Come arrivare alla conoscenza di se stessi? Il corso
dell’esperienza interiore, il proprio sentire sono la guida più sicura per
capire se stessi, il terreno su cui poggiare, la traccia da seguire. Nel
sentire prende volto e vuole rendersi riconoscibile la verità di noi stessi, il
nostro sentire acuisce, evidenzia, sottolinea, ci fa toccare con mano ciò che
vive in noi e che ci muove nelle nostre scelte, nelle nostre risposte, ci fa
riconoscere ciò che, al di là delle apparenze, ci sta accadendo, i nodi e le
questioni scottanti dentro cui rispecchiarci e con cui confrontarci, per una
conoscenza di noi stessi non astratta, ma fondata e vera. E' idea comune che le
emozioni e che tutti i moti e gli stati interiori, che il sentire sia una
componente da trattare con riserva, da tenere sotto tutela, perchè irrazionale
e per ciò stesso giudicata non affidabile come guida e come fondamento per
capire, perché soggetta a eccessi, a parzialità a intemperanze. Si dà viceversa
in genere fiducia prevalente e indiscussa alla componente razionale,
considerata capace di dare visione lucida e obiettiva, non in balia di
capricciose, viscerali e miopi istanze. In realtà, affidando la capacità di
chiarimento a questa funzione razionale, che ha pretesa di bastare a se stessa
e che, per garantirsi lucidità di visione, tiene in disparte e in subordine il
sentire, non si può che rimanere confinati in un pensiero, che, a un attento
esame e ben diversamente dalle aspettative, si rivela spesso tutt'altro che
libero da limiti e parzialità, da distorsioni e capricci. Quando ci si occupa
di se stessi si ama infatti rappresentarsi in ciò che pregiudizialmente si
ritiene consono e adeguato all'immagine che si ha cara di se stessi, con fatica
si accolgono verità scomode, con frequenza nel percorso di pensiero ragionato
si omette, anche se in modo velato, ciò che non dà conferma, che dissona o che
smentisce le proprie convinzioni, che delude le proprie attese e previsioni. In
ciò che momento dopo momento, cogliendoci spesso di sorpresa, prende forma nel
nostro corso interiore, in ciò che sentiamo, che si muove dentro di noi, c’è
invece la testimonianza più sincera, il continuo stimolo, acuto e intelligente,
a aprire gli occhi, a guardare dentro di noi, a non trascurare parti
essenziali. Ciò che in genere si ignora, che nel comune modo di pensare non è
affatto presente, che invece, aprendo un confronto con la vita interiore libero
da preconcetti, si ha modo di constatare, è che gli svolgimenti interiori, che tutto
ciò che accade nel corso del sentire, delle emozioni, degli stati d’animo, dei
moti e delle pulsioni, non è affatto un
succedersi casuale e meccanico vincolato a stimoli esterni o condizionato da
abitudini, da schemi di risposta appresi o da altro, ma è un succedersi di interventi e di
suggerimenti mirati, con una intenzionalità e con una capacità propositiva
della cui intelligenza e formidabile puntualità di intervento volto a rendere
riconoscibile il vero, non si può che rimanere stupiti. D’altra parte è questa
la capacità che ha la parte profonda della nostra psiche di rendersi presente
nella nostra vita, passo dopo passo dentro la nostra esperienza. Ci si porta
appresso e fa parte del pensato comune un’idea di se stessi che amputa o
marginalizza il peso e il valore della parte che ha peso e rilevanza notevole, della
parte intima e profonda, considerata solo un’appendice poco rilevante e che,
anziché farci conto, imparando a conoscerla, ci si abitua a tenere in posizione
subalterna, con una concessione di
fiducia molto limitata. L’inconscio, che non è entità oscura e mitica
interessante solo per menti sofisticate, è presentissimo nella vita di ognuno e
purtroppo, anche da chi lo tiene in considerazione è pensato non di rado come
un che di molto limitato, una sorta di serbatoio o ricettacolo del rimosso, di esperienze
traumatiche e dolorose o fortemente imbarazzanti, che, perché dolorose e
difficili da ammettere alla consapevolezza, sono tenute sequestrate in questo
recesso oscuro della propria psiche. L’inconscio, quando si apre un confronto
con la propria vita interiore, sgombro da simili teorie e preconcetti, si
rivela, nel sentire, in tutti gli svolgimenti intimi e, in modo superlativo, nei
sogni, essere ben altra presenza e con ben altre capacità. La prospettiva da
cui e entro cui si muove il profondo, che, come detto, è la parte di noi che con
intelligenza plasma e dirige il nostro corso interiore, il succedersi di tutto
ciò che sentiamo e che, fuori dal controllo di volontà e ragione, accade e si
propone nel nostro intimo, è ben diversa da quella della nostra parte
cosciente. Libero dal vincolo di essere compiacente e di dare conferma alla
mente conscia, l’inconscio, capace di esercitare lo sguardo riflessivo che
guarda dentro e riconosce i significati veri dell'esperienza di cui si è attori,
ben diversamente dalla meccanica del pensiero razionale, che si avvale di
attribuzioni di significato pronte, di impiego di nessi e deduzioni, che tutto
sono fuorché mezzi per aprire lo sguardo,
l'inconscio è interessato a garantire all'individuo l'accesso al vero e
a una visione ben più aperta e lungimirante di quella che in superficie e con
largo impiego di materiale di pensiero preconcetto, lo sguardo e il pensiero
cosciente sanno offrirgli. Lo sguardo e i processi di pensiero della parte
conscia sono spesso vincolati al bisogno di tenere compatta e ben difesa col
ragionamento l’idea di se stessi che è gradita, di proseguire e di far
persistere ciò che è abituale, in conformità e dentro i limiti di ciò che
comunemente è considerato normale, degno e possibile. Affidandosi, come spessissimo
capita, unilateralmente alla mente razionale se ne subiscono le distorsioni e
le limitazioni di pensiero non da poco, pur non riconoscendole come tali, anzi
a volte con l'illusione di disporre di chissà quale libertà e ampiezza di idee,
di un appiattimento della visione, di una compressione in univocità del proprio
pensiero, di un restringimento della prospettiva, come se altro non fosse
possibile, concepibile e da salvare se non ciò che è nel solco di ciò che già
si sa, dentro cui da tempo si è incanalati. E' comprensibile che, ignorando le
proprie risorse interiori, inconsapevoli e incuranti di vedere la vera natura e
le ragioni del proprio modo di procedere e di pensare, che spesso, anche se
coperto da illusioni circa il suo valore, è senza radice dentro se stessi, dove
il pensiero e i propositi, persino i progetti sono desunti da ipotesi e da
modelli preconfezionati, riprodotti pari pari o in qualche misura riadattati, è
comprensibile che ci si disperi se interiormente, per iniziativa del profondo,
che sa vedere oltre le apparenze, si aprono crepe, si fanno sentire freni o si
impongono veri e propri intralci. Dando tutto nelle sue linee base per già
compreso e acquisito di se stessi, ci si oppone come a una minaccia e a un
fastidio a tutto ciò che interiormente non gira per il verso voluto e considerato
valido e conveniente, non si dà disponibilità di ascolto ai segnali interiori, li
si tratta come segni di anomalo funzionamento, si concentra viceversa
l’interesse sul proseguire linearmente, spesso avendo come aspirazione più
forte quella di dare prova di capacità di riuscita e di merito in una corsa già
segnata e fuori discussione. Verso se stessi la pretesa e l'attesa prevalenti
sono di tirar fuori da sè argomenti e abilità da mostrare e dimostrare, come se
nient'altro contasse. C’è attesa e pretesa che tutto di sé cooperi e concordi
con i propositi di riuscita, perché ottenerla e darne prova sono diventati,
dentro il modo di procedere che nel tempo si è consolidato, l'unica o la più
forte sorgente di interesse e di autostima da inseguire, da non compromettere.
Il profondo di sé, l’inconscio, depositario delle personali e originali ragioni
di vita e potenzialità, con la consapevolezza di ciò che coerentemente con se
stessi si potrebbe da sé concepire, generare, far vivere, dare al mondo e dire,
non ci sta a una simile misera resa della propria esistenza, dove allinearsi e
farsi apprezzare e benedire, farsi confermare in ciò che allo sguardo dei più
pare degno e adeguato, sembrano gli unici scopi perseguibili, fortemente
sostenuti e strenuamente dalla parte razionale e volitiva di superficie. Il
profondo non getta la spugna, anzi dà di continuo attraverso il sentire
l’occasione per veder chiaro dentro se stessi. Certo complica le cose, inceppa
la corsa, inserisce elementi discordanti, preme più sul fermarsi, per aprire
gli occhi, che sul continuare a procedere e sul non perdere terreno. Si
vorrebbe far funzionare le cose, si vede spesso tutto in termini di riuscita e
di resa efficiente, come se su un cammino già segnato non ci fosse che da
proseguire e col miglior passo, illudendosi che in questo ci sia l'espressione
della propria forza e capacità di iniziativa e ci siano le migliori fortune
possibili da non farsi sfuggire. Non per caso e coerentemente con questa tendenza
comune, oggi nell'ambito delle psicoterapie sono assai diffusi gli indirizzi
che si propongono di correggere in senso funzionale ciò che nel malessere
interiore è considerato (dando questo per evidente e certo) solo una risposta
anomala e inadatta, non utile, che penalizza chi la vive, non diversamente da
come con l'uso degli psicofarmaci, pure assai diffuso, ci si propone di
intervenire sul sentire giudicato anomalo e patologico per metterlo a tacere,
per correggerlo, per rimetterlo in riga con ciò che è ritenuto normale, sano,
vantaggioso. L'importante è risolvere, rimettere tutto in "buono"
stato di funzionamento. L'individuo e il modo di pensare comune sono
predisposti a una simile scelta curativa, dove quel che conta è superare, passare
oltre tutto ciò che nell'esperienza interiore disagevole è giudicato solo un
peso, un aggravio inutile e limitante, un assurdo, un ostacolo di troppo e
svantaggioso. Se dentro di sè compare disagio, se interiormente la propria
situazione si complica, subito, ancor prima di rivolgersi al curante riparatore
di turno, si interpreta l’accadimento come condizione malaugurata, come guasto
e espressione di insufficienza, di incapacità di vivere le cose per il verso
giusto e normale, come disturbo, come patologia che preoccupa, che allarma.
Proporrò un esempio per far capire la diversità tra lo sguardo e il modo di
intervenire del profondo e il modo di giudicare, di pensare se stesso e di
reagire dell'individuo strettamente attaccato alla visione razionale. Accade
che ci sia chi si sente, via via in modo più paralizzante e intenso,
impacciato, timoroso, intimidito nel contatto con gli altri, particolarmente
con individui a cui, per ruolo, per statuto e per considerazione comune, si
riconosce e attribuisce autorità, titolo d'essere capaci e intelligenti, in
grado di fare da modello e di valutare dall'alto meriti e capacità personali.
Di fronte a un'esperienza come questa la risposta più frequente dell'individuo,
affidato ai criteri e ai giudizi razionali, è di volersi porre prontamente al
riparo dal disagio patito, di considerare come difettoso il proprio sentire, di
volerlo spegnere e sostituire, invocando una sicurezza, una fiducia in se
stesso che ritiene essergli dovuta, che pensa sia scontato, normale e
soprattutto valido, adeguato e meritorio possedere per non essere un minus, un
debole. Può partire la ricerca del rimedio nel farmaco, che smorzi l'ansia e
risollevi l'umore o nell'aiuto psicologico che, mettendosi nelle mani del
terapeuta, delle sue spiegazioni, dei suoi suggerimenti, delle tecniche
proposte, consenta di mettere le cose a posto, che aiuti a rovesciare presto
quelle sensazioni così disagevoli in altre più desiderabili e positive.
L’ingegneria del cognitivo comportamentale, che si autoincensa come approccio scientificamente
provato, senza tanto andare a cercare indietro si propone di offrire
l’alternativa di un pronto e efficace intervento sul punto oggi dolente,
facendo leva sull’idea del disfunzionale applicato a ciò che pare anomalo,
complicante e di intralcio interiormente, senza senso, anzi controproducente,
per mettere in atto la correzione che permetta di non farsi compromettere la
vita e i risultati “felici” possibili da assurdi modi di intendere e sentire.
C’è poi la psicoterapia che, andando a cercare nel passato, in esperienze
dolorose, in traumi patiti, in condizionamenti negativi subiti, in carenze di
figure significative, la presunta causa, l'origine nascosta di una così debole
sicurezza e fiducia in se stessi, consenta di rompere la catena del malessere.
Se non è zuppa è pan bagnato, i diversi e in apparenza qualitativamente diversi
approcci puntano tutti a risanare i meccanismi, a liberare da presunti guasti e
inghippi, per rimettere in piedi e in buono stato di efficienza il procedere
consueto nelle sue linee base e con i suoi fondamenti fuori discussione, dati
per normali. L’ottica e il punto di vista del profondo, il problema che vuole
sollevare, lo scopo cui tende l'inconscio, che accende e tiene vivo il disagio
di cui ho parlato, sono decisamente tutt'altra cosa. Ciò che il disagio vuole
far capire, le questioni fondamentali che vuole sollevare, sono ben altro che
un problema di cattivo funzionamento da riparare con qualche tecnica o trucco,
per (provare a) proseguire contenti e regolari. Si tratta di ascoltare ciò che
il sentire dice con attenzione e fedelmente. Se il profondo vuole rendere
consapevole l'individuo, non attraverso il ragionamento, ma attraverso
esperienza viva, da un lato del suo affannarsi a cercare consenso, del peso non
secondario che ha nella sua vita lo sguardo altrui, dall'altro della scarsità
di autonomia di giudizio attorno a se stesso, conseguente al non aver coltivato
e dato sviluppo alla conoscenza autonoma e approfondita di se stesso, cos'altro di meglio potrebbe
scegliere che rendere acuta nell'esperienza la percezione del problema, non
consentendo di passare oltre? Non è casuale che, senza conoscenza di sé ben
verificata e profonda, senza lo sviluppo di una autonomia di sguardo e di
giudizio su se stessi e sulla propria esperienza, senza la conquista di una
vera capacità di guidarsi da sè (si tratta di lacune e di necessità di crescita
personale, cui non si rimedia con qualche tecnica e ragionamento), lo sguardo e
il giudizio altrui siano un riferimento così presente e condizionante, che
diventino l'autorità a cui rifarsi e da cui dipendere. Se il profondo prende
l'iniziativa di rendere nel sentire cocente tutta questa questione, accentuando
le sensazioni di impaccio, di soggezione, di paura dello sguardo altrui, lo fa
per indurre a aprire gli occhi, a non prescindere da questa verità, a trattare
questa come l’occasione per cominciare a capire, a capirsi, a trarne spunto e
spinta a lavorarci sopra e in profondità. Questo l’intento del profondo, ben
altra cosa dal trattare quanto messo in campo, che pur difficile e spiacevole,
ha uno scopo tutt’altro che insignificante o sfavorevole, come una disfunzione da correggere con
qualche tecnica impartita di gestione e di preteso controllo sul proprio
sentire o come il disturbo da debellare andando a ritroso a cercare qualche
motivo di afflizione, trauma o cattivo condizionamento subito che possa
spiegare tutto, augurandosi di riportare tutto al dritto, per proseguire come
prima e nelle stesse condizioni fondamentali di sempre. Se il profondo, anzichè
sostenere lo sforzo di ben funzionare, inceppa e intralcia la corsa a dare
buona prova, a dare dimostrazione, a avere prontezza e fluidità nel dire,
rendendola affannosa e timida, fino a imbrigliarla, lo fa perché casomai quella
di ottenere la buona prestazione e di averci un pò di apparente sicurezza è da
un lato solo una maschera e una figura da mostrare e difendere (per non fare
brutta figura), con sotto nulla che sostenga davvero quella messa in scena e
dall'altro perchè, anche dove ottenesse la riuscita, sarebbe misera conquista e
altra da ciò che l'individuo potrebbe scoprire, costruire e offrire a se stesso
passando attraverso di sè, facendo un valido lavoro su se stesso. Più
importante del dare buona prova per sentirsi a norma e funzionanti, è la
necessità, questo sollecita e propone l’inconscio, di vedere chiaro il proprio
modo di procedere, di conoscersi senza restrizioni, in profondità e senza veli,
dando a se stessi l’opportunità di aprire gli occhi, di stimare da sé cosa vale
e merita davvero di essere conquistato, smettendola di rincorrere a testa bassa
prestazioni congeniali solo a raccattare consenso esterno e poco più. Il
rischio per l'individuo, ancora privo di visione propria, di comprensione di
ciò che profondamente gli appartiene e che potrebbe concepire da sé e generare,
di incanalare e di spingere la sua vita in qualcosa che è pallida sembianza di
una vita propria e di ciò che sarebbe capace di realizzare, fa sì che il
profondo prenda ferma, intransigente posizione. Se l'individuo, che vive
l'esperienza disagevole che ho descritto, affidandosi ai suoi criteri
razionali, cerca di porre rimedio e di correggere o di farsi aiutare a
correggere ciò che considera solo una distorsione da sanare per procedere più
libero da intralci il cammino di sempre, il suo inconscio vuole invece
attraverso il malessere metterlo alle strette su una questione ben più
importante, vuole evidenziargli invece il vuoto che sta sotto il suo procedere abituale, la sua non conoscenza
di se stesso e la non consapevolezza del modo di condurre la sua vita, vuole
stimolare in lui la responsabilità di prenderne visione e di modificarne i
fondamenti. Nell'incontro col proprio intimo, nell'ascolto e nel dialogo con la
propria interiorità, c'è tutto ciò che può dare la visione chiara del proprio
stato, senza mistificazioni, la scoperta della propria identità vera, la
formazione graduale del proprio bagaglio di idee fondate, comprese da sè e alla
radice, che rendono capaci di sostenere progetti e percorsi di cui essere
protagonisti e artefici, con passione e
con convinzione salda, liberando se stessi dalla dipendenza dalla
autorità dello sguardo e del giudizio degli altri. E' questa la condizione per
dare un nuovo volto, originalmente proprio, alla propria vita di cui essere
fieri, capace di sostenere e a ragion veduta una fiducia in se stessi forte e
tenace come non si è mai avuta, una fiducia, un'autostima e una sicurezza ben
piantate e motivate, non gonfiate ad arte e gratuite come si sarebbe preteso.
L'inconscio spinge verso la conquista di questi traguardi. Se serve aiuto,
questo può rivelarsi valido e prezioso se favorisce la scoperta di se stessi,
particolarmente della parte di sè più intima e profonda sinora ignorata,
sottovalutata o temuta, se favorisce la propria crescita solida e vera e non
aggiustamenti che lasciano intatta la propria condizione di fragilità, di
mancanza di salde radici proprie, di lontananza da se stessi. La conoscenza di
se stessi può essere piegata alla pretesa di tenersi sul binario di ciò che si
considera normale, adoperandosi per far funzionare tutto secondo gli andamenti
soliti, anche se in disarmonia e in disaccordo col proprio profondo, che non ha
mancato e che non mancherà di farsi sentire. Ben altra cosa è la conoscenza trasparente,
sincera e approfondita verso cui spinge il profondo, una conoscenza che,
alimentata dall'inconscio col sentire e in modo straordinariamente valido con i
sogni, se assecondata e coltivata, diventa la base del cambiamento di qualità e
di sostanza della propria vita, per prenderne davvero in mano la guida, per
darle volto e contenuto originali e propri, per avere unità di visione e
d'intenti con tutto il proprio essere.