprio essere come
un meccanismo da tenere efficiente e regolare, da mettere in manutenzione
quando dà segnali di crisi e di sofferenza. La vita interiore è però tutt'altro
che una meccanica da tenere a bada e in “regolare” esercizio. Nella vita
interiore c'è il meglio di se stessi, del proprio patrimonio e potenziale di
intelligenza, della capacità di rimettere in piedi la consapevolezza e la
visione attenta, veritiera e critica del proprio stato e dello stato delle
cose, altrimenti totalmente appiattita, falsata, distorta. Quando non fondati
su di sè, non alimentati dalla propria interiorità, quando non generati da
riflessione e da ricerca personali in stretta unità e scambio col proprio
profondo, il pensiero e la visione delle cose sono fatalmente forgiati da
altro, regolati e istruiti da mentalità, da cultura e senso comune, da idee
correnti e prevalenti. Di questa condizione di dipendenza e di omologazione del
proprio pensiero, che sbarra la strada a scoperte più autentiche e a sviluppi
di crescita personale più fedeli a se stessi, permane inconsapevolezza, a parte
che nella parte profonda del proprio essere, che non per caso agita
interiormente le acque, dà nel sentire segnali e richiami insistiti per
guardare con attenzione dentro un modo di procedere tutt’altro che saldamente
fondato, che felice e promettente. L’attaccamento però a un modo di procedere
cui si sono legate le proprie fortune e persino, malgrado non autenticamente
proprio, non generato da sé, il proprio amor proprio, perché rivestito,
malgrado al traino d’altro, da illusorio senso di auto affermazione, perchè
travisato come espressione degna e meritevole di sé e di (presunte) valide
capacità realizzative, questo attaccamento rende quasi necessario, per tutelare
ciò a cui ci si è così fortemente legati,
cui si è consegnato il valore della propria persona e della propria
vita, il controllo su ciò che vive interiormente, trattato come un meccanismo,
come una parte che deve assecondare, che si è pronti a giudicare e a trattare
come anomala quando non corrisponde alle
attese e non si concilia con i propositi in atto. Diventa necessario
tenere a bada ciò che si svolge interiormente, provando a disciplinarlo e
correggerlo, quando discorde dalle attese, esercitando impunemente, come fosse
necessità ovvia e normale, la pretesa che marci concorde con le aspettative e i
risultati che si vogliono perseguire, che paiono proficui, addirittura
irrinunciabili, pena il rischio, questo il convincimento, altrimenti, di
fallire miseramente, di cadere in disgrazia. Qui c’è la distorsione più forte.
La parte più intima di se stessi, che, tirata per i capelli, si vorrebbe docile
e al passo con un procedere tutt’altro che felicemente fondato su di sè, in realtà sa bene quanto
c’è di mancata consapevolezza, di lontananza da una conoscenza di se stessi e
di scoperta di ciò che potrebbe realizzarsi di autenticamente proprio, perciò
dà stimoli, offre negli stati d’animo, nelle sensazioni meno facili lo spunto e
il pungolo per aprire gli occhi, per coinvolgersi in una ricerca di verità
circa il procedere cui si è legati e ciò che si sta perseguendo. La spinta
dell’interiorità, del profondo è a aprire gli occhi, togliendo ogni velo, su
ciò che sinora si è fatto della propria vita, in che modo, vincolati a che
cosa. La spinta interiore è a lavorare con attenzione sulla conoscenza di sé,
non banalmente e non superficialmente, per arrivare, passo dopo passo, con la
guida del profondo, che con i sogni e con ciò che fa vivere nel sentire sa
indirizzare la ricerca mirabilmente, alla scoperta di ciò che, autenticamente
proprio, risalti ai propri occhi come valore vero, che, in unità con tutto il
proprio essere, si senta profondo desiderio e passione di far vivere, di
realizzare. Non siamo nella parte più viva, intima e profonda di noi stessi dei
meccanismi pressoché automatici, all’occorrenza da regolare, portiamo dentro di
noi, sia a livello fisico biologico che psichico, intelligenza e capacità di
tenere conto di complesse esigenze, di tradurle nel modo più sensato e valido,
di rendere riconoscibili e di segnalare acutamente condizioni di crisi e di sofferenza,
che tendono comunque a uno scopo di salvaguardia e di ricerca di equilibri più
vitali e corrispondenti alle necessità personali. Tutto questo in un modo
accorto e intelligente, attraverso risposte interiori e processi vitali che
vogliono far capire e che, se ben compresi e corrisposti, sono capaci di
indirizzare e promuovere trasformazioni utili e necessarie. La medicina nei
suoi orientamenti prevalenti, vincolati e frutto di una visione meccanicistica
dell'uomo e della pretesa di dirigere, manipolare, strumentalizzare, regolare e
dominare i processi biologici, spesso poco attenta e curante delle
potenzialità, delle regole interne della vita biologica e delle sue capacità di
porre e segnalare problemi e di dare risposte a esigenze complesse, interviene
purtroppo non di rado con l'arbitrio e la supponenza di una presunta scienza
che vuole mettere le cose in ordine e a posto, introducendo correttivi, che,
ignorando e non rispettando gli equilibri e le risposte interne, rischiano di
produrre più forzature, rotture di equilibri interni che vero aiuto. Sul
terreno psicologico accade la stessa cosa quando si pretende di normalizzare,
di correggere e di sanare situazioni e esperienze interiori, che nello schema
di rendimento e presunta normalità, sono giudicate anomale e disfunzionali,
misconoscendone il valore e il senso, ignorandone la finalità cui tendono. Si
vede debolezza, disturbo, anomalia e cattivo funzionamento dove c'è ben altro,
dove c'è viceversa tutt'altra storia in ballo, tutt'altra sapienza e progettualità.
L'intelligenza dei processi interni all'individuo, i confini del cui essere
sono ben più ampi di volontà e ragione e di meccanica efficienza, rischia di
essere completamente misconosciuta. Si interviene con psicofarmaci, con
tecniche psicologiche manipolative e correttive per rimettere le cose in riga
dove invece c'è ben altro, lo si fa dando per scontato che così facendo si
faccia il proprio bene, si operi avendo cura di se stessi. Come la medicina
che, in non poche sue espressioni, in nome della cura, vuole dominare e
risolvere con interventi volti a spazzare via, a mettere a norma, a introdurre
rimedi che vorrebbero sistemare il disturbo, come se non ci fosse altro da
comprendere e da favorire, da assecondare in modo più rispettoso delle capacità
e dell'intelligenza biologica insite nell'organismo di ognuno, così sul terreno
psicologico, sempre in nome della cura, si compiono, non raramente, analoghe
manipolazioni, che finiscono per stravolgere tutto, per trattare come crisi da
domare e da riportare al dritto del consueto e del normale corso conforme ciò
che invece interiormente vuole portare in tutt'altra direzione e che ha
tutt'altro scopo, niente affatto insani, infelici o sfavorevoli o malati.
L'ottusità della pretesa di rimettere le cose a norma di funzionamento, che, al
di là delle buone intenzioni dichiarate, anzichè fare bene come propugnato, in
realtà scombina e reca danno, limita e compromette le possibilità di crescita
personale e di salute autentica, risalta agli occhi e diventa ben consapevole
in chi, procurandosi l’aiuto valido e finalizzato a perseguire questo scopo, ha
fatto la scelta di rispettare, di capire senza preconcetti, di conoscere e di
valorizzare le espressioni del proprio essere, della propria vita interiore, di
chi si è messo in guardia dal pericolo e non ha accettato di rendersi oggetto
di manipolazioni fatte in proprio o suggerite e sobillate da fuori, da idee
comuni, così come da pareri e da proposte di aiuto di presunti esperti. E'
tempo di recuperare una visione di se stessi più ampia, più rispettosa delle
qualità e delle potenzialità del proprio essere, non riducibile a un meccanismo
da regolare e da tenere sotto controllo.
mercoledì 15 maggio 2024
Umanizzare il rapporto con se stessi, con la propria interiorità
Non sono l'ansia o altre espressioni di
sofferenza e di disagio interiori a fare danno a chi le vive, ma il modo di
trattarle, di non riconoscerle come voce di una parte intima di se stessi, che
in modo vivo coinvolge e che vuole dire, comunicare, che vuole portare vicino a
verità, rendere visibile qualcosa di fondamentale di se stessi. E’
comprensibile che ci si ritrovi disorientati e impreparati a confrontarsi con
esperienze interiori difficili, quando il malessere interiore prende carattere
insistito e più forte intensità. Si paga il prezzo di un mancato sviluppo di
capacità di rapporto con la propria vita interiore, tutti rivolti nel corso
della propria crescita a stabilire relazione e a sviluppare capacità di scambio
col mondo esterno, stabilendo una distanza crescente dal proprio mondo interno,
riservando a sé, al rapporto con se stessi, solo qualche commento ragionato sui
propri comportamenti, nulla di più. In ogni caso colpisce che, entrando
in rapporto con parte viva di sé, pur se in circostanze e con note d’esperienza
interiore così sofferte e insolitamente difficili, la si tratti come un meccanismo
rotto, estraniandola da sé, come un che di cui sbarazzarsi e da tenere a bada,
negando in partenza apertura e disponibilità di incontro umano al proprio
intimo. Ecco entrare in opera, invece di una ricerca di incontro con la propria
interiorità e di ascolto del proprio sentire, pur se doloroso e insolito, la
risposta volta a tenere a bada, a estromettere possibilmente ciò che sembra
solo una anomalia e un disturbo indesiderato di cui liberarsi quanto prima.
Pensata come sintomo, come meccanismo patologico da classificare e controllare,
l'esperienza interiore sofferta è resa sempre più anonima, inespressiva e
nemica, come un disturbo cui attribuire una dicitura, una etichetta
diagnostica, come se questo fosse un modo per capire. In realtà nulla in questo
modo si comprende di questa parte viva di se stessi, di ciò che vuole dire, si
rischia solo, con l’etichetta di una qualche sindrome o patologia, di applicarle
il marchio dell’indesiderato. E' questa del classificare e dell'incasellare in
quadri e in formule psicopatologiche, mossi fin dall'inizio dall'intento di
contrastare e di debellare l'esperienza interiore disagevole, una pessima
abitudine, ahimè assai diffusa, fatta propria sovente anche da chi vive in
prima persona l'esperienza della sofferenza interiore. Accade così che si parli
di sè, della propria esperienza interiore, come fosse la copia di una pagina di
un manuale di psichiatria, che non è certo il massimo, visto che la psichiatria
spesso e volentieri descrive la superficie, incasella ogni momento ed
espressione dell'umano e della sofferenza interiore come fossero quadri abnormi
tipici, facendo di ogni erba un fascio, rinunciando a capire, rivelando
sostanziale non volontà e incapacità di avvicinare e di comprendere
l'esperienza interiore. Che tristezza la rinuncia a cercare significato nella
propria esperienza, originale, unica, a avvicinare il proprio sentire come
traccia viva per capirsi, per conoscersi! Si usano, si applicano a se stessi
con disinvoltura espressioni orribili come fobia sociale, sigle del cavolo come
dap, doc e simili, che disumanizzazione! Sarebbe importantissimo e
profondamente umano avvicinarsi a sè, riconoscere in ogni esperienza interiore
un'espressione del proprio essere, un percorso, sì difficile e accidentato, ma
un percorso interiore, non una meccanica abnorme da aggiustare e da regolare,
pronti a impasticcarsi, a farsi ammaestrare da qualche
"psicoriparatore" su come rimettersi a norma. Che disastro questo
modo di maltrattare se stessi, il proprio sentire, le proprie esperienze
interiori, sì tormentate, dolorose, strane, imbarazzanti e persino
sconcertanti, ma non per questo assurde o malate, non per questo estranee e
lontane, non per questo insulse e prive di capacità di far vedere puntualmente
e sensibilmente aspetti e verità di se stessi! L'esperienza interiore, anche
quando sembra contorta e assurda, fallimentare, dà occasione viceversa se
ascoltata, se avvicinata non con spiegazioni o interpretazioni ragionate, ma
riflessivamente (come guardandosi allo specchio, guardando negli occhi il
proprio sentire) di riconoscere tracce vive di significato, di capire, di
cogliere nodi importanti. Momenti interiori aspri, ripetuti, logoranti, tormenti,
esperienze e prove che paiono "disastrose", non sono mai
casuali, incapaci di offrire lezione viva e vera di conoscenza di se stessi.
Non si tratta di spiegare, di trovare da qualche parte, possibilmente fuori di sé,
in accidenti o traumi subiti nel passato o in cattivi condizionamenti passati o
presenti o in manchevoli apporti, di cui si sarebbe stati vittime, in
responsabilità di questo o di quello, le presunte cause di un presunto guasto,
questo lavorio del capire è mal speso. Si tratta invece di imparare a intendere
il linguaggio del sentire, di raccogliere ciò che l'esperienza intima attuale e
viva, pur dolorosa, sa e vuole dire. Il primo proposito, che facilmente diventa
definitivo, di fronte al malessere interiore è assai spesso quello di
liberarsene, di superarlo o con le brevi di un rimedio farmacologico o di una
tecnica psicologia che produca un effetto simile, a volte combinati assieme, o
per una strada più lunga di una indagine conoscitiva sul passato che comunque
produca, casomai con l’idea di intervenire in modo più efficace andando alla
radice del problema o guasto, analogo effetto liberatorio, pensando che questa
del liberarsi e del mettere o rimettere in corsa un procedere ritenuto valido, promettente e normale,
non compromesso da ostacoli interiori, sia la miglior cosa da offrire a se
stessi. In realtà la soluzione invocata del liberarsi della difficile e
sofferta esperienza interiore, pensata, con l’appoggio di mentalità comune e di
tanti apporti di tecniche curative, come di ovvia massima utilità e beneficio
per se stessi, coincide col mandare al diavolo parte intima e viva di se
stessi, senza riconoscerla come tale e senza concederle di avere capacità di
dire e di dare qualcosa di utile, di intelligente. Prima di correre ai ripari,
auspicando di spazzare via tutto, bisognerebbe riflettere sulla grande utilità
e positività, per non mettersi da subito in guardia e in armi contro se stessi,
che avrebbe trarre frutto da ciò che si vive interiormente, non importa se
ingrato, se insolito, se tumultuoso, se doloroso. Purtroppo delle esperienze
interiori, di come si esprime l'interiorità, di quello che vale e sa dare la
parte intima e profonda del proprio essere c'è diffusa ignoranza. Dentro di noi
c'è una parte appunto, intima e profonda, che interviene nella nostra
esperienza, che capace di guardare in profondità dentro di noi e nelle nostre
scelte e modi di procedere, capace di non farsi abbagliare dalle apparenze, non
rinuncia a dire la propria, a stimolare la scoperta del vero, nel nostro
interesse, a coinvolgerci, parlando attraverso le nostre emozioni e tutto ciò
che muove nel nostro sentire. Nulla di ciò che sentiamo è casuale, leggere
tutto in termini di normalità o meno segnala solo l'incapacità di comprendere
significato e valore dell'esperienza interiore. E' una parte di noi stessi, quella
profonda, che detta tutto il nostro sentire, che non crede importante che tutto
scorra liscio, che considera viceversa prioritario conoscerci e prendere
coscienza, crescere in intelligenza vera e in autonomia di sguardo e di
pensiero, fondamento della nostra libertà di prendere in mano la nostra vita e
di interpretarla in modo felicemente fedele a noi stessi, che non rinuncia a
farlo, anche se, per conquistare consapevolezza, per crescere, ciò dovesse
implicare fatica, costi dolorosi. Accade che si sia coinvolti da questa nostra
parte profonda, che ci colora delle nostre emozioni, che ci spiazza, che ci
cala a volte con forza in esperienze interiori sì disagevoli, difficili, ma
eloquenti, significative, capaci di aprirci gli occhi, se sapute intendere, se
impariamo ovviamente a trattarle con rispetto e a leggerle come esperienze e
non come sintomi, come segni tipici di anormalità o di patologie. Nulla ci
succede per caso, tutto ciò che ci accade interiormente ci parla di noi, ci
porta verso di noi. Intendiamoci, non è facile e immediato trovare il senso
dove in genere si applica il giudizio pronto, dove prevale la squalifica, dove
il senso comune di fronte a malessere interiore pare concorde nel parlare
subito, come fosse cosa scontata e evidente, di anomalie, di risposte interiori
assurde e inspiegabili, di risposte difettose, di insufficienze, facendo subito
riferimento a ciò che invece sarebbe normale e positivo sentire, provare, dove
gli stessi "esperti" in non piccola parte sono pronti a confermare
simili giudizi, pur mettendo in campo termini tecnici più sofisticati. Per
entrare in rapporto e in dialogo con ciò che vissuto interiormente invece più
spesso si giudica e si cestina perchè si considera semplicemente anomalo,
è necessario imparare a fare ciò che non si è abituati a fare, a cercare il
filo interno di senso in ciò che si sente, è fondamentale scoprire che il
sentire, tutto il sentire in tutte le sue espressioni, dice e rivela, che
concordemente e intelligentemente parlano i sogni, che la parte cosiddetta
emotiva e irrazionale di se stessi non è affatto inaffidabile e avventata,
capricciosa o poco lucida. Poco lucido e accecante è viceversa il pregiudizio,
è il ragionare che mette ordine, ma che non comprende, che riallinea e combina
i significati preconcetti, ma che non si cura di vedere, di aprire davvero gli
occhi sull'intimo dell'esperienza vissuta. E' una vera rivoluzione quella che
conduce a conoscere non per selezione ed esclusione, ma per comprensione e per
ascolto di tutta l'esperienza interiore, di tutto il sentire proprio. Imparare
a andare incontro, a reggere la tensione dell'esperienza interiore disagevole,
che solitamente si tende a contrastare, a rifuggire e a scaricare, imparare a
rapportarsi fiduciosamente, a riflettere, cioè a cogliere l'intimo volto di ciò
che si sente, anzichè commentare e spiegare razionalmente, è ciò che
servirebbe. Non lo si sa fare, non si è cresciuti mai in questo, ci si è
abituati a assorbire idee, non a generarle, facendo leva sul proprio intimo,
sul proprio sentire come guida, ci si è addestrati a applicarsi ad altro per
conoscere, a prendere in prestito spiegazioni, a delegare a autorità esterna,
vuoi di libri e di autori, vuoi di concetti già predisposti e rimasticati, il
compito, la capacità di spiegare, di formare ed informare il proprio pensiero.
Se ripartire da sè è la grande occasione per accorgersi che si può accendere il
proprio sguardo fondandosi su esperienza intima e su possibilità di vedere con
i propri occhi, questa è un'occasione enorme che il profondo, che l'inconscio
ha ben presente, che con forza incoraggia o pretende, ma che la parte conscia
spesso non comprende e rifiuta in malo modo, senza nemmeno capire cosa sta
facendo con giudizi di disturbo e di anomalia applicati a propria intima esperienza,
senza capire le gravi implicazioni di questo modo di trattare
l'esperienza interiore. E' possibile aprire dove spesso con diagnosi e terapie
si chiude, è possibile umanizzare dove in non pochi casi la cura, pur sembrando
buona e soccorrevole, deruba di umanità per far vincere la normalizzazione, che
allontana da se stessi. E' necessario un lavoro nuovo, importante, serio,
graduale, con l'aiuto di chi lo sappia incoraggiare e indirizzare, di chi non
abbia in testa manuali e teorie preconfezionate, ma capacità di intendere
l'esperienza interiore come matrice di conoscenza, come occasione unica di
ritrovata sintonia con se stessi. Fondamentale è il desiderio di trovare
accordo e unità con se stessi, di conoscersi davvero in tutto ciò che si è, interiorità
compresa.
giovedì 25 aprile 2024
Ancora sugli attacchi di panico
Riprendo il discorso sugli attacchi di
panico, tenendo conto della frequenza con cui simili esperienze si
propongono, anche e non casualmente in individui giovani. Proverò a dare,
tratto da lunga pratica analitica, qualche ulteriore spunto di riflessione. Chi
subisce un attacco di panico auspica soltanto che non si ripeta, vuole tornare
al più presto alla normalità, al consueto, anche se si sente molto segnato da
un'esperienza così estrema, anzi continuamente si sente in apprensione, sul chi
va là per la possibile ripetizione dell'attacco, eventualità tutt’altro che
rara. In realtà all'attacco di panico non vuole dare retta, non ha come primo
interesse quello di capire cosa significhi, a che scopo si sia prodotta dentro
di sè una simile esperienza. Il fatto che abbia avuto un carattere così
sconvolgente, che abbia investito il corpo in modo così forte e significativo,
favorisce l'idea che sia stato un guasto, un evento anomalo assai temibile, una
pericolosa minaccia da scongiurare e da debellare. Dopo l'attacco o i ripetuti
attacchi le indagini cercate con insistenza sul terreno medico, con esami
clinici innumerevoli, con visite specialistiche varie, con test diagnostici
ripetuti, alla ricerca di disfunzioni e di patologie possibili nel corpo,
vorrebbero da un lato scongiurare l'esistenza di gravi problemi organici e
dall'altro soddisfare l'attesa di scovare cause ben definite e circoscrivibili,
utili per riuscire a ridurre a problema fisico e a dominare in qualche modo, a
porre sotto controllo un'esperienza così inquietante e misteriosa. La
lontananza perdurante, anche se poco o nulla riconosciuta, ancora meno
considerata questione importante, dal proprio intimo e l'incomprensione
abituale della propria esperienza interiore, non aiutano certo chi lo vive a intendere
l'attacco di panico non come espressione di un disordine e di una anomalia,
come potrebbe apparire, ma come esperienza significativa, non nefasta e capace
solo di fare danno, ma propositiva e con un senso e una finalità utile nelle
intenzioni del profondo che la scatena. Va subito detto che chi subisce
l’attacco di panico ha di se stesso l’immagine di un individuo sostanzialmente,
per ciò che più vale e su cui far conto, definito nei confini della sua parte
cosiddetta conscia, pensando il resto che vive, che sperimenta dentro se stesso
di emozioni e di stati d’animo, di sensazioni e di pulsioni come un corteo di
svolgimenti interni, visti in gran parte come risposta automatica e reattiva a
stimoli e a circostanze esterne, considerato nell’insieme come una sorta di
realtà inferiore, fatta di meccanismi, di espressioni involontarie che vanno
possibilmente regolate e tenute a bada, della cui intelligenza e validità come
guida di pensiero e di conoscenza non c’è idea e considerazione. Anzi,
assecondando l’idea comune, facendo rientrare il sentire e l’esperienza intima
nelle espressioni cosiddette irrazionali, assegna loro il limite della scarsa o
nulla affidabilità. Dunque che ci sia nell'intimo, fuori dai confini della
propria parte conscia razionale, una parte del proprio essere, niente
affatto irrilevante, anzi decisiva, che ha capacità di offrire, come fa
continuamente nel corso dell'esperienza, attraverso il sentire e tutti gli
svolgimenti interiori, stimoli e proposte su cui (imparando a ascoltare
e a intendere il linguaggio della propria interiorità, del proprio sentire,
anzichè avere presunzione e impazienza di dargli spiegazioni e soluzioni,
anzichè parlargli sopra e bistrattarlo con i ragionamenti) si può fare conto,
cui non si può rinunciare per ritrovarsi, per avere terreno valido e
fecondo per orientarsi, per capirsi, è scoperta di là da venire. Accade
così che se qualcosa dentro di sé fa la voce grossa e ricorre alle maniere
forti per far sì che si porti l'attenzione e la preoccupazione su di sé e sul
proprio stato, non lo stato fisico, ma ben altro attinente il proprio modo di
procedere e la sostanza di ciò che si sta facendo di se stessi, questo non
venga inteso, che invece si pensi solo a un meccanismo in avaria, a qualcosa di
rotto, di anomalo, di cui diffidare, da cui cercare di proteggersi, che ci si
convince rapidamente arrecare solo danni. Il grosso turbamento, le limitazioni
imposte al quieto procedere, all’andare fuori, all’intrattenere le solite
attività di relazione con l’esterno, con gli altri, preoccupa, angustia, sono
il motivo di preoccupazione principale, unito alla nube oscura di disagio e di
paura crescente nello stare in contatto con se stessi. Chi subisce
l'attacco di panico tende abitualmente, come già accennavo, per orientarsi e
per capire a affidarsi a altro che non siano i suoi vissuti, le sue sensazioni
vere, a accontentarsi di ipotesi e di tesi costruite col ragionamento, in
apparenza coerenti e verosimili, a cercare sponda in idee e comportamenti
comuni, vuoi aderendo e conformandosi ad essi, vuoi provando a differenziarsi,
trovando comunque sempre supporto, anche se in contrapposizione, in altro da sè
già concepito, cercando confronto e intesa con altri piuttosto che con se
stesso, con la propria interiorità. Si muove seguendo un'idea di vita e di
autorealizzazione date per acquisite, prese comunque da fuori e non cercate e
maturate dentro se stesso. Segue e asseconda più l'interesse e l'istanza di
stare al passo con altri, di tenere a bada e di rendersi favorevole lo sguardo
altrui, che di cercare il proprio, di non perdere terreno piuttosto che di
fermarsi a capire, ascoltando e coinvolgendo tutto il proprio essere. Non mette
al primo posto, non concepisce come essenziali e necessarie, né la vicinanza e
l'intesa con se stesso, con la parte intima, profonda di sé, niente affatto
riconosciuta come presenza e parte viva e affidabile di se stesso, né di
conseguenza la ricerca del proprio sguardo fondato sull'ascolto e sulla
comprensione attenta del proprio sentire. Chi subisce l'attacco di panico crede
che basti ciò che racconta a se stesso di sapere di sé e della propria vita, in
apparenza credibile e pertinente, in realtà più raffazzonato e fatto di
supposizioni che compreso in profondità e con rispondenza piena con ciò che
sente, che vive dentro se stesso. Non per tutto il suo essere però conta e
basta ciò che l'individuo vuole continuare a illudersi di sapere, ciò che
continua imperterrito a inseguire, a fare, a ripetersi in testa. Per una parte
di se stesso, quella intima e profonda, questa maschera di sapere e questa
parvenza di vita propria, altra e lontana da ciò che di vero potrebbe conoscere
e da ciò che potrebbe far nascere da sè, non è certo un bene da difendere a
denti stretti. Per il profondo è rilevante e inaccettabile la condizione di
lontananza dell'individuo da se stesso, di separazione e di sconnessione dal
proprio intimo, di rinuncia a cercare risposte vere e fondate su di sé, a
conoscere prima e a far vivere poi il proprio. Insomma, proseguire come d'abitudine
ritenendolo sufficiente e normale è una cosa, capire e vedere nitidamente come
si sta procedendo, cosa c'è o non c'è di proprio, di scoperto e generato da sé
in ciò che si fa, verificare cosa realmente si conosce di se stessi, cosa si
sta facendo della propria vita, è un'altra. Individui giovani, che non di
rado, come dicevo all'inizio, patiscono attacchi di panico, hanno il problema
di quanto sono equipaggiati o meno di consapevolezza e di sguardo proprio, di
comprensione di ciò che vogliono tradurre e realizzare nel loro futuro. Il
rischio, privi ancora di capacità di incontro e di dialogo con la loro
interiorità, facendo leva per capire, per capirsi solo sul ragionamento, che
lavorando da solo, senza stretto legame e guida del sentire, non dà capacità di
vedere dentro sé, ma solo di ripetere e di rimasticare il già detto e
comunemente concepito, è di farsi portare e di andar dietro a guide esterne, di
uniformarsi a idee e a modelli prevalenti. Il rischio, ignari di ciò che da se
stessi potrebbero trarre e far vivere di originale e di sentito, digiuni di
conoscenza propria, fondata e vera, è di mal intendere e di fallire gli scopi
della loro vita, pur con l'illusione di essere attivi e autonomi nel formare e
nel governare le loro idee e scelte. E' un rischio di non trascurabile
importanza, è un rischio non certo trascurato dal loro profondo. Perciò il loro
inconscio interviene, interferisce, dando segnali forti, perentori, capaci di
bloccare e di rendere insostenibile l’abituale corso e modo di procedere che
punta tutto all’esterno, segnali che, per la loro potenza e invasività, non
vogliono essere assolutamente ignorati e messi da parte. Nulla di ciò che
accade interiormente avviene per caso. In presenza di malessere interiore,
seppure nella forma drammatica e sconquassante degli attacchi di panico,
leggere e spiegare tutto in termini di disturbo, di anomalia di funzionamento,
di meccanica conseguenza di sovraccarico di tensione da cause esterne aiuta
solo a non capire nulla, a stravolgere il senso delle cose. Cercare e ricevere
come aiuto sul piano psicologico quello di attrezzarsi nella difesa dalla paura
montante fino al panico e perseguire come scopo il superamento dell’attacco o
degli attacchi per tornare, come fosse il traguardo più ovvio e desiderabile,
allo stato solito e al consueto modo di procedere, significa non intendere il
significato e la finalità di ciò che drammaticamente è accaduto, che peraltro
spesso ha un seguito e che lascia una scia che non si dissolve. Dentro di noi
c'è una parte profonda, ben più interessata, piuttosto che alla difesa e alla
prosecuzione dell'abituale, a cosa di noi stessi stiamo e sapremo realizzare o
meno, a quanto siamo vicini e coerenti con noi stessi, a quanto di idee nostre
abbiamo coltivato e generato davvero e non semplicemente finto di possedere, in
realtà ripetendo modi e atteggiamenti, risposte e valori comuni. Se l'attacco
di panico alimenta in modo improvviso e impetuoso l'allarme sulla prosecuzione
della vita, del regolare battito cardiaco, del respiro, se catapulta nella
paura di ciò che imprevedibile potrebbe accadere, è per far capire che non c'è
solidarietà interna, della propria parte profonda verso l'andare avanti nel
solito modo, è per fare toccare con mano lo stato di non unità con se stessi.
L'attacco di panico non è una sciagura o una patologia da vincere, è un
potentissimo richiamo da ascoltare e da capire, da prendere sul serio per il
proprio vero bene.