mercoledì 11 giugno 2025

Un buon rapporto con se stessi

E' difficile parlare di un buono o di un cattivo rapporto con se stessi quando non si ha una visione chiara di cosa sia, di cosa sia implicato in questo rapporto. In genere si ha una visione di se stessi che ha come fulcro e centro la parte cosiddetta conscia, che fa leva su pensiero ragionato e volontà. Non sfugge la presenza nell'esperienza che si fa di se stessi di emozioni, di pulsioni, di stati d'animo, di moti del sentire, ma li si considera contributi accessori da tenere in conto con riserva, a volte visti con compiacimento, quando sembrano confermare e esaltare ciò che si gradisce ottenere, pensare e mostrare di sè, altre volte trattati con un certo imbarazzo se non rivelano di sè ciò che si predilige o che si considera adeguato e lusinghiero, fino a provare fastidio e disappunto quando minacciano di guastare la propria reputazione, quando sembrano fare soltanto da ostacolo e impedire la riuscita che si vorrebbe. C'è poi chi si considera più vicino e permeabile alle emozioni, agli stati d'animo, c'è chi si fa vanto di doti di sensibiltà, non senza il rischio di incorrere in qualche forzatura pur di ottenere una resa che in alcuni contesti pare offrire consenso e benevolenza altrui, anche ammirazione. C'è viceversa chi si fa vanto di non lasciarsi trascinare dalle emozioni, di saper esercitare un controllo, particolarmente quando si tratti di paure, di esitazioni, di impacci, di stati di tensione e di ansietà, tutte condizioni considerate segno di inadeguatezza, di insufficienza. La parte interiore è comunque un'incognita, la vera incognita che vive, che abita dentro se stessi. Il resto è oggetto di sforzi di pianificazione, di organizzazione, la componente interna del sentire è l'elemento, la variabile che non sottosta ai programmi. Non mancano di certo i tentativi di disciplinarla, di addestrarla, perchè non comprometta, perchè anzi faccia da supporto e leva per la riuscita che si vuole ottenere. E' poi diffusa l'idea che uno stato smosso del sentire, che una condizione interiore di tensione, di inquietudine, di cosiddetto stress, possa guastare oltre che l’efficienza e la buona prestazione nel produrre pensieri e azioni, lo stato di benessere corporeo. Insomma questa parte di sé, poco o nulla disciplinabile e programmabile, rappresenta il fuori programma da tenere a bada. Cosa questa parte viva di se stessi sia e cosa voglia dire e portare nella propria esperienza è questione che non assume rilevanza,  non la assume la necessità di attenta comprensione, in genere ciò che si sente, ammesso che ci si badi, lo si spiega velocemente, ben aderendo a idee e a stereotipi correnti, ciò che invece conta è gestire questa parte di se stessi, che è scontato non abbia parte decisiva nella formazione del proprio pensiero, nella definizione degli obiettivi da perseguire, che semmai deve evitare di procurare difficoltà, di mettere in campo ostacoli o intralci. Il buon rapporto con se stessi prende dunque spesso la forma della concorde intesa e conferma di ciò che nella parte conscia si considera valido e desiderabile ottenere, col compiacimento nel registrare una sorta di tacito assenso, di silenzio della componente interna. Sono non di rado stati di breve durata, spesso con solo apparente consenso e solidarietà interna, perchè la componente intima e profonda difficilmente si adegua e tace, avendo dalla sua la capacità e l'intento di dare stimoli e richiami, di porre in primo piano esigenze di chiarimento sul conto dell'esperienza e dei modi di condurla, dei risultati perseguiti, di verifica, di spinta e pungolo alla ricerca del vero. Se il buon rapporto con se stessi fosse veramente tale si fonderebbe su apertura e confronto rispettoso e sincero, approfondito e senza riserve con questa parte di sè intima e profonda. Diversamente il buon rapporto voluto o enfatizzato ha sottintesa una pretesa di acquiescenza, di sudditanza di una parte di sè abitualmente tenuta in disparte e marginalizzata, per smorzarne i toni, quando scomodi, comunque subordinata a preteso vaglio e giudizio, a egemonia del controllore conscio. Buon rapporto allora si fa per dire, come in dittatura può essere buon rapporto quello del docile asservimento e dell'ordine che tutto copre. Nel caso dell'individuo è per fortuna garantita la non sottomissione e la non acquiescenza della parte profonda, che non smette mai di mettere in campo la sua autonomia di iniziativa e la sua libertà di pensiero.

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