domenica 10 novembre 2024

La ricerca di aiuto

In difficoltà nel rapporto con se stessi, con l’esperienza interiore di cui si è portatori, si è tentati spesso di applicare a ciò che si vive una lettura tutta coerente con i modelli e col sistema di valori e di giudizi dominanti. Ogni espressione di disagio diventa allora segno di ritardo, di insufficienza, di incapacità di stare nel dritto e nel "normale", diventa guasto, eccesso, vergogna, complicazione assurda rispetto all’idea di un fluido, lineare, sicuro e fiducioso, oltre che efficace, procedere. Insomma si fa propria l’idea che esista indiscutibilmente una specie di fisiologia dell’essere, del modo di sentire e di condursi, considerato appunto sano, regolare, normale e con questo riferimento e metro si giudica il proprio sentire e ciò che interiormente si sperimenta. Non c'è alternativa, in situazioni di malessere interiore solo la normalizzazione sembra concepibile come buon esito e dovuto, come risposta desiderabile e giusta. Ci si convince dunque di essere in uno stato di insufficienza e di difetto, di portare una pena, una sofferenza che affligge e che procura solo danno e svantaggio a se stessi e l’aiuto che si può cercare si inserisce in questa concezione stretta, dev’essere aiuto che consenta di recuperare, di rimettersi in sella, di guadagnare finalmente normalità e fisiologico modo di funzionare, togliendo, vincendo quanto interiormente fa da freno, da ostacolo, da peso insopportabile. Su questa strada si può essere tanto comprensivi e concessivi verso se stessi, nel volersi concedere, come vittime di un che di sfavorevole, sollievo e liberazione, quanto diffidenti e un po’ restii nel cercare aiuto, perché si teme di dover dipendere da quel chi o da quel qualcosa che andrebbe, in vece e in sostituzione di se stessi e dei propri sforzi, a consentire o a favorire la ripresa, la normalizzazione, il superamento di quello scarto tra deficit e normalità. In realtà nel proprio stato di difficoltà interiore c’è ben di più e ben altro che una caduta dalla normalità, che uno stato di disgrazia di cui compiangersi. La persuasione che un che di assurdo e di malato sia intervenuto a bloccare, a intralciare un sano e valido procedere ha in sé e rivela non poca miopia e incapacità di comprendere. C'è nel proprio malessere ben altro che il segno di un guasto o di una patologia, c’è l’espressione di una divergenza di sguardo e di visione circa la natura e la validità del proprio modo di essere e di procedere di una parte tutt’altro che insignificante di se stessi, c’è il segno della presa di posizione e della decisa iniziativa del proprio profondo che, dentro e attraverso il malessere, preme e richiama, anche se ancora incompreso, a guardare ben dentro se stessi, a capire, senza veli, il proprio stato, a comprendere non tanto l’insufficienza o il ritardo rispetto alla normalità, ma lo stato debole e soprattutto inautentico della realizzazione di sé quando affidata nella sostanza all’andare dietro alla normalità come riferimento, regola e supporto, lo stato di passività e di povertà di se stessi insito nel proprio modo di procedere e di dare compimento alla propria vita. La propria interiorità vuole rendere acutamente riconoscibile la condizione di non radicamento dentro se stessi del proprio modo di essere, per mancanza di unità, di vicinanza e intesa col proprio intimo, per mancanza, in ascolto e in scambio col proprio intimo e profondo, di formazione e di sviluppo di risposte originali, tratte da sè e consone a se stessi. La propria interiorità testimonia e rende acuto attraverso l’ansia e il malessere interiore un senso di fragilità, non per poca normalità acquisita e consolidata, ma per mancanza nel proprio modo di essere e di procedere di fondamento e di consistenza propria. E’ tutta un’altra storia costruire il rapporto con se stessi, ritrovare le radici e il fondamento della vita in senso vero, cioè visione, idee e convincimenti, capacità di orientamento a partire da se stessi, imparare a capire ciò che si è davvero, ciò che vive dentro se stessi e non ciò che si muove fuori. Sintonizzarsi con l'esterno (la cosiddetta realtà), seguire i corsi d'esperienza già tracciati, omologarsi a questi e, anche quando in polemica e in contrasto, rimanere comunque in appoggio alle idee e ai modelli  in uso e in auge, stare in connessione con gli svolgimenti esterni è una cosa, sintonizzarsi col proprio sentire, con il proprio mondo interiore e esperienza interna, per cominciare a vedere tutto con i propri occhi, a capire da sè e in unità con se stessi è un’altra cosa, tutt’altra cosa. Questa di trarre da sè conoscenza e capacità di visione che non sia ingenua, sbrigativa e improvvisata, che sia invece ben fondata, credibile perché verificata, valida e affidabile è ipotesi remota, anzi del tutto ignota e neppure concepibile per la maggior parte delle persone. Ai più sembra necessario attingere e avvalersi d'altro per sostenere, formare il proprio pensiero e sostenere la propria crescita, lo sviluppo dei propri mezzi per orientarsi, per capire, per realizzarsi, per conoscere ogni cosa, anche se stessi. Dunque che da dentro se stessi arrivi l'invito a entrare in sintonia con sè, a raccogliere dentro il proprio sentire, attingendo alla ricchezza e alla straordinaria capacità propositiva dei sogni, le guide e i percorsi per conoscersi, per trovare risposte e punti base e poi sviluppi di conoscenza essenziali per orientarsi da sè, per non farsi dire ciò che di sè e che per sè è valido e possibile, ciò che è ad esempio normale sano e ciò che non lo è, tutto questo pare inconcepibile, tanta forza ha lo stare ormai al traino, la necessità, perché si possa far conto su qualcosa di valido, di attendibile e affidabile, di farsi rifornire di conoscenze, di idee prese da istruzione e apprendimento, da mentalità e da comuni usi e esempi, da fonti altre, da autorità presunte, rese ormai imprescindibili, indiscutibili. Malgrado questo e proprio per rendere consapevole questo modo passivo e acquiescente di intendere e di procedere dentro guide e limiti dati, per mettere sotto il proprio sguardo ciò che illusoriamente pare pensiero proprio e che in realtà è eco e replica d'altro, assunto a priori e privo di verifica da parte propria, perciò incongruo rispetto a ciò che l’esercizio della propria ricerca e in stretta consonanza con se stessi potrebbe generare, la parte intima e profonda interviene e non cessa di interferire, anche con mano decisa. Il rischio di farsi portare, alla cieca e sprovvisti di una scoperta di se stessi e di una lettura autonoma dei significati, dei perché, di ciò che per sé vale, verso esiti e svolgimenti della propria vita non coerenti con ciò che da sé potrebbe nascere e definirsi come progetto e scopo, è rischio non da poco, che la parte profonda sa vedere, vagliare e che la spinge a intervenire, a interferire. Necessario allora, nel proprio interesse, per non privarsi di un apporto prezioso che viene da dentro, per non opporre rifiuto e pregiudizio negativo sul conto di ciò che può essere valido e prezioso, capace di restituire libertà e autonomia vere, aprire un confronto con questa parte intima di sè, evitando di bollare subito come espressione di guasto e di anomalia se non di patologia ciò che l’interiorità mette in atto e che vuole essere forte richiamo e base di interrogativi, di necessità finalmente di capirsi, di conoscersi, di crescere davvero. Per formare unità e dialogo con se stessi, di cui si è spesso totalmente privi, per questo scopo e non per contrastare o per normalizzare il quadro interiore, serve sì un aiuto, che sappia condurre prima di tutto a non fuggire ma ad avvicinarsi a se stessi, alla propria esperienza interiore, al proprio sentire, ai propri sogni, per imparare ad ascoltarli, a comprenderli, a raccoglierne l'originalità e la ricchezza di proposta. E' questo un aiuto non per riacciuffare la normalità, per ripristinare a testa bassa il solito procedere, ma per congiungersi a se stessi, per arricchirsi di se stessi, per formare un nuovo modo di stare al mondo, il proprio autentico e originale, che poggi su proprie scoperte, conoscenze e verifiche, su proprio metro e non su quello comune della normalità, della fisiologia dell’essere. La sofferenza interiore non evidenzia e non testimonia difetto e insufficienza verso la normalità, ma rischio, presente nel proprio modo di essere e di procedere abituali, di distorsione e di mancanza di fedeltà e di unità con se stessi, rischio di fallimento dei propri scopi che, ancora ignorati, potrebbero rimanere sepolti. Cosa serve fare? Si può fare da soli? E' frequente che chi vive difficoltà interiore dica a se stesso e si senta dire che dovrebbe fare da sè, non dipendere, sforzarsi di "reagire", non farsi dare o sostituire in ciò, volontà e impegno, che potrebbe ben chiedere a se stesso. Se si trattasse di applicarsi a seguire ancora il modello comune e a rientrare nella fisiologia dell’essere, il ragionamento non farebbe una piega. Se il problema però è formare e coltivare quel che ancora non c’è, ben diverso è ciò di cui si ha necessità per perseguire questo scopo. E' uno sviluppo del tutto nuovo quello di cercare e di trovare unità con se stessi, di formare capacità di ascoltare e di capire la propria interiorità, capacità di assecondarla nel proposito di esistere, di coltivare e di sviluppare il proprio pensiero e visione, il proprio progetto. Per essere normali basta farsi portare e sintonizzarsi col programma comune, condizione provata e riprovata, ben conosciuta nel tempo, basta sforzarsi di rimettersi in pista, mentre per esistere secondo se stessi e per conquistare autonomia vera nel governo della propria vita serve unirsi a se stessi, al proprio profondo, imparare a capirlo, per vedere, col suo supporto e guida, le cose da sé, per trovare la propria consistenza. C’è un aiuto che si può cercare e che non toglie, che non sostituisce quanto si può trarre da sè, ma che favorisce viceversa il proprio andare verso se stessi, l'attingere e il rinascere da se stessi.

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