Pensa a senso unico, non concepisce se non il già
concepito, perciò non è in grado di capire cosa davvero avviene sulla scena
interiore. Questa è la psicologia corrente, in tante delle sue varianti,
pronta, pur nelle sue diverse declinazioni, a intervenire in emergenza per
fronteggiare malesseri e crisi interiori come psicologia del rattoppo e del
rilancio. Quando, guardando alla propria esperienza, si riconosce solo ciò che
si è soliti e inclini a intendere, provvedendo a dare a se stessi, per il
proprio quieto vivere, conferma nei propri giudizi abituali e convalida al
proprio modo di procedere consueto, resi, in appoggio a modelli e a mentalità
comune, scontati, “normali” e fuori da ogni necessità di verifica, già si è ben
sintonizzati e in perfetta consonanza con la psicologia corrente, sia con
quella convenzionale e diffusa, che con quella professionale dei non pochi
esperti che, all’occorrenza, in caso di difficoltà, è pronta a intervenire come
psicologia della diagnosi del (presunto) guasto
e della ricerca del suo rimedio. Quando, seguendo l'onda e il modo di
pensare comune, si fanno scelte di vita, si fanno proprie, rifacendosi a modalità
e a modelli condivisi, le tappe e i tempi di esecuzione, si perseguono i
traguardi di presunta crescita e realizzazione personale in qualche modo già
designati e si considera se stessi, in realtà attori di un copione già scritto,
calati dentro ruoli e parti già ben definite e configurate, come artefici e
capaci di dire in quei panni la propria, quando illusi di compiere il proprio
cammino per intraprendenza e iniziativa proprie, ci si muove in realtà su
percorsi già segnati, ben indirizzati e regolati, ecco che la psicologia, che
convalida e assesta la credibilità della (fasulla e inautentica)
autorealizzazione messa in scena, è pronta, in caso di difficoltà, di malessere
interiore, di cui non sa riconoscere le ragioni profonde e lo scopo, a
intervenire per fare azione di rimedio, di rattoppo e rilancio. Ben accolta
come salvatrice e provvidenziale, resa affidabile dall’autorità concessa ai
cosiddetti esperti, la si fa intervenire a fare rattoppo quando, mentre
l'interiorità, con segnali, per nulla casuali e insignificanti, di malessere e
di crisi, produce strappi, apre crepe affinché il vero emerga e tutto possa
finalmente prendere una via nuova, quella della presa di coscienza, del
recupero a sè del compito e della occasione di fondare su di sè la propria
vita, si cerca invece, casomai facendosi aiutare in questo, di adoprarsi per
trovare rimedio a presunti guasti, per ripristinare la corsa solita, a senso
unico, per ridarle slancio e respiro. Non conduce alla presa di coscienza, la
psicologia che la dà per naturale e la traveste, che non persegue lo scopo di aprire lo
sguardo, di vedere cosa è realmente e cosa implica la modalità di procedere in
cui ci si affida a altra guida, cercata fuori di sè, che già ha concepito e
predisposto, casomai con ampia gamma di soluzioni e binari, ciò che si può e
che va realizzato e perseguito, illudendo che quello messo in atto sia
movimento autonomo e fondato su basi proprie ben comprese e evolute, cosa che
solo un serio lavoro su se stessi potrebbe formare e costruire. Un lavoro
necessario per fondare la propria autonomia su presa di visione propria, su
scoperta di ciò che vale, di aspirazioni che si riconoscono originali, di cui
si è profondamente portatori, lavoro che solo in unità col proprio profondo può
svilupparsi senza inglobare significati e risposte e soluzioni preconcette e
già pronte, prese da fuori. I binari, il copione già scritto esonerano però dal
compiere questo lavoro, anzi lo rendono, oltre che inutile, inaffidabile,
offrono e sanciscono come via maestra e necessaria, addirittura ovvia e
naturale, per la propria realizzazione soluzioni, vie da percorrere già
segnate, da seguire, da assecondare. Non serve allora altro che testare su di
sè se non la predilezione, l'interesse per questo o per quell'altro già
configurato che sta là fuori dentro il ventaglio delle opzioni possibili,
scegliendo la preferita, come il mezzo e come l’itinerario da seguire e il
traguardo da raggiungere per dare realizzazione alla propria vita. Così
assuefatti a cercare pronta soluzione, a prenderla da fuori, ben poco si è
disponibili e interessati a fermarsi, a aprire riflessione e verifiche attente,
a ascoltare la parte intima e profonda, a lavorare con cura su di sè. Serve
solo ai propri occhi afferrare le soluzioni già prefigurate e pronte, serve non
perdere il treno, salire di volta in volta e tempestivamente sul treno che pare
confacente a sè, per non rimanere a piedi e indietro rispetto agli altri, per
darsi la persuasione e la rassicurazione di mettere la propria vita in corso
d'opera e in corsa di riuscita. Capita nei sogni di essere in procinto di
salire su un treno, a volte di correre il rischio di perderlo, di affannarsi
per non perderlo, di non arrivare in tempo. L'inconscio ci mette l'intelligenza
di cui dispone, non conforme e non al guinzaglio della psicologia del rattoppo
e del rilancio, per segnalare l'impossibilità ormai di acciuffare quella falsa
grande opportunità del treno in partenza, impossibilità da intendersi come
condizione utile e necessaria, tutt’altro che infelice. La perdita del treno in
partenza non è infatti sciagurata, ma viceversa è favorevole per riportare a sè
la scoperta del cammino, dell'orientamento da trovare, della meta da scoprire,
del modo di raggiungerla da affidare alla propria intelligenza, facendo conto
sulla sensibilità dei propri piedi sul
proprio terreno, sulla loro capacità di sostegno e di movimento e non sul farsi
portare da veicolo a pronto uso, che, se offre agio di muoversi, ha però le sue regole e destinazioni segnate,
i suoi andamenti cui aderire, cui affidarsi passivamente, i binari ben segnati
su cui correre. Quando non si comprende quanta necessità c'è di aprire gli
occhi sul modo abituale di condursi e sugli autoinganni, sulle illusioni che
alimenta e di cui si avvale per stare in piedi, per sussistere, ecco che la
visione di sè, che la psicologia del rattoppo e del rilancio di ciò che ormai è
consacrato come regola e come unica prospettiva possibile, prende il
sopravvento, risulta funzionale e quasi indispensabile per tenere su l'intero
costrutto. La psicologia del rattoppo interviene per accomodare tutto, mettendo
le mani su situazioni di crisi e di malessere interiore, fraintendendo e
dirigendo tutto nella ricostituzione e nel rilancio, casomai con qualche
apparente novità e aggiustamento, della solita storia e direzione. La
psicologia del rattoppo, in presenza di momenti e passaggi interiori critici e
problematici, in cui la componente profonda interviene per spezzare la quiete,
la continuità del procedere e del pensare soliti, per sollecitare con forza la riflessione, il
recupero della presa di visione di ciò che si sta facendo di se stessi e verso
se stessi, cerca cause di presunti disturbi da rimuovere e da correggere, offre
spiegazioni e soluzioni, salvando e riconfermando nella sostanza l'impianto
solito, tentando di renderlo più scorrevole, se intralciato da dentro. Ma gli
intralci, i segnali di crisi e di malessere, sono richiami e spunti di
verifica, spinte e guide di ricerca di verità e di consapevolezza su se stessi,
che la parte profonda mette in campo, che, se non intesi come tali e non ascoltati, se fatti invece oggetto e pretesto
di rattoppo, portano solo a fraintendere e a chiudere la possibilità di
conoscenza di se stessi e di profondo cambiamento, indispensabile per uscire da
una condizione impropria, di dipendenza e di allineamento a altro, pur con
l'illusione di decidere, di dire e di metterci del proprio. La psicologia del
rattoppo e del rilancio, che sembra nella crisi e rispetto al malessere
interiore dare risposta utile e benefica, di fatto vanifica la spinta che nelle
intenzioni del profondo, che anima e solleva la crisi, vuole portare a
verifiche attente, a aprire gli occhi sulla natura del proprio modo di
procedere, a invertire la rotta, a passare da finti artefici e realizzatori
della propria vita, a veri artefici,
accettando non di consumare soluzioni pronte e di salire su treni da non
perdere, ma di costruire con impegno e pazienza e gettare le fondamenta della
propria autonomia, di trovare dentro di sè le guide e le risposte, di tesserle
con cura, in unità con un'interiorità che, se da un lato apre crisi, dall'altro
ha capacità di dare sostegno e di guidare la ricerca per diventare davvero
protagonisti della propria vita. Quando l'intento del profondo è compreso e
condiviso, accade che la psicologia, non del cieco aderire e della conferma del
corso abituale, non del rattoppo e del rilancio del solito, ma la psicologia della
riscoperta e del riscatto dell'umano vero e della sua realizzazione autentica
riesca finalmente a prendere il sopravvento. L'inconscio questo vuole e di
questo sa essere maestro e guida.
mercoledì 16 luglio 2025
La psicologia del rattoppo e del rilancio
sabato 12 luglio 2025
Le vicende interiori
Non è affatto facile capire le vicende interiori,
particolarmente se complesse e inquiete. Prima di tutto si fa e spessissimo
l'errore di applicare agli svolgimenti interiori una logica interpretativa e
una lettura che sono a loro estranee, improprie. Ci si aspetta, si suppone che
ciò che accade interiormente sia solo l’eco, la coda, il seguito passivo di ciò
che si ritiene essere il senso delle cose come tenuto insieme nella propria
testa. Si ha pretesa di tenere con la testa il comando esclusivo delle operazioni
di pensiero e di indirizzo delle scelte e che tutto di se stessi debba muoversi
al seguito. Se l’intimo di sé nel sentire non dà segni conformi alle attese,
prontamente lo si considera segno di risposta insufficiente, inefficiente, non
valida e non adeguata come si vorrebbe.
Tutto ciò che accade interiormente è ben altro in realtà e ha ben altra
capacità e intento che di seguire le orme e i dettami della testa padrona, ma
questo lo si ignora, implicitamente lo si esclude, con pretesa convinzione inossidabile
che ciò che conta è ciò che nei ragionamenti si pensa e si argomenta e che il
resto sia comunque subalterno e da gestire. C’è poi la tendenza a fare uso, a esaltare
le emozioni che hanno buon gradimento e che godono di apprezzamento comune, a indurle,
a porle a rimorchio e al traino di circostanze (ad esempio un luogo, una vista
chissà quanto incantevole e irresistibile, oppure una situazione che si pensa
non possa che commuovere o altro) o di fonti ispirative, come la visione di un’opera
d’arte, assistere a una rappresentazioni teatrale o cinematografica, come l’ascolto
di una musica, la lettura di un libro o simili, che avrebbero capacità di
suscitare e accendere emozioni, come se ce ne fosse necessità, come se il
sentire spontaneo fosse poca cosa e ci fosse necessità di animarlo, guidarlo e sostenerlo per farlo entrare in bella
vibrazione, perchè dia il meglio di sé, perché caldamente prenda forma e si manifesti.
Contrariamente e ben diversamente dal pensato comune, ciò che si propone
interiormente nel sentire, spontaneamente, senza trucchi, manipolazioni e
incentivi, davvero in modo spontaneo e autonomo, quando rispettato, correttamente
inteso e fedelmente compreso, si rivela essere ben altro e avere ben altro
peso, valore e capacità rispetto a ciò che gli assegna il preconcetto usuale e
ricorrente. Ben diversamente dai limiti che si suppone lo caratterizzino, lo si
considera infatti componente a volte deludente e senza pretese se poco vivace e affatto appagante, altre
volte, se più acceso e incalzante, irrazionale e viscerale, non affidabile in
termini di intelligenza e di capacità propositiva, il proprio sentire, il corso
delle intime sensazioni e stati d’animo, è viceversa capace, ben guidato dalla
parte profonda della propria psiche, di dare contributo e guida intelligente
per comprendere ciò che la testa, scissa dal sentire, non può e non sa intendere, alimentata com’è nei suoi
ragionamenti dal pensato comune, condizionata com’è da interessi di conservazione e di
conferma dei suoi convincimenti soliti. Il sentire sa dare testimonianza viva
di verità intime, verso cui lo sguardo abituale non cerca e non si dirige, riguardanti
lo stato del rapporto con se stessi, l'orientamento e il modo di farsi
interpreti della propria vita, il grado di maturità vera, di autonomia
raggiunte, la corrispondenza con se stessi di ciò che si persegue o segue. Sono
verità tutt’altro che di poco conto per chi non voglia procedere a testa bassa
o dentro convinzioni mai verificate, sono verità solitamente ignorate e
trascurate, rese vive e tangibili proprio dentro e attraverso stati
d'animo, vissuti, che di continuo
offrono base viva di comprensione e di ricerca, che solo un autentico sguardo
riflessivo (che non c'entra nulla con la riflessione comunemente intesa e
praticata, che è tutto un ragionare sopra e sul conto di esperienze e momenti
interiori di cui non si riconosce il volto, che non si lasciano parlare) può
avvicinare e gradualmente cogliere. Lo sguardo razionale non sa nè raccogliere
nè concepire una simile proposta, abituato com'è a far da solo, senza vincolo e
senza aderenza stretta al sentire, a commentare e non a ascoltare, a definire e
non a riconoscere ciò che il sentire dice e rivela. Prevenuto com'è,
supponente, perchè pensa di aver già nel suo bagaglio la comprensione,
impaziente, perchè non sa reggere la tensione del non vedere già e del non
sapere subito o presto, poco o nulla duttile e accogliente, perchè rigidamente
attaccato a idee e a principi di coerenza formale e di normalità, imbevuto di a
priori, di significati presi in prestito dall'uso comune, fondamentalmente
incompresi e semplicemente replicati, incline a spiegazioni lineari di causa e
effetto, il pensare razionale non ha certo l'animo e la stoffa per entrare in
rapporto rispettoso, utile e fecondo col sentire. Ciò che accade interiormente
vuole far vedere da vicino la propria condizione, i propri modi, vuole
illuminare complesse relazioni intime. Solo con uno sguardo riflessivo portato
su di sé, solo guardando negli occhi, come in uno specchio, il proprio sentire
e riconoscendo cosa vuole comunicare e dire, ci si può accordare col senso e
con la proposta di ciò che di volta in volta si rende vivo e presente
interiormente, viceversa l'attenzione sempre portata all'esterno, l'abitudine a
riferire tutto ciò che si prova a relazioni concrete con altro e con altri non
può permettere di cogliere, di capire il senso dell'esperienza interiore. Se ad
esempio l'ansia cresce non è per debole capacità di procedere e di avanzare con
sicurezza nel rapporto con l'esterno, sempre inteso come unica realtà di
riferimento e assoluta, ma per testimoniare la fragilità di ciò che fa da base
d'appoggio al proprio modo di stare al mondo e di procedere, dove manca
l'essenziale, dove manca tutto ciò che gli faccia interiormente da fondamento
valido, che lo renda affidabile e saldo. Senza unità con tutto il proprio
essere, senza capacità di ascolto e di dialogo con la propria interiorità,
senza conoscenza di se stessi, aperta e approfondita, non addomesticata alle
proprie pretese e condizionata da convinzioni di comodo, non può esserci base
salda e affidabile. Lontani dal proprio intimo e senza intesa con se stessi,
senza aver compreso nulla, aggrappati solo all'agire e al ragionare spiantato,
supportato da luoghi comuni, da convincimenti senza conferma interiore e
sfasati rispetto al proprio sentire, come si può pretendere di starsene quieti,
che non suoni l'allarme, a causa di una dotazione nel vivere, di un
equipaggiamento nel procedere scadenti e lacunosi, dell'inconsapevolezza di ciò
che si sta realmente facendo di se stessi, di ciò a cui ci si sta nel tempo
destinando?