lunedì 4 novembre 2019

La guida interiore

La parte conscia dell'individuo si fa vanto di superiorità rispetto alla componente interiore e profonda nel garantirgli capacità di guida affidabile, la suppone. E' comprensibile che lo faccia, visto che nell’esperienza di molti, questa parte di se stessi, che fa leva su volontà e pensiero ragionato, da sola e volendo essere sola, ha tirato e tira la carretta. La parte inconscia però non è, come ritiene spesso il pensiero comune, un magma di paure, un serbatoio di brutte esperienze, uno strepitio di pretese infantili e di convincimenti irragionevoli e assurdi, dunque una parte inaffidabile. L'inconscio è la parte di noi stessi che sa vedere le cose che ci riguardano da vicino con trasparenza e fedeltà di sguardo, sapendo, ben diversamente dalla parte conscia,  contemporaneamente allargare la prospettiva per cogliere l'insieme e ciò che ne sarebbe nel tempo di noi stessi procedendo nella modalità consueta. La parte conscia vuole la continuità, dice cose che confermano solo ciò che è solita credere, sostanzialmente non sa staccare da ciò che le è abituale e che dà per scontato, per vedere riflessivamente e senza pregiudizio cosa sta sostenendo e in che modo. La parte conscia si illude di essere lucida, obiettiva, capace di riconoscere e di garantire a se stessi il meglio e il più favorevole, in realtà è spesso cieca e passiva, ripete più di quanto non creda luoghi comuni e si avvale nel pensare, nel ragionare sull'esperienza di attribuzioni di significato prese in prestito e date per scontate, cerca all'esterno convalide rassicuranti e si fa persuadere dall'approvazione altrui, ne dipende, perciò si chiude e si rigira su se stessa. Non sa vedere la passività che la costringe a far suo ciò che è già definito come valore e significato, non sa vedere la propria inconsistenza di pensiero. Perché il proprio pensiero sia fondato e affidabile, tutto andrebbe capito partendo da se stessi, da scoperta di significati dentro e attraverso la propria esperienza, i propri vissuti. Le proprie vere ragioni di vita e potenzialità tutte ancora sarebbero da scoprire, da riconoscere. L'inconscio non ignora tutte queste questioni e necessità vitali, l'inconscio è la parte di noi legata a ciò che autenticamente e profondamente siamo, con cui e per cui siamo venuti al mondo e che potremmo far vivere e realizzare, è la parte che non chiude gli occhi, che sa riconoscere il niente camuffato da tutto, il vuoto, l'inconsistente dove la parte conscia crede ci sia chissà quale sostanza. L'inconscio è il nostro saper vedere senza illusioni e trucchi, il nostro porre in primo piano il vero, rispetto alla tendenza a far funzionare comunque le cose, cercando a testa bassa di non perdere punti, di non rimanere indietro rispetto agli altri, provando con ogni mezzo a far girare il meccanismo, a proseguire comunque. L'inconscio contrasta la tendenza dominante nell'individuo, cerca di fargli sentire lo scricchiolio dell'insieme dell'assetto del modo di essere e di procedere, che pretenderebbe di essere solido, quando in realtà è fragile, sconnesso. L'inconscio al mantenimento di questo insieme non dà manforte. Ansia e quant'altro trovi espressione nel disagio interiore servono a far sentire l'intimo profondo disaccordo, a far sentire la necessità di un cambiamento di sguardo e di rotta, a consegnare il compito non di tirare avanti dritto incuranti, ma di cominciare davvero a guardare senza veli, a capire come si sta procedendo, di cosa si è sostanzialmente privi. Il vizio di fondo di tanto pensiero psicologico e psicopatologico è di considerare l'uomo come un meccanismo che deve stare dentro, funzionare regolarmente e realizzarsi nel cosiddetto "reale", il che altro non significa se non lo stare sui binari e nell'adesione a ciò che, pur con tante varianti e opzioni alternative, nella sostanza è già modellato e dato, già pensato e detto, che nulla ha a che vedere con la formazione di pensiero proprio, con la scoperta di se stessi e del proprio progetto, che l'inconscio stimola con insistenza, che vuole con forza, perchè condizione per essere artefici del proprio destino e liberi, non gregari. Dove la parte conscia tira dritto e consolida solo il pregiudizio, l'inconscio "pensa" e cerca di far sentire la sua presenza, di esercitare la sua influenza, tutt'altro che negativa, anche se vissuta come disturbante. L'inconscio non è lontano o destinato per sua natura a rimanere tale. Anzi il nostro inconscio vuole esserci nella nostra vita, stimolarci e sostenerci nell'impegno di crescita, consegnandoci (attraverso i sogni principalmente, ma anche plasmando tutto il corso interiore dei nostri vissuti, del nostro sentire) nuova linfa e pensiero, vuole che sia condiviso dalla nostra parte conscia, cui chiede coinvolgimento, impegno e serietà, sacrificio della pretesa di capire tutto in un attimo o, peggio, di sapere già. L'inconscio non è uno strano accessorio o una presenza aliena, non è un'entità misteriosa, destinata a sfuggirci, di cui solo gli esperti possono dire, con quale cognizione di causa è tutto da vedere. L’inconscio siamo noi in una parte ed espressione del nostro essere, che ahimè spesso teniamo lontana, sminuiamo, sul cui conto abbiamo pregiudizi, verso cui, per definirla, impieghiamo stereotipi, che in definitiva molto spesso non conosciamo nel suo vero volto, significato e valore. L’inconscio è la parte di noi che raccoglie e documenta ogni passo del nostro procedere, che evidenzia continuamente nelle nostre emozioni e stati d'animo il vivo e la complessità di cui è fatta la nostra esperienza, il vero e l'intero, senza omissioni o aggiustamenti di significato o riduzioni di comodo, come, pensando col ragionamento, tendiamo spesso a fare. Capita che già giovani o giovanissimi si veda il proprio corso d'esistenza, che si vorrebbe quietamente e piacevolmente sereno, turbato da malesseri o da crisi interiori, non per caso, non per cedimenti o per insufficienze banali, non per difetti di buon funzionamento, ma per ragioni più profonde, di mancanza di basi salde di unità con se stessi, di conoscenza di se stessi, senza le quali è compromessa la capacità di farsi buoni interpreti di se stessi e di guidarsi autonomamente, di sventare il rischio di farsi sostituire, di affidare la proprio vita e il proprio futuro a guida esterna piuttosto che interna. Già pare infatti modellato, spiegato e detto ciò che va inteso per realizzazione personale, per crescita, per ricerca del bene della propria vita. Le tappe, le occasioni, i modi di intendere la maturità sembrano già definiti e scolpiti nell'esempio comune, nel pensiero vigente, prima di ogni possibilità e impegno di scoperta e di ricerca personali. Il rischio di saltare la propria ricerca e di imboccare strade presegnate, tradendo, deludendo le proprie ragioni e aspirazioni profonde, nemmeno indagate, coltivate e conosciute, è fortissimo. L’inconscio non per caso intralcia il cammino, fa sentire con ansia, attacchi di panico o quant’altro cosa vacilla e manca, forza l'individuo col malessere ad andare più verso se stesso che verso l‘esterno e verso altri, gli fa toccare con mano la sua non familiarità e lo smarrimento nel contatto con il proprio mondo interiore, gli fa sentire l'urgenza di porvi rimedio, di non procedere incurante di questo stato di incomprensione con se stesso. Non è distruttiva la pressione che l’inconscio esercita sull'individuo, è provvidenziale e saggia, gli vuole togliere illusioni, vuole spingerlo a delle verifiche attente e approfondite da farsi con i propri occhi finalmente. L'inconscio vuole aprire all'individuo una stagione di profonda trasformazione per sostituire il posticcio di una identità e di un senso della propria vita prese in prestito, fragili, non verificate e comprese davvero (fondate più sull’imitazione e sulla ricerca dell’intesa con l’esterno e con gli altri che sul confronto con se stesso) con la presa di coscienza, con la formazione di proprie idee fondate e verificate, con la formazione di propria visione, in stretta unità e accordo col proprio intimo e profondo. Il rischio per l'individuo di sprecare la propria vita diventando copia d’altro e dipendente da altro, che, nel pensato e nell'esempio comune, nel già organizzato e strutturato, nel cosiddetto "reale", è pronto a suggerire, a convalidare, a sostenere, a dare le dritte, non è sottovalutato dalla parte profonda di se stesso. Non è un caso se l’inconscio fa il guastafeste, se fa ad esempio sentire senso di fragilità, di sfiducia, senso di vuoto e di inutilità. Simili vissuti sono facilmente giudicati patologici, sbagliati, espressione di qualcosa che non funziona come dovrebbe. In realtà l’inconscio turba il quieto vivere per dare indicazioni impegnative quanto fondate e vere, non ci può essere ad esempio fiducia in se stessi se di proprio non si è ancora compreso e messo assieme nulla. L'inconscio può diventare la guida più affidabile e sicura, se si impara a comprenderlo e a rispettarlo in ciò che è, se se ne condivide lo spirito e l'intento, se, dando risposta appropriata al malessere interiore, si decide, procurandosi l'aiuto valido e necessario, di cominciare un serio lavoro su se stessi, di aprire una stagione di crescita e di cambiamento. L'inconscio non difende il quieto vivere, perchè non ha a cuore il persistere in ciò dentro cui si è solo pallida immagine e inautentica di se stessi. L'inconscio è impegnativo, perchè non appoggia passività e rinuncia, illusioni e comodo, ma è un potente alleato nell'impegno di far vivere se stessi, di mettere al mondo con la propria vita qualcosa che abbia un contenuto originale e un senso.

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