Non sono mai casuali le espressioni del malessere interiore. Non sono mai il segno di un guasto, di un anomalo modo di sentire, non sono espressioni di patologia come si dà per scontato. Sono sempre esperienze interiori significative e capaci di svelare nodi decisivi, verità essenziali. Vediamo qualche esempio. Il senso di vuoto, la perdita di interesse per tutto, il senso di oppressione di una vita che ormai non dà spazio se non a un senso di impotenza e di inadeguatezza, la paralisi crescente dell'esistenza nella fissità del dolore, dello sconforto, la visione di sè come inutile presenza e senza valore, tutto ciò che fa sentenziare depressione, è deragliamento nella patologia o dice e svela, vuole svelare e dire? Calato il sipario, spente le luci della scena (e chi se non l'inconscio ha l'ardire di provocare tutto questo?) cos'altro c'è interiormente, cos'altro resiste autonomamente, al di là del beneficio dell'applauso, della considerazione altrui e della loro convalida, che sappia tenere su l'illusione di una costruzione che si presumeva salda, ma in realtà fasulla, rimediata e costruita a arte su misura e forma dei gusti e del benvolere altrui? Arriva il momento della verifica senza sconti, senza trucchi e senza inganni, senza falsa persuasione e iniezioni a salve di credo e di fiducia, mai oggetto di verifica, tenute in piedi e confortate solo da assenso di mentalità comune. Una vita in appoggio a altro e riempita di legami e di dedizione a questo e a quello per averne il ritorno di non patire solitudine e senso di vuoto, di incassare un senso di utilità che si avvale di qualche legame dipendente, può arrivare a mettersi, a essere messa da volontà profonda, allo specchio per vedere non già la validità degli appigli e dei presunti contenuti di valore presi in prestito, ma la sostanza di un nulla sinora tratto e generato da sè. Patologia quella che emerge o impietosa e, se ben compresa, prima base di verità da cui partire per invertire la rotta, per disporsi finalmente a costruire da sè qualcosa che abbia fondamento proprio e senso? Se volgiamo lo sguardo a un'altra possibile espressione del malessere interiore in cui la morsa del controllo ossessivo, della tenuta in ordine precisa e senza sgarro, del tenere a bada e scongiurare esiti temibili e sciagurati, sono ferrei imperativi, possiamo non vedere che una simile piega non è certo incoerente con un'impostazione di vita in cui tutto deve girare in efficienza e il dentro non deve fare scherzi, avere l'obbligo di assecondare, di non procurare sorprese? Cosa rivela dunque questa esasperata e minuziosa ingegneria del controllo? In una forma estrema, persino grottesca, possiamo vedere l'isolamento e la prepotenza della macchina razionale, a cui, confidando tanto nella sua capacità e affidabilità, è stato dato il compito di guidare l'esistenza, testa razionale che non sa ascoltare, che non vuole se non darsi conferme, che con rigore matematico combina i pensieri sulla base e nelle guide del pensato comune e dei significati già ben codificati, che per ciò che concerne il rapporto col sentire, con emozioni e spinte interiori, lo concepisce solo come scarico immediato, come sfogo, che perciò si industria con ogni mezzo per tenerlo sotto sequestro e presa stretta per non rischiare di finire male, nel disordine. E che dire dell'ansietà che serpeggia, che a tratti ingrossa, che non dà più tregua, che persino erompe fragorosamente negli attacchi di panico? Se c'è uno scricchiolio nella costruzione abnorme di una vita, di un modo di concepirne e di tradurne la realizzazione, che, in ossequio a altro che, preso da fuori, ha fatto e fa da modello e guida, non rispetta e non rispecchia ciò che da sè, lavorando su di sè, potrebbe essere compreso, generato e fatto vivere, se questo scricchiolio con segnale di pericolo per ciò che comporta deviare da se stessi, non far vivere l'autentico di sè sostituendolo, come si sta facendo con perseveranza con altro improprio e alieno, insiste e non dà tregua e non concede quiete, se fragorosamente l'attacco di panico segnala la dissociazione e la lontananza dalla vita intima, dalla stesse basi biologiche del proprio essere, del cuore e del respiro, che potrebbero non essere più certe, negarsi persino, minacciare di non dare più passivo seguito e sostegno vitale, come si dava per scontato, a ciò che profondamente non è riconosciuto come genuino e autentico, possiamo pensare che tutti questi segnali siano abnormi e malati, privi di significato e di scopo? Nel malessere, nelle sue espressioni non c'è patologia e devianza, bensì forza di verità che vuole emergere, forza ben orientata da una parte profonda che, a differenza della parte conscia, che preferisce ignorare e darsi tesi di comodo, sa e vuole porre in primo piano il vero, che non accetta di lasciare libero corso a modi di procedere e a piani di realizzazione di se stessi che non hanno fondamento e senso.
domenica 29 dicembre 2024
mercoledì 25 dicembre 2024
Disparità di intenti
La visione comune concepisce l'essere umano come a un'unica dimensione. E' una concezione in cui è considerata egemone la parte conscia e in cui il resto dell'individuo, fatto di emozioni, di vissuti, di spinte e di corsi interiori, è visto come parte in subordine da gestire con la volontà e da spiegare col ragionamento. Quando non ci si chiude in questa concezione e si sa aprire alla conoscenza dell'individuo fondata su verifica attenta e su analisi dell'esperienza, su ascolto senza preconcetti dell'interiorità, si scopre ben altro circa la vera natura dell'essere umano, non appiattito in un'unica dimensione. Si scopre che nell'individuo, fatto di parte conscia e di parte intima e profonda, quest'ultima, se la si sa ascoltare, è parte viva del proprio essere tutt'altro che inferiore e di peso marginale. Solitamente la si considera capace solo di risposte automatiche e, in quanto "irrazionale", la si giudica sostanzialmente inaffidabile sul piano del pensiero e della capacità propositiva. Si scopre, conoscendo l'essere umano senza barriere e filtri di preconcetti, ma per verifica onesta e attenta, quanto le due parti, conscia e inconscia, siano diverse per intelligenza e per progettualità. Posso parlarne perchè da oltre quarant'anni mi dedico alla ricerca interiore e all'ascolto dell'inconscio nei vissuti, nelle espressioni del sentire, che l'inconscio dirige e plasma e particolarmente nei sogni. Contrariamente a ciò che si pensa, che sia la parte primitiva e la meno evoluta rispetto alla capacità e a quanto di valido e di evoluto garantirebbe la parte conscia avvalendosi dello strumento del pensiero razionale, l'inconscio, quando lo si sa avvicinare e comprendere in tutte le sue originali espressioni e qualità, si rivela essere la più progredita, affidabile e valida fonte di pensiero e la guida irrinunciabile per recuperare autonomia di sguardo e di progetto. Per stare dentro e al seguito di ciò che è già concepito lo strumento razionale è efficace e sa garantire soluzioni di adattamento, sia nel verso del più disciplinato conformismo, che della contrapposizione e delle scelte cosiddette alternative, comunque sempre gravitando attorno e in appoggio a ciò che è consolidato. La modalità di pensiero conscio nelle sue più variegate produzioni, non interroga ciò che fa, non ne cerca le premesse e i vincoli, spesso opera per rendere stabile e coerente il suo operato, proteggendolo da scoperte di verità che lo metterebbero in crisi. Non vede oltre il proprio naso. Ciò di cui invece è capace la parte profonda è di saper vedere su quali basi e dentro quali limiti e vincoli opera la parte conscia, che ad esempio nelle sue pensate si attribuisce capacità di comprensione e di elaborazione autonoma dove invece va al traino, dove assume per compreso ciò che le è consegnato come assodato, spiegato e valido, che nei suoi propositi e aspirazioni si appella, pur senza dirselo con chiarezza, a ciò che è comunemente considerato desiderabile e carico di valore, che dunque fa conto sulla convalida e sull'apprezzamento comune nell'ambire ai suoi traguardi che vorrebbe di genitura propria. Il vincolo di dipendenza, il fare conto, l'appoggiarsi, il muoversi dentro coordinate e guide comuni, casomai cercando di dare spallate e di essere trasgressivi o contro corrente, è la verità di cui si rimane volentieri ignari, che viceversa l'inconscio non ignora e che dunque cerca di far emergere. Lo fa con acume straordinario e con genialità e ricchezza di chiarimenti nei sogni, che mettono di continuo allo specchio se stessi per aprire gli occhi sulla verità della propria condizione. I simboli dei sogni, sempre originali e di fattura artigianale, unici e su misura e validi per il soggetto, non replicati dall'inconscio in serie come si ama credere, quando, per pigrizia e comodo, si pensa che questo simbolo significhi invariabilmente questo, quell'altro idem, come se l'inconscio pensasse alla maniera della testa razionale, che comunque ricombina sempre gli stessi pezzi di un pensato già codificato e pronto, i simboli dei sogni, frutto di attività creativa, creature di una gestazione ben matura, non certo di una produzione improvvisata, hanno capacità di far emergere e di dare luce a ciò che nella pratica, nel pensato e nella prospettiva della parte conscia è opaco, è fuori dal suo campo visivo, lontano dai suoi interessi, abituata com'è a farsi bastare elaborazioni a buon mercato e a cercare, più che verità, conferme pur di tirare avanti indisturbata. Due modi di procedere, due stili, due passioni ben diverse quelle della parte conscia e di quella inconscia, che ironia della sorte nella realtà hanno dalla loro proprio la qualità opposta a quella della loro dicitura. La parte conscia è spesso conscia di un bel tubo o meglio si culla dentro l'illusione di sapere quando di se stessa non vede proprio nulla che non sia ciò che ama credere e che le dà conforto, finendo per essere matrice di inconsapevolezza. La parte inconscia è più che sveglia e della ricerca del vero e della passione di renderlo tangibile è portatrice saggia e tenace, della consapevolezza è incessante promotrice. Come cambiano le cose quando le si va a scoprire senza pregiudizio!
martedì 24 dicembre 2024
Le ombre del passato
Si dice spesso che le ombre del passato oscurano il
presente, che lo rendono difficile, compromettendo il proprio stato interiore
con disagi e pene non sopite. Il proprio passato può aver lasciato sospese
molte cose in realtà. Anche se il sentire di oggi non è, come si ama credere e
far credere, eco e conseguenza di accidenti passati, di esperienze dolorose,
responsabili della persistenza di risposte interiori anomale e di una scia di
malessere nel presente, è vero che ciò che nel proprio passato non si è portato
a consapevolezza ha lasciato intatti nodi e questioni, che oggi si
ripropongono. Non c'è da vittimizzarsi, da considerarsi dentro il proprio
disagio come parte lesa, oggetto di torti, di influenze negative, di
inadempienze altrui, di traumi patiti. C'è viceversa da considerare quanto per
proprie scelte, per propri modi di procedere, che hanno privilegiato la
rincorsa e l'adeguamento a modelli e a modalità comuni e prevalenti, non
accompagnati o non seguiti da impegno riflessivo, da ricerca di senso e di
verità senza veli, hanno contribuito a rendere sterile e infruttuosa la propria
esperienza, non resa occasione di presa di coscienza, ma manipolata con spiegazioni e lavorio, più
o meno tanto, del ragionamento, affinché non desse incomodo, l'incomodo della
verità, rimasta in ombra. Ecco le ombre che non danno quiete e agio, che
chiedono di essere finalmente rischiarate, che mettono in conto oggi al proprio
presente un lavoro da fare finalmente per non essere ignari di se stessi e per
non procedere oltre in uno stato di inconsapevolezza, di inautenticità per
omogeneità e privilegio dell'accordo con gli altri e con l'esterno rispetto
alla vicinanza e all'intesa col proprio intimo e profondo. Nulla del passato
pesa di più del mancato lavoro su se stessi, della fuga dall'intimo, dal
sentire che da sempre dice, nulla pesa di più della mancata unità dialogica con
la propria interiorità, che da sempre non tace, che interroga, che coinvolge
dando nel vivo le basi per incontrare il vero di se stessi, nulla pesa di più
del costruire pensieri e idee che, confezionate a mezz'aria e nell'orbita delle
attribuzioni di significato prese in prestito e preconcette, valgono solo a
tappare le falle, a confermare quanto si ama e fa comodo credere di se stessi e
a rinsaldare la continuità di un procedere senza verifiche attente e
approfondite, sincere e senza trucchi. Pensare che il disagio che si fa sentire
nel presente sia la conseguenza di qualche torto o pecca o infortunio patito e
messo in conto a altro e a altri, genitori e simili, è una grossa ingenuità, è
soprattutto una risposta di comodo e confermativa della volontà di proseguire
senza aprire riflessione su di sè, è volontà di essere lasciati in pace, è
richiesta impudica di essere risarciti piuttosto che ben più degna, onesta e
matura ammissione di essere in debito con se stessi. Debito di ricerca di
verità e di lavoro serio su se stessi per una crescita vera e non d'immagine e
fasulla. La proposta del sentire in qualsiasi forma si presenti, anche se ardua
o dolorosa, non è mai automatica e passiva conseguenza di questo o di
quell’altro che agiscono o hanno agito da fuori, è sempre richiamo intelligente
esercitato dalla propria interiorità, che
definisce dentro e attraverso il
sentire il terreno vivo su cui ritrovarsi, su cui interrogarsi, su cui lavorare
momento dopo momento. Il sentire di oggi, anche nella sua forma sofferta e
disagevole, non è un’anomalia che trae origine da qualche distorsione o guasto
che si è prodotto nel passato, è viceversa spunto e richiamo che ha forza e
capacità, se ascoltato e ben inteso, di promuovere nel presente una presa di
coscienza decisiva, un punto di partenza per capire se stessi e il proprio
stato. Le tesi che fanno del sentire, quando difficile e sofferto,
un’alterazione, un guasto risultato e conseguenza di una causa passata, non
riconoscono il carattere, la natura propositiva, carica di sottile e matura
intelligenza, dell’esperienza interiore di cui il profondo è ispiratore e
regolatore. Si continua a concentrare tutte le attese e le pretese di capacità
e di affidabilità sulla parte conscia, considerando il resto una appendice meno
evoluta, registro passivo di esperienze vissute, luogo di scarico di tensioni e
di patimenti, motore di reazioni elementari che non sottostanno alle regole del
discernimento, per presunta mancanza da parte della componente interiore e
profonda dei requisiti di intelligenza e di affidabilità pregiudizialmente e
assai generosamente riservati e riconosciuti alla parte conscia. L’esperienza
analitica, quando ben fatta, consente di scoprire quanto valga davvero, per
prova provata e non per pregiudizio, l’iniziativa e la proposta del profondo.
L’inconscio dà prova, ben ascoltato e compreso nel suo dire negli stati
d'animo, nel sentire che promuove e soprattutto nei sogni, autentici capolavori
di intelligenza e guide di ricerca impareggiabili, di essere la salvezza dal
rischio dell’inconsapevolezza, della traduzione in omologazione della propria
vita. L’inconscio si rivela essere promotore e leva insostituibile del recupero
a sé delle proprie vere ragioni d’esistenza, della capacità di pensiero
originalmente proprio, che non fa il verso a nulla di appreso e studiato, ma
che scaturisce da esercizio del proprio sguardo ben calato nell’esperienza, ben
orientato dai propri vissuti. Nulla interiormente accade senza un perché di
ricerca e uno scopo di crescita personale. Non ci sono ombre del passato che
non siano punti di ricerca toccati nel proprio cammino d’esperienza e
trascurati, sviati e non approfonditi, che comunque nell’oggi trovano occasione
di essere recuperati in un movimento di ricerca di verità, che è la ragione di
vita del profondo, che in questo movimento vuole contagiare e coinvolgere
l’intero essere. La sofferenza interiore, lungi dall'essere una patologia o
l'espressione di una distorsione e di un danno patito, segnala acutamente una necessità
inderogabile, insorge e persiste con uno scopo tutt'altro che nocivo, vuole e
può essere il punto di incontro di ognuno con la profondità del proprio essere
e da lì, in stretto legame con il proprio inconscio e con la sua guida,
essenziale e irrinunciabile, l’inizio di un percorso di rinascita, che nella
ricerca del vero ha il suo fulcro e il suo alimento, di una rinascita dal
profondo di se stessi.
domenica 22 dicembre 2024
La forza dell'inconscio
Si pensa abitualmente che il malessere interiore sia il segno dell'indebolimento, della compromissione della capacità di procedere normalmente e felicemente, minata da qualche oscura causa, da un anomalo stato interiore e psicologico. Si pensa che sia nel proprio interesse andare alla ricerca del rimedio, nel verso del contenimento della minacciosa e ritenuta insana e nociva disposizione interiore e del ristabilimento di uno stato ritenuto normale, si considera questa scelta come indiscutibilmente positiva e favorevole. Se è riconosciuta forza lo è in chiave negativa a una parte di sè che per qualche alterazione rispetto alla norma malauguratamente agirebbe contro se stessi, una sorta di patologica tendenza che non vuole cedere, che minaccia di guastare l'esistenza. Ancora in termini di forza si fa appello alla contrapposizione della forza di volontà e di resistenza come arma necessaria per combattere e per non cedere a ciò che interiormente è considerato solo nefasto. E' una lettura questa che sembra scontata, che non trova certo smentita, anzi che trova robusto sostegno nella stragrande maggioranza delle proposte curative, nella logica di cui sono portatrici, siano esse nella variante delle cure psicofarmacologiche che delle psicoterapie. Anche dove si ritenesse necessario e valido non limitarsi a contrastare i segni del malessere ma, attraverso una psicoterapia, indagare per capire, la ricerca muove infatti spesso e volentieri, seguendo una idea preconcetta di ciò che va cercato, nella direzione di rinvenire nella propria storia le cause, preferibilmente remote, di insufficienti apporti o di condizionamenti negativi da parte di figure genitoriali o significative, di accidenti negativi e di traumi psichici patiti, che avrebbero compromesso il sano evolvere della propria crescita, che avrebbero lasciato segni persistenti di un turbato equilibrio. Accade così che, assecondando l'idea preconcetta, non sia difficile trovare da qualche parte nella propria rivisitazione e ricostruzione biografica, ciò che dia conferma e soddisfazione a una simile attesa. La tesi vittimistica di un danno patito e la lettura del malessere come espressione di un turbato equilibrio non salvaguardato e a sè non garantito hanno così modo di trovare una sorta di quadratura. Che questo significhi entrare davvero in ascolto e in sintonia con la proposta interiore, con ciò che l'intimo profondo attraverso il malessere e la crisi vuole far intendere e con ciò che vuole promuovere di ricerca e di cambiamento, questa è tutt'altra storia. Non è un caso che dopo le presunte scoperte del perchè e dell'origine del malessere, il rapporto col proprio sentire rimanga più improntato a tenerlo a bada che a saper comunicare con questa parte viva di se stessi, che, inascoltata, non cessa di premere. Nessuno pensa o ben pochi che la crisi e la sofferenza che interiormente hanno preso piede non siano il segno di un'anomalia nel proprio stato interiore da più o meno remota causa nociva da indagare e da cui finalmente rendersi liberi prendendone coscienza o che le espressioni di disagio interiore siano il segno di un cattivo adattamento, di una scorretta o disfunzionale modalità di intendere e di reagire, che, per far riprendere al meglio, senza intralci e aggravi, la corsa solita, richiederebbero una correzione e un riaggiustamento, come predicano gli psicoterapeuti del cognitivo comportamentale, che si vorrebbero portatori della psicoterapia più scientificamente fondata e comprovata, ma che attraverso il malessere, da ascoltare senza preconcetti, l'interiorità ponga questioni di sostanza, che implicano e chiedono una verifica più radicale e profonda del personale modo di procedere e di stare in rapporto a se stessi, con la parte più intima di se stessi. Questa, di una necessaria e inderogabile verifica e approfondita è .la ragione e il richiamo forte del malessere interiore, come animato e reso acutamente vivo dal profondo, da quella parte di se stessi che non chiude gli occhi, che non cerca di assecondare la ricerca a testa bassa, inconsapevole delle sue ragioni e vincoli, dell'adattamento, del darci dentro nel procedere consueto come fosse ovvio. L'inconscio è la parte del proprio essere, della propria psiche, che attraverso i sogni e il sentire, regolando tutta quanta la vicenda interiore, dà segnali puntuali e intelligenti, a tratti anche dirompenti, di messa in esame e in discussione del proprio modo di impegnare la propria vita, spesso al seguito d'altro, che ne regola gli svolgimenti e gli scopi, incuranti, così lontani dal proprio intimo, di riconoscere e di coltivare le proprie autentiche potenzialità interiori. L'inconscio, non certo sconsideratamente, mette al primo posto la necessità della presa di consapevolezza del vero della propria condizione, passo necessario per riprendere libertà e capacità di formare e sviluppare, d'intesa col proprio profondo, la conoscenza, senza suggerimenti e guide esterne, di se stessi e dei significati veri della propria esperienza, la scoperta di ciò che vale e che vuole vivere di autenticamente proprio. L'inconscio spinge verso la conquista della propria autonomia vera e sostanziale, che non si riduca al saper fare da sè questo o quello, ma che sia capacità di prendere davvero in mano le guide e lo scopo della propria vita. Questa è la forza e non certo cieca, inaffidabile o distruttiva dell'inconscio, della parte del proprio essere tutt'altro che da considerare di peso marginale, tutt'altro che da ignorare e da escludere dalla propria vita. L'inconscio può trarre in salvo, può se ascoltato e compreso, se assecondato nelle sue proposte come portate avanti nei sogni e nel sentire che anima e dirige, alimentare, formare e dare una capacità di pensiero e una forza di animo e di passione, non piegate a dare buona prova, a mettersi in fila nel seguire ciò che è consueto e ben guidato da prassi e da mentalità comune e condivisa, ma finalizzate a costruire la propria autonoma visione e capacità di dirigersi nelle scelte della propria vita. Questa è forza vera, mutuata e sostenuta dal profondo, ben altro dalla forza di esibizione e di realizzazione della parte conscia a cui si è fondamentalmente affidati e dentro cui si sta arroccati, che ha sempre bisogno per declinarsi e per stare in piedi di guida e di convalida esterna, di conforto e di plauso presi da fuori.
venerdì 20 dicembre 2024
Paura di se stessi
A volte affiora appena, altre volte dilaga. E' la paura rivolta alla parte intima di se stessi, parte che resta per molti una sconosciuta, un mistero. L'intento abituale, che presto nel personale percorso di vita si afferma e che via via si rafforza, è di disciplinare questa parte intima di sè, di renderla docile e conforme alle aspettative di ordinato procedere, subordinandola all'esigenza di ben figurare, di ottenere buone prestazioni, di essere, quando si abbia voglia di vacanza e di liberatorio sfogo, leva e mezzo di appagante ristoro o godimento. Tutto meno che intendere che il proprio sentire e tutto il corso della propria vita interiore non sono un docile cagnolino da ammaestrare e da usare come si vorrebbe, ma ben altro di valido e capace, oltre che, nelle sue espressioni e nell'intelligenza che lo guida, autonomo dalle attese e pretese della parte conscia, perchè finalizzato a rendere visibile la verità e non ad assecondare la ricerca della prestazione e a darle manforte. Ciò che non trova rispettoso riconoscimento è la propria interiorità, parte essenziale e non certo marginale del proprio essere, parte viva di se stessi e non congegno o accessorio al traino. La mancanza di rapporto, di vicinanza e di familiarità di scambio, di capacità di ascolto e di dialogo con la propria interiorità non sono però motivo di interesse e di preoccupazione, non sono nodo o questione rilevante. Quel che nel tempo è diventato rilevante, ciò che conta è non essere fuori dai giochi e indietro nella competizione per dare prova, è non essere da meno degli altri. Il paragone con gli altri predomina sull'interesse di avvicinarsi a sè, di conoscersi, di capirsi apertamente e lealmente, senza mettere subito in campo pretese o pregiudizi. Il distacco da sè, il mancato sviluppo del rapporto con la propria interiorità, relegata e considerata solo parte subalterna da tenere a bada e da piegare alla logica e al predominio della parte conscia razionale, che si considera l'unica valida funzione cui affidarsi e di cui fidarsi, ha conseguenze rilevanti. Ciò che non si trae da se stessi, che non si coltiva e non si genera coinvolgendo la totalità del proprio essere, fatalmente lo si va a prendere, già confezionato, da un'altra parte, fuori. E' conseguente dunque la consegna a altro, che fuori è organizzato e che si propone come agenzia apposita e autorità specifica per darne soddisfazione, del compito e della capacità di essere fonte di conoscenza, guida sicura e alimento a pronto uso e consumo per ogni possibile esigenza e sviluppo di sè. Ciò che da sè potrebbe e dal profondo vorrebbe generarsi come pensiero e consapevolezza, come scoperta di significati e di valore, come alimento della propria crescita come individui e non come allievi e scolaretti più o meno meritevoli e distinti, è bloccato, chiuso. L'ipotesi di far conto su di sè, sul rapporto con la propria interiorità, per generare da sè pensiero e ciò che è fondamento necessario e alimento della propria realizzazione umana, è considerata velleitaria, non credibile, impossibile. Diventa allora possibile soltanto istruirsi e prendere da fuori guide e contenuti, argomenti e senso di realtà, una realtà intesa in assoluto come "la realtà", l'unica riconoscibile come tale, fatta coincidere con ciò che è rappresentato e concepito comunemente, che ha forma concreta e collaudata. Ci si cala allora, come attori in scena, nella parte che la sceneggiatura del pensato, della pratica e del senso comune consegna come ruolo da rivestire, da interpretare e replicare, cercando, a volte con qualche guizzo personale con la parvenza dell'originalità, abbracciando qualche controtendenza, di farlo comunque nel solco del copione, facendo in definitiva proprie le modalità e le scelte di vita prese e apprese da lì, facendosi istruire a dovere e guidare dal manuale del pensato comune e prevalente, che dice come intendere le capacità e la realizzazione personale, i modi e i tempi, le cadenze e le scadenze. A una determinata età spetta di fare questo per formarsi, quello per gioire e divertirsi, a un'altra si deve compiere il passo importante, sinonimo scontato di crescita e di maturità e via di questo passo, dentro un cammino regolato, ritmato da fuori, reso indice di normalità. Più che individui, che hanno necessità di trovare dentro sè e, facendo conto sulla totalità del proprio essere, nel dialogo interiore la propria fonte, le risposte che contano, il senso e le ragioni della propria vita, si diventa parte di un aggregato e lì dentro si cerca di affermare e di salvaguardare il proprio merito e di ottenere riconoscimento e sostegno nella considerazione altrui, nell'autorità esterna che di volta in volta sovrintende. Tutto senza vedere, senza riconoscere nitidamente questa condizione di dipendenza e di un procedere nella sostanza eterodiretto, con preoccupazione di non rompere l'intesa col giudizio comune e con l'autorità esterna, badando a ricavarne comunque sempre conferma, supporto e guida, cercando lì appoggio e sponda, anche quando si voglia andargli contro e fare gli alternativi, gli antagonisti o i ribelli. L'illusoria persuasione che in questa pappa dipendente ci sia invece espressione di volontà e di capacità propria ben si regge sul lavorio della parte razionale, pronta a sfornare pensiero, che applicato a se stessi, persuade di ciò che fa comodo attribuirsi, lavorio che si rivela superlativo nel mistificare, nel far credere ciò che non è, nell'occultare ciò che è. Ebbene in questa condizione e dentro questo modo di procedere, celebrati come normali, mantenuti e tutelati ad ogni costo, malgrado a tratti si sia avvertito un senso vago di mancanza di unità con se stessi e di mancato fondamento saldo nelle proprie scelte e modi di stare al mondo, la realtà personale vera che ha nel tempo preso piede è di una sostanziale distanza o dissociazione dal proprio intimo. Al proprio intimo nel tempo si è voluto assegnare la funzione di gregario o comunque di tacito assenso e sostegno. Al proprio intimo, se non assecondava questa pretesa, si è stati pronti a guardare con sospetto o in cagnesco, così come si è stati pronti a attribuirgli patente di incapace quando non si rendeva funzionale ai propositi che si sarebbero voluti realizzare, senza chiedersi mai il perchè di queste aspirazioni e propositi, spinti da cosa e a quale scopo. Se l'interiorità a un certo punto, per far sì che si faccia finalmente profonda verifica e chiarezza sul proprio stato, alza il tiro e fa la voce grossa, cosa non rara, ecco che dal sospetto e dalla diffidenza abituali, dal latente e onnipresente timore, che ha accompagnato tutto il cammino d'esperienza, che le cose intimamente non procedessero a dovere, che potessero tradire le aspettative e riservare brutte sorprese, ecco che, in presenza di crisi e di segnali forti di malessere interiore, agitati e messi in campo dalla propria parte profonda, la paura verso se stessi, verso l'intimo di se stessi, prende presto il predominio. A quel punto la prima reazione al malessere è spesso la fuga, il tentativo di allontanamento e di distrazione da quel sentire difficile e sofferto. Se con questo espediente, tra l'altro incoraggiato dal pensiero comune, non c'è modo di neutralizzare l'intimo, ecco il ricorso a mezzi più diretti e forti per farlo recedere, per zittirlo, camuffati da cura. Se non sono gli psicofarmaci a intervenire, scendono in campo, anche in combinazione con l'uso dei farmaci, i tentativi di trovare spiegazioni, casomai col supporto di una psicoterapia. Al seguito dell'idea che in ciò che interiormente accade ci sia un'anomalia e un disturbo, che malauguratamente affligge e con l'auspicio che in questo modo venga debellato, ci si dedica volentieri alla ricerca della presunta causa del malessere, causa cercata sempre altrove da sè in qualcosa che avrebbe arrecato danno, che come trauma patito avrebbe minato la sicurezza e l'intimo quieto vivere, che per responsabilità o colpa di qualcuno, genitori e non, non avrebbe dato il dovuto e necessario apporto per crescere serenamente e per stare bene, per non essere esposti al malessere che ha preso piede. L'intimo è visto come una piaga da sanare, come un meccanismo da raddrizzare e da regolare, ma, su queste basi, le solite consuete basi, con queste premesse, la paura è destinata a non sparire. D'ora in poi si imporrà la necessità di vigilare perchè l'intimo non torni a inquietare, a smuoversi, a preoccupare. Sulla difensiva e in regime di paura verso se stessi si penserà, dove il malessere persista o si ripresenti, di essere malati a rischio di cronicità, da tenere sotto vigilanza e cura, esseri sfortunati cui è negato il diritto di stare bene. La parte intima e profonda di se stessi, da cui ci si è abituati a tenersi lontani, che non è affatto un che di alieno e lontano, che è parte organica del proprio essere, da sempre presente nella propria esperienza, parte viva e attiva nel sentire, nei sogni, in tutto ciò che si svolge interiormente, preme, con più intensità dentro il malessere e la crisi, per far sì che si rivolga finalmente lo sguardo a se stessi e non all'agire, perchè ci si prenda davvero cura di sè, per capire lo stato del rapporto con se stessi e per riconoscere la necessità di un radicale cambiamento. In uno stato di abituale lontananza dal proprio intimo le distorsioni nel considerare ciò che sta accadendo dentro se stessi come una patologia da sanare o come l'esito malaugurato di cause e di responsabilità altrui e non come lo stimolo e il richiamo che la parte profonda di se stessi sta esercitando, finiranno però facilmente per avere il prevalere. La paura di se stessi rischierà così di diventare la norma dentro un modo dissociato dal proprio intimo di vivere e di viversi, mai riconosciuto come tale, rischierà, dopo la crisi o le crisi ripetute, non comprese nel loro significato e intento non di certo ostile o distruttivo, di prendere ancora più forza. La paura regnerà sovrana almeno fino a quando non si riconoscerà la necessità di un profondo cambiamento nel rapporto con se stessi, che metta prima di tutto al centro del proprio interesse, non il ripristino della normalità solita, ma la ricerca del vero.
domenica 1 dicembre 2024
A scuola dall'inconscio
E' convinzione comune che gli unici mezzi per consentire
e per nutrire conoscenza e crescita personale siano quelli messi a disposizione
dall'offerta culturale nelle sue svariate forme, che da se stessi nulla possa
prodursi di accettabile e degno che non sia comunque nel solco di insegnamenti
esterni. Si ignora la capacità che possiede il profondo di ognuno di
promuovere, di guidare a formare e a sviluppare conoscenza e vera crescita
personale assolutamente autonome e originali, oltre che di pregevolissima fattura.
L'esperienza analitica, quando ben intesa come il luogo dell'incontro e del
dialogo col proprio profondo, consente a chi la intraprenda di scoprire la
capacità che ha l'inconscio di generare conoscenza e di condurlo a traguardi di
consapevolezza e di crescita del tutto inattesi e inconcepibili prima
dell’inizio del suo percorso di analisi. L'idea comune è che dall'inconscio
possa solo venire la riproposizione di accadimenti personali, particolarmente
di quelli dolorosi o traumatici, di verità omesse o rimosse, che comunque la
struttura del discorso, il suo impianto logico e i codici di significato siano
quelli che la parte conscia ha imparato già a apprendere e a utilizzare. Ci si
aspetta che le scoperte possibili si iscrivano dentro un sapere già costituito,
che gli siano corrispondenti. Si pensa ad esempio che le scuole di pensiero
psicoanalitico, che i suoi maestri abbiano già chiarito e fissato verità che
ogni singola esperienza analitica non farebbe che in qualche modo confermare.
E' fatale che, se nel percorso analitico ci si avvale di schemi e di guide
interpretative prese da sapere dato e da insegnamento di scuole, ciò che si
andrà a scoprire non sarà che il risultato del rimbalzo nello sguardo di chi è
coinvolto nella ricerca di simili schemi, sguardo irrigidito, oscurato dal già pensato
e acquisito e incapace di cogliere altro, di dare fedele seguito alla proposta
originale dell'inconscio. E' un rischio non da poco e tutt'altro che
infrequente. L'inconscio è genesi di pensiero, il più attento e calzante la
conoscenza, unica e senza precedenti, di se stessi, il più evoluto e
penetrante. L’inconscio non è, come spesso si pensa, parte poco evoluta o
primitiva della psiche, non è parte segnata da automatismi o da risposte di
limitato respiro e orizzonte, da spinte volte a cercare soddisfacimento
immediato con incuranza per la complessità delle questioni e la realizzabilità
delle cose, dove invece, sempre secondo la persuasione dei più, la capacità di
cogliere il senso più ampio e di riconoscere la realtà e la realizzabilità
sarebbe prerogativa della parte conscia. Semmai è vero che la parte conscia è
abituata a stare dentro e nei confini di una visione data e conforme al pensato
comune e abituale, che pretende di definire come reale e realizzabile solo ciò
che è interno a quel modo imperante di pensare. L'inconscio è volontà e
capacità di disvelare il vero, di rendere riconoscibili, rompendo ogni
illusione e spiegazione di comodo, i vincoli, i veri motivi e le implicazioni
dei propri modi di procedere abituali. L'inconscio sa portare a vedere con i
propri occhi e alla radice, valendosi come guida e traccia viva del sentire,
che l’inconscio orienta e dirige, il perché e il significato autentico di ogni
propria espressione e movimento dentro l’esperienza, affrancando il pensiero
dal preconcetto, guidando lo sguardo a riconoscere il vero, correggendone la
tendenza a divergere e a ignorare ciò che risulta scomodo, smuovendo la parte
conscia dalla inerzia e dalla dipendenza dal pensiero scontato e preso in prestito.
La capacità di visione dell'inconscio circa le questioni e i nodi della propria
vita, circa ciò che va rimesso in discussione e circa ciò che originalmente
proprio va invece coltivato e fatto crescere, è straordinariamente più
affidabile, lungimirante e valida di qualsiasi idea e iniziativa che la parte
conscia possa mettere in campo, di qualsiasi spiegazione o guida desumibile,
che si possa prendere da insegnamento esterno. L'inconscio è maestro
autorevole. L’esperienza del sentire, di emozioni, di spinte e di stati
d’animo, che vivono e che si susseguono dentro ognuno, che, come dicevo, è
orientata e plasmata dall’inconscio, è terreno vivo e base sicura di scoperta
del vero, un terreno da cui il pensiero razionale è abituato a tenersi lontano
e su cui ha pretesa, senza disciplinarsi all’ascolto, di agire, confezionando
tesi e spiegazioni che finiscono per farlo rigirare su se stesso e sulle sue
convinzioni di comodo, per fargli ripetere e ricombinare stereotipi di
significato, presi da uso corrente. I sogni sono la migliore testimonianza
delle capacità, dell’affidabilità e dell’autorevolezza dell’inconscio. I sogni
sono capolavori di intelligenza, sono il riscatto della propria capacità di
pensiero, non istruito e conforme a nulla di comunemente inteso o da altri
concepito, sia pure da personaggio o da pensatore insigne. Il percorso
analitico, parlo di quello che conosco, che propongo e di cui faccio fare
esperienza da oltre quarant'anni, non poggia su nulla che non sia la guida di
ricerca e l'alimento del pensiero che viene dal profondo. Non c'è episodicità,
ma forte nesso e continuità tra i sogni, che, passo dopo passo, guidano il
percorso di conoscenza di sè e di trasformazione e crescita personale. A scuola
dal proprio inconscio è possibile sviluppare un pensiero dentro cui ci si
ritrova e di cui si riconoscono le radici e il senso, in cui pensato e sentito,
pensiero e interiormente vissuto, concordano pienamente, di cui si comprende
via via ogni passaggio. Niente a che vedere con l'apprendimento scolastico
convenzionale, con la conoscenza, comunque mutuata da letture e da studi, con
le costruzioni del pensiero razionale, che se anche paiono lineari e
formalmente coerenti, sono sempre debitrici di ipotesi, di chiavi
interpretative, di presupposti altri, costruzioni spiantate e improprie messe
sopra la propria esperienza. E’ una conoscenza, quella sostenuta e alimentata
dall’inconscio, tutta di produzione propria e originale, tutta farina del
proprio sacco, tutta compresa e verificata dal proprio sguardo, tutta fondata e
fedele a ciò che la propria esperienza rivela, dalla a alla zeta. Nulla di
ingenuo o di parziale, l'insegnamento dell'inconscio è di qualità eccellente.
L'inconscio non concede salti, è meticoloso nel portare a verifiche, nel
condurre a illuminare il campo della propria ricerca senza omissioni di comodo.
Il modo di procedere e di pensare abituali, di avere cura di se stessi, spinge
a trovare soluzioni, a cercare risposte e a avvalersi di spiegazioni, che
permettano di non perdere terreno rispetto alla corsa comune, di chiudere
presto il cerchio delle persuasioni, di mettere a propria disposizione formule
risolutive e che mettano a tacere dubbi, che riconfermino ciò che non si vuole
mettere in questione e sotto verifica. L'inconscio ha cura che nella ricerca di
verità non ci siano omissioni, che ciò che si porta a maturazione non abbia
lacune o false basi o equivoche, che comportino il rischio del ritorno al
solito modo di procedere e di pensare, che, rimettendo in primo piano guide e riferimenti
esterni, allontana da sè e dalla ricerca del vero, compromettendo il proprio
processo di crescita salda e autentica. L'inconscio è maestro esigente e perciò
affidabile come guida che non si lascia nè manipolare, nè persuadere a
compromessi, questo a rigorosa tutela del proprio bene, del proprio interesse
di realizzazione vera e non di facciata, di faccia da mostrare, di adeguatezza
da dimostrare. L'inconscio è il miglior maestro possibile e meravigliosamente
lo si può trovare dentro se stessi.