domenica 29 gennaio 2012
L'analisi: a cosa serve e che cambiamento produce?
Il prezzo della lontananza da se stessi
L'ascolto e il dialogo con l'interiorità
martedì 24 aprile 2007
Fiducia in se stessi
Accade non di rado che ci siano persone che patiscono e lamentano scarsa
stima e fiducia in se stesse e che ne rivendicano il pronto recupero o
rafforzamento, come se quella auspicata (più autostima e più fiducia in sè)
fosse condizione ovvia e scontata, un diritto. In realtà è probabile che chi
non trova fiducia in se stesso stia cercando, più o meno consapevolmente, più
validi presupposti e nuovo fondamento alla propria fiducia e stima di sé.
Spesso l'individuo nel suo procedere si affida e aderisce ad altro da sé da cui
si lascia definire e portare: ruoli, senso comune, convalida esterna,
assunzione di modalità gradite ai più ed applaudite, conoscenze e modi di
pensare assorbiti e ripetuti. Chi non trova fiducia in se stesso è spesso un
individuo che si è limitato a riprodurre qualcosa di già confezionato, a
inseguire e a misurarsi più col consenso e la considerazione d'altri che col
proprio sguardo, a fronteggiare e a superare prove e esami esterni, ad andar di
corsa verso traguardi già segnati, più che a dare spazio e impegno a ricerca e
a verifiche proprie. Con una maturità di facciata, pur cercando, in affanno, di
stare al passo con gli altri, sente di stentare. Sempre più si acuisce in lui
il senso di inadeguatezza, subordinando la considerazione di sè, del proprio
valore al paragone con altri, facendo degli altri ancora e sempre più il suo
metro di misura, il suo modello. L'individuo, pur sfiduciato circa sè,
paradossalmente insiste nella pretesa di colmare subito il senso di sfiducia,
come se questo del non accordarsi fiducia e stima fosse un limite
ingiustificato o una anomalia. In fondo chiude gli occhi, non già sulla sua
scarsa fiducia, ma sulle ragioni vere, di inconsistenza propria che la
giustificano. Facendo riferimento e conto su modi comuni di procedere, che in
fondo non richiedono se non attestati di conformità al normale e parvenze,
preso dall’urgenza di non perdere terreno rispetto ad altri, non vede la
distanza che lo separa da una vera maturità e dal possesso conquista di
qualcosa di suo e di degno, capace di fargli meritare sì dentro se stesso senso
di fiducia e di stima. Per una fiducia in se stesso davvero fondata e non
costruita sul niente o sull'apparente, è necessario all'individuo qualcosa di
riconosciuto da sè come originale e consistente, capace di farlo stare sulle
sue gambe, di fargli compiere passi in direzioni scelte, comprese e sentite, in
autonomia, quindi poco importa se non condivise o non apprezzate dagli altri,
con progettualità propria, con intima persuasione e passione, con senso di
unità e di credo condiviso con se stesso. L'individuo che non trova fiducia in
se stesso ignora in realtà ciò di cui è portatore, ancora non dispone di sé,
ancora ignora il senso di ciò che sperimenta interiormente, ancora non ha
scoperto l'affidabilità della propria guida interna, profonda, ancora non
dispone della propria creatività, della capacità di generare pensiero proprio,
di riconoscere progettualità propria e di tradurla, sostenerla. Onestamente
potrebbe ammettere di non avere una propria visione di sè e della vita, un
proprio discorso, malgrado si sia sforzato di trovare argomenti e risposte,
onestamente potrebbe riconoscere di non essere ancora capace di guidarsi
attraverso se stesso. Queste ammissioni risulterebbero certo ingrate, dolorose
e però anche finalmente capaci di motivare l'impegno di scoperta dentro sè e di
conquista del nuovo, di ciò che manca. L'individuo si lamenta di non avere
sicurezza e fiducia in sé, ma in fondo insiste nella pretesa di essere già
maturamente compiuto, in molti casi più per imbarazzo verso gli altri o per
orgoglio, che per reale persuasione. In alcuni casi potrebbe essersi davvero
convinto di possederne di pensiero e di argomenti originali e propri, senza
riconoscere di essersi sempre, nella sostanza, riempito d'altro, di aver fatto
uso di sapere preso in prestito, di idee, anche se
"intelligentemente" rimaneggiate e rifinite, mai scaturite per intero
da sé e perciò mai concepite e comprese dall'origine e per intero.La stima di se
stessi, rivendicata come fosse ovvia e dovuta, manca dunque spesso del suo
valido motivo e fondamento. Nulla è più sciocco o deleterio che voler ottenere
o addirittura pompare la fiducia in se stessi, se ancora mancano i suoi
fondamenti, distraendosi dal compito e non cogliendo il richiamo interiore a
lavorare su se stessi, facendosi aiutare all'occorenza, per formare le basi
della stima e della fiducia in se stessi, solide e infine davvero
gratificanti. Non è un caso infatti che l'interiorità, che la parte di sè
più acuta, intelligente e consapevole, quella profonda, quando ancora mancano
le condizioni di vera crescita e di vera maturità necessarie e desiderabili,
tolga e neghi percezione di sicurezza interna e di fiducia e tenga ferma questa
posizione, malgrado le lagne. Non lo fa per deficit o per malattia, lo fa per
amore di verità, per saggezza e per consegnare finalmente il pungolo e il
compito di porre riparo a quel vuoto di sè e di propria sostanza e creatività,
per spingere finalmente a generarla e a costruirla. Il profondo non crea mai
situazioni di sofferenza e di crisi inutilmente o sciaguratamente.
Attacchi di panico. Qualche spunto di riflessione
Il rapporto con se stessi: unità e dialogo o contrapposizione e rottura. Il senso della crisi
domenica 15 aprile 2007
I sogni
Convalidate dall'uso comune o prese in prestito da qualche autorevole fonte, simili spiegazioni o interpretazioni riescono a dare a chi ne fa uso pallida persuasione di capire l‘esperienza, di vedere dentro sé, di conoscere. Dico pallida perché, al di là di una sensazione d'ordine, di controllo, di dominio sull'esperienza e sui suoi ignoti, il pensiero razionale non produce granché. A molti credo sia capitato di osservare questo: un processo di spiegazione razionale che riguardi se stessi, tanto risulta a volte coerente, all'apparenza convincente ed esauriente quanto sterile. Venuti col ragionamento a capo del problema ci si sente soddisfatti, ma si avverte di non aver compiuto un passo avanti, di non aver compreso per davvero nulla, soprattutto si sente di non ritrovare unità e contatto tra ciò che si è argomentato e detto e l'esperienza intima. Altra cosa è comprendere e dire, sapendo cosa si sta dicendo, vedendo dentro di sé, cercando e trovando dentro il vissuto il fondamento di quel compreso, la sua anima, la sua voce. I sogni conducono a questo: a vedere con i nostri occhi, a riconoscere significati che illuminano, che chiariscono noi stessi, ciò che sentiamo, di cui facciamo intima esperienza. La mia esperienza di analista mi ha dato e mi dà prova che dal profondo parte la ricerca di visione, di comprensione del senso. Dal profondo l'invito, l'occasione, la spinta continua e ostinata a rompere la condizione di passività o di chiusura della mente nel già pensato, nel pensiero dato, a superare l'inconsapevolezza di noi stessi. I sogni ci avvicinano come nient'altro a noi stessi. Il cammino analitico è segnato dai sogni.
Ogni sogno è un momento di ricerca che si serve di strumenti avanzatissimi di pensiero. Mettersi al passo col pensiero dell'inconscio è lavoro assai impegnativo, ma gratificante, perché capace finalmente di restituire la visione nitida e fondata, il pensiero di cui manchiamo, il nostro , dove pensare e avere consapevolezza sono in vera comunione e sintonia , dove ciò che diciamo e ciò che intimamente sperimentiamo concordano tra loro, sono l'uno la voce dell'altro. Per capire un sogno bisogna lavorare e molto. Ogni dettaglio del sogno è parte costitutiva del messaggio, di un messaggio affatto prevedibile e scontato, mai copia di qualcos'altro. Compito dell'analista è di restituire all'altro ciò che appartiene all'altro, il suo pensiero. Se l'analista mettesse addosso all'altro, all'esperienza dell'altro, ai suoi sogni qualcosa di già pensato, di costruito, di preso in prestito da presunte teorie certe e da spiegazioni già pronte, valide per tutto, tradirebbe il suo mandato, la sua funzione di aiutare l'altro a reggere il confronto con se stesso, a cercare ciò che gli appartiene, che si sta facendo avanti in lui dal suo profondo, che vuole essere compreso. L'analista, se facesse ricorso e favorisse l’uso di interpretazioni pronte, di idee già pensate, rischierebbe di chiudere l'altro a se stesso, di non aiutarlo ad attingere a se stesso.
E’ importante trattare bene i sogni , non parlargli sopra, ma imparare ad ascoltarli, a farsi guidare da loro. Per ogni sogno si può lavorare (assieme) anche per sedute intere, per più sedute. L'importante è non piegare il sogno al preconcetto, a qualche interpretazione pronta, che sicuramente farebbero la felicità di chi vuole uscire in fretta dalla tensione dell'attesa e dell'ignoto, ma che ammazzerebbero la creatività e il pensiero.