Gli eroi sportivi, che siano numeri uno, che vincano medaglie di metallo vario, che comunque competano in gare imprese di qualunque genere, messe sullo schermo o in prima pagina e osannate, sanno facilmente sedurre, cioè portare a sè quella voglia di riuscita, di conquista che, non costruita e coltivata da sè, finisce per passare loro per delega e mandato, appassionatamente. L'impresa non ha volto proprio riconoscibile e distinto, non è frutto di sviluppo e di crescita originali e proprie, ma poco importa, è come se, tifando l'eroe di giornata nella sua impresa, ci fosse l'esaltazione e il gaudio della conquista propria. Ma c'è di più che la fascinazione per l'impresa dell'eroe di turno rivela. Il successo del campione, che riscuote il plauso generale, che ottiene il trionfo celebrato, dà compimento a ciò che più ammalia. Quando non si ha esperienza e conoscenza di cosa significhi generare qualcosa tratto integralmente da sè, da un lavoro su se stessi, che messo al mondo ha il volto originale e unico di una creatura profondamente propria, di cosa sia la passione nel vederlo vivere e nel farlo crescere, non si conosce la gioia vera, che non è legata a nulla di spettacolare da ostentare, con cui stupire e soddisfare il gradimento del pubblico, degli altri. Ciò che si genera è meraviglia per i propri occhi nel vedere nascere da sè e vivere ciò che non è stato concepito per avere per destinazione il palcoscenico, per scopo la classifica, il podio, la medaglia con la celebrazione pubblica che commuove, che dà ebbrezza, che è conquista tutta alimentata e sostenuta da fuori. Se si conosce la vera gioia della creazione, si scopre che questa gioia non ha bisogno di pompa e di grancassa, di fama, di pubblica celebrazione e encomio, che ha in sè la sua forza e la sua ricchezza, che non c'entrano nulla col successo. La sua forza e la sua ricchezza sono legate all'aver sostenuto sviluppi e percorsi d'esperienza originali, all'aver assecondato aspirazioni riconosciute dentro di sè, in intesa e in accordo con il proprio intimo e profondo, come significative e importanti, altre da quelle già fissate e predisposte come valide e degne, dentro cui incanalarsi per misurare le proprie capacità e dare prova di bravura e di prestanza per riceverne approvazione e plauso. Ebbene gli eroi da stadio e da primato olimpico e di ogni altra specie, danno volto all'aspirazione massima di chi ha scambiato il desiderio di realizzazione col successo, di chi conosce solo la gioia venduta e da fuori alimentata, la gioia del pubblico riconoscimento, della fama, degli applausi, della riuscita nella corsa su corsie prestabilite dove dimostrare di non essere da meno di altri, dove cercare con ogni sforzo di primeggiare. Va solo aggiunto che qualcosa di analogo a ciò che è riservato ai campioni sportivi, della stessa pasta e matrice, accade che sia rivolto ai campioni che in ogni ambito e espressione, che sia quella cosiddetta artistica o culturale o di chi fa impresa che fa soldi o di chi fa carriera o arriva a rivestire una carica in una gerarchia pubblica o privata o nell'ambito politico, appaiano come gli eroi di quel successo, di quel modo di intendere la realizzazione personale che ha dalla sua il credito e l'ammirazione comune, la fama e le onorificenze. In ogni caso ci si beve tutto quando si è abituati a seguire in modo credulo e gregario, a farsi dire, a non portare a maturazione autonomia di pensiero e di scoperta originale di cosa sia la realizzazione scaturita e interamente formata e alimentata da sè.
domenica 18 agosto 2024
sabato 17 agosto 2024
L'originale e l'artefatto
Questa della natura originale o della costruzione artificiale del proprio modo di essere e di realizzarsi è la questione centrale da tenere presente se si vogliono capire le ragioni del malessere interiore, il significato di tutta quanta l'esperienza interiore e lo scopo della iniziativa dell'inconscio che per intero la plasma e la dirige. Solitamente si pensa che i disagi interiori abbiano origine da condizionamenti esterni sfavorevoli, che siano il prodotto ad esempio di traumi pregressi, di distorsioni o di carenze nella cura e nell'educazione ricevuta, in ogni caso si pensa che ci sia un difetto di funzionamento che si auspica di correggere, di sanare, perchè il corso della propria vita prenda una piega regolare. Ci si muove dentro l'idea che tutto debba procedere nell'unica direzione e senso conosciuto. In realtà la questione è ben altra e se non la si intende si rischia solo di spingere a senso unico, di insistere ciecamente perchè tutto proceda senza vedere come e su quali basi. Totalmente vincolati alla pretesa del regolare e efficiente funzionamento, non ci si dà la capacità di capire cosa sta accadendo quando il proprio profondo prende forte iniziativa e apre crisi e impegna in un corso si sensazioni e di esperienze interiori difficili e che non danno tregua. La questione della natura e della qualità del proprio modo di condursi, del proprio modo di pensare se stessi, di intendere la propria realizzazione è fondamentale. E' proprio lì che l'inconscio ha portato lo sguardo, è lì che prende posizione e cerca di intervenire per coinvolgere l'insieme dell'individuo per aprire gli occhi, per cominciare a assumere una diversa prospettiva. Occupiamoci dunque di questo nodo fondamentale, imprescindibile per comprendere il significato del malessere interiore e di ciò che vuole perseguire l'iniziativa del profondo. L'impianto naturale o viceversa l'innesto artificiale di una vita ne rendono profondamente diversi gli svolgimenti, gli sviluppi e gli esiti. Tenersi uniti alla propria matrice vera, al proprio intimo e profondo e da lì sperimentare cos'è scoprire, conoscere, orientarsi, procedere per guida interna, coltivare, far maturare e nascere, decidere e realizzare in unità e in accordo con la propria capacità di vedere e di comprendere è una cosa, affidarsi a altro per formarsi, che significa fatalmente uniformarsi a questa nuova matrice, per formare capacità di pensiero, per crescere e per dare compimento non più al proprio frutto e progetto, ma a un disegno, a una realizzazione già e diversamente da sè concepita, è tutt'altra storia e destino. Imboccata la strada del farsi portare e formare, ben istruiti e educati a credere che quella soltanto sia la via per dare crescita e realizzazione a se stessi, il senso dell'artefatto va via via smorzandosi fino al compimento di quella mutazione per cui, pur assumendo e riproducendo nello sguardo e nei pensieri altro da sè, ci si convince che lì dentro ci si è, si vede, si intende e si dice la propria, si dà espressione alla propria volontà, si mettono in luce le proprie capacità, si vive di propria sensibilità. E' il capolavoro della alienazione, di un processo di estraniazione da sè, di rinuncia a fondare su di sè, sul rapporto con la propria interiorità, col proprio sentire e con tutta la propria risorsa interiore, la formazione del proprio pensiero, di delega e di trasferimento a altro della funzione e della capacità di darne le basi, gli indirizzi, di garantirne la validità. E' un processo che mette in gioco mica poco, la rinuncia alla creazione e allo sviluppo della propria autonomia, prima di tutto di pensiero, di scoperta autonoma di significati e di capacità di concepire percorsi, finalità e scelte, guidandosi da sè, che non ha nulla a che fare con l'illusoria autonomia del dibattere e del prendere posizione su questo o quello con argomenti pro o contro, del mettere in atto questo o quello, in apparenza originali. E' il capolavoro dell'alienazione perchè è un processo del cui significato e delle cui implicazioni non si prende visione, di cui si eclissa la consapevolezza. Si eclissa nella parte conscia, ma non di certo nel proprio profondo, che, non per caso, consapevole del significato e della portata di ciò che accade, non cessa di dare segnali, di intervenire e di interferire. E' il matrix perfetto, che una volta avviato si auto alimenta, è il ritrovarsi non nel legame con la propria originale matrice, è il trovare (seconda) natura dentro un'altra matrice, dentro un altro stampo, fino a considerarla propria, fino a difenderla con le unghie e con i denti. Ci si ritrova così a difendere il valore di una vita dove si è riposto tutto, dove si vale per la buona prova offerta che trova apprezzamento, dove l'intelligenza prende la forma del sapere che ottiene abbraccio e lode, dove i sentimenti, i più graditi e voluti sono quelli che sanno di buono, che sono ben considerati, che nel catalogo sono i più virtuosi. L'accordo con altro che dà conferma e plauso sostituisce l'accordo con se stessi, con ciò che da dentro il proprio intimo e profondo sarebbe capace di dare indirizzo e alimento alla scoperta fatta con i propri occhi, alla comprensione dei significati non per suggerimento, ma per intima esperienza, verificata, toccata con mano, dove la passione, quella vera e secondo natura, non è di essere applauditi, ma di generare, di creare, di far vivere e realizzare qualcosa di autentico, di originale, fedele a sè, che origina da sè, dal legame con la propria matrice vera, con il proprio intimo e profondo. Fatta propria la seconda natura, quella assistita e tenuta in piedi da altro che la forma e sostiene, è fatale che si diffidi della propria, che non si dia credito alla possibilità che dal rapporto con se stessi, con la propria matrice autentica, con la propria interiorità, possa nascere ciò che conta e vale, che si sminuisca ciò che l'interiorità può dare, che lo si riduca, che le si voglia assegnare solo il ruolo di coda, di ombra, di seguito gregario. Cos'altro è riconosciuto al proprio sentire e a tutta la risorsa interiore se non di accodarsi e di accordarsi con le pretese della parte conscia ormai venduta, affiliata all'altra matrice, affittata al compito di sostenere e di riconoscersi soltanto nelle capacità realizzative impiantate nella matrice della mentalità, dei modi di concepire comuni e organizzati a cui ci si è rifatti per trovare tutto? Da se stessi, dal legame, dal rapporto con la propria interiorità ci si convince che non è pensabile che possa nascere e formarsi il fondamento e il necessario per essere individui pensanti in proprio, capaci di mettere la propria vita su guide e su impianto proprio, in modo valido e credibile. La seconda natura oscura e rende improbabile ogni alternativa, anzi è pronta a denigrarla, a screditarla dove si provasse a darle credito. La scelta di staccarsi dall'insieme per dare spazio e occasione all'incontro e al dialogo interiore, sempre ammesso che lo si sappia rispettare prima di tutto come ascolto dell'interiorità e non come monologo della parte conscia, se non hanno corso limitato nel verso del ricaricarsi e in tempi rapidi per ripartire nei modi consueti, sono visti e giudicati come segnali preoccupanti e insani di isolamento, di distacco dal reale, di vizio capitale di egoismo, di egocentrismo e chi più ne ha più ne metta. In ogni caso è considerato velleitario staccare dalla fonte esterna, dalla matrice che alimenta la seconda natura, spacciata per vera natura. La tesi dominante è che dal rapporto con se stessi, se preso sul serio, se investito di attese, non si può che trarre illusioni e ingenue persuasioni, non certo qualcosa di credibile, non certo il fondamento di una crescita autentica, forte e valida, di ampio e valido respiro e affidabilità. Se però si dà credito a ciò che è bollato come l'impossibile, se lo si coltiva, come accade dentro una valida esperienza analitica, si scopre che dal rapporto col proprio profondo, che rimettendo assieme, ritrovando le radici del proprio essere, ritrovando la vera autentica matrice, è possibile generare ben altro che la solita lezioncina, i soliti collaudati incastri di ragionamento a cui si è affidato l'esercizio del proprio pensiero, che gira e rigira tornano sempre all'ovile della visione della vita solita e già orchestrata e impartita. Può compiersi così e non certo magicamente e in un attimo, perchè è un vero parto con i suoi tempi di gestazione, la mutazione inversa, quella che riporta l'essere a trovare le sue vere radici, la sua capacità vitale, il suo respiro, la sua consapevolezza e capacità di visione, le sue originali qualità e potenzialità. E' una vera profonda trasformazione quella che si compie, stavolta per il verso giusto, del rientro a casa, al proprio da cui si rinasce con le proprie forme e sostanza, abbandonando via via, non senza difficoltà e contrasti interni (la seconda natura, con i suoi apparenti agi di aver già le risposte e le soluzioni pronte e apparecchiate, con la sua presa e capacità di inglobare in sè orgoglio personale e senso di riuscita, non ci sta facilmente a farsi mettere in discussione e da parte), quella parvenza di essere, artificialmente formata su altro impianto e matrice, cui ci si era consegnati. E' proprio la parte viva e profonda di se stessi, è proprio l'inconscio a pilotare, a alimentare, principalmente con i sogni, questo processo di trasformazione nel verso del ritorno a se stessi, del nuovo radicamento e della rinascita da se stessi. Dando spazio e credito al dialogo interiore, alla capacità che ha di far ritrovare il contatto e lo scambio vivo con la propria matrice autentica, con la propria interiorità, ciò che si può vedere nascere e formarsi è davvero unico e sorprendente. La natura, quella vera, sa dare il meglio, che è l'originale, l'autentico di sè che ha capacità vera e autonoma di vivere, di crescere e di dare frutto. La seconda natura, a cui ci si è aggrappati e legati come se non fosse tale, può solo produrre l'artefatto, che senza sostegno esterno di plauso e di conferma non può esistere e stare su, che altro non può fare che riprodurre ciò da cui artificialmente è scaturita.
sabato 10 agosto 2024
Basta un poco di zucchero e...
Basta il contentino della promessa di essere sollevati dal disagio interiore, che è voce della propria interiorità, mica una infezione da virus o un disordine da causa nociva o una patologia da insana predisposizione, per essere ben disposti a mandare giù uno o più farmaci, a sottoporsi a una cura psicologica che, analogamente al farmaco, cerchi di trattare e di "aggiustare" lo stato interiore, di indagare le presunte cause di un presunto guasto, con l'auspicio di liberarsi di una condizione interiore difficile e sofferta, vissuta come anomala e ostile, che comunque si vuole mettere a tacere, mettendo in realtà a tacere parte intima di sè che non si vuole e non si sa ascoltare. Tutto brillerà di più? In realtà la promessa di liberarsi del malessere interiore, è destinata assai spesso a rivelarsi fragile e illusoria, perchè la parte di sè intima e profonda, che ha mosso la crisi, che ha alimentato il disagio con uno scopo tutt'altro che insano o ostile, non è affatto docile e disposta, se inascoltata, se non compresa e condivisa nelle sue proposte, a farsi da parte, a rinunciare a farsi ancora avanti, pur rischiando nella sua iniziativa di essere ancora fraintesa e diagnosticata come una ricaduta di malattia. Va comunque precisato che ciò che ho definito come il contentino della promessa di liberarsi del disagio interiore non è certo considerato tale, gode viceversa di ampio e incondizionato credito, è considerato come il meglio desiderabile, dunque non come una banale gratificazione, ma come il bene massimo da procurare a se stessi, come lo scopo prioritario da perseguire, su cui non possono esserci dubbi. Questo è il frutto di una abituale lontananza dal proprio intimo, di un modo di condursi in cui la relazione con gli altri e con ciò che è presente al di fuori di sè è stata e è il fulcro dell'esistenza, da salvaguardare, in cui la relazione con se stessi, con la propria interiorità, è ipotesi più che remota, neanche concepita e di fatto sconosciuta, di scarso se non di nullo interesse. Il rapporto con se stessi, se così vogliamo chiamarlo, è inteso nell'unica accezione di trovare dentro di sè la leva della capacità di riuscita, di trarre da sè l'espressione da portare fuori capace di ottenere la migliore considerazione degli altri. Più cresce e è abituale il vincolo e il riferimento alla cosiddetta realtà, a quell'assoluto, "la realtà", cui rimanere ben adesi, con cui pare sempre fondamentale e necessario non perdere i contatti, che di fatto è l'insieme di abitudini e di pratiche comuni, di eventi e di temi messi all'ordine del giorno e da seguire, a cui rimanere intenti, di modelli, di risposte e di soluzioni predisposte, di canali messi a disposizione dal sistema organizzato per fare, per conoscere, per gioire e per svagarsi, per impegnarsi in cause nobili più o meno, per riceverne, se si dimostra su quelle basi di essere validi e prestanti, senso di conquista e fondamento di autostima, più si consolida questo vincolo dipendente e più contemporaneamente diventa ai propri occhi naturale, "normale" la propria condizione di gregari, che tengono il passo, che, illusi di dire la propria, di prendere iniziativa, assecondano e si accordano con altro che dirige, che regola e istruisce, facendo consumo di temi, di risorse, di opportunità, di guide e di pensieri messi a disposizione, gentilmente messi nel piatto da masticare bene e da mandare giù. L'effetto è di ignorare la possibilità, la necessità, la passione di essere individui veri e singolari e non esseri addomesticati e replicanti. L'effetto è di considerare assurda la pretesa, tutt'altro che assurda, ma profondamente umana, di alimentare da sè la conoscenza, di trarre da sè la scoperta autonoma di significati, lavorando su di sè, sulla propria esperienza, di non avere necessità vitale per conoscere di prendere istruzioni e supporti da fuori, ma di poter scoprire con i propri occhi, di poter generare conoscenza, in unità con la propria interiorità, raccogliendone i suggerimenti e le guide, di poter aprire percorsi e dare corso a sviluppi di realtà che non siano quello spettacolo messo in scena e quella pappa comune messa di continuo a disposizione. Generare è ben più impegnativo che consumare, che fare il verso a altro, che ragionare in accordo con altro già definito, che limitare le proprie aspirazioni a dare buona prova e prestazione in ciò che è ben considerato per ricevere plauso e apprezzamento. Generare, che è possibilità aperta a ognuno e non certo un'esclusiva dei cosiddetti "creativi" di professione, che non di rado, a parte l'etichetta e la fama, di creativo vero non hanno proprio nulla, è ben più appassionante che consumare, cambia il volto della propria vita e dona vera libertà. E' la libertà di seguire se stessi, che si fonda sulla capacità di veder le cose a modo proprio e di non farsi dettare e dire da qualche presunta o pretesa autorità cosa sia o non sia la cosa vera, l'idea giusta, il pensiero corretto, è la libertà di difendere e di far vivere ciò che da sè, in unità piena con se stessi, fino in fondo si è compreso, in cui davvero si crede e che si ama, senza il bisogno e l'interesse di chiedere a altri di concordare, di applaudire. Per tutto questo è fondamentale e irrinunciabile l'accordo e l'unità col proprio profondo, che è anima e guida validissima di questa ricerca di autonomia e libertà di pensiero, sia fornendo le guide della ricerca del vero attraverso il sentire, sia fornendo lumi di conoscenza in modo sublime con i sogni, profondo che, non per caso, col malessere e la crisi muove e agita le acque interiormente, proprio per spingere a un percorso di cambiamento radicale, da passivi e inconsapevoli a soggetti creatori e consapevoli. Senza legame con la propria interiorità non c'è possibilità di pensiero che non sia di adeguamento, di docile accordo e fruizione d'altro, anche se questo non lo si sa e soprattutto non lo si vuole vedere. Dove niente sia scaturito da sè, niente di visione riflessiva che prima di tutto faccia vedere cosa si sta facendo di se stessi, mossi e vincolati a quali imperativi, regole e modalità, si è solo al traino d'altro, anche se illusi di dire la propria. Senza scambio e raccolta di spunti e di guide provenienti dal proprio profondo, capaci di rendere liberi e autonomi nel pensiero, non si può che rimanere vincolati a una forma di pensiero che segue e asseconda, che ripete e riproduce il pensato comune (non importa se facendo gli oppositori, sempre però trovando sponda in qualcosa di già concepito), che allontana dalla conoscenza di se stessi e dalla scoperta di significati altri da quelli presi da fuori, introiettati e ripetuti. Se dunque l'interiorità col malessere punge e pungola a prendere contatto con sè, a aprire gli occhi, a avviare un percorso di presa di coscienza, di recupero di unità piena con se stessi, di scoperta del significato della propria vita interiore, di recupero delle ragioni e delle potenzialità proprie e originali da sviluppare, ecco che la reazione è di scacciare il richiamo che pur difficile è portato dal disagio interiore, di rimettere prontamente in moto la fuga da sè per salvaguardare la capacità di stare in unità e al passo con gli altri. Ecco che basta quel pò di zucchero, di dolce e gradevole gusto della promessa di una possibile ripresa del vivere senza intralci interiori in attaccamento a altro, per mandare giù la pillola della cura che spacca il vincolo a sè, che il malessere interiore stava cercando di far recuperare, per rinsaldare e non compromettere la simbiosi con altro, come se quella, presa in prestito, pilotata e impartita da fuori, fosse vita propria e bene da non perdere.
mercoledì 7 agosto 2024
La cosiddetta scienza
Quando la scienza della psiche, lo fa spesso, mette in campo teorizzazioni circa gli svolgimenti interiori, che a un attento esame si avvalgono di preconcetti e di discriminanti, di distinguo tra ciò che è sano o insano, funzionale o disfunzionale, si rivela essere quanto di più lontano dalla vera scienza, che ha come scopo di aprire lo sguardo, di riconoscere, senza pregiudizio e rispettosamente, il senso di ciò che la vita interiore propone, scienza come ricerca, mai definitiva, soprattutto mai fondata su affermazioni di principio e su attribuzioni di significato date per scontate. Chi, non importa con che titolo di esperto, presume di sapere già e, rivolgendosi all'intimo, pretende di stabilire sul suo conto cosa sia valido o funzionale, cosa vada interpretato come alterazione e come tale spiegato, messo sotto trattamento e raddrizzato per renderlo conforme alle aspettative e alle pretese di buona resa e perchè comunque non la intralci, in nulla mostra di aver capacità di rapporto e di comprensione del significato e del valore della vita interiore. Possono essere varie e sofisticate le elaborazioni di questa presunta scienza psicologica, che di volta in volta se ne esce con le sue mirabolanti scoperte circa i perchè e l'origine chessò dell'ansia, piuttosto che della depressione o altro. Tutto l'elaborato si muove nelle guide di ciò che si dà per scontato. Sono i trucchi di una scienza non scienza, che sa come farsi forte delle affermazioni che fa, poggiando su premesse indiscusse, su postulati mai messi in dubbio. I teoremi questa scienza pseudoscienza sa come metterli assieme e rifinirli, dando loro la veste di scoperte ben solide e provate, lo fa con agio e avendo vita e credito facile dove prevalga, come accade assai spesso, nel pensato comune, l'ignoranza e la lontananza dalle vicende interiori, dove già lì, nella testa dei più, ci siano le basi di quei principi di normalità e di ricerca delle soluzioni, che paiono più che legittimi e desiderabili, fuori discussione, della bontà della correzione trattamento di ciò che appare come guasto e disturbo, ostacolo e anomalia. La scienza pseudoscienza sposa per intero queste premesse presenti nel pensato comune, fa un lavoro fine di elaborazione, ma elaborando il senso comune. L'interiorità, ciò che vive nell'intimo di ognuno, non è un oggetto, non è un congegno da indagare, da gestire e controllare, piegato nel suo essere alle aspettative d'ordine e alle pretese di gestione della parte conscia e di chi se ne fa portavoce. L'interiorità è presenza viva e intelligente, propositiva e dotata di un attributo fondamentale, che è la capacità di ricerca e di riportare di continuo al vero, di salvaguardare in questo modo libertà di giudizio e di pensiero contro la tendenza all'oscuramento della visione nel preconcetto e nelle spiegazioni di comodo circa i significati della propria esperienza e del proprio agire. Se la parte conscia pensa che tutto stia nelle sue capacità di discernimento e non vede che il suo orizzonte è già delimitato, che il suo pensiero è già incardinato su basi mai verificate di attribuzioni di significato prese per buone e ripetute, se non vede che non ha possibilità se non di girare in tondo, di allinearsi ai criteri di riuscita e di realizzazione correnti e prevalenti, la parte profonda è sempre pronta nel sentire a dare richiami, spinte e spunti, interferenze per portare lo sguardo a cercare dell'esperienza e del modo di procedere il senso e il vero, a spaccare la crosta del preconcetto che fa comodo, che blinda ciò che si preferisce credere di se stessi, per comodo, per inerzia. Gli interventi del sentire, come una improvvisa ansietà e insicurezza, come un impaccio, una brusca caduta di padronanza e di fiducia nel saper dire o fare, come uno svuoto di interesse e l'inaspettato venir meno del sostegno interno, dunque come un ostacolo o un inciampo nell'esecuzione e nel proposito di portare a compimento un'iniziativa, prontamente giudicati da chi ne fa esperienza, in modo assai preoccupato, come segni di difetto di funzionamento, di anomalia che rischia di avere un costo di insuccesso e di perdita allarmanti, sono viceversa stimoli e forzature, una sorta di freno all'agire e di aggancio forzato voluto dalla parte profonda, per mettere in primo piano l'istanza di aprire gli occhi, di riflerre e capire, un ben altro interesse da quello della riuscita esecutiva. La parte profonda interviene per fissare un'altra priorità rispetto alla riuscita, per spingere l'attenzione e lo sguardo su ciò che si sta facendo e perseguendo, per comprenderne il perchè, il fondamento, lo scopo, ciò che lo muove e che implica per se stessi, per riconoscere delle questioni, tutt'altro che banali, dei nodi importanti circa il proprio modo di procedere su cui lavorare. Di simili interventi messi in atto dalla parte intima ne risente di certo la esecuzione e la messa a segno di un proposito, ma, sapendo leggere e comprendere il senso, si può capire che è proprio in virtù di questi interventi e interferenze che è messa in primo piano l'importanza e l'urgenza di aprire gli occhi, che è aperta la strada alla presa di coscienza, alla conoscenza del vero di se stessi, che ai fini della crescita personale e dello sviluppo di pensiero proprio e autonomo sono una vera manna. L'apparato della cura e della cosiddetta scienza psicologica che le fa da supporto , è pronto a offrire soluzioni nel verso del tentare di sedare e correggere risposte emotive giudicate sfavorevoli e anomale con psicofarmaci o mettendo a disposizioni interventi di psicoterapia dell'aggiustamento del disfunzionale, così bollando con termine tecnico ciò che già l'individuo considera sbagliata e difettosa risposta da superare, oppure offrendo indagini sul passato per cercare presunte cause all'origine del comunque in partenza giudicato distorto modo di sentire. Trova così convalida e soddisfazione ciò che l'idea comune e prevalente considera auspicabile e necessario. Tutto pare corretto e ovvio, ma non è detto che la verità sia quella che è nella testa dei tanti e che la cosiddetta scienza psicologica in molte sue affermazioni ribadisce, contribuendo a renderla più salda e garantita. Se non si comprende il vero significato della vita interiore, se viceversa si presume di sapere già e di mettere tutto in subordine a idee e a aspettative che vogliono solo spingere tutto di se stessi nella solita direzione del dare prova, del mettere in atto capacità di riuscita nel verso preso per buono da esempio e prassi comune, come se in quest'unica accezione e verso andasse intesa la realizzazione di sè, ecco che sull'interiorità si compiono solo azioni di pregiudizio, di manipolazione e di, più o meno grossolana, presa e controllo. Non si comprende che senza la parte intima di se stessi, di cui spesso non si conosce nulla, si è ciechi e in balia di andamenti affatto liberi e consoni a sè, di un procedere dove a farla da guida e da garante è altro da sè che nell'esempio e nei modelli comuni dà le guide così come le convalide. La scienza pseudoscienza ben omogenea al credo dominante, alla concezione e visione a senso unico dell'uomo e della sua realizzazione, sorda e indisponibile a comprendere il significato e il valore dell'esperienza intima e della componente interiore profonda, che fraintesa e piegata al ruolo di componente che deve stare in ordine e al passo con la concezione a senso unico, rischia di essere strumento di travisamento, comunque di rinforzo della incomprensione e della mancata intesa dell'individuo con la sua parte profonda. Senza il contributo della sua parte profonda, che sola ha la capacità di liberare il suo pensiero dall'incastro del preconcetto, monco di questo contributo fondamentale, l'individuo è senza guida propria e capacità di affrancarsi dalla visione a senso unico, di vedere con i propri occhi e di costruire, di generare e far vivere il suo autentico.
lunedì 5 agosto 2024
Dialogo col sordo
L'inconscio interviene di continuo per stimolare la presa di coscienza. Vuole promuovere consapevolezza dove regna la pretesa di saper già e il circuito chiuso del preconcetto, dove il pensiero della parte conscia si arresta difronte alla ricerca del vero, non se ne cura di veder chiaro e di approfondire, pensa di saperne a sufficienza e, quando interiormente incontra qualche intralcio, si inventa ogni argomento per superare l'ostacolo senza guardarci dentro, facendo sua ogni svista e distrazione pur di confermare e di far proseguire il consueto. Cosa fa l'inconscio lavorando sul sentire, su tutta la vicenda interiore che per intero modula e dirige, proponendo i sogni, cosa vuole ottenere? Vuole correggere la tendenza della parte conscia a darsi il convincimento di esserci con padronanza, di avere parte attiva e consapevole, dove invece c'è sostanziale passiva adesione e riproduzione di schemi e di tendenze comuni e prevalenti. L'inconscio interviene dando gli spunti appropriati e gli stimoli più accorti e intelligenti per aprire riflessione sull'esperienza e sui propri modi di condursi, per svelare cosa sta accadendo, su quali basi e in quali modi, con quali vincoli, si sta procedendo. La psicologia corrente, sia quella diffusa nelle teste e nelle idee comuni, sia quella professionale e cosiddetta scientifica, ignorano, non riconoscono in tutto ciò che si muove interiormente la presenza di una dialettica interiore, i segni di una iniziativa della parte profonda che di continuo e con intelligenza interviene, stimola, interroga la parte conscia e le dà richiami, perchè esca dal sonno e dalla nebbia della falsa coscienza, dei ragionamenti che ottundono la mente, che illudono di capire, che in realtà non sanno vedere il vero, cosa realmente si sta facendo di se stessi con le lacune, le inadempienze circa la realizzazione vera di se stessi, pur in presenza di apparenti risultati raggiunti, costruiti però e resi credibili in aderenza e in appoggio a credo comune. Se, come quando compaiono segnali tipo ansia o altri, facilmente etichettati come sindromi o malattie, che possono apparire sfavorevoli e preoccupanti, ma che mai per caso e senza uno scopo smuovono la scena interiore, si finisce in genere per considerare anomalo e espressione di disfunzionalità da combattere e correggere ciò che invece è richiamo e allarme del profondo per cominciare a prendere atto dell'equilibrio precario e insostenibile su cui si fonda il proprio modo di essere e di procedere, per prendere sul serio la necessità di veder chiaro, di conoscere se stessi e di comprendere il vero della propria condizione, con tutti gli sviluppi nuovi e diversi che ne possono nascere e su cui lavorare, significa che la visione di se stessi continua a essere parziale e distorta, che del significato e del valore dell'esperienza e della vita interiore non si è compreso nulla. D'altra parte la visione dell'individuo più diffusa dà la priorità e lo restringe nelle parti di capacità di iniziativa e di testa che ragiona, che servono per destreggiarsi e stare in corsa nel solito procedere, ma che sono le meno valide per fondare la ricerca del vero, assegnando al resto dell'individuo, che non è volontà e pensiero ragionato, un ruolo subalterno, una sorta di meccanica delle emozioni e del sentire che va in qualche modo tenuta sotto controllo, gestita. Dei sogni c'è chi, spacciandola per verità scientifica, dice che sono scarica notturna di ciò che nel corso della giornata ha sovraccaricato di stimoli il cervello e altre fesserie del genere. I sogni, se si analizzano con rispetto e cura, se li si fa parlare, sono una risorsa di pensiero formidabile, pensiero riflessivo e non piattamente operativo e che osserva la superficie, ma che sa guardare dentro l'esperienza e svelarne i modi, i significati, pensiero che interroga cosa si sta facendo di se stessi, dentro quali vincoli e con quali limitazioni e perdite di capacità di crescita e di autonomia. I sogni sono guide per conoscersi, per prendere visione e per elaborare il vero, indispensabili per generare un pensiero che non sia quello razionale, che nella conoscenza di se stessi, visto da vicino e analizzato, ragionando chiude, che, dando spiegazioni, occulta, che difronte a ogni difficoltà e momento interiormente critico punta prima di tutto a risolvere e a far proseguire le cose, che, quando ci prova a approfondire, per troppi limiti, per dipendenza dall'uso di attribuzioni di significato e dall'impiego di schemi comuni e abituali, in realtà si rigira su se stesso e non vede oltre. L'inconscio non demorde mai, preme, interferisce, dice nelle trame e nelle pieghe di emozioni, di stati d'animo, di rilievi continui messi in campo nel corso dell'esperienza, l'inconscio offre nei sogni le migliori guide, mette in campo i simboli che hanno capacità di rendere visibili i modi e i volti della propria verità umana, che la testa ragionante non sa e non può concepire. L'inconscio parla, interviene, richiama, ma il resto è spesso e volentieri chiuso sulle sue. E' un dialogo che avrebbe straordinarie possibilità di risultare fecondo se condiviso dall'insieme dell'individuo, se riconosciuto e rispettato, se valorizzato il contributo della parte profonda, ma troppo spesso è un dialogo col sordo.
giovedì 1 agosto 2024
"Depressione" e ricerca del filo interno
Cercare il filo, il nostro filo interno di scoperta del
senso di ciò che si muove in noi e che nell'intimo ci accade, il filo di un
discorso, il nostro, non inventato, non forzato e non manipolato per stare
dentro quello comune e ritenuto ovvio...il filo che sottende i nostri passi,
anche quelli più dolorosi e ardui. Questo e non altro la sofferta esperienza
intima cerca e insegue, spesso incompresa. Intesa e trattata come malattia,
come anomalo precipitare e oscurarsi di sana fiducia e di voglia di vivere,
equiparata a tante altre descritte e incasellate come depressione nei trattati
di patologia, ridotta a biochimica alterata, da riparare come un meccanismo
guasto, vissuta come minaccia oscura da combattere senza discussione, per
riportare tutto al consueto, un'esperienza interiore così unica, così intima e
pervasiva, non trova ascolto, non è riconosciuta in ciò che vuole in modo così
toccante, anche se doloroso e crudo, dire. Sembra soltanto una rovina, un venir
meno insano, distruttivo e minaccioso, ma... se fa il vuoto, se scava, se
scolora e rende indifferente il mondo, se mutila il sentire, se non gli
permette se non di testimoniare una mancanza e un'impotenza, un senso di
inutilità e di fallimento, una pena infinita, è per far riconoscere di ogni
altra cosa, che non sia il ritrovamento del proprio filo, filo di verità, l'assenza
di valore e l'impraticabilità. Se la propria interiorità costringe a mettersi
allo specchio e mostra di se stessi, pur dolorosamente, l'inconsistenza e il
vuoto, bilancio vero e onesto di ciò che è stato messo assieme in appoggio a altro, per imitazione
e per stare al passo col comune procedere, per ben figurare, non è per insane
disistima e assenza di calore, ma per lucida visione, per fondata pretesa di
"essere" e non di sembrare, per pretesa di invertire radicalmente la
rotta, di generare il proprio, senza più prese in giro, senza più compromessi
perdenti, cercando e coltivando ciò che abbia dentro se stessi radice e
fondamento vero, che non stia su solo per sostegno, per conferma e per
approvazione esterni. Quanto del modo di procedere abituale e precedente le
fasi di più acuto malessere e sofferenza, quelle di cui chi è interiormente
sofferente, come chi gli sta attorno, è nostalgico e che vorrebbe ricreare, era
in realtà così valido e saldo? Che vita era quella che oggi pare svanire?
Quanto c’era di sfilacciato nella consapevolezza di se stesso, di disunito nel
rapporto tra ciò che l'individuo si rappresentava e si proponeva e ciò che
sentiva, quanto c'era di affidato solo a guida, a legami e a supporti esterni?
Quanto c’era e quanto invece radicalmente mancava di ricerca di un filo
interno, che unisse, che facesse vedere la continuità e il senso nella propria
personale esperienza? Quanto a fine giornata si poteva dire d’aver raccolto,
compreso o generato e quanto invece, casomai evitando di pensarci, volgendo lo
sguardo sempre altrove, c’era di inutile, di banale, di impersonale, di
raffazzonato, di valido solo per tirar avanti con espedienti, per inerzia? Il
problema pareva non porsi e non esistere...e però è venuto il giorno in cui
un’interiorità, non certo debole o malata, ha cominciato a rendere più
acutamente sensibile e vistosa la questione dell’assenza...di un filo, di un
costrutto proprio e allora è arrivato il tempo della consapevolezza, dolorosa e
senza sconti e su queste basi il filo vero, non più illusorio, non più
inventato, ha cominciato in realtà, proprio dentro una sofferenza così
irriducibile, ad essere tracciato, spazzando via le false costruzioni, le
abituali distrazioni. Cercare il filo, il proprio filo interno... nulla è
mostruoso, nulla è abnorme nell'intimo sentire, purché non lo si squalifichi
perché doloroso, purché non gli si contrapponga come regola una normalità cui
aderire, purché non gli si chieda soltanto di sparire...per far posto a che? A
gioia fittizia, a calcolo e a compiacimento per qualcosa, che simile a quello
che hanno tutti, potrebbe pur bastare? L'impegno di cercarsi sul sentiero
accidentato, di accettare di costruire finalmente e non di rivendicare, di ritrovare
il proprio filo e di tesserlo con onestà e pazienza per farne tessuto vitale e
di pensiero nuovo, proprio e resistente, che non svanisca...per una vita, la
propria vita, che non sia riempita d'altro raffazzonato e preso in prestito, ma
finalmente del proprio...questo sì e con l’aiuto giusto è possibile e è
risposta consona all'intimo sentire, a ciò che dice e chiede...e se lo si vuole
chiamare cura e processo di guarigione lo si faccia pure...finalmente queste
parole avranno senso e contenuto seri.
sabato 27 luglio 2024
L'inconscio, maestro di vita e di pensiero
Ciò che caratterizza l'esperienza analitica e che la differenzia da tutte le altre esperienze psicoterapeutiche è la funzione guida riconosciuta all'inconscio, cui è dato il compito di indirizzare, di condurre la ricerca. E' una scelta che ha fondamentali e solide ragioni. E' infatti dall'inconscio, dalla parte profonda di se stessi, che origina e è regolata tutta quanta la propria esperienza interiore, fatta di emozioni, di stati d'animo, di spinte, di tutto ciò che spontaneamente, fuori dal controllo e dalle aspettative di volontà e ragione, si svolge nel proprio intimo. Il malessere interiore, quell'intima esperienza disagevole, nelle sue diverse espressioni, al pari di ogni altro movimento del sentire, origina e è modulato dal profondo. Non è un guasto, uno stato di alterazione psichica, un disordine, è esperienza intima e assai coinvolgente, certamente non facile e non agevole, voluta, plasmata, per intero guidata dall'inconscio. Non è mai casuale ciò che l'intima esperienza, pur disagevole, pur strana e accidentata, propone. Attraverso le particolarità dell'esperienza interiore l'inconscio dà indicazioni molto precise e pertinenti per cominciare a vedere la propria condizione, per cominciare a capirsi. Smuovendo e caricando di intensità l'esperienza interiore, l'inconscio attrae e sposta con forza l'attenzione dell'individuo, solitamente rivolta all'esterno, sul suo stato interiore, sui suoi vissuti, per avvicinarlo su queste basi e tracce vive alla consapevolezza intima. Per non divergere e per assecondare la richiesta che arriva dal proprio profondo, per cogliere l'opportunità che l'inconscio con tanta decisione sollecita e propone, è necessario porsi in rapporto aperto e disponibile col proprio sentire, non rifuggirlo o contrastarlo, non trattarlo come disturbo, ma come voce, come esperienza da ascoltare, da comprendere. E' assolutamente necessario dotarsi di vera capacità riflessiva (che, lo dico spesso nei miei scritti, non ha nulla a che vedere con il modo corrente di intendere e di svolgere la riflessione come ragionamento, come costruzione di ipotesi e di spiegazioni sul conto di ciò che si prova, della propria esperienza) per raccogliere e riconoscere fedelmente ciò che il proprio sentire dice. Perchè l'inconscio possa spiegare per intero le ragioni e il fine della sua iniziativa, del malessere che sostiene e che muove con tanta incisività, è fondamentale comunque rivolgersi ai sogni. Nei sogni l'inconscio introduce e guida l'individuo in un percorso di riflessione e di ricerca, che gli fa via via capire (i sogni vanno attentamente e pazientemente analizzati perchè possano dare tutto il loro originale contributo di pensiero) sia le ragioni del malessere, che lo scopo, ciò cui è necessario dare svolgimento e compimento per trovare se stesso, per uscire da una condizione di inconsapevolezza e di alienazione. Parlo di alienazione per dire di una condizione, non importa se ritenuta in genere normale, in cui l'individuo cerca di conformarsi, di soddisfare indicazioni e pretese più esterne che interne a se stesso, in cui, aderendo a qualcosa di altro da sè e prevalente, già modellato e detto, si illude di capire, di pensare autonomamente, in realtà finisce invece, pur inconsapevolmente, per ricalcare idee, per riprodurre definizioni e attribuzioni di significato comuni e convenzionali. Riproducendo e sostenendosi su altro già concepito, ordinato e promosso, l'individuo si illude di scegliere, di dare proprie risposte, di realizzarsi. Si esprime senza rapporto con se stesso, senza aver tratto da sè la conoscenza e le guide necessarie per capirsi, per fondare le sue scelte, per averne chiaro il significato, il motivo vero. L'inconscio vuole rimettere l'individuo piedi a terra e in piedi, vuole prima di tutto ricongiungerlo a se stesso, al suo sentire, all'interiorità con cui non ha rapporto. Solo il suo sentire ascoltato e intimamente compreso, solo il dialogo con la sua interiorità può dargli la base vera e affidabile per capirsi, per conoscersi, per accertare e concordare con se stesso scoperte di significato e di valore, per sfuggire, pur gradualmente, al governo d'altro, che lo orienta e regola. L'inconscio, dentro i sogni, mostra all'individuo il suo modo di procedere attuale e abituale, cosa sta seguendo e inseguendo, spesso la sua lontananza da se stesso, la sua dipendenza dallo sguardo e dal giudizio esterno, la sua ignoranza di ciò che profondamente gli appartiene, di ciò che potrebbe vedere con i suoi occhi, sulla base e attraverso ciò che sente, che vive interiormente, che invece abitualmente mette tra parentesi o sottovaluta, che al più fa oggetto di commenti e di spiegazioni ragionate e non di rispettoso ascolto. E' l'inconscio e non la parte conscia a volere per l'individuo la sua piena libertà, la sua vera, non illusoria, autonomia, la sua capacità di autodeterminazione. L'inconscio "soffre" qualsiasi tradimento di se stessi e non lo tace. Non tace all'individuo l'ignoranza del proprio, lasciato inerte, incompreso, non cercato e non coltivato. L'inconscio non accetta la passività, l'incuria, la non preoccupazione per la propria reale sorte. Anche un'esistenza di apparente riuscita e normale può essere infatti ritenuta soddisfacente in appoggio e in consonanza col senso comune, ma in realtà fallimentare per sè, tradite le proprie vere e intime ragioni e potenzialità, lasciate incomprese e incolte. Lo scopo della propria vita può essere dunque sviato, disatteso. Non è implicazione da poco. L'inconscio non agita mai le acque per questioni da poco. Lo fa con insistenza, lo fa per tempo, lo fa con l'intenzione e con la capacità, che dentro il percorso analitico si manifesta appieno, di sostenere, di alimentare soprattutto con i sogni, il processo di trasformazione che conduce via via l'individuo a sostituire il posticcio con l'autentico, il preso in prestito con l'originale creato da sè. Purtroppo raramente l'inconscio è capito, anzi il suo agitare interiormente le acque è spesso bollato come disturbo, come danno, come patologia. L'inconscio non desiste, non tace, è la parte profonda, attenta, intelligente di se stessi, che non rinuncia a sollevare i problemi, a tentare di guidare la presa di coscienza, contro la tendenza a permanere nel solito dei propri (illusori) convincimenti, a preoccuparsi più di stare al passo con altro e con altri che di trovare aderenza e accordo con se stessi, a non preoccuparsi di veder davvero chiaro. L'inconscio non tollera i bluff, gli autoinganni, la falsa coscienza, la rinuncia a vedere, ad aprire, costi quel che costi, gli occhi, l'incomprensione del senso vero di ciò che si fa, che si vive. L'inconscio è insopportazione per tutto ciò che è stasi, chiusura, fuga dal proprio sentire, non volontà di confrontarsi con se stessi. L'inconscio è risveglio dell'umano, chiamato prima di tutto alla consapevolezza, alla conoscenza del vero, stimolato a non essere presenza anonima e vana, ma a esistere, a scoprire, a generare e a mettere al mondo il proprio. L'inconscio è un interlocutore certamente impegnativo, persino scomodo, ma affidabile, come lo è l'amico che non manca di dirti il vero, anche se spiacevole, di stimolarti a prendere coscienza, per il tuo bene. L'inconscio è cura assidua e indomita volontà di perseguire il proprio bene, che non è conformarsi, incuranti di sapere, di vedere, ma è aprire gli occhi, trarre da sè l'originale con cui si è venuti al mondo, il potenziale cui si può dare forma e compimento. Nulla è più vitale e nel verso della vita dell'inconscio. Paradossalmente l'inconscio, la vita interiore, ciò che produce, sono spesso ritenuti ostacoli alla vita. E' davvero un paradosso, che sta in piedi solo in virtù di pregiudizi, di ignoranza. Quando si va a scoprire, come dentro una valida esperienza analitica, cos'è davvero l'inconscio, cosa propone, di cosa è capace, ci si può rendere conto di quanta magistrale sapienza e di quanta umanità e volontà d'umano ci sia nel profondo. Ci si rende conto della distanza che purtroppo separa spesso gli individui dalla scoperta di ciò che, prezioso e enorme, il loro profondo potrebbe dare loro.
domenica 21 luglio 2024
Centralità del dialogo interiore
Il dialogo interiore è la risposta più consona al
malessere interiore. Quando, come accade in situazioni di crisi e di sofferenza
interiore, la parte intima e profonda prende iniziativa e smuove il quadro
interiore, cosa va fatto se non cercare di aprire il dialogo con questa parte,
cosa va fatto se non ascoltare e cercare di intendere cosa sta dicendo, cosa
vuole far capire e mettere in primo piano? Il dialogo con la propria
interiorità oltre a essere la risposta giusta e consona al malessere è anche il
fulcro necessario di un'esistenza che voglia essere indipendente e autentica,
che, mettendo al centro l’ascolto e la guida dell’interiorità, non voglia
consegnarsi alla guida più che imperfetta della parte razionale, che, agendo,
come fa in genere, da sola nella conoscenza di se stessi e dei significati
della propria esperienza, a un attento esame si rivela decisamente inadeguata a
perseguire conoscenza vera di se stessi e inaffidabile. La parte del nostro
essere che ci garantisce l’accesso al vero è quella interiore. La parte conscia
razionale, priva del supporto e della guida della componente intima e profonda,
non può, per quanta inventiva cerchi di mettere in campo, che tessere e
riproporre tesi e costrutti che si basano su definizioni, su attribuzioni di
significato consuete, date per scontate, prese in prestito dal pensato comune,
convenzionale. Accade poi che, non interrogandosi su ciò che dice e su ciò che
vuole ottenere, la parte razionale finisca per fare da garante per l'individuo della
conservazione, della conferma di idee di comodo e di salvaguardia di ciò che
vuole tenere in piedi, degli equilibri cui non vuole rinunciare. Dunque
l’apporto della parte intima è decisivo per rimettere il discorso nel vivo e su
base vera, per ritrovare, anche se a volte scomoda e imbarazzante, la visione
veritiera. La parte conscia vuole in genere sistemare le cose, trovare
soluzioni, in sostanza soddisfa l'esigenza di proseguire senza interrogarsi su
cosa si sta facendo e cercando, mossi da che cosa e perseguendo quali scopi. La
parte intima che si esprime nel sentire tocca e punge, anima, complica, si
potrebbe dire, il quadro, a volte, come nelle situazioni di crisi e di
malessere interiore, in modo molto marcato, ma per mettere in primo piano la
percezione e la visione di ciò che si sta facendo di se stessi, per spingere a
passare dal piano dell’agire, soltanto rivestito da spiegazioni di comodo e
nella sostanza cieco e inconsapevole, al pensare riflessivo, attento e mirato a
capire cosa si sta facendo, come si sta procedendo e con quali nodi finora
ignorati, incompresi e perciò insoluti. Senza rapporto aperto con la propria
interiorità, senza approccio che riconosca nelle vicende interiori, nelle
espressioni del proprio sentire, anche se sofferto e in apparenza contorto e
anomalo, un messaggio e una proposta da capire, senza capacità di ascolto e di
comprensione di ciò che la propria interiorità dice e muove, si è privi di una
guida e di una capacità di visione e di conoscenza necessarie per trovare
orientamento e intesa con se stessi, costretti altrimenti, pur se inconsapevoli
di questo, a muoversi e a stare invece dentro le coordinate e le
guide di un pensiero che sta in appoggio a altro preso da fuori e che non
garantisce certo di dare corso e realizzazione alle proprie vere ragioni
d’esistenza. Purtroppo è spesso e in
genere incompreso il significato vero e il valore della vita interiore, degli
svolgimenti intimi, di ciò che si muove nel sentire, nelle emozioni, nel
succedersi degli stati d'animo, nelle spinte, in tutto ciò che, passo dopo
passo, si propone interiormente, di ciò che realmente significano i sogni, che
sono l'espressione più alta dell'intelligenza profonda di cui si dispone. Non
c’è in genere capacità e propensione all’ascolto e al dialogo interiore, non si
prende neppure in considerazione la necessità di trovare intesa e accordo con
l'intimo e il profondo di se stessi, la si considera comunque irrilevante, data
la priorità invece riconosciuta alle relazioni e alle iniziative esterne, alla
necessità di non perdere contatto e intesa con altri e col fuori. Questo segna
una lontananza dall’intimo. Nel malessere interiore, nelle diverse espressioni
della sofferenza interiore l’interiorità sensatamente esercita una forte presa
e coinvolge, vuole comunicare, dire della propria condizione, del proprio
stato, dei nodi decisivi che è importante che siano riconosciuti. Lo fa in modo
puntuale e attento, intelligente e pertinente. Nelle iniziative che prende,
nelle sue espressioni, anche in quelle meno facili da reggere, anche in quelle
più tormentose e insistenti, anche in quelle più sconquassanti come nel caso
degli attacchi di panico, non segnala di certo di essere in stato di
alterazione e di malattia, come subito si è pronti a giudicare, peraltro in
questa persuasione ben supportati dalle affermazioni di una presunta scienza
psicologica che è più la somma e la risultante di idee e di preconcetti comuni,
che vera scienza che vuole e sa cercare il senso senza preconcetti. Solo
imparando a dialogare con il profondo si può scoprire che non c'è anomalia, ma
capacità di dire in modo significativo in ogni espressione del sentire e della
vita interiore. Parlare di normalità o di alterazione è criterio di selezione e
di giudizio, tanto rapido e sbrigativo, quanto semplicistico e ottuso, che
appartiene a chi non ha capacità di intendere, a chi non si cura di capire con
rispetto, con intelligenza, con sensibilità e con cura. Il dialogo interiore, fatto
di ascolto e di attenzione a riconoscere ciò che l'interiorità dice e propone,
non è facile e immediato da instaurare. L'ostacolo primo è proprio il
pregiudizio negativo verso il sentire che si presenti spiacevole o arduo, visto
già in partenza come minaccia, come guasto, come alterazione di una presunta
normalità, come ferita da sanare, cercando più fuga e sollievo immediato che
concedendo apertura piena. La ferita è sempre un fatto intimo e in quel che
geme c'è più verità e possibile conoscenza di se stessi che altro, considerato
anomalo e di cui considerarsi vittime, ipotizzando
di essere colpiti da un che di sfavorevole e nocivo che risalirebbe a altro, a
qualche accidente o causa o trauma che
abbia agito o che agisca da fuori. La domanda che ci si può rivolgere per non
stare in opposizione e in fuga da ciò che intimamente risulta doloroso: cosa mi
dice questa pena, cosa di me soffre? L'opportunità di andare verso se stessi e
di essere accompagnati dal proprio soffrire a vedere, a scoprire qualcosa di
sè, a lavorare creativamente su di sè si può aprire proprio lì, nella ferita
che geme, in modo più sensibile e privilegiato, perché nel dolore sono toccati
punti decisivi, perche lì c’è garanzia di non evadere sterilmente, ma di
avvicinarsi a sé, al vero. Ogni volta il nostro sentire acutizza e illumina
qualcosa, ciò che intimamente proviamo non è conseguenza obbligata e scontata,
automatica e riflessa, dell'agire sfavorevole di qualcosa di esterno che ci
procura patimento, ampi sono viceversa i margini di iniziativa e di scelta, di
proposta di quella parte di noi, intima e profonda, che accende la risposta,
che casomai col dolore e con la ferita vuole renderci visibile qualcosa di noi
principalmente. In ogni caso è meglio, per aprire a noi e alla conoscenza
capace di farci crescere, non avere pretese d'ordine circa ciò che ci deve
accadere. Ogni esperienza interiore, occasione per aprire alla scoperta di
qualcosa di noi stessi, ci arriva non casualmente o a sproposito. Renderci
disponibili, non rifiutarci a noi stessi, è condizione per non creare finti
equilibri e rigidi. Quel che s'accende nel sentire, non importa se doloroso e
arduo, se inconsueto e incalzante, quel che prende viva forma in noi è la via
per entrare in rapporto con noi, per fare un altro passo e significativo,
importante e necessario, del nostro cammino di conoscenza. Capita invece assai
spesso che cercando un rapporto col sentire pur con le migliori intenzioni di
capire, ma spesso l'intenzione sottesa è comunque di farlo fuori, come roba che
disturba, che non va bene, si torni (questo capita ahimè anche e non di radio
in psicoterapia) a parlargli sopra piuttosto che ascoltarlo, a confezionare ipotesi
di cause risalenti a questo o a quello del passato principalmente, a influenze
negative subite, a mancanze e responsabilità di altri, a eventi e traumi, che
trarne l'intima proposta fedelmente. Ascoltare richiede l'acquisizione della
capacità riflessiva, che non ha nulla a che fare col ragionare sull'esperienza,
traendo dal cassetto delle elaborazioni pronte o inventando col ragionamento
ipotesi e spiegazioni che si adattino all'esperienza, a sensazioni, a stati
d'animo, o che cerchino in qualche modo di spiegarla. Facilmente per una simile
via si ricade nel già conosciuto, ci si ingarbuglia nei soliti schemi e
riferimenti. La riflessione non è lavorio per far rientrare il vissuto nello
stampo di un'idea già formata o rimodellata o partorita col ragionamento, ma è
dar luce e riconoscimento a ciò che il sentire porta, genera, fa incontrare nel
vivo. Come guardandoci allo specchio, che ci restituisce la nostra immagine
riflessa, la riflessione ci consente di vedere cosa nell'esperienza viva dei
nostri stati d'animo e sensazioni sta prendendo forma, cosa ci stanno
comunicando, esprimendo. La conoscenza vera e fondata si forma così, passo dopo
passo, senza mai fare aggiunte indebite, senza estrapolazioni, senza deduzioni,
senza cedere all'impazienza di capire tutto subito, senza concedere a nulla che
non sia scoperta fedele. Aprire alla propria interiorità significa lasciarla
davvero parlare e impegnarsi ad ascoltarla, senza parlarle sopra, significa
trovare questo nostro filo interno e tesserlo così come l'esperienza interiore
via via consente. La nostra interiorità ha capacità di dire e di
dirigere/orientare la ricerca su di noi, ricerca attentissima e fondata, che ci
mostra chi siamo, senza evitamenti o sconti, come procediamo, cosa è possibile
attingendo a noi e lo dimostra non solo in ciò che il nostro sentire di
continuo propone, ma anche e in una forma eccellente nei sogni. I sogni che in
analisi, in una vera analisi, sono il vero motore della ricerca, non sono
robetta, ma laboratorio di idee e di pensiero che il profondo sa generare e
proporre e che come nient'altro hanno capacità di abituarci a metterci allo
specchio, a leggerci nell'intimo, a farci trovare il nostro sguardo,
prigionieri come siamo di luoghi comuni e di pensiero preso in prestito, di
propensione più a trovare accomodamenti che visione. In sintesi, il rapporto
con la nostra interiorità bisogna imparare a costruirlo, con rispetto
dell'interiorità e imparando a farci dare tutto ciò che, nel sentire e nei
sogni, è capace di darci. Non si è in genere abituati a trattare il rapporto
con l'interno e nemmeno a valorizzarlo, anzi in genere ci si aspetta poco o
nulla da lì. Si è abituati a prendere o inseguire tutto all'esterno, a mettere
al centro sempre la relazione con l'esterno. Per aprire al proprio mondo
interno può diventare necessario farsi aiutare a farlo, a costruire questa
capacità e fiducia, ma seriamente e da chi questo aiuto lo sa dare davvero.
mercoledì 3 luglio 2024
Quando il pensiero va in affanno
L'elemento
cardine per potersi muovere fiduciosamente nell'esperienza qual'è? E' il più
trascurato, il meno considerato, anche se decisivo. E' il rapporto con se
stessi, con la propria interiorità, è la capacità di rapporto, di incontro, di
intesa, di ascolto e di comprensione di ciò che si sente, che vive dentro se
stessi, essenziale per trovare base fondata per capirsi e per capire. Si pensa
che nel proprio sentire, che in tutto ciò che si muove interiormente, ci sia
solo l’eco e la conseguenza di stimoli esterni, che comunque non ci sia nelle
emozioni e negli stati d’animo, nei moti interiori che accompagnano il corso
dell’esperienza nulla di pari e di altrettanto affidabile dello sguardo e della
valutazione razionali. Si pensa spesso del sentire che sia un che di marginale
e di poco attendibile, comunque da non porre al centro, perché ci si dà
persuasi che comporti il rischio di fuorviare, di alimentare visioni parziali,
di offuscare la lucidità del dispositivo razionale. Certamente il sentire va
ben ascoltato e inteso in ciò che dice, imparando a non liquidarlo in fretta,
senza ascoltarlo e intenderlo nell’originale di ciò che sa svelare, con
sovrapposizioni di significato pronte e convenzionali, tanto facili e scontate
quanto improprie. E’ proprio nel sentire, ben inteso e rispettato, fedelmente
compreso e valorizzato, che possiamo trovare la base lucida e fedele per
comprendere il vero che nell’esperienza si rivela e prende risalto dentro di noi.
Senza questo terreno su cui poggiare, il pensiero razionale scisso non fa che
farci vedere ciò che già scontatamente pensiamo e che rigira luoghi comuni e
attribuzioni di significato attinte dal sapere comune, dunque ben lontano dal
cuore vivo e dal vero dell’esperienza, di ciò che ci vuole rivelare di noi
stessi. Finisce dunque per prevalere una tendenza conservativa a ridirsi ciò
che si sa e si suppone, a mettere in atto meccanismi di pensiero, a volte anche
sofisticati, per proteggere e dare conferma al proprio modo di pensarsi, per
attribuirsi ciò che più risulta gradito. Nel sentire viceversa il vero vuole
rendersi tangibile e riconoscibile, solo l’incontro e il legame saldo col
sentire può permettere al pensiero di mettere e di tenere i piedi ben a terra e
saldamente. Solo facendo leva sulla capacità di scambio con se stessi è
possibile procedere nell'esperienza disponendo di capacità di vero orientamento,
di radicamento nel vero. Se il distacco dal piano vivo dell’esperienza, se la
lontananza dal sentire permangono, può accadere che ci si ritrovi come in stato
di allarme interiore, alle prese con sensazioni di ansietà e di pericolo, segnali
che l’interiorità lancia proprio per far capire che manca base affidabile,
capacità di orientamento. Scioccamente, è il caso di dire, quando a questi
segnali interiori, che hanno ben fondato motivo, che dicono dello stato del
rapporto con se stessi, con la propria interiorità, che è chiuso e non
comunicante, che rende il proprio equilibrio fragile e il proprio modo di
procedere niente affatto affidabile, rischioso, si dà loro viceversa il
significato di risposte anomale, tecnicamente bollate come disfunzionali, di
modi di sentire e di rapportarsi alle situazioni esterne non adeguati, senza
reale motivo e utilità, anzi dannose, si finisce per fraintendere tutto, per
lasciar cadere un segnale interiore molto sensato e valido, tutt’altro che
indice di anomalia o di un cattivo sentire e sfavorevole. Capita allora che,
non raccogliendo il significato, il senso vero dell’allarme, si cerchi, da un
lato per quanto si può di tenere a bada e di zittire l’allarme interiore,
l’ansietà che si ritiene ostile e dannosa e dall’altro, traducendo, interpretando
malamente l’allarme interiore, di fare ancora più forte ricorso e leva sulla
solita strumentazione, che si cerchi di mobilitare le funzioni di previsione e
di premunirsi, mettendo in campo il marchingegno del ragionamento, che sembra
l'unica risorsa disponibile su cui fare leva, per provare a tenere sotto
controllo, a spremere capacità di comprensione delle situazioni trascorse e
degli eventi possibili, per non essere sguarniti, sprovveduti, per porsi al
riparo. Se però agisce da sola e unilateralmente la parte razionale, senza
l'apporto e la guida della parte intima del sentire, non ha possibilità se non
di produrre qualcosa di astratto e in definitiva macchinoso e insensato,
sparando ipotesi e contromisure, polarizzando tutto l'impegno di se stessi sulla
difensiva. Insomma tutto il lavorio del rigirare e mettere ordine, del
rimuginare razionale è il segno e la denuncia della mancanza di capacità di
pieno affidamento a sè, del non possesso di punti base e di orientamento validi
e verificati, perciò in perenne stato di allerta più che di possibile fiducia
di sapersi muovere nell'esperienza, di poterne comprendere il significato,
senza mettere sempre le mani avanti. Per ottenere un diverso modo di
rapportarsi all'esperienza è necessario fruire di tutte le proprie risorse
interiori, fare conto su capacità di trovare risposte passo dopo passo in piena
unità e scambio con la propria interiorità, col proprio sentire e non facendo
leva solo su ragionamento, che da solo non ce la fa a dare ciò che serve. Un
nuovo rapporto con se stessi è ciò che serve formare, coltivare, costruire,
diversamente continuerà a arrivare, come attraverso il rimuginare, l’affannoso
lavorio del pensiero ragionato scisso dal sentire e l'allertarsi continuo, il
segnale di una mancanza cui provvedere.
domenica 9 giugno 2024
Il passato
E' convinzione molto diffusa che, per capire esperienze e situazioni interiori difficili di oggi, si debba risalire al passato. Se l'intento, rivolgendo lo sguardo al passato, è di individuare le cause che spieghino il malessere attuale, l'auspicio è, una volta trovate le cause, di potersi liberare di una condizione interiore giudicata senza alcun dubbio anomala e capace solo di procurare danno e impedimento a un sano modo di vivere e di procedere. E' un modo comune e ricorrente di rapportarsi alla crisi e al malessere interiore, che non appartiene solo a chi ne è coinvolto, ma che trova conferma e diventa asse portante di molte esperienze di psicoterapia. Di fatto la ricerca che, distraendosi rapidamente dall'ascolto del sentire vivo di oggi, si rivolge al passato per cercare le presunte cause del malessere attuale, segna una fuga dall'incontro col presente della propria vicenda interiore, segno dell'incapacità di entrare in rapporto con la propria interiorità, che, dentro e attraverso il sentire disagevole e sofferto, dice, comunica e avanza oggi proposte. Sono proposte utili e importanti, che, girando lo sguardo altrove sul passato, persuasi che il malessere sia solo una situazione negativa e nociva di cui liberarsi, non sono raccolte e comprese. C'è una domanda che però va posta. Esiste un nesso, un legame significativo tra la vicenda interiore dell'oggi e quanto è stato vissuto e si è reso acuto in momenti e in passaggi precedenti della propria storia interiore? Certamente gli svolgimenti interiori del presente sono in continuità e in relazione significativa con il cammino fino a oggi compiuto. Il passato, il proprio passato, cui in genere si vuole attribuire un peso determinante per capire se stessi e le problematiche attuali, se lo si vuole davvero comprendere e valorizzare, va però recuperato e riscoperto correttamente, non come una selezione ad arte di fatti, di episodi traumatici, di incidenti e di condizionamenti subiti, dove la parte decisiva e determinante è consegnata alla famiglia, all'ambiente, all'educazione e simili, ma come un cammino in cui, anche nei passaggi più ardui, non si è mai stati semplici oggetti passivi. Viceversa, se si vuole del passato recuperare e rispettare il vero, se non cè interesse a far quadrare tesi preconcette, ma a conoscersi, si può vedere come nel succedersi delle vicende personali, ci sono stati al centro dell'esperienza che si va a rivisitare momenti e passaggi interiori anche complessi di cui si è stati intimamente parte attiva e protagonisti, che, già a volte nella elaborazione immediata e poi soprattutto nel ricordo, sono stati spesso appiattiti, offuscati o del tutto ignorati. Si tende infatti nelle ricostruzioni, nelle rivisitazioni del passato a mettere in primo piano il peso dei fattori esterni, trascurando invece la riscoperta del filo interno di vissuti, di spinte, di risposte intime, che dell'esperienza sono state invece il nucleo centrale, l'anima, la parte essenziale. La vera storia personale non è primariamente fatta o riducibile a quel che altro o altri hanno fatto nei propri confronti e condizionato, ipotizzando tra l'azione del fuori e le risposte del proprio dentro una semplice relazione automatica e meccanica di causa e effetto, ma è da ritrovarsi in quel che, passo dopo passo, è successo interiormente, dove tutto si è svolto in modo ben più autonomo e complesso. In quegli svolgimenti interiori infatti il proprio profondo si è reso presente, ha ripetutamente preso iniziativa e attraverso il sentire ha dato segnali, indicazioni per evidenziare, per rendere riconoscibile nell'esperienza in corso prima di tutto la parte svolta e spettante a se stessi, ciò che si è espresso, che si è fatto. Nei diversi momenti l'inconscio ha, attraverso i vissuti che ha generato, incoraggiato e sostenuto l'impegno e la capacità di lettura autonoma dell'esperienza, la scoperta o l'intuizione di significati importanti, ha stimolato l'insorgere di interrogativi, ha reso acutamente riconoscibili nel vissuto i contrasti, il proprio modo di trattarli e di dare risposta, non ha mai messo in secondo piano la propria personale responsabilità. Non c'è un passato in cui si sia stati semplicemente materia plasmata e, in un modo o nell'altro, la conseguenza e la risultante, le "vittime" di quanto fatto da altri e determinato da circostanze e da fattori esterni. C'è un passato, quello vero e integralmente ritrovato, dove, pur non indifferenti alle influenze esterne, pur interiorizzando modi di vedere e di reagire presenti nell'educazione, il filo interno delle vicende e dei passaggi interiori, carichi di significato e di implicazioni importanti, con al centro se stessi, con se stessi in posizione non inerte nel modo di cogliere i significati, è sempre stato interiormente in primo piano. Ciò che l'esperienza interiore nel passato come nel presente è stata e è capace di dire è ben diverso da ciò che spesso si tende a raccontarsi e a spiegare, è ben altro rispetto a certe letture dell'esperienza, niente affatto rare, che cercano cause e spiegazioni, chiamando in causa principalmente altri e l'esterno. Sono ricostruzioni del proprio passato condizionate, viziate dalla necessità di trovare una causa, che dunque alterano per posizione preconcetta e deviano dalla ricerca del vero.In psicoterapia queste ricostruzioni e indagini sul passato danno soddisfazione alla necessità dello psicoterapeuta di produrre un risultato e a quella complementare della persona di liberarsi di un carico interiore da subito inteso come pena che malamente l'affligerebbe, come stortura effetto di cause e di condizionamenti o di traumi subiti che avrebbero prodotto il danno. Ciò che è racchiuso e di cui è testimone il proprio passato, se avvicinato senza preconcetto e interesse precostituito a procurarsi il presunto beneficio di trovare la presunta causa, ciò che avrebbe segnato e messo le radici del malessere interiore prolungato all'oggi, ma guidati da sincero desiderio di conoscersi anche nelle vicende passate conduce a ben altro che a operazioni di conferma di un teorema di partenza, quello del presunto danno psicologico subito. Il corso dei vissuti, degli accadimenti interiori, ciò che si è mosso e che si muove sulla scena intima e che nel racconto abituale, che mette sempre al centro ciò che agisce e condiziona da fuori, è trascurato, distorto e appiattito, in realtà è ben altro nella sua genesi e nei suoi svolgimenti, nei suoi significati e nella ricchezza di contenuto. Ciò che accade nella vicenda interiore, che accompagna che sottende i fatti, gli eventi dell'esperienza, che è il risvolto più interessante e fondamentale per capire, per conoscersi, vede la presenza del proprio intimo e profondo, niente affatto oggetto passivo condizionato e modellato dall'agire esterno, bensì capace di dare spunti, di dare base di ricerca di verità. Tutto ciò che prende forma nell'intimo del sentire è regolato e mosso dal nostro profondo, che in ogni momento vuole mettere in primo piano in ciò che ci accade ciò che ci spetta, che ci coinvolge, spingendoci a cogliere significati anche di notevole profondità, per non lasciarci inconsapevoli e sprovveduti. Nella complessità del sentire, che fin da piccoli accompagna la propria esperienza, riconosciuto e rispettato nella sua integrità e completezza, come possono essere rintracciati i segni di spinte, di risposte interiori originali, di intuizioni capaci di portare il proprio sguardo al di là o in disaccordo con le idee e con la logica dell'ambiente circostante, così non sono taciute la tendenza a scansare e a scaricare interrogativi e difficoltà, a porsi al riparo da tensioni conflittuali, a muoversi nell'adattamento e nell'adesione a ciò che è prevalente e comune, la tendenza a cercare scorciatoie e soluzioni a portata di mano e conformi all'esempio dei più, evitando incognite e carichi personali più gravosi e incerti, seppure per scopi più sentiti e autentici. La parte profonda del nostro essere, l'inconscio ha sempre fin dal principio del nostro cammino di vita reso tangibile la sua presenza, non ha mai mancato di dare stimoli e spunti per capire, per approfondire, per metterci allo specchio, per conoscerci nel vero, per capire per tempo questioni centrali, per non esserne ignari, non ha mai trascurato di stimolare la nostra potenzialità di prendere consapevolezza, di crescere in autonomia di pensiero e in fedeltà a noi stessi. L'infanzia non è un tempo di soli giochi, di assenza di responsabilità e spensieratezza, non di rado si affaccia la percezione di questioni importanti, si fanno strada inquietudini non insignificanti. I sogni stessi sono esperienza che fin dai primi passi della propria vita accompagna il cammino personale. L'inconscio interviene e è promotore non dell'adattamento, della presa dipendente da altro che guidi e orienti, che dia risposte e indichi traguardi, che definisca ciò che vale e in cosa si è riconosciuti come di valore, l'inconscio viceversa dà continui spunti e richiami per aprire gli occhi, per trovare da sè risposte, per crescere in autonomia di sguardo e di ricerca. Mi è capitato in alcune occasioni con individui adulti, durante il percorso analitico, di riavvicinare sogni da loro fatti in età infantile, anche molto indietro nel tempo. Motivo di una simile ricerca il rimando presente in sogni fatti oggi a quei sogni remoti. Ebbene quei sogni dell'infanzia già delineavano temi e nodi diventati nel presente cruciali e oggetto di riflessione più avanzata e di ricerca. L'inconscio è presente da sempre nella vita di ognuno e fin dai primi passi fa sentire la sua voce sia nei sogni, sia contrappuntando l'esperienza in ogni momento con vissuti, con stati d'animo, con emozioni, con l'articolarsi di momenti interiori utili per capire i punti decisivi e veri, per alimentare il confronto e il dialogo con se stessi, per cominciare a attrezzarsi di consapevolezza utile e necessaria per cercare la propria strada, per non subire la regola comune e per non appiattirsi sulle concezioni prevalenti. Se è accaduto che in parte questi momenti interiori, perché incisivi e forti, siano stati sentiti cruciali, riconoscendo se stessi soggetti e parte in gioco saliente e decisiva nell'esperienza, non meno delle azioni dell'ambiente, è però successo anche che via via ci si allontanasse dalla vicenda intima per stare sempre più nelle secche del ragionare e del fare, dando primato e prevalente attenzione a circostanze e a condizioni esterne, all'agire piuttosto che al sentire, con gli occhi tutti puntati fuori, fino a abituarsi a considerare decisivo ogni fattore esterno, fino a definire realtà solo quell'insieme e quello scenario esterni. Ho svolto questa riflessione per far capire che, se il passato personale ha valore, lo ha se riconosciuto nella sua vera natura di cammino interiore, unico e originale e non, come nelle ricostruzioni parziali e sostanzialmente infedeli, come racconto fatto soprattutto o soltanto di condizionamenti, di influenze esterne, di reazioni quasi automatiche e condizionate dall'agire di qualcosa di esterno e altrui, di semplice interiorizzazione di modi e di atteggiamenti assorbiti da figure influenti, cancellando o minimizzando tutto l'intimo della propria esperienza. Compiere questa semplificazione e riduzione del proprio a conseguenza dell'agire altrui e di altrui responsabilità è un'operazione di comodo, che libera se stessi da ogni carico e responsabilità nell'accertare e trovare il vero, nel riconoscersi soggetti del proprio destino, delle proprie scelte. Tanto è comoda questa modalità di trattare la propria esperienza, che enfatizzando il peso e l'incidenza di fattori esterni, oscura e non riconosce il primato di ciò che spetta a sé e che è rintracciabile nella propria esperienza interiore, quanto è deleteria per il proprio interesse di recuperare la propria visione delle cose e tutto il proprio potenziale di scoperte e di crescita. Se ci si priva del rapporto col proprio materiale vivo di esperienza, da cui può nascere conoscenza, autonomia e forza di pensiero, capacità di cambiamento, ne consegue che più facilmente e tenacemente ci si lega a altro e a altri e se ne dipende, ci si rifà a idee e modelli comuni e ci si fa portare, anche quando si insista nel contestarli, nel ribellarsi e contrapporsi. La modalità di ridurre tutto a responsabilità, a colpe o a potere di condizionamento di altro e di altri, applicata con più agio al passato, dove le "ricostruzioni" che appiattiscono il proprio e lo riducono a conseguenza d'altro, sono più facili, agevolate dalla distanza temporale che separa dagli accadimenti, è comunque ricorrente anche nel rapporto con l'esperienza attuale. Urge dunque imparare a leggere la propria esperienza, dando riconoscimento e aprendo riflessione su ciò che interiormente si prova, perché è lì che c'è il vero e tutto il potenziale che porta a capirsi, senza semplificazioni e omissioni, a trovare sintonia con se stessi e possibilità di ritrovarsi, di sviluppare il proprio originale pensiero, di crescere in autonomia e in fedeltà a se stessi. Se si lavora sul presente è più efficace questa ricerca, perché tutto dell'esperienza vissuta, del sentire, in tutte le sue espressioni e movimenti, capaci di aprire alla comprensione del vero, è vicino, è vivo e attuale. In ogni caso anche dove ci si aprisse al confronto con momenti e esperienze del proprio passato, è importante rispettare la stessa esigenza di mettere in primo piano e fedelmente ciò che interiormente si è vissuto, per non manipolare la propria storia, per non appiattirla, rendendola sì utile allo scarico di ogni personale responsabilità, alla costruzione di teoremi liberatori attorno al perché dei propri problemi e difficoltà, ma nello stesso tempo svuotandola e privandosi di ciò che potrebbe arricchire, nutrire la conoscenza di se stessi. Il presente, ciò che oggi la propria interiorità sta proponendo e promuovendo è il cuore della ricerca a cui rivolgersi prima di tutto, ma c'è un che di unitario, un filo che unisce il presente e ciò che sta nascendo col passato, col proprio passato. Il cammino, passato e presente, se visto e compreso dall'interno e col contributo fondamentale del profondo, è il proprio cammino, lo è e lo è sempre stato fin dai primi passi.
mercoledì 5 giugno 2024
Cos'è disfunzionale?
Il termine “disfunzionale” è molto usato,
particolarmente nell'ambito della psicoterapia cognitivo comportamentale. Sposa
e asseconda perfettamente l'idea comune che ritiene che quando in ciò che si
prova, nelle proprie risposte interiori e nei modi di vivere le diverse
situazioni, c'è qualcosa che non asseconda le attese e che si scosta da
ciò che è solitamente giudicato normale e valido, ci sia un difetto, un
funzionamento e una reazione anomali e controproducenti, non utili, anzi
dannosi per i propri interessi. Tutto concorda e converge nell'idea della bontà
di un intervento curativo volto a ottenere un modo (ritenuto) favorevole e
sensato di reagire e di procedere. Muovendo dalla persuasione che ci sia una
anomalia nel sentire, ci si dispone a contrastarla, provando a contenerla con
farmaci o con tecniche di rilassamento, proponendosi di correggerla, come nella
psicoterapia cognitivo comportamentale, con interventi su (supposti) modi
errati, disfunzionali di leggere e di pensare le diverse situazioni, che
condizionerebbero la risposta emotiva, la reazione giudicata incongrua e
limitante, nociva per i propri interessi. La correzione si propone pertanto di
ottenere che i modi e le risposte date alle diverse situazioni siano finalmente
corretti e validi, favorenti i propri interessi. Tutto sembra non fare una
grinza. C'è però, a starci attenti, il rischio di rimanere imprigionati in un
modo cieco di intendere le cose. In presenza di ciò che accade interiormente si
tende a piegare all'arbitrio della ragione ciò che una parte di se stessi,
intima e profonda, sta mettendo in campo nel sentire, bollato subito, se non
piacevole e discordante con le aspettative, come anomalo e sbagliato, privo di
senso e dannoso. Se ci si leva dalla posizione intransigente e rigida di chi
vuole imporre la verità e la regola a ciò che non conosce, in questo caso a una
parte di sè poco o nulla conosciuta, può aprirsi una riflessione e
riconsiderazione davvero utile e “funzionale” a non rimanere intrappolati nel
pregiudizio e in schemi rigidi. Tutto allora può mostrarsi sotto una luce ben
diversa. Tenendo conto dello stato del rapporto con se stessi, spesso di
lontananza e di non conoscenza del proprio intimo e profondo, disfunzionale, se
proprio si vuole usare questo termine, è il proprio non riuscire, in presenza
di un malessere interiore e di risposte interiori a prima vista strane e poco
piacevoli (siano esse ansia, fobie o altro), a comunicare con se stessi, con
ciò che si sente. Disfunzionale, cioè limitante e non idoneo a sostenere i
propri veri interessi, è non saper fare proprio ciò che il proprio sentire
vuole dire e far intendere, è non comprendere cosa la parte intima, profonda di
se stessi vuole condurre a capire di sè, della propria condizione vera.
Disfunzionale è insistere nel ripetersi le solite cose, nel volere che tutto
giri e proceda a senso unico di marcia, nel concepire come difetto di
funzionamento da correggere, per rilanciare il consueto, ciò che invece ha
tutt’altro senso, importanza e valore e che origina da tutt’altro sguardo, non
estraneo e alieno, ma profondamente proprio, insito nel profondo del proprio
essere. Se l'esperienza interiore disagevole che si vive di fatto è stata così
insistente e continua a incidere con forza, se ha intralciato e
intralcia l’iniziativa verso l'esterno, se non consente di aderire
ai richiami della cosiddetta normalità, del cosiddetto normale funzionamento,
con tutte le sue regole, tipo la necessità di provarsi che si è capaci come
tutti (sarà poi vero proprio tutti?) di stare sereni e di godersi la vita, è
per condurre quasi a forza a convergere su di sè, a portare tutta la propria
attenzione su se stessi, perché ci sono in gioco necessità fondamentali di cui
prendere consapevolezza e cui provvedere. Alla parte profonda non importa
nulla di garantire e di perseguire la normalità, che si faccia come tutti, che
si mantenga o si raggiunga quell'efficienza lì, al profondo interessa che si
metta assieme ciò che manca e che sinora non si è cercato e costruito: intesa e
unità con se stessi, un bagaglio di conoscenze di sè e di guide valide perché
non ci si perda, perché, pur illusi di essere artefici delle proprie scelte,
non ci si faccia guidare e persuadere da altro, perché invece, compreso cosa
profondamente appartiene, si sappia far vivere con fiducia, con
determinazione e con passione ciò che si è, che è autenticamente proprio. La
lettura in termini disfunzionali di ciò che si sente e di ciò che
interiormente accade, anche se sembra sostenuto da buon senso, anche se sembra una
lettura quasi ovvia, non coglie in realtà, non riconosce il significato vero di
ciò che la propria interiorità sta procurando: un forte richiamo, un
invito pressante a occuparsi di se stessi, a riconoscere l’inconsistenza delle
attuali basi di riferimento e di appoggio, la disunione con se stessi, la
spinta a costruire ciò che manca, a comporre l'unità con se stessi di cui non
si dispone. Il proprio sentire oggi è come un che di estraneo. La necessità
vera non è di proseguire indisturbati, di uscire, fare, procedere come sempre,
senza più impedimenti e paura che attanagli, la vera urgenza e priorità, che la
parte profonda del proprio essere non ignora, è di costruire un nuovo rapporto
con se stessi, di coltivare , in stretto rapporto e dialogo col profondo
(rapporto e dialogo che qualcuno dovrebbe aiutare a cercare e a sviluppare,
questa la terapia) ciò che serve per avere una identità davvero propria e
un bagaglio di scoperte, di conoscenze, una nuova condizione di
unità e di sintonia con se stessi, di cui si è privi. Ci si dà come regola
quella di ristabilire o di raggiungere la normalità, di riuscire a andare, a
fare questo o quello come fan tutti, intendendo questa come la giusta e ovvia
regola funzionale per se stessi, perciò ci si definisce e ci si lascia definire
come disfunzionali, convinti che sia questo il bene da inseguire, convinti che
sia verità evidente che saper vivere significhi ottenere le prestazioni
che oggi sono non casualmente intralciate da una parte di se stessi.
Questa parte di sè profonda ha giustamente e saggiamente in mente altro per se
stessi come urgenza e come bene da cercare e da costruire per affrontare,
poggiando saldamente su di sè, con piena aderenza e sintonia col proprio
intimo, con capacità di scoprire e sapere cosa si vuole e come lo si
vuole, il proprio futuro. I segnali che la parte profonda dà nel sentire sono
tutt’altro che segni di malfunzionamento, che risposte alterate che nuocciono e
fanno solo danno. Se la costruzione della propria personalità e dell’impianto
della propria vita è malfatta, più a copia d’altro, che di matrice propria, se
è posticcia e inautentica, perciò incapace di garantire la propria vera e
originale realizzazione, l’ansia, il senso di fragilità, di instabilità e di
pericolo cui in simili condizioni si è esposti ha sì o no un senso e una
capacità di dire? Disfunzionale non è il proprio sentire nelle sue espressioni
solo in apparenza sgangherate e anomale, ma è stare al di qua della presa di
coscienza del vero di se stessi e della propria condizione, della necessità di
profondo cambiamento, che quel sentire sta spingendo a riconoscere,
disfunzionale e niente affatto favorevole ai propri interessi è dare per
affidabile la marcia solita, insistendo sulla tenuta e sul rilancio di un
modello astratto di efficienza e di capacità di riuscita, non dando retta ai
richiami intimi e profondi, tutt’altro che stupidi e insensati, tutt'altro che
nocivi e sfavorevoli ai propri interessi, che con insistenza si fanno valere
dentro di sè. Purtroppo le questioni interiori, ciò che c’è veramente in gioco
in una crisi e in uno stato di sofferenza interiore sono spesso incompresi e
fraintesi.
martedì 28 maggio 2024
La cura e la meccanica del preconcetto
Chi in presenza di malessere interiore auspica prima di
tutto l'eliminazione del malessere, di ciò che considera un danno per sè e una
alterazione, vede con favore qualsiasi intervento curativo, sia esso
farmacologico che psicologico, che dichiari di voler combattere il
"disturbo", di metterlo a tacere o di sostituire risposte interiori
considerate sfavorevoli e nocive, etichettate in gergo come disfunzionali, con
altre ritenute utili e normali. Il presupposto è che tutto interiormente debba
funzionare in modo "regolare" e secondo linee di svolgimento
definite, senza ombra di dubbio, come normali e sane. La vita interiore è
considerata null'altro che un accessorio, un'appendice subalterna rispetto alla
testa del pensare e del decidere razionali, come un insieme di reazioni, di
risposte emotive e di stati d'animo che dovrebbe declinarsi in una forma che
sia concorde con il modo di pensare e di intendere, con i propositi e le attese
della testa e comunque non tale da procurare intralci o aggravi. Che tutto debba
girare a discrezione e secondo i giudizi della testa, senza mettere in mezzo
difficoltà e ostacoli al procedere, che si considera normale, valido e
vantaggioso, trova conforto da un lato nella idea che “così pensano e fan
tutti" e dall'altro nel vasto apparato delle cure e delle teorie, che
fanno loro da supporto, che dicono di offrire rimedio, soluzione a ciò che
implicitamente e anche esplicitamente considerano una alterazione, una
sofferenza anomala e dannosa, un malessere interiore da mettere a tacere.
Sembra evidente a chi ne fa esperienza che in una condizione di disagio e di
malessere interiore la miglior cosa sia cercare di toglierlo di mezzo per non
compromettere il corso abituale e per rimettere in piedi un modo di procedere
che non debba subire ostacoli. L’idea che l’esperienza interiore sofferta e
disagevole sia un danno, che lo “stare bene” richieda liberarsene, sembra
talmente ovvia da non richiedere ulteriori ricerche e approfondimenti. Dentro
questa direttrice di marcia, quando ci si trovi in presenza di difficoltà e di
disagi interiori, rispetto a cui in partenza non si desidera altro che porre
loro fine e sbarazzarsene, non si è affatto inclini a riconoscere nel proprio
intimo malessere, nel proprio sentire segnali significativi miranti a mettere
in luce il vero e non l’apparente del proprio stato, la presa stringente a fare
propria, senza fughe e rinvii, la necessità di fare chiarezza, di porsi allo
specchio nel proprio modo di condursi, riconoscendo in modo trasparente ciò
che, per proprio intento e responsabilità, muove le proprie scelte, ciò a cui
tendono e che implicano per se stessi. Tutt'al più quello che, andando un po'
al di là dell’idea che sia in gioco una pura patologia da combattere e da
correggere con farmaci e similari, si è inclini a pensare, concedendo all’idea
che nel proprio malessere ci sia un che da comprendere, è che al suo interno ci
siano i segni di un cattivo funzionamento, di difettosi e mali modi di
rapportarsi all'esperienza, che non gioverebbero al corretto e fisiologico
(ritenuto tale) procedere, che anzi
creerebbero inciampi nel cammino, che malamente procurerebbero frustrazione e
sfiducia, eccessi di paura, fuga o debole supporto alla volontà e alla capacità
di sostenere e di persistere negli impegni presi, qualche malo modo di
affrontarli che li appesantirebbe, che produrrebbe insoddisfazione e danno, che
anziché giovare infilerebbe dentro trappole, incastri dolorosi e sciagurati. A
questo riguardo si pensa in genere, considerandosene vittime, che cause
esterne, che cattive influenze subite nel passato, che insegnamenti sbagliati,
che affetti negati, che contributi tossici di figure significative, che
pressioni indebite e nocive, che carenze dell'ambiente, che traumi patiti
possano aver compromesso e guastato il più fisiologico e sano sviluppo
psicologico e interiore di cui si sarebbe stati in diritto, che ancora stiano
disturbando e recando danno. Anche quando non si intenda limitarsi alla
soppressione del sintomo attraverso il ricorso a psicofarmaci o a interventi
correttivi sul comportamento, quando si ritenga valido, con l’intento di andare
alla radice del malessere, intervenire nella ricerca delle cosiddette cause e
si fa propria l'idea di indagare, casomai di essere aiutati a farlo, lo scopo è
sempre, andandone a scovare la causa, di liberarsi dalle insane conseguenze di
ciò che avrebbe fatto danno, dagli effetti che tuttora ci si porterebbe dentro,
per rimettere in sesto e in corsa un modo di procedere, casomai con qualche
correttivo e aggiustamento, nella sostanza dato per scontato come valido e a sè
favorevole. Un lavorio che vede comunque la parte interiore oggetto di
spiegazioni, di interpretazioni, più che soggetto che dice, che rivela, che
conduce alla conoscenza. Un lavorio che vorrebbe liberare da incastri e da
invischiamenti, da trappole interiori e da circuiti dannosi della mente, per
rimettersi in piedi, casomai con la promessa di avere più libertà e più
capacità di esprimere se stessi, di accedere a un modo più sano di vivere e più
corrispondente ai propri interessi e aspirazioni. L'officina di diagnosi e
riparazione della psiche sembra avere molte frecce al proprio arco, offrendo un
ventaglio di approcci e di tecniche psicoterapeutiche, dai nomi accattivanti e
suggestivi, in una situazione via via in fermento di nuove proposte, in cui di
volta in volta spunta qualche nuova teoria e tecnica, pronta a farsi vanto di
essere la migliore e a più a pronto uso nel saper intervenire, spiegare,
risolvere. Tutto l'impianto teorico e pratico della diagnosi e cura del
malessere interiore, che mostra così varie offerte e che punta sulla
risoluzione del malessere, si regge su preconcetti. Prima di tutto, come
immagine di se stessi, c'è, data per scontata e preconcetta, la visione
gerarchico piramidale che vede in posizione inferiore e subalterna la
componente interiore rispetto a quella conscia cui è riconosciuta la funzione
direttiva, il monopolio dell’esercizio del pensiero, la prerogativa del
possesso della capacità di condurre, nelle valutazioni e nelle scelte, con
affidabilità di guida. In secondo luogo, ma non seconda per rilevanza, c'è
l'idea preconcetta che i modi e gli strumenti della crescita e della
realizzazione personale siano già concepiti e ben presenti e tracciati nella
prassi comune e nel sistema organizzato e che per ognuno si tratti di favorirne
il valido e regolare impiego e svolgimento. Cosa sia e quanto valga
l'interiorità pare già definito, pare scontato che non possa svolgere funzione
guida, che non abbia capacità di generare pensiero e di dare contributo
sostanziale alla ricerca di verità e di orientamento e nutrimento della
crescita personale, che questo compito ricada sulla parte in posizione di
testa. Che non ci sia necessità per l’individuo di costruire da sè ciò che
serve per la propria autentica realizzazione, di portare a maturazione la
conoscenza approfondita di se stesso, la
scoperta attenta e fondata, per non aderire al già pensato comune o d’autore,
dei significati, lavorando su ciò che la sua esperienza gli rivela e gli rende
possibile conoscere davvero, di dotarsi di scoperte proprie per orientarsi da
sé e per trovare ragioni e scopi della propria vita, è persuasione diffusa e
consolidata e diventa facilmente per ognuno un solido preconcetto. Nel modo di
pensare le proprie necessità e di procedere cui ci si affida, non serve, non è
richiesto un simile lavoro, semmai è richiesta a se stessi capacità di
intervento e di dare prova su un terreno già segnato, dove i supporti e le
guide, pure la lettura e la definizione dei significati sono già presenti, dove
è più accreditato il contributo esterno per la propria formazione e crescita,
che quello interno, cui, per preconcetto, non può essere riconosciuta una
simile capacità, che non può avere una simile pretesa. L’idea è che quello che
si può trarre da sè sia non più che l’indicazione di preferenze e inclinazioni,
in favore di scelte più mirate dentro un ventaglio di opzioni, di soluzioni
consolidate, che invece la propria crescita, lo sviluppo delle proprie
conoscenze ha necessità di avvalersi di supporti e di apporti esterni, che non
è pensabile che da sé si possa trarre di più e di sostanziale. Se, per fare un
esempio che chiarisca, la lettura di libri, l'apprendimento di teorie, la
fruizione di vari apporti culturali hanno credito come luogo e supporto
formativo per l'accrescimento di idee, di pensiero valido e
credibile, al lavoro su se stessi, a ciò che autonomamente può nascere e
crescere attingendo alla propria fonte, per preconcetto, è data una fiducia
assai limitata sia per la consistenza di ciò che può produrre sia per la sua
attendibilità. E' vero che se la produzione autonoma di pensiero è affidata
all'iniziativa isolata del pensiero conscio razionale presto questa si
chiuderebbe nel cerchio del già detto e concepito. Soltanto dando spazio alle
capacità del pensiero che origina dal profondo, soltanto attingendo a questa
fonte, si può scoprire di che cosa la creazione autonoma è capace. Se si apre
un confronto senza preconcetti e prevenzione, senza partito preso a riaffermare
ciò che non si vuole mettere in dubbio, senza predisposizione a far dire ciò
che si presuppone a ciò che si incontra interiormente, il quadro e l’orizzonte
della conoscenza e della scoperta di se stessi, il potenziale di ciò che può
scaturire dal dialogo interiore, cambia radicalmente. E' possibile allora
scoprire, come accade dentro un valido percorso analitico, che la vita
interiore, che ciò che si svolge al suo interno, è espressione e fonte di
un'intelligenza, che scaturisce dal profondo, ben mirata a trovare il vero e
non a ridurre il pensiero, come capita fatalmente lasciandone il monopolio al
pensiero razionale, alla ripetizione e al ricombinazione di idee prese in
prestito, di schemi assimilati e riprodotti, di attribuzioni di significato e
di risposte già formate. L’intelligenza di cui è portatore e anima il profondo
è quella di vedere con i propri occhi, di guardare riflessivamente dentro la
propria esperienza, di riportare a sé la funzione di comprensione e di
convalida e non di riprodurre e rimasticare, pur con qualche illusione di
originalità, ciò che è già concepito e assodato, facendosi dare da fuori
supporto e conferma. Non tutto sul terreno della conoscenza è già stato detto,
assodato e garantito da autorevoli fonti, residuando per se stessi solo la
possibilità di dire la propria, ma dentro un quadro già definito e dato.
Viceversa ciò che viene a dire il profondo, sia nel sentire e nei vissuti che
anima sia e in modo mirabile nei sogni, è che tutto è da farsi, se si vuole
uscire dal torpore dell'inconsapevolezza e se si vuole mettere assieme una
visione propria, una conoscenza approfondita e fondata di se stessi, per nulla
anticipata e fotocopia di ciò che la cultura e il sapere di “chi sa” ha
compreso e concepito, una scoperta di significati validi, verificabili da sé,
tratti da terreno vivo d’esperienza. Sono scoperte possibili e inattese, di
respiro e forza ben diverse delle costruzioni del pensiero razionale scisso e
ripiegato su di sè, capaci di rendere davvero autonomi, coinvolti e appassionati
finalmente a sviluppare visione e a aprire percorsi propri, svincolati dalla
dipendenza da altro e liberi dalla necessità, per ottenere soddisfazione, di
correre dietro a altro, per raccogliere la conferma e la gratificazione del
farsi riconoscere bravi e capaci, liberi perché in possesso di una vera
autonomia di scelta, di progetto, di realizzazione. Il malessere interiore,
quando si apra un attento, rispettoso e fedele ascolto dell'interiorità in ciò
che propone e dice dentro e attraverso vissuti non certo facili, ma non per
questo privi di senso, rivela di non essere il segno di un guasto, della
alterazione e compromissione di una
normale funzionalità, intaccata da qualche causa da scovare nel passato,
nell'ambiente o in cattive modalità di pensiero e di sentire, ma viceversa è il
segno di una forte iniziativa interiore volta a mettere al primo posto la
ricerca del vero. Nel malessere interiore c’è il forte richiamo di un profondo
che spinge per costruire ciò che non c'è, mettendo in crisi, non dando manforte
a un procedere che cerca solo continuità di esercizio, che presuppone che non
ci sia necessità d’altro che di proseguire. Nel vivo delle espressioni di
malessere l’inconscio, oltre che mettere in primo piano all’attenzione il
dentro del sentire rispetto al fuori dell’agire e del fare, dà tracce e segnali
validissimi per vedere prima di tutto la verità della propria condizione e del
proprio modo di procedere in ciò che è realmente e di cui manca, che visto da
dentro e non con la lente deformante del preconcetto si rivela insostenibile,
inautentico e affatto affidabile e favorevole. Così, inautentico e per nulla
corrispondente e all’altezza di ciò che da sé potrebbe nascere, il proprio
profondo lo ha riconosciuto e cerca di renderlo riconoscibile, svelandone i
modi e la natura vera, un modo di procedere affidato e plasmato più su altro
che ha dettato e che ancora suggerisce modi e contenuti, altro già concepito e
di comune uso che conduce, anche se offrendo l'illusione di essere artefici dei
propri pensieri e delle proprie scelte, che in consonanza con il potenziale e l’originale di se stessi, più
frutto di intesa e di connessione con l’esterno che col proprio intimo, tenuto
ancora lontano, non valorizzato,
incompreso e a priori sottovalutato. Lo stravolgimento che consegue
all’adesione acritica e tenace a un
simile modo di procedere e di pensarsi, l'incapacità, proseguendo inconsapevoli,
di riconoscere la verità della propria condizione, la mancanza di un lavoro di
ricerca su di sé e di maturazione di scoperte proprie, non riconosciute come
necessarie da sviluppare e coltivare, visto che tutto pare già definito e in
normale compimento, per dotarsi dei punti di riferimento, delle conoscenze di
sé, della conquista dei punti chiave di comprensione di ciò che è importante,
che ha valore per se stessi per poter
dirigere autonomamente e consapevolmente e in pieno accordo con se stessi le
proprie scelte, per sfuggire al rischio, altrimenti fatale, di farsi portare,
affidandosi a altre guide che non siano quella interiore, su percorsi e con
traguardi non corrispondenti a se stessi, confermati da fuori, ma non da dentro
se stessi, tutto questo, che non è certamente poco e di poco conto, fa sì che
il profondo intervenga per sollevare il problema. L’inconscio aprendo la crisi,
animando e agitando il quadro interiore, dando all’interno sempre segnali
appropriati e ben mirati, mai agendo in modo convulso e confuso come si è
portati a giudicare confrontandosi con il malessere interiore, vuole richiamare
l'attenzione su ciò che si sta facendo di stessi, per sollecitare una attenta
verifica e un serio lavoro di ricerca, prioritari su tutto. Pensare il
malessere come guasto e segno della compromissione di un regolare e efficace
procedere, che fa desiderare la messa in opera di interventi di cura nel segno
del ripristino e correzione, senza verifica attenta e lucida messa in luce
dell'intero impianto del proprio procedere, conduce solo a mantenere la
distanza e l'incomprensione di ciò che il proprio intimo vuole dire e spingere
a cercare e a costruire per il proprio bene. Uscire dall'inconsapevolezza,
prendere visione di un procedere passivo dipendente dove altro segna i passi da
seguire e dà le chiavi di lettura, l'illusione lì dentro di dire e di portare a
compimento qualcosa di proprio, pur senza essersi mai avvicinati a sè e alla
conoscenza di se stessi e di quanto di proprio vorrebbe e potrebbe vivere e
realizzarsi, tutto questo è nello sguardo del profondo, tutto questo sta
all'origine dell'iniziativa messa in atto dall'inconscio, che attraverso il
malessere interiore vuole aprire una fase importante di riflessione e di
ricerca. Se si sta nel preconcetto, nella definizione aprioristica della
propria realtà come semplicemente normale e di conseguenza di ciò che va inteso
come il proprio bene, fatto coincidere inequivocabilmente col fare salvo il
procedere solito dall'insidia del malessere, che tutt'altro è che un segno di
guasto e di anomalia, ecco che nulla del significato vero della crisi si
rischia di comprendere. Ci si riserva solo l'intento di scrollarsi di dosso il
malessere e semmai di fare qualche operazione di restauro e di rinnovo, ma
sempre nel solco di un procedere e di una ignoranza di se stessi, mai prese sul
serio come questioni da affrontare, da indagare, su cui riflettere e lavorare.
Nulla del significato della crisi e del malessere interiore si finisce per
capire, ci si tiene all'oscuro di scoperte importanti e decisive, che sono
l’intento del profondo, che proprio a questo scopo ha aperto la crisi e mosso
il malessere interiore, conquiste capaci di restituire a sè la guida della
propria vita, la sua realizzazione autentica. Non ci si dà l'opportunità,
procurandosi l'aiuto valido a questo scopo, di imparare a intendere e a capire
fedelmente ciò che la propria interiorità vuole dire e favorire, non se ne
scopre l'affidabilità anche nelle sue espressioni più sofferte e difficili, non
si recupera un rapporto di unità piena col proprio intimo e profondo, ci si
rende viceversa ancora estranei alla propria vita interiore, persino ostili a
questa parte così importante di se stessi, si fraintende e si squalifica il suo
apporto, che, se compreso senza preconcetto, se valorizzato e fatto proprio,
tanto di favorevole saprebbe dare per una vera e profonda rinascita. La rinascita
da se stessi, in unità col proprio autentico, col proprio intimo profondo.
Prendersi cura di sé, decidere come farlo, mette in gioco fatalmente la propria
intelligenza, oltre che la propria responsabilità verso se stessi. Se si
impiega e si dà seguito alla meccanica del preconcetto si rischia di chiudere a
se stessi, di permanere nella lontananza da sè, di perseguire un bene presunto,
all’insegna del tentativo di liquidare e comunque di superare e passare oltre
il malessere interiore, che se pare ovvio, secondo il preconcetto proprio e
comune, essere un obiettivo benefico e vantaggioso, si fonda però sul
mantenimento di una condizione di spaccatura del proprio essere, di sostanziale
incomprensione e disaccordo col proprio intimo, su cui si va a agire, vuoi con
l’intento di metterlo a tacere o di correggerne le espressioni, vuoi con la
pretesa di spiegare e con l’illusione di capire, senza dargli in realtà spazio
di parola e ascolto, intimo che comunque di questo mancato incontro e ascolto
non cesserà di dare segno. E’ un presunto bene che implica il mancato sviluppo
di una conoscenza fondata e vera di se stessi, di una capacità di realizzazione
autenticamente propria, che sono ragione, scopo e intento della crisi e del
malessere interiore, che soltanto un rapporto aperto e dialogico con la propria
interiorità, che soltanto attingendo al contributo e affidandosi alla guida del
proprio profondo si potrebbe realizzare. Sono conseguenze tutt’altro che
irrilevanti. Vale dunque la pena in situazioni di malessere e di crisi porsi
domande, cercare di capire con apertura di sguardo, senza preconcetti, senza
dare nulla per scontato, senza delega a opinioni altrui, neppure a quelle dei
cosiddetti esperti, cosa stia realmente accadendo dentro se stessi, vale la pena
cominciare a ascoltarsi per comprendere quale risposta, quale modo di prendersi
cura di sé offrire a se stessi, quale scopo perseguire.