(Rimetto in primo piano questo mio
scritto di alcuni anni fa) Perché succede, cosa vuole questo malessere interiore,
questo tormento? Spesso chi lo vive lo tratta con preoccupazione crescente e
con insofferenza. Teme sia, oltre che un ostacolo, una minacciosa presenza. Lo
vive come un accidente sfavorevole, una sorta di corpo estraneo, che
lavorerebbe contro i propri interessi, pur così interno, intimo, addentro il
proprio essere. E' convinzione assai diffusa che il malessere sia provocato o
indotto da circostanze e da condizionamenti sfavorevoli, che sia la
manifestazione o la conseguenza di un meccanismo, fisico o psicologico, logoro
o guasto. Dirò subito che il malessere interiore, nelle sue diverse possibili
espressioni, tutte significative e da comprendere attentamente, è viceversa la
manifestazione di una forte, risoluta presa di posizione interna della parte
intima e profonda, che non vuol tacere, che vuole che la verità e l'attenzione
a se stesso diventino per l'individuo questioni centrali e esigenze
prioritarie. Pensa che sia un’anomalia, vuoi la manifestazione di un meccanismo
guasto, vuoi la conseguenza di un distorto modo di vedere la realtà e di
reagire, vuoi ancora una pena intima indotta da qualcosa, esterno a sè, nocivo,
risalente al passato o attuale, chi, pur con diverse spiegazioni circa il
presunto "guasto", concepisce la superficie come fosse il tutto.
Pensa al guasto e alla necessità della riparazione per la ripresa del normale,
chi pensa la modalità solita e presente di esistere e di procedere come l’unica
possibile, chi non comprende il malessere interiore come intervento e
espressione, non cieca, del profondo. Liquida sbrigativamente il malessere
interiore come disturbo e basta, chi pensa che emozioni, vissuti, sentire e
vita interiore, che tutto ciò che non è ragionamento e volontà, sia solo un
accessorio irrilevante e subalterno, un po’ colorito, ma poco o nulla
affidabile quanto a intelligenza e a capacità di dare orientamento. Nel nostro
essere il profondo, l'inconscio c’è e non è certo presenza di poco peso e
valore. Tutto ciò che accade nel nostro sentire e nel corso della nostra
esperienza interiore è governato, in modo mirato e intelligente, dal nostro
inconscio, è sua voce, non è affatto casuale, non è semplice risposta
automatica, riflessa a situazioni e a stimoli esterni. Che accada di sentire
inquietudine, timore e apprensione insistenti e pervasivi, persistente pena,
senso di fragilità, di vuoto, di infelicità e quant’altro definito come ansia,
depressione o altrimenti, non è frutto del caso, non è traduzione
meccanica di logorio subito, nè sgangherato modo di reagire, non è insana o
abnorme risposta, è viceversa lucida e consapevole, ferma e irremovibile
espressione di capacità e di volontà interiore e profonda, di una parte non
irrilevante di se stessi, di intervenire perché si guardi dentro di sè,
nell‘intimo vero, cosa sta accadendo della propria vita, perché non ci siano
stasi e assenza di consapevolezza, lontananza da se stessi e passivo
adattamento. Basta, con l'aiuto giusto, di chi sappia guidare ad avvicinarsi a
se stessi e al proprio mondo interiore, risolversi a cercare rapporto,
ascolto e dialogo con se stessi e col proprio profondo, basta risolversi a
dargli voce, a riconoscergli voce, senza squalificarlo in partenza come
dannoso, negativo o malato, perché il malessere, perchè l'intimo sentire faccia
ben intendere e vedere cosa sa, cosa riesce efficacemente e puntualmente a
evidenziare, a far conoscere di se stessi, a smuovere. Basta disporsi, come si
è aiutati e incoraggiati a fare dentro una buona esperienza analitica,
all’ascolto, aperto e disponibile, senza pregiudizi, alla ricerca del senso
piuttosto che del rimedio che spazzi via, con impazienza e ciecamente, tutta
l’esperienza interiore disagevole, per rendersi conto (sempre meglio via
via che dialogo e ricerca procedono), che non c’è guasto e meccanismo rotto,
che non c’è caos o irrazionalità dentro se stessi, che il malessere non è
maledetta sorte o accidente, patologia o altro, ma specchio per vedersi e per
capire. E' potente richiamo, invito fermo a lavorare su di sé, a prendere
coscienza di come si è e di come si procede, di ciò che manca, che va
finalmente costruito, che mai finora è stato cercato e costruito. Non ci sono
cause e responsabilità da cercare altrove da se stessi, in altro e in altri,
come odiosi impedimenti al proprio star bene, non c'è stupida incapacità di
vivere normalmente e felicemente, c'è semmai prima di tutto consapevolezza da trovare,
senza sconti e senza equivoci, del proprio stato attuale, verità anche scomode
da riconoscere e da non rimpallare. L'inconscio, sia con le tracce vive del
sentire sia coi sogni, non tace nulla e cerca l'intimo vero, il senso, non usa
nè pregiudizio nè camuffamento. L'inconscio, che richiama in modo così forte
l'individuo alla partecipazione al dentro prima che al fuori, esercita una
spinta formidabile, che, se saputa comprendere e condividere, offre visione
lucida e appassionata, consapevolezza profonda di sè e del proprio da mettere
al centro e a fondamento della propria vita. L'inconscio col malessere
interiore smuove e turba il quieto vivere per uno scopo riconosciuto nel
profondo del proprio essere come irrinunciabile: far vivere se stessi, il proprio
potenziale vero. Per realizzare questo scopo, non già in tasca e traducibile in
un attimo, come spesso si pretende, è necessaria una graduale e profonda
trasformazione. Ci sono fondamenta nuove da gettare, nuovo rapporto da creare
pazientemente con se stessi, nuove scoperte, originali e utili, anzi
essenziali, da fare dentro sè e col proprio sguardo, ci sono vicinanza al
proprio sentire, comprensione intima e unità d’essere con se stessi, mai
possedute e mai cercate, da trovare e rafforzare finalmente. Era sufficiente
infatti in precedenza, prima della stretta più decisa del malessere, andare per
la strada segnata, fare come si usa in genere e in genere si dice, bastava quel
riferimento comune, bastava un po’ di ordine mentale regolato dal ragionamento,
che chiarisce e oscura contemporaneamente ciò che fa comodo oscurare o che non
si comprende, bastava tutto questo per sentirsi a posto e "normali".
Capitava in realtà, non raramente, che il proprio sentire complicasse
l'esperienza, che inserisse elementi dissonanti, veri richiami per vedere le
cose più nitidamente, per non trascurare implicazioni, non certo dettagli
insignificanti, ma tutto questo lo si trattava come un inutile rumore di fondo,
come fastidiose interferenze di una parte emotiva "irrazionale". Era
sufficiente darsi un pò di quieto vivere, di adattamento, bastava variare
qualche luogo, abitudine o altro per convincersi che la questione decisiva per
il proprio "star bene" fosse solo la scelta delle circostanze e delle
persone giuste, delle opzioni esterne che avrebbero cambiato tutto per sè,
deciso le proprie fortune in bene o in male. Bastava un pò di allineamento al
modello comune, un pò di parvenza di buon funzionamento, di possesso delle cose
o delle espressioni ritenute in genere irrinunciabili o da molti apprezzate,
non importa se portandosi interiormente mille segnali diversi e incompresi, non
importa se senza mai sentirsi davvero su terreno saldo di consapevolezza, su
sostegno di desiderio profondo, di corrispondenza con se stessi. Procedere
in quel modo bastava alla parte di sé cosiddetta conscia, ma non bastava di
certo alla parte profonda, meno illusa dalle apparenze, meno preoccupata di
stare in linea e al passo con la normalità, meno timorosa di perdere quel
treno, più preoccupata di non perdere se stessi. Quel che sto dicendo lo dico
dopo lunga ricerca e dialogo col profondo, dopo aver fatto cammino di ascolto e
di ricerca con chi accompagno da oltre trent’anni nella ricerca di comprensione
della radice del perché, del senso e dello scopo del proprio malessere
interiore. Quando davvero gli si dà retta, come si fa in una buona esperienza
analitica, il profondo prende a dire subito il perché e il senso del malessere.
Bisogna ascoltarlo sia dentro il sentire, che il profondo muove e orienta, sia
nei sogni. Da subito nei sogni l’inconscio comincia a far vedere dov’è la
ragione del malessere e della crisi, da subito conduce a vedersi allo specchio
nel proprio modo d’essere e di procedere, da subito comincia a evidenziare i
nodi mai avvicinati, i vuoti, le illusorie verità che non reggono, da subito,
con grandi forza e fiducia, apre il cantiere della costruzione del proprio
originale modo di essere, di esistere, di pensare e di progettare. E’ un
cantiere dove serve fare un lavoro serio e paziente, perché la normalità è
maschera o vestito già confezionato che basta indossare, mentre essere
individui pensanti di pensiero e di visione propria e coerente con se stessi
richiede molto, molto di più e comprensibilmente. Si pensa la psicoterapia e la
si pratica spesso come officina di riparazione per tornare normali, per trovare
da qualche parte qualche ipotetica causa attuale o preferibilmente remota, che
avrebbe ingrippato il meccanismo. Non c’è, per ciò che, pur difficile e
sofferto, vive oggi interiormente, da cercare causa o fattore avverso di
cui si sia o si sia stati vittime, c’è semmai da comprendere ciò che l’intimo
sentire oggi dice e fa vedere di se stessi. C'è da intendere ciò che la
propria interiorità spinge, attraverso sentire e sogni, a formare di
consapevolezza, di pensiero proprio e di progetto, che finora sono mancati e
che sono prezioso e indispensabile bagaglio, per non perdere davvero scopo e
valore della propria vita. So che questa mia lettura del significato della
crisi e del malessere interiore, non filosofica o inventata, ma frutto di
esperienza e di confronto con l’intima esperienza e sofferenza, di dialogo e di
lavoro quotidiano col profondo, non coincide con l‘immediata attesa di molti
che vivono disagio interiore, che chiedono, come proprio bene, prima di
tutto l'annullamento del malessere e la normalizzazione, come so che non è
omogenea a modi assai frequenti di intendere la cura, il prendersi cura di chi
vive simili esperienze interiori. L’atteggiamento curativo, che, in apparenza
benevolo e favorevole, cerca il rimedio, che col farmaco vuole sedare o
mitigare, che con prescrizioni e suggerimenti vuole riplasmare i comportamenti
e le reazioni, abbattere "l'ostacolo" interiore o che va a caccia di
ipotetiche cause per costruire una sorta di spiegazione logica del perché del
malessere, per tornare a chiudere il cerchio, lasciando tutto, del procedere e
del rapporto con se stessi, come prima, rischia, malgrado le buone intenzioni,
di diventare una barriera, se non una vera pietra tombale messa sopra una parte
di sé intima e profonda, tutt’altro che malintenzionata, certamente non
compresa nella sua intenzione e non valorizzata nella sua capacità propositiva.
Rischia di perpetuare paura e incomprensione di se stessi, di ciò che vive
dentro se stessi, di bloccare sul nascere o di non favorire, come la spinta
interiore richiede, un necessario, utilissimo processo di cambiamento, di
rinnovamento. Prendersi davvero cura di sè significa aprire a se stessi e
scoprire che ciò che di sè si temeva può diventare la fonte, il fondamento
della propria salvezza, del proprio vero benessere.
mercoledì 30 luglio 2025
Le ragioni del malessere
sabato 19 luglio 2025
La guida interiore
La parte conscia dell'individuo si fa vanto di
superiorità rispetto alla componente interiore e profonda nel garantirgli
capacità di guida affidabile, la suppone. E' comprensibile che lo faccia, visto
che nell’esperienza di molti, questa parte di se stessi, che fa leva su volontà
e pensiero ragionato, da sola e volendo fare da sola, ha tirato e tira la
carretta. La parte inconscia però non è, come ritiene spesso il pensiero
comune, un magma di paure, un serbatoio di brutte esperienze, uno strepitio di
pretese infantili e di convincimenti irragionevoli e assurdi, dunque una parte
inaffidabile, da tenere comunque in subordine. L'inconscio è la parte di noi
stessi che sa vedere le cose che ci riguardano da vicino con trasparenza e
fedeltà di sguardo, sapendo, ben diversamente dalla parte conscia,
contemporaneamente allargare e estendere la prospettiva per cogliere l'insieme
e ciò che nel tempo ne sarebbe di noi stessi procedendo nella modalità
consueta. La parte conscia vuole la continuità, concepisce e dice cose che
confermano solo ciò che è solita credere, sostanzialmente non sa staccare da
ciò che le è abituale e che dà per scontato, per vedere riflessivamente e senza
pregiudizio cosa sta sostenendo e in che modo. La parte conscia si illude di
essere lucida, obiettiva, capace di riconoscere e di garantire a se stessi il
meglio della conoscenza e le più favorevoli delle risposte e delle soluzioni,
in realtà è spesso cieca e passiva, ripete più di quanto non creda luoghi
comuni, si avvale nel pensare, nel ragionare sull'esperienza, di attribuzioni
di significato prese in prestito e assunte passivamente, dando per scontato di
sapere cosa sta dicendo, cerca all’esterno e si fa dare convalide rassicuranti,
si fa persuadere dall'approvazione altrui, ne dipende, perciò si chiude e si
rigira su se stessa. Non sa vedere la passività che la costringe a far suo ciò
che nell’uso e nel credo comuni è già definito come significato valido e
normale, non sa vedere la propria inconsistenza di pensiero. Ciò che si pensa è
importante, anzi fondamentale, indirizza e sostiene le proprie scelte, è
decisivo per la propria sorte. Se è un pensiero, quello di cui ci si avvale,
che, per come viene messo assieme, articolato e composto, per le attribuzioni
di significato che impiega e variamente combina, è coerente e conforme a una
visione della vita e delle sue possibili realizzazioni già concepita e
sistemata, il peso della incapacità di conoscersi davvero e di conoscere
autonomamente e fedelmente a sé è rilevante, decisivo per la propria sorte.
Solo la capacità di formare pensiero autonomo e fondato sulla comprensione dei
significati tratti dalla propria esperienza può rendere indipendenti e capaci
di prendere in mano la propria sorte. Perché il proprio pensiero sia fondato,
davvero valido e affidabile, capace di garantire a se stessi capacità di
orientamento e di giudizio, libertà di scelta, è necessario che tutto del
pensiero di cui ci si avvale sia formato partendo da se stessi, da scoperta di
significati dentro e attraverso la propria esperienza, i propri vissuti. Le
proprie vere ragioni di vita e potenzialità, che rischiano di essere oscurate o
malamente confuse con le aspirazioni e le mete prese in copia e in aderenza a
ciò che fuori di sé è comunemente promosso e organicamente concepito e
organizzato, sono in realtà tutte ancora da scoprire, da riconoscere.
L'inconscio non ignora queste lacune, ha ben presenti tutte queste questioni e
necessità vitali, l'inconscio è la parte di noi stessi portatrice di ciò che
autenticamente e profondamente siamo, con cui e per cui siamo venuti al mondo e
che potremmo far vivere e realizzare, è la parte che non chiude gli occhi, che
non riconosce come priorità stare al passo con gli altri e proseguire, che ha
ben altra preoccupazione e cura di noi stessi, è la parte che sa riconoscere il
niente camuffato da tutto, il vuoto, l'inconsistente dove la parte conscia
crede ci sia chissà quale sostanza. L'inconscio è la risorsa di cui profondamente
disponiamo per vedere senza illusioni e trucchi, è la capacità insita in noi di
porre in primo piano il vero, rispetto alla tendenza, spesso prevalente, a far
funzionare comunque le cose, cercando a testa bassa di non perdere punti, di
non rimanere indietro rispetto agli altri, provando con ogni mezzo a far girare
il meccanismo, a proseguire comunque. L'inconscio, contrastando la tendenza
dominante nella parte conscia a salvaguardare un modo di procedere e un
equilibrio mal fondato e per nulla rispondente alle proprie necessità e
possibilità, cerca di far sentire, smuovendo il quadro interiore, di segnalare
nel sentire, lo scricchiolio dell'insieme dell'assetto di un modo di essere e
di procedere, che pretenderebbe di essere solido, quando in realtà è spiantato,
fragile, sconnesso. L'inconscio al mantenimento di questo insieme non dà
manforte. Ansia e quant'altro trovi espressione nel disagio interiore, spinti e
messi in campo dall'inconscio, servono a far sentire l'intimo profondo
disaccordo, il pericolo e il senso di inaffidabilità di un modo d'essere e di
procedere tutt'altro che validi e promettenti, a far sentire la necessità di un
cambiamento di sguardo e di rotta, a consegnare il compito non di tirare avanti
dritto incuranti, ma di cominciare davvero a guardare senza veli, a capire come
si sta procedendo, di cosa si è sostanzialmente privi. Nel disagio interiore e
nelle sue punte di malessere ci sono apporti e stimoli accorti e intelligenti,
carichi di significato e con ben valido fondamento, anche se scioccamente
trattati e considerati come segni di anomalia, come ansia immotivata ad
esempio. Il vizio di fondo di tanto pensiero psicologico e psicopatologico è di
considerare l'uomo come un meccanismo che deve stare dentro, funzionare
regolarmente e realizzarsi nel cosiddetto "reale", il che altro non
significa se non lo stare sui binari e nell'adesione a ciò che, pur con tante
varianti e opzioni alternative, nella sostanza è già modellato e dato, già
pensato e detto, che nulla ha a che vedere con la formazione di pensiero
proprio, con la scoperta di se stessi e del proprio progetto, che l'inconscio
stimola con insistenza, che vuole con forza, perchè condizione per essere
artefici del proprio destino e liberi, non gregari, non ridotti a essere copia
d’altro, di un disegno di vita nelle sue linee guida e nei suoi percorsi
possibili preso da fuori. Dove la parte
conscia tira dritto e consolida solo il pregiudizio, l'inconscio
"pensa" e cerca di far sentire la sua presenza, di esercitare la sua
influenza, tutt'altro che negativa, anche se vissuta come disturbante, anche se
bollata come disturbo e patologia da trattare e eliminare. L'inconscio non è
lontano o destinato per sua natura a rimanere tale. Anzi il nostro inconscio
vuole esserci nella nostra vita, stimolarci e sostenerci nell'impegno di
crescita, consegnandoci (attraverso i sogni principalmente, ma anche plasmando
tutto il corso interiore dei nostri vissuti, del nostro sentire) nuova linfa e
pensiero, vuole che sia condiviso dalla nostra parte conscia, cui chiede
coinvolgimento, impegno e serietà, messa in discussione e rinuncia alla pretesa
di capire tutto in un attimo o, peggio, di sapere già. L'inconscio non è uno
strano accessorio o una presenza aliena, non è un'entità oscura, destinata a
sfuggirci, di cui solo gli esperti possono dire, con quale cognizione di causa
è tutto da vedere. L’inconscio siamo noi in una parte del nostro essere, la più
autentica e vitale, la meno passiva e rinunciataria, la meno addomesticabile,
la più dotata di intelligenza acutissima nel riconoscere quanto c’è nel proprio
presente e la più lungimirante, che ahimè spesso è ignorata letteralmente, come
non esistesse, oppure che è fatta oggetto di attribuzioni che ne fraintendono e
ne sminuiscono il potenziale e la
natura, ripetendo sul suo conto definizioni prese qua e là, applicandole
stereotipi, come quello di considerarla un serbatoio di esperienze negative
rimosse, che oscuramente alimenterebbero paure e disagi, vivendola e
trattandola come parte oscura e assai poco accessibile da tenere a bada, verso
cui stare in guardia perché non turbi il proprio equilibrio e benestare, in
definitiva finendo molto spesso per non riconoscerne il vero volto, il
significato e il potenziale trasformativo che può portare nella propria vita.
L’inconscio è ben altro che una parte oscura, poco affidabile e assai poco
accessibile e intelligibile, che abita il nostro essere, è la parte di noi
stessi che svolge un lavoro estremamente attento, che raccoglie e documenta
ogni passo del nostro procedere, che evidenzia continuamente nelle nostre
emozioni e stati d'animo il vivo e la complessità di cui è fatta la nostra
esperienza, il vero e l'intero, senza omissioni o aggiustamenti di significato
o riduzioni di comodo, come, pensando col ragionamento, tendiamo spesso a fare.
L’inconscio è la parte più accorta e affidabile del nostro essere. Capita che
già giovani o giovanissimi si veda il proprio corso d'esistenza, che si
vorrebbe quietamente e piacevolmente sereno, turbato da malesseri o da crisi
interiori, non per caso, non per cedimenti o per insufficienze banali, non per
difetti di buon funzionamento, non per condizionamenti, insufficienze e
responsabilità esterne, cui si tende sempre a ricondurre l’origine e la causa
di malesseri e disagi, ma per ragioni più profonde, di mancanza di basi salde
di unità con se stessi, di conoscenza di se stessi, senza le quali,
particolarmente per chi è giovane (dico particolarmente, perché la questione
non riguarda solo chi è giovane) e nella necessità di comprendere e decidere
come indirizzare la propria vita, è mancante e compromessa la capacità di
trarre da sé le risposte, di farsi attenti e fedeli interpreti di se stessi e
di guidarsi autonomamente, di sventare il rischio di farsi sostituire, di
affidare l’orientamento della propria vita e del proprio futuro a guida esterna
piuttosto che interna. Già pare infatti modellato, spiegato e detto ciò che va
inteso per realizzazione personale, per crescita, per ricerca del bene della
propria vita. Le tappe, le occasioni, i modi di intendere la maturità sembrano
già definiti e scolpiti nell'esempio comune, nel pensiero vigente, prima di
ogni possibilità e impegno di scoperta e di ricerca personali. Il rischio di
saltare la propria ricerca e di imboccare strade già segnate, tradendo,
deludendo le proprie ragioni e aspirazioni profonde, nemmeno indagate,
coltivate e conosciute, è fortissimo. L’inconscio non per caso intralcia il
cammino, fa sentire con ansia, attacchi di panico o quant’altro cosa vacilla e
manca, forza l'individuo col malessere ad andare più verso se stesso che verso
l‘esterno e verso altri, gli fa toccare con mano la sua non familiarità e lo
smarrimento nel contatto con il proprio mondo interiore, gli fa sentire
l'urgenza di porvi rimedio, di non procedere incurante di questo stato di
incomprensione con se stesso. Non è distruttiva la pressione che l’inconscio
esercita sull'individuo, è provvidenziale e saggia, gli vuole togliere
illusioni, vuole spingerlo a delle verifiche attente e approfondite da farsi
con i propri occhi, con trasparenza e coraggio di verità finalmente. L'inconscio
vuole aprire all'individuo una stagione di profonda trasformazione per
sostituire il posticcio di una identità e di un senso della propria vita prese
in prestito, fragili, non verificate e comprese davvero (fondate più
sull’imitazione e sulla ricerca dell’intesa con l’esterno e con gli altri che
sul confronto con se stesso) con la presa di coscienza, con la formazione di
proprie idee fondate e verificate, con la formazione di propria visione, in
stretta unità e accordo col proprio intimo e profondo. Il rischio per
l'individuo di sprecare la propria vita diventando copia d’altro e dipendente
da altro, che, nel pensato e nell'esempio comune, nel già organizzato e
strutturato, nel cosiddetto "reale", è pronto a suggerire, a
convalidare, a sostenere, a dare le dritte, non è sottovalutato dalla parte
profonda di se stesso. Non è un caso se l’inconscio fa il guastafeste, se fa ad
esempio sentire senso di fragilità, di sfiducia, senso di vuoto e di inutilità.
Simili vissuti sono facilmente giudicati patologici, sbagliati, espressione di
qualcosa che non funziona come dovrebbe. E’ frequentissima in chi ne vive
l’esperienza, l’istanza prima di tutto di liberarsi di questi malesseri, visti
come intralci malauguratamente dolorosi e limitanti, per restituirsi, come si
ritiene sia normale, il proprio benessere come libertà di vivere e di procedere
senza gravami interiori. E’ abituale cercare aiuti per mettere a tacere con
farmaci o con psicoterapie che dettino strategie e tecniche varie per
controllare il sentire così penoso e
arduo o per indagare e trovare sul suo conto qualche presunto motivo d’origine, particolarmente cercando
nel passato e riconducendo a altro e a altri le responsabità, che, per
inadempienze o condizionamenti negativi da parte di genitori o dell’ambiente o per un trauma
subito, avrebbero intaccato il proprio
equilibrio e compromesso il sano processo di crescita. Risposte al malessere e
alla crisi vissuta interiormente che non comprendono la natura del problema e
il senso di ciò che sta accadendo dentro se stessi, tutt’altro che segno di un
guasto o di una anomalia di cui si si sarebbe sfortunate vittime e da cui
urgerebbe liberarsi, lasciando tutto di sé, del proprio modo di procedere,
della conoscenza di se stessi, dello stato di lontananza e di non rapporto con
la parte intima e profonda di sé, fondamentalmente intatto e irrisolto. Ciò,
che certamente impegnativo e difficile sta accadendo dentro se stessi vede la
presenza e l’iniziativa forte della propria parte profonda. L’inconscio smuove
le acque, turba il quieto vivere per dare indicazioni impegnative quanto
fondate e vere, sollecitando attraverso il sentire, spesso proponendo sogni che
hanno forte capacità di dare guide di ricerca e chiarimenti, la presa di
coscienza che ad esempio non ci può essere fiducia in se stessi, che non può
esserci base salda nel proprio procedere e affidabile per sé, se di proprio non
si è ancora compreso e messo assieme nulla. L'inconscio può diventare la guida
più affidabile e sicura, se si impara a riconoscerlo e a rispettarlo in ciò che
è, se se ne comprende e condivide lo spirito e l'intento, se, dando risposta
appropriata al malessere interiore, si decide, procurandosi l'aiuto valido e
necessario, di cominciare, imparando prima di tutto a ascoltare e a conoscere
il linguaggio della propria interiorità, un serio lavoro su se stessi, di aprire una
stagione di crescita e di cambiamento, in stretta unità e con l’aiuto e la
guida fondamentali del proprio profondo. L'inconscio non difende il quieto
vivere, perchè non ha a cuore il persistere in ciò dentro cui si è solo pallida
immagine e inautentica di se stessi e in cui c’è un rischio, anzi ben di più di
un rischio, di realizzazione impropria della propria vita. L'inconscio è
impegnativo, perchè non appoggia passività e rinuncia, illusioni e comodo, ma è
un potente alleato nell'impegno di far vivere se stessi, di concepire e di mettere
al mondo con le proprie forze e risorse qualcosa che abbia un contenuto
originale e un senso.
mercoledì 16 luglio 2025
La psicologia del rattoppo e del rilancio
Pensa a senso unico, non concepisce se non il già
concepito, perciò non è in grado di capire cosa davvero avviene sulla scena
interiore. Questa è la psicologia corrente, in tante delle sue varianti,
pronta, pur nelle sue diverse declinazioni, a intervenire in emergenza per
fronteggiare malesseri e crisi interiori come psicologia del rattoppo e del
rilancio. Quando, guardando alla propria esperienza, si riconosce solo ciò che
si è soliti e inclini a intendere, provvedendo a dare a se stessi, per il
proprio quieto vivere, conferma nei propri giudizi abituali e convalida al
proprio modo di procedere consueto, resi, in appoggio a modelli e a mentalità
comune, scontati, “normali” e fuori da ogni necessità di verifica, già si è ben
sintonizzati e in perfetta consonanza con la psicologia corrente, sia con
quella convenzionale e diffusa, che con quella professionale dei non pochi
esperti che, all’occorrenza, in caso di difficoltà, è pronta a intervenire come
psicologia della diagnosi del (presunto) guasto
e della ricerca del suo rimedio. Quando, seguendo l'onda e il modo di
pensare comune, si fanno scelte di vita, si fanno proprie, rifacendosi a modalità
e a modelli condivisi, le tappe e i tempi di esecuzione, si perseguono i
traguardi di presunta crescita e realizzazione personale in qualche modo già
designati e si considera se stessi, in realtà attori di un copione già scritto,
calati dentro ruoli e parti già ben definite e configurate, come artefici e
capaci di dire in quei panni la propria, quando illusi di compiere il proprio
cammino per intraprendenza e iniziativa proprie, ci si muove in realtà su
percorsi già segnati, ben indirizzati e regolati, ecco che la psicologia, che
convalida e assesta la credibilità della (fasulla e inautentica)
autorealizzazione messa in scena, è pronta, in caso di difficoltà, di malessere
interiore, di cui non sa riconoscere le ragioni profonde e lo scopo, a
intervenire per fare azione di rimedio, di rattoppo e rilancio. Ben accolta
come salvatrice e provvidenziale, resa affidabile dall’autorità concessa ai
cosiddetti esperti, la si fa intervenire a fare rattoppo quando, mentre
l'interiorità, con segnali, per nulla casuali e insignificanti, di malessere e
di crisi, produce strappi, apre crepe affinché il vero emerga e tutto possa
finalmente prendere una via nuova, quella della presa di coscienza, del
recupero a sè del compito e della occasione di fondare su di sè la propria
vita, si cerca invece, casomai facendosi aiutare in questo, di adoprarsi per
trovare rimedio a presunti guasti, per ripristinare la corsa solita, a senso
unico, per ridarle slancio e respiro. Non conduce alla presa di coscienza, la
psicologia che la dà per naturale e la traveste, che non persegue lo scopo di aprire lo
sguardo, di vedere cosa è realmente e cosa implica la modalità di procedere in
cui ci si affida a altra guida, cercata fuori di sè, che già ha concepito e
predisposto, casomai con ampia gamma di soluzioni e binari, ciò che si può e
che va realizzato e perseguito, illudendo che quello messo in atto sia
movimento autonomo e fondato su basi proprie ben comprese e evolute, cosa che
solo un serio lavoro su se stessi potrebbe formare e costruire. Un lavoro
necessario per fondare la propria autonomia su presa di visione propria, su
scoperta di ciò che vale, di aspirazioni che si riconoscono originali, di cui
si è profondamente portatori, lavoro che solo in unità col proprio profondo può
svilupparsi senza inglobare significati e risposte e soluzioni preconcette e
già pronte, prese da fuori. I binari, il copione già scritto esonerano però dal
compiere questo lavoro, anzi lo rendono, oltre che inutile, inaffidabile,
offrono e sanciscono come via maestra e necessaria, addirittura ovvia e
naturale, per la propria realizzazione soluzioni, vie da percorrere già
segnate, da seguire, da assecondare. Non serve allora altro che testare su di
sè se non la predilezione, l'interesse per questo o per quell'altro già
configurato che sta là fuori dentro il ventaglio delle opzioni possibili,
scegliendo la preferita, come il mezzo e come l’itinerario da seguire e il
traguardo da raggiungere per dare realizzazione alla propria vita. Così
assuefatti a cercare pronta soluzione, a prenderla da fuori, ben poco si è
disponibili e interessati a fermarsi, a aprire riflessione e verifiche attente,
a ascoltare la parte intima e profonda, a lavorare con cura su di sè. Serve
solo ai propri occhi afferrare le soluzioni già prefigurate e pronte, serve non
perdere il treno, salire di volta in volta e tempestivamente sul treno che pare
confacente a sè, per non rimanere a piedi e indietro rispetto agli altri, per
darsi la persuasione e la rassicurazione di mettere la propria vita in corso
d'opera e in corsa di riuscita. Capita nei sogni di essere in procinto di
salire su un treno, a volte di correre il rischio di perderlo, di affannarsi
per non perderlo, di non arrivare in tempo. L'inconscio ci mette l'intelligenza
di cui dispone, non conforme e non al guinzaglio della psicologia del rattoppo
e del rilancio, per segnalare l'impossibilità ormai di acciuffare quella falsa
grande opportunità del treno in partenza, impossibilità da intendersi come
condizione utile e necessaria, tutt’altro che infelice. La perdita del treno in
partenza non è infatti sciagurata, ma viceversa è favorevole per riportare a sè
la scoperta del cammino, dell'orientamento da trovare, della meta da scoprire,
del modo di raggiungerla da affidare alla propria intelligenza, facendo conto
sulla sensibilità dei propri piedi sul
proprio terreno, sulla loro capacità di sostegno e di movimento e non sul farsi
portare da veicolo a pronto uso, che, se offre agio di muoversi, ha però le sue regole e destinazioni segnate,
i suoi andamenti cui aderire, cui affidarsi passivamente, i binari ben segnati
su cui correre. Quando non si comprende quanta necessità c'è di aprire gli
occhi sul modo abituale di condursi e sugli autoinganni, sulle illusioni che
alimenta e di cui si avvale per stare in piedi, per sussistere, ecco che la
visione di sè, che la psicologia del rattoppo e del rilancio di ciò che ormai è
consacrato come regola e come unica prospettiva possibile, prende il
sopravvento, risulta funzionale e quasi indispensabile per tenere su l'intero
costrutto. La psicologia del rattoppo interviene per accomodare tutto, mettendo
le mani su situazioni di crisi e di malessere interiore, fraintendendo e
dirigendo tutto nella ricostituzione e nel rilancio, casomai con qualche
apparente novità e aggiustamento, della solita storia e direzione. La
psicologia del rattoppo, in presenza di momenti e passaggi interiori critici e
problematici, in cui la componente profonda interviene per spezzare la quiete,
la continuità del procedere e del pensare soliti, per sollecitare con forza la riflessione, il
recupero della presa di visione di ciò che si sta facendo di se stessi e verso
se stessi, cerca cause di presunti disturbi da rimuovere e da correggere, offre
spiegazioni e soluzioni, salvando e riconfermando nella sostanza l'impianto
solito, tentando di renderlo più scorrevole, se intralciato da dentro. Ma gli
intralci, i segnali di crisi e di malessere, sono richiami e spunti di
verifica, spinte e guide di ricerca di verità e di consapevolezza su se stessi,
che la parte profonda mette in campo, che, se non intesi come tali e non ascoltati, se fatti invece oggetto e pretesto
di rattoppo, portano solo a fraintendere e a chiudere la possibilità di
conoscenza di se stessi e di profondo cambiamento, indispensabile per uscire da
una condizione impropria, di dipendenza e di allineamento a altro, pur con
l'illusione di decidere, di dire e di metterci del proprio. La psicologia del
rattoppo e del rilancio, che sembra nella crisi e rispetto al malessere
interiore dare risposta utile e benefica, di fatto vanifica la spinta che nelle
intenzioni del profondo, che anima e solleva la crisi, vuole portare a
verifiche attente, a aprire gli occhi sulla natura del proprio modo di
procedere, a invertire la rotta, a passare da finti artefici e realizzatori
della propria vita, a veri artefici,
accettando non di consumare soluzioni pronte e di salire su treni da non
perdere, ma di costruire con impegno e pazienza e gettare le fondamenta della
propria autonomia, di trovare dentro di sè le guide e le risposte, di tesserle
con cura, in unità con un'interiorità che, se da un lato apre crisi, dall'altro
ha capacità di dare sostegno e di guidare la ricerca per diventare davvero
protagonisti della propria vita. Quando l'intento del profondo è compreso e
condiviso, accade che la psicologia, non del cieco aderire e della conferma del
corso abituale, non del rattoppo e del rilancio del solito, ma la psicologia della
riscoperta e del riscatto dell'umano vero e della sua realizzazione autentica
riesca finalmente a prendere il sopravvento. L'inconscio questo vuole e di
questo sa essere maestro e guida.
sabato 12 luglio 2025
Le vicende interiori
Non è affatto facile capire le vicende interiori,
particolarmente se complesse e inquiete. Prima di tutto si fa e spessissimo
l'errore di applicare agli svolgimenti interiori una logica interpretativa e
una lettura che sono a loro estranee, improprie. Ci si aspetta, si suppone che
ciò che accade interiormente sia solo l’eco, la coda, il seguito passivo di ciò
che si ritiene essere il senso delle cose come tenuto insieme nella propria
testa. Si ha pretesa di tenere con la testa il comando esclusivo delle operazioni
di pensiero e di indirizzo delle scelte e che tutto di se stessi debba muoversi
al seguito. Se l’intimo di sé nel sentire non dà segni conformi alle attese,
prontamente lo si considera segno di risposta insufficiente, inefficiente, non
valida e non adeguata come si vorrebbe.
Tutto ciò che accade interiormente è ben altro in realtà e ha ben altra
capacità e intento che di seguire le orme e i dettami della testa padrona, ma
questo lo si ignora, implicitamente lo si esclude, con pretesa convinzione inossidabile
che ciò che conta è ciò che nei ragionamenti si pensa e si argomenta e che il
resto sia comunque subalterno e da gestire. C’è poi la tendenza a fare uso, a esaltare
le emozioni che hanno buon gradimento e che godono di apprezzamento comune, a indurle,
a porle a rimorchio e al traino di circostanze (ad esempio un luogo, una vista
chissà quanto incantevole e irresistibile, oppure una situazione che si pensa
non possa che commuovere o altro) o di fonti ispirative, come la visione di un’opera
d’arte, assistere a una rappresentazioni teatrale o cinematografica, come l’ascolto
di una musica, la lettura di un libro o simili, che avrebbero capacità di
suscitare e accendere emozioni, come se ce ne fosse necessità, come se il
sentire spontaneo fosse poca cosa e ci fosse necessità di animarlo, guidarlo e sostenerlo per farlo entrare in bella
vibrazione, perchè dia il meglio di sé, perché caldamente prenda forma e si manifesti.
Contrariamente e ben diversamente dal pensato comune, ciò che si propone
interiormente nel sentire, spontaneamente, senza trucchi, manipolazioni e
incentivi, davvero in modo spontaneo e autonomo, quando rispettato, correttamente
inteso e fedelmente compreso, si rivela essere ben altro e avere ben altro
peso, valore e capacità rispetto a ciò che gli assegna il preconcetto usuale e
ricorrente. Ben diversamente dai limiti che si suppone lo caratterizzino, lo si
considera infatti componente a volte deludente e senza pretese se poco vivace e affatto appagante, altre
volte, se più acceso e incalzante, irrazionale e viscerale, non affidabile in
termini di intelligenza e di capacità propositiva, il proprio sentire, il corso
delle intime sensazioni e stati d’animo, è viceversa capace, ben guidato dalla
parte profonda della propria psiche, di dare contributo e guida intelligente
per comprendere ciò che la testa, scissa dal sentire, non può e non sa intendere, alimentata com’è nei suoi
ragionamenti dal pensato comune, condizionata com’è da interessi di conservazione e di
conferma dei suoi convincimenti soliti. Il sentire sa dare testimonianza viva
di verità intime, verso cui lo sguardo abituale non cerca e non si dirige, riguardanti
lo stato del rapporto con se stessi, l'orientamento e il modo di farsi
interpreti della propria vita, il grado di maturità vera, di autonomia
raggiunte, la corrispondenza con se stessi di ciò che si persegue o segue. Sono
verità tutt’altro che di poco conto per chi non voglia procedere a testa bassa
o dentro convinzioni mai verificate, sono verità solitamente ignorate e
trascurate, rese vive e tangibili proprio dentro e attraverso stati
d'animo, vissuti, che di continuo
offrono base viva di comprensione e di ricerca, che solo un autentico sguardo
riflessivo (che non c'entra nulla con la riflessione comunemente intesa e
praticata, che è tutto un ragionare sopra e sul conto di esperienze e momenti
interiori di cui non si riconosce il volto, che non si lasciano parlare) può
avvicinare e gradualmente cogliere. Lo sguardo razionale non sa nè raccogliere
nè concepire una simile proposta, abituato com'è a far da solo, senza vincolo e
senza aderenza stretta al sentire, a commentare e non a ascoltare, a definire e
non a riconoscere ciò che il sentire dice e rivela. Prevenuto com'è,
supponente, perchè pensa di aver già nel suo bagaglio la comprensione,
impaziente, perchè non sa reggere la tensione del non vedere già e del non
sapere subito o presto, poco o nulla duttile e accogliente, perchè rigidamente
attaccato a idee e a principi di coerenza formale e di normalità, imbevuto di a
priori, di significati presi in prestito dall'uso comune, fondamentalmente
incompresi e semplicemente replicati, incline a spiegazioni lineari di causa e
effetto, il pensare razionale non ha certo l'animo e la stoffa per entrare in
rapporto rispettoso, utile e fecondo col sentire. Ciò che accade interiormente
vuole far vedere da vicino la propria condizione, i propri modi, vuole
illuminare complesse relazioni intime. Solo con uno sguardo riflessivo portato
su di sé, solo guardando negli occhi, come in uno specchio, il proprio sentire
e riconoscendo cosa vuole comunicare e dire, ci si può accordare col senso e
con la proposta di ciò che di volta in volta si rende vivo e presente
interiormente, viceversa l'attenzione sempre portata all'esterno, l'abitudine a
riferire tutto ciò che si prova a relazioni concrete con altro e con altri non
può permettere di cogliere, di capire il senso dell'esperienza interiore. Se ad
esempio l'ansia cresce non è per debole capacità di procedere e di avanzare con
sicurezza nel rapporto con l'esterno, sempre inteso come unica realtà di
riferimento e assoluta, ma per testimoniare la fragilità di ciò che fa da base
d'appoggio al proprio modo di stare al mondo e di procedere, dove manca
l'essenziale, dove manca tutto ciò che gli faccia interiormente da fondamento
valido, che lo renda affidabile e saldo. Senza unità con tutto il proprio
essere, senza capacità di ascolto e di dialogo con la propria interiorità,
senza conoscenza di se stessi, aperta e approfondita, non addomesticata alle
proprie pretese e condizionata da convinzioni di comodo, non può esserci base
salda e affidabile. Lontani dal proprio intimo e senza intesa con se stessi,
senza aver compreso nulla, aggrappati solo all'agire e al ragionare spiantato,
supportato da luoghi comuni, da convincimenti senza conferma interiore e
sfasati rispetto al proprio sentire, come si può pretendere di starsene quieti,
che non suoni l'allarme, a causa di una dotazione nel vivere, di un
equipaggiamento nel procedere scadenti e lacunosi, dell'inconsapevolezza di ciò
che si sta realmente facendo di se stessi, di ciò a cui ci si sta nel tempo
destinando?