Il malessere interiore è il terreno del conflitto tra la parte di sè profonda, che vuole spingere a aprire lo sguardo su ciò che si sta facendo di se stessi, sul proprio modo di procedere, per comprenderne il vero senza risparmio e senza omissioni o aggiustamenti di comodo e l'altra parte di sè, quella cosiddetta conscia, che sinora ha dettato la direzione da seguire, che ribadisce il già noto, che serra le fila e che si dispera alla sola idea di uscire dal seminato solito. Questa parte cui ci si affida abitualmente e dentro cui ci si rinserra, risponde al malessere interiore solo rivendicando, come salutare e vantaggioso, il ritorno alla condizione precedente la crisi, ribadendo, come fosse una certezza, che non c'è altra vita che si possa concepire come valida e desiderabile che non sia nei confini e nella logica del già conosciuto. E' profondamente distorcente la verità dei fatti giudicare, come il più delle volte si fa, come espressione di malattia e di disturbo ciò che accade all'interno del malessere interiore, deducendo dal fatto che è arduo, non piacevole e doloroso che sia segno di alterazione e motivo di danno. Questo atteggiamento e modo di sentenziare, non certo minoritario, è frutto della arbitrarietà e dell'ottusità di una concezione dell'uomo che vincola l'idea di salute psicologica alla cosiddetta normalità, all'essere conformi nei modi di sentire, di intendere e di procedere agli schemi e ai modelli abituali e prevalenti, consacrati come gli unici validi e a norma, normali appunto. Psicofarmaci, psicoterapie cognitivo comportamentali, solo per fare qualche esempio, sono risposte e dispositivi pronti a intervenire per tentare di "raddrizzare" lo stato interiore, operando per mettere in questione e per correggere le presunte disfunzioni, per far sì che tutto interiormente cessi di recare disturbo e si rimetta a funzionare nel verso di ciò che è considerato normale e efficiente. Grati a simili interventi volti a rimettersi in pista nel modo solito, ci si compiace di aver in qualche misura zittito o reso più sordo il proprio intimo sentire, di aver in qualche modo piegato la propria interiorità a disciplinarsi, almeno così ci si illude che sia e che perduri, perchè in realtà nulla riesce a piegare e a zittire il profondo, che non cessa e non cesserà mai di interferire, di far valere interiormente la sua iniziativa, di far sentire la sua voce, seppure fraintesa e inascoltata, seppure trattata e bistrattata come guasto, disfunzione e patologia. A fin di (presunto) bene ci si può fare molto male. La presa di posizione volta a tenere a bada quanto la propria interiorità sta proponendo, che è certamente arduo, anche molto arduo, nasce da un presupposto assai comune. E' impreparato al confronto con una vicenda interiore, oggi complessa e difficile, oltre che dolorosa, chi con la propria vita interiore, col proprio sentire, con i propri vissuti non ha familiarità di ascolto e di dialogo, condizione questa tutt'altro che infrequente, si potrebbe anzi dire che rientra nel quadro della cosiddetta normalità. E' la normalità di un modo di vivere e di procedere in cui il centro dell'interesse, il focus della vita e del pensiero è la relazione con altro, con gli altri e la relazione con se stessi, con la propria interiorità non ha spazio, non ha riconoscimento, è terreno incolto. Delle proprie esperienze e risposte interiori si pensa da un lato che siano sempre al seguito e al comando di stimoli esterni, mai le si recepisce come segnali e proposte che da dentro, dal proprio profondo sono rivolte a se stessi, dall'altro ci si aspetta che prendano una piega il più possibile in accordo con i risultati che si vogliono ottenere. Ci si è abituati nel tempo a spingere contro l'intimo di esitazioni e impacci, contro timidezze e altro che interiormente si proponeva dentro se stessi, che, in nome del saper stare in buona intesa con gli altri e del risultare a loro graditi e ben considerati, parevano solo ostacoli da superare. Ci si è abituati più a pretendere di correggere e a forzare che a rispettare e a voler comprendere il significato delle proprie esperienze interiori. Accade allora, quasi fatalmente, che in presenza di sviluppi e di svolgimenti interiori difficili e affatto coerenti con le aspettative rivolte a una parte interiore che si vorrebbe non fastidiosa e concorde con ciò che si vuole ottenere, che l'allarme e l'azione di contrasto scattino quasi automatiche. Tutta l'azione di auto soccorso e di ricerca di aiuto per tenere a bada e per possibilmente debellare quanto vive dentro se stessi diventato parecchio difficile e imperioso, affatto domabile, che sia ansia o attacchi di panico, che sia caduta d'umore e infelicità che dilaga, che sia morsa ossessiva, tutto pare essere solo una patologia da cui guardarsi e di cui liberarsi. Tutta l'azione curativa di questo segno pare positiva e provvidenziale. Pare risposta buona e valida, ma tale ci si convince che sia, in conseguenza di una abituale e consolidata non familiarità e non conoscenza di cosa è e di come si esprime la propria parte intima e profonda. Diversamente, qualora si avesse capacità di incontro e di dialogo con il proprio intimo e profondo, le cose prenderebbero tutt'altro volto e l'azione di ricerca del presunto bene, nel verso di combattere e correggere l'intima esperienza, comincerebbe a andare in discussione. Contrastare e trattare come nemica parte di sè che ha tutt'altra intenzione e scopo che di far danno, imbavagliare la voce interiore pensando che sia eccesso e debolezza, irrazionalità da cui proteggersi, ci si renderebbe conto non essere certo il meglio da riservare a se stessi. Provare a liberarsi di ciò che la propria interiorità comunica, anche se difficile e sofferto, con costruzioni di ragionamento e teoremi che riportano il malessere attuale a cause presunte individuate in traumi e cattive influenze patite in qualche precedente della propria biografia, senza capire che ciò che oggi si muove interiormente insorge per porre al centro dell'attenzione la propria condizione attuale e il modo di condurre la propria vita, senza comprendere che è guida affidabile, tutt'altro che guasto e svolgimento anomalo e malato, per entrare nella scoperta del vero e nella occasione di rigenerare su basi proprie il proprio pensiero e la propria vita, ritrovando piena unità con se se stessi, questa, pur sotto le apparenze di una buona cura, si scoprirebbe non essere la migliore offerta e soluzione che ci si possa destinare. La cura spesso segna e consolida la disunione dentro il proprio essere, il ripudio come fosse uno sgorbio del proprio intimo, il rigetto come fosse malata e deleteria di una parte di sè e di una proposta interiore estremamente valida e salutare, capace, se accolta, se intelligentemente compresa in ciò che dice e rivela, se saggiamente coltivata, di riportare la propria vita davvero nelle proprie mani. Troppi fraintendimenti e luoghi comuni offuscano lo sguardo e sono pronti a procurare a se stessi, in nome del proprio presunto bene, danni non da poco.
sabato 24 maggio 2025
venerdì 23 maggio 2025
Gli attacchi di panico, qualche spunto di riflessione
L'attacco di panico è la soluzione estrema, l'arma più
potente e incisiva che l'inconscio sa impiegare. Non per fare danno, non
sconsideratamente, non per dissestare e basta, l’inconscio interviene per
perseguire uno scopo, per dare forma, pur drammaticamente, a uno scenario
nuovo, per far intendere subito, per intima e sconvolgente esperienza, qualcosa
di importante, anzi di fondamentale. Le iniziative dell'inconscio sono sempre
profondamente pensate e concepite, sensatamente e intelligentemente finalizzate.
Capita infatti che la lontananza da sé, che il mancato riconoscimento di ciò
che l’intimo di sé sa e vuole dire, essenziale per la conoscenza del vero e
dell’autentico di se stessi, interiormente non passino inosservate e che non
vengano accettate nel proprio profondo. Ciò che si dava per scontato, che
l'interiorità seguisse e assecondasse, che fosse garantito il sostegno vitale e
la continuità al procedere abituale tutto proteso all’esterno, a seguirne i
tempi, le attese e le pretese, a coglierne le apparenti opportunità, è
improvvisamente messo in forse. Capita che l'inconscio prenda decisa iniziativa
e sopravvento, che dia modo con l’attacco di panico di sperimentare nella forma
della vertigine emotiva, del senso di totale smarrimento e di angosciosa
fragilità, fino alla paura che tutto si spezzi, che gli organi e le funzioni
vitali cessino di funzionare, fino all'angoscia di morire, che la vita, in
quella forma abituale e conosciuta, data per scontata e così tenacemente difesa
dalla parte conscia, non è affatto dalla parte più intima e vitale
concordemente sostenuta, fino a essere drammaticamente percepita come a rischio
di non esserne garantita. Non solo, ma in quel momento di stacco, via via più
drastico e impetuoso, dalla continuità del fare e del procedere abituale,
l'inconscio fa sperimentare cosa significhi, per chi non abbia cercato legame
con se stesso, con la propria interiorità, essere improvvisamente strappati via
e distolti da tutto, soli, in presenza di sé soltanto, legati al proprio intimo
soltanto. Abituati a stare attaccati ad altro e a farsi tutt'uno con altro,
quasi a negare la percezione di sé, abituati a disperdersi nel fare, a rinviare
sine die la sosta, il momento del fermarsi in aderenza e in ascolto sincero e
attento della propria interiorità, ecco che nel momento dell'improvviso e
inaspettato stacco dal fuori e dell'affaccio sul dentro, si è colti da allarme
e da sorpresa, totalmente smarriti, sgomenti. La vita, l’incontro con la vita,
questo è il potente richiamo dell’inconscio, è dentro se stessi, nel legame e
nello scambio col proprio intimo, lì la radice, lì la scoperta del senso, lì la
matrice del pensiero e dell’esistenza, lì la base, la radice viva e vitale del
proprio essere. Lì e non nel fare e nel ragionare disgiunti dal sentire e dal
corso della propria esperienza interiore, non nel tenersi in simbiosi con
altro, come se ci fosse in quel legame e in quella presa sul fuori l’unica
possibilità di tenersi legati alla vita, a ciò che si considera reale, come se,
senza la continuità di quel legame e di quella presa, ci fosse solo il rischio
di perdere terreno e senso di presenza, di perdere le opportunità che contano,
di perdere e di perdersi. Questo dell'essere catapultati improvvisamente
nell'intimo delle proprie sensazioni, del veder costretto il proprio sguardo
verso il dentro di sé, del sentire bruscamente incatenate la preoccupazione e
l'apprensione a sé e al proprio stare in vita, è l'esperienza, lo scenario
nuovo che si spalanca nell'attacco di panico. La propria interiorità, da gran
tempo trascinata nel fare, nell'inseguire, nel pensare senza aderenza al
proprio sentire vero, da gran tempo sottovalutata, resa nelle intenzioni docile
e conciliante, muta all'occorrenza, dà all'improvviso (ma non tanto, perché
precedenti segnali a starci attenti ce ne sono stati a bizzeffe) segnali
vigorosi, impone i tempi, detta i contenuti dell'esperienza. Sensazioni
sconquassanti di smarrimento, di pericolo, di insicurezza totali, impetuose.
Parrebbero maligne, così oscure, terribili, travolgenti. Anche se la presa
dell'inconscio è così decisa e quasi brutale, tutte queste improvvise e
impetuose sensazioni e tutto il drammatico inaspettato corso d'esperienza
vogliono spingere a vedere, a prendere coscienza di ciò che si è nell'incontro
con se stessi: smarriti, perché mai abituati a cercarsi, sempre inclini a
evadere, a stare fuori e "assenti". I temutissimi attacchi di panico
vogliono, nelle intenzioni dell'inconscio, marcare con forza una frattura, una
discontinuità decisa nel corso dell’esperienza, nella modalità consueta di
procedere, che non le consenta di proseguire intatta, sia attraverso il
cataclisma dell'attacco, sia con la scia di fortissima insicurezza e di non
facilmente cancellabile turbamento che in seguito permane. Potrebbero, se
raccolto e ben inteso il potente richiamo, essere gli attacchi di panico
davvero l'inizio di una svolta nella direzione della riscoperta di sé, partendo
dal proposito nuovo di avvicinarsi a sé, dalla presa di coscienza
dell'importanza di non essere stranieri dentro se stessi, altro da se stessi,
coinquilini di un essere, il proprio essere, che non si conosce, con cui si
rischia di convivere fino alla fine senza incontro, senza ascolto e senza
scoperta, senza trarne, della propria esistenza, le ragioni vere, i quesiti e
le potenzialità. Un inizio quello voluto dal profondo, una spinta potente
rivolta a chi ne è colpito, perché riconosca la necessità e l'urgenza di
imprimere una svolta decisa alla sua esistenza, mettendo al centro la ricerca e
la costruzione di un rapporto con se stesso, con quella parte di sé finora
ignorata, sminuita e trattata da appendice subalterna. Ci si potrebbe chiedere
se il modo, che pare così tremendo e devastante, di intervenire dell’inconscio
non sia eccessivo, sconsiderato. In realtà non c’è nulla di esagerato e fuori
misura. Se l'inconscio non agisse all'occorrenza con tale fermezza, durezza e
asprezza nel dire all'individuo della sua lontananza e non familiarità con se
stesso, della sua mancanza di contatto e di radice dentro sé, della sua
sostanziale inconsistenza, così estraneo a ciò che solamente può dargli la
scoperta del vero e dell’autentico di se stesso, avrebbe qualche possibilità di
interromperne la marcia solita e l'inerzia del pensiero, di coinvolgerlo e di
farsi ascoltare? Intendiamoci, la risposta più comune all'attacco di panico è
di considerarlo un evento abnorme, anomalo, uno sciagurato impedimento alla
prosecuzione solita, un turbamento così forte da essere sciaguratamente capace
di compromette il procedere e la fiducia che si riteneva di possedere, una
iattura che pare intralciare la possibilità di insistere nel modo di vivere
solito, nell'attaccamento a abitudini, a cose, al fare. Tanta offerta di cura è
proprio rivolta a trattare simili esperienze come disturbo e patologia da
sanare e correggere, con farmaci o con consigli, prescrizioni, esercizi volti a
controllare e a superare paure considerate irrazionali. Se c’è un tentativo di
spiegazione del perché dell’attacco di panico lo sguardo si dirige subito
all’esterno a cercare possibili cause in sovraccarichi di tensione, nel
cosiddetto stress, parolina magica che tutto pare dire e che in realtà non
svela un bel nulla. L'ignoranza del significato degli eventi interiori non ha
limiti e confini. Capita però che ci siano individui che riconoscono
nell'esperienza degli attacchi di panico e nel seguito di turbamento e di
insicurezza che lasciano, un segnale importante, che avvertono la necessità di
una riflessione approfondita, di essere aiutati a avvicinarsi a sé per
conoscersi in modo aperto e approfondito. Ho visto iniziare esperienze
analitiche su queste basi e premesse. In questi casi l'inconscio, come era stato perentorio e
drastico nel segnare, attraverso gli attacchi di panico, una frattura
drammatica rispetto al solito procedere (frattura segnata dagli attacchi e dal
seguito di forte allarme e apprensione che avevano lasciato), così e con
altrettanta forza di partecipazione e di presenza è stato pronto a dare, fin
dall'inizio del cammino analitico, attraverso i sogni, indicazioni lucidissime
e guida sicura sul percorso da seguire, sulle scoperte da fare, sul lavoro
necessario per ridare all'individuo finalmente consapevolezza vera, vicinanza e
unità con se stesso, conoscenza lucida e approfondita di sé e di ciò che intimamente
e originalmente gli apparteneva. Se prima c'era solo la rincorsa di un che di
normale e di paragonabile agli altri, di concepito e di tenuto in ordine col
ragionamento, che spesso e in genere non sa vedere, ma solo organizzare e
imitare, dopo la brusca interferenza del profondo, che ha costretto l'individuo
a prendersi cura di sé, a spostare l'attenzione su di sé, è potuto iniziare un
nuovo cammino e un divenire, del tutto inattesi e inconcepibili prima, ma
possibili. Se all'inizio all'individuo, sotto le bordate del profondo, era
parso che la sua salvezza stesse unicamente nel far cessare quell'assalto,
nella riconquista della libertà di proseguire indisturbato nei modi soliti e
verso le mete conosciute, dopo, a confronto aperto e approfondito, gli è
risultato via via sempre più chiaro che ciò che aveva a disposizione prima
della crisi e che tanto aveva cercato di difendere era poca cosa e impersonale,
impropria, che tanto e tutto di sé gli
mancava, che un cambiamento radicale, a partire dal capire ciò che di sé stava
facendo, si era reso non solo utile, ma necessario, pena il rischio di non
vivere, di non far vivere se stesso. Posso solo aggiungere che chi, dando
risposta al forte richiamo dell’inconscio, ha messo in atto il percorso di
avvicinamento a se stesso, ha visto cessare gli attacchi di panico, essendo
venuta meno la loro ragione d’essere, avendo raggiunto il loro scopo.
mercoledì 21 maggio 2025
Chi non si ferma è perduto
Sembra una buona regola non farsi bloccare da disagi e da freni interiori, per non perdere terreno nel perseguimento dei propri obiettivi, per non comprometterne gli esiti. Cosa può esserci di più favorevole ai propri occhi che tenere a bada, che provare a uscire dalla presa di qualcosa che interiormente pare solo portare danno, impantanare e minacciare se assecondato di portare fuori strada, alla deriva? Non sembrano esserci dubbi sulla necessità di non cedere alla presa di ciò che non appare di certo promettente, di difendere da questa minaccia la tenuta della capacità di procedere solito con le sue priorità e urgenze. Se ci fosse matura consapevolezza del perchè e del significato di ciò che si sta facendo, se il confronto con se stessi fosse aperto e capace di tenere conto di ciò che il proprio sentire dice dentro l'esperienza e che è rivelatore dei passi che si stanno compiendo, di ciò che li guida, delle implicazioni vere di ciò che si sta perseguendo, l'istanza di proseguire avrebbe già più senso, anche se relativo, perchè, quando in buon rapporto con se stessi, non è mai da trascurare, da lasciar cadere o da respingere a priori ogni ulteriore nuovo suggerimento, anche se imprevisto e in apparenza poco propizio, che provenga da dentro se stessi. La verifica, la necessità di capire, di capirsi non dormono mai e a tenerle sveglie e nel proprio interesse è proprio la parte intima, cui però non si riconosce una tale capacità di intervento. Proseguire, spingere avanti le cose dunque insofferenti verso i richiami interiori, bollati e liquidati come segni di malfunzionamento, non è certo condotta favorevole, come se si volessero annullare tutti i segnali di allarme, tutti i richiami provvidi e intelligenti a soffermarsi, per aprire gli occhi, non certo espressione di insufficienza o di altre anomalie. Il linguaggio interiore è spesso sconosciuto e questo fa si che ci si metta a dare contro e a maledire ciò che invece suggerito da dentro se stessi ha intelligenza e accortezza di dare stimoli di presa di visione e coscienza, di riflessione utili, necessari, anzi essenziali per non infilarsi in percorsi ciechi anche se razionalmente spiegati come validi e opportuni. La intelligenza razionale va a senso unico, rielabora solo quanto già concepito e incamerato, una sorta di intelligenza artificiale in funzione, che non intende se non il già inteso. Raccogliere i segnali che arrivano da dentro se stessi, che paiono nell'immediato inopportuni e persino importuni, è segno di intelligenza che vuole ogni volta rinnovarsi e non precludersi la conoscenza del vero. Fermarsi, per ascoltarsi, è dunque quanto di più utile per non perdersi nell'inconsapevolezza che non è certo foriera di buoni esiti. Procedere, spingersi avanti ad ogni costo rende valida e efficiente la muscolatura dell'agire, assai meno quella del capire e del formare e far crescere la propria capacità di autogoverno affidabile e salda. Il proprio mondo interiore, ciò che sa dare e dire la parte intima di se stessi, è il territorio sconosciuto. Imparare a comprenderne il volto vero e le risorse che mette a disposizione, la natura e l'intento dei suoi interventi nel sentire e in tutto ciò che si muove interiormente, la scoperta di quanto sia essenziale recuperare l'unità col proprio intimo, è la conquista da fare, per non ridursi a essere una testa che, svincolata dalla propria interiorità e da ciò che offre e suggerisce di continuo, pretende di dettare i passi e di spingere avanti il procedere senza capacità di guida davvero consapevole e affidabile.
domenica 18 maggio 2025
Cos'è l'inconscio? Entità impalpabile e misteriosa o presenza viva e vicina?
Accade spesso che l'interiorità non sia compresa in ciò
che vuole dire e proporre. L'errore nasce prima di tutto dal rimanere
prigionieri della visione comune e prevalente, che afferma che tutto
interiormente dovrebbe svolgersi secondo una presunta normalità, il che
predispone a trattare come sospette anomalie le esperienze interiori complesse
e difficoltate di disagio. Non solo, ma in presenza di una condizione di
malessere interiore, succede spessissimo che il malessere sia riferito e
principalmente letto come un problema di rapporto con l'esterno, che la ricerca
si indirizzi subito in questa direzione. Il malessere interiore in realtà, per
quanto metta nella condizione di sentire un legame stentato e critico con
l'esterno, con gli altri, forza il coinvolgimento e spinge l'attenzione
dell'individuo verso l'interno, verso l'intimo di se stesso, produce una sorta
di ripiegamento, di introversione forzata, di caricamento e di polarizzazione
di sensazioni e di stati d'animo (ad esempio di paura, smarrimento, apprensione,
di scoramento e sfiducia), che collocano comunque dentro se stesso il cuore
pulsante della sua esperienza. Cosa vuole questo malessere, cosa dice, cosa
intende proporre? Questo è il punto. Lasciare dire alla parte profonda cosa
dentro e attraverso il malessere sta sollevando e proponendo, imparare ad
ascoltarla e a comprenderla nel sentire che anima e nei sogni, è la scelta da
fare, ma già riconoscere che c'è nel proprio intimo una parte profonda capace
di dire, di proporre è per la maggior parte degli individui una novità senza
precedenti. Solitamente infatti si tende a circoscrivere la percezione e il
riconoscimento del proprio essere alla parte conscia, abituata a tenere in
pugno tutto, parte che ragiona e che decide, il resto, l'intimo, il sentire,
gli svolgimenti interiori, i sogni, sono intesi e trattati come appendice più o
meno trascurabile, da cui non ci si aspetta di poter ricevere granché di utile
e di sostanziale per capirsi, per orientarsi. Si pretenderebbe viceversa che la
componente interiore si accodi e si accordi, giudicando che, dove non si
accordi con gli orientamenti e con i propositi razionali, ciò accada per
qualche sua bizzarria o, dove acuisca i toni, per un suo anomalo stato. Gli
stessi terapeuti in non pochi casi hanno un'idea dell'essere umano che poco si
discosta da questa visione comune, al più pensano che l'inconscio, ammesso che
ne tengano conto, sia (oltre che origine di pulsioni e di risposte immediate,
emotive, che se a volte paiono rivelatrici, spesso invece sono considerate
inaffidabili perché "irrazionali") un ricettacolo o serbatoio di
ricordi, di esperienze traumatiche e dolorose, di spinte e di desideri,
difficili da ammettere alla consapevolezza, lì rimosse e tenute in sequestro.
C'è un'idea ricorrente per spiegare le origini e le ragioni del malessere
attuale, che piace sia a chi vive malessere interiore che a non pochi curanti,
che ritiene che la vita interiore possa essere stata turbata e segnata da
episodi traumatici del passato, da esperienze e da condizionamenti subiti,
sfavorevoli e con effetti distorcenti il normale sviluppo atteso, che di
conseguenza l'esperienza interiore attuale ancora ne risenta, ripetendo anche
nel presente, come un disco rotto, errori e segni di alterato funzionamento.
L'inconscio riproporrebbe come un automa simili distorsioni e resterebbe
ancorato a quei precedenti storici. Si ritiene insomma che la vita interiore
sia rimasta nel tempo, fino al presente, come congelata, inchiodata a quei
passati episodi traumatici e condizionamenti sfavorevoli. E' un teorema, questo
che vuole che la sofferenza attuale sia conseguenza di remoti accidenti
sfavorevoli subiti e di responsabilità altrui, che non appartiene solo a chi
soffre interiormente, che gli vale una spiegazione vittimistica del proprio
disagio e malessere interiori, ma spesso anche a chi gli si mette a fianco per
aiutarlo. Il malessere, considerato senza esitazioni un'espressione di
malfunzionamento, di alterazione della normalità, è consegnato subito a cause e
a ipotetici condizionamenti esterni, così come a possibili soluzioni esterne,
senza intendere che sia espressione di intervento e di presa di posizione, di
richiamo e di iniziativa del profondo e che dunque col proprio profondo sia da
cercare finalmente un incontro e da coltivare un dialogo. E' così abituale
pensarsi solo e unicamente in relazione ad altro e ad altri, che tutta
l'attenzione e la ricerca si concentrano in questa direzione, saltando a pie
pari, ignorando l'esigenza di una apertura a se stessi, di un confronto con la
propria parte intima e profonda, dentro cui si sta muovendo inquietudine e
malessere, segnali di crisi, come necessità prioritaria, come punto saldo,
decisivo per cominciare a ritrovarsi. Per comprendere la voce del malessere
interiore, il suo richiamo, è necessario non sovrapporgli congetture e
spiegazioni circa la sua causa cercandole a destra e a sinistra, in questo o in
quello di circostanze e di fattori esterni a sé, ma è necessario sintonizzarsi
con l'intimo, imparare ad ascoltarlo, scoprirne la voce nel sentire e nei
sogni, che tanto sanno dire e far comprendere, che tanto sanno avvicinare a se
stessi e rivelare del significato e dello scopo di quanto sta accadendo
interiormente. E’ assai frequente che non si sia dotati di capacità di ascolto
e di dialogo col proprio intimo, che non se ne conosca il linguaggio, il modo
di comunicare, che non se ne comprenda l'intenzione e la capacità di pensiero
di cui è portatore e che può trasmettere, che si ignori la spinta che sa
esercitare per aprire il proprio sguardo, per portarlo a vedere, al di là delle
apparenze, il vero della propria
condizione, nelle proprie espressioni e modi di condursi, essenziale per non
continuare a procedere senza sapere, a pensare senza comprendere. Abituati a
cercare segnali e occasioni di vita fuori e a tenere prima di tutto lì lo
sguardo e l'attenzione, a avere cura e preoccupazione di sviluppare capacità di
presenza e di risposta negli scambi con l’esterno, con gli altri, a cercare da
fonti esterne contributi e lezioni di pensiero, per moltissimi non ha preso
forma e sviluppo, oltre che l’interesse, la capacità di ascolto e di dialogo
col proprio intimo. Prezioso e necessario si renderebbe un aiuto, reso più
urgente in presenza di malessere e di crisi interiore, per imparare a trovare
rapporto e intesa col proprio intimo. Accade però che oltre all'individuo,
abituato a assorbire e a chiudersi nella concezione comune e prevalente
dell'esistenza, intesa prima di tutto come legame con altro e con altri e come
ricerca sempre rivolta al fuori, gli stessi terapeuti, in non pochi casi,
pensino che il centro dell'esistenza dell'individuo sia il rapporto con
l'esterno, con gli altri, con quella che volentieri chiamano, come fosse
un'entità univoca e assoluta, la "realtà". Puntano subito
l'attenzione in quella direzione, per indagare la presenza nell'individuo,
portatore di malessere interiore, di insufficienti o errati ( li chiamano
disfunzionali) modi di intendere e di affrontare il rapporto con gli altri e con
le situazioni esterne, cercano di stimolare, incoraggiare e portare a nuove,
ritenute più normali e felici, soluzioni per interpretare e gestire il rapporto
con l'esterno, come fosse lì l'essenza dell'individuo e il punto d'origine e il
fulcro del suo conoscersi e realizzarsi. Spesso manca completamente, non è
acquisizione presente nel pensiero non solo di chi soffre disagio, ma sovente
anche di chi se ne prende cura, che esista una parte del proprio essere, quella
profonda, non solo influente e decisiva nel muovere e nel plasmare l'esperienza
interiore (non sono fattori esterni ma è il profondo a plasmare e a
"qualificare" la risposta, anzi la proposta del sentire), ma anche
fortemente propositiva e creativa. Questa parte profonda della propria psiche è
capace già nelle espressioni della sofferenza interiore, tutt'altro che casuali
e disordinate, tutt’altro che espressioni di patologia da incasellare e da
bollare con qualche etichetta diagnostica da manuale di psicopatologia, di
sollevare in modo acuto e puntuale questioni decisive e fondamentali
riguardanti il proprio modo di procedere, di stare in rapporto, spesso in non
rapporto, con se stessi, col proprio intimo. Non si comprende che il malessere
interiore, che la crisi è espressione di un intervento del profondo, che vuole
risvegliare la presa di coscienza, che vuole interrompere il procedere cieco,
un modo di pensarsi e di vedere la propria esperienza, incline solo a spingere
avanti le cose, che non vede su quali basi e in che modo si sta impegnando se
stessi, la propria vita. Non si comprende che è con se stessi, con la propria
interiorità che è in atto un confronto, che è con la propria interiorità, che
muove il malessere e gli dà forza e ne dirige i modi e l’andamento, che va
trovato un rapporto e va aperto un dialogo, cercato un approfondito
chiarimento, una nuova intesa. Tutto il
malessere interiore infatti, visto abitualmente come guasto, vuoi provocato da
cattive interferenze e condizionamenti esterni, vuoi legato a un modo scorretto
o inadeguato di procedere, non regolare, non secondo normalità, che come tale
non procurerebbe benefici e benessere, un procedere che nella sostanza e nei
suoi fondamenti e presupposti non è in discussione, è in realtà segno e espressione
della presa di posizione della parte profonda dell’essere, che non può e non
vuole tacere la propria visione dello stato delle cose, la propria
consapevolezza, che vuole “contagiare“ di questa l‘individuo nel suo insieme,
nei suoi pensieri, nei suoi umori, nei suoi propositi. Non è una presenza
dentro di noi estranea e aliena quella del profondo, l’inconscio siamo noi nel
nostro tenere lo sguardo, al di là delle apparenze e senza sviste, su di noi,
nel riconoscere il vero della nostra condizione e del nostro modo di procedere,
che vede spesso il disaccordo e il mancato incontro tra sentire e pensare, tra
esperienza intima e coscienza di noi stessi. L'inconscio siamo noi nel nostro
non rinunciare a noi stessi, nel nostro voler essere non copia d’altro,
passivi, per inerzia e per comodo, per adesione e soggezione al modo appreso e
dominante, nel consumare ciò che c'è, ipotesi, soluzioni e scelte che la
cosiddetta realtà offre confezionate e pronte, passivi nel pensare secondo idee
e parametri comuni, guidati e regolati più di quanto non si voglia ammettere
dall'esterno, dipendenti dalla conferma esterna, ma soggetti, portatori e
capaci di un originale pensiero e progetto, certamente non già prontamente
fruibili, ma da coltivare e da generare, come è reso possibile dalla guida del
profondo. L'inconscio siamo noi nella volontà di non procedere incuranti di
capire, di sapere, di affrontare il vero, pur difficile o doloroso, senza
omissioni, equivoci e contraffazioni, concentrandoci sulla nostra esperienza,
affidandoci non alle spiegazioni solite e comuni, ma al nostro sguardo,
cercando risposte non costruite col ragionamento, ma fondate sul vissuto, sul
confronto aperto e sull'ascolto fedele del nostro sentire senza tagli, senza
omissioni, senza fughe. L'inconscio è la parte di noi che vuole questo impegno
e sforzo di ricerca e di costruzione, che non asseconda le illusioni di avere
già autonomia e originalità di pensiero, se formati su basi inconsistenti o
facendo il verso ad altro da noi stessi che lo ispira e lo sostiene.
L’inconscio è la parte di noi stessi che ci vuole instradare e sostenere nella
nostra ricerca di consapevolezza vera, senza veli, senza semplificazioni,
salda, affidabile e capace. L’inconscio non cerca la normalizzazione, ma la
verità e la realizzazione autentica, perché diversamente non c’è vita vera.
L’inconscio è vita. Tutto lo sforzo per cercare di stare nelle guide di un modo
di vivere e di intendere la vita dato per scontato, conforme al già concepito e
comunemente inteso, modellandosi nella cosiddetta normalità, facendosi bastare
e dando credito a soluzioni fragili, a illusorie rappresentazioni di se stessi,
tutta la strategia curativa che vuole ricondurre il malessere se non a semplice
patologia, a insufficiente o infelice adattamento, che vuole ricucire e che di
fatto incoraggia e forza a stare dentro il già dato e conosciuto, urta contro
la scelta del profondo, non la considera e non la comprende. Anzi, l’idea che
il malessere sia un disturbo, un ostacolo da superare, al più da spiegare come
conseguenza di qualche infelice precedente e influenza negativa di un genitore
piuttosto che di qualcun altro o di qualcos’altro, è un enorme travisamento e
incomprensione delle espressioni della vita interiore, del profondo, delle sue
intenzioni. Per il profondo vivere è far vivere se stessi, è formare visione,
pensiero propri, base e leva della libertà e della capacità di mettere al mondo
la propria idea e realizzazione, di compiere il proprio originale cammino. La
posta in gioco è essere adattati, passivi e silenti, non importa se, illusoriamente,
convinti di avere personalità spiccata e cose da dire, però senza radice,
fondamento e sostegno in se stessi, oppure presenza consapevole e feconda,
capace davvero di autonoma visione e di autonomo progetto, questo l’inconscio
vuole porre e tenere viva come questione, purtroppo non compresa, spesso
misconosciuta, oltre i confini del modo di intendere della testa ragionante,
del modo di pensare consueto e prevalente. Quando l’inconscio ha occasione di
essere ascoltato e rispettato, seriamente valorizzato, fedelmente compreso, sia
nel sentire, che anima e che plasma, che nei sogni, dove dà il meglio di sé,
come accade in una valida esperienza analitica, il contributo che sa dare di
pensiero, di risveglio di umanità, di gioia e di passione di conoscere e di far
vivere se stessi, è enorme.
martedì 13 maggio 2025
L'inconscio sostiene verità difficili
Privi del legame, come spesso accade, con la parte intima
e profonda di se stessi, non si ha alternativa, solo le guide esterne diventano
attive e solo a queste si affida la costruzione del proprio pensiero, la
definizione dei traguardi da perseguire, delle fortune da cercare e da
tutelare. Il vincolo di dipendenza da queste guide diventa talmente stretto e
disarmante, da considerare proprio e naturale pensarla e volerla nel modo preso
e appreso da questo legame, come se ciò che nel tempo ne è scaturito fosse
creatura propria, frutto di persuasione e di passione propria. Senza radici,
senza legame e capacità di scambio col proprio profondo, che non asseconda, che
non cede di certo alla seduzione della dipendenza, del farsi istruire e dire,
del considerare ovvio e naturale tutto questo, dell'accreditare come proprio
ciò che ne deriva e che proprio non è, non si riconosce altra vita che quella
tenuta in piedi dal vincolo, dall'attaccamento dipendente. Non c'è altra
possibilità che continuare a dare credito e a alimentare ciò da cui si trae
presunta vita propria, non c'è altra possibilità di tenersi in equilibrio che
la simbiosi con altro, che dare cioè credo e dedizione di sè a ciò che in
cambio offre e sostiene quella parvenza di esistenza propria. La parte profonda
ha ben altro intento che tenere in piedi un simile stato dell'essere, che non
onora di certo la fedeltà a se stessi, che non riconosce la possibilità di coltivare,
di sviluppare e far vivere qualcosa di originalmente proprio, perciò interviene
alimentando il malessere interiore e la crisi. Da parte del profondo c’è la
difesa dell'autentico, l'aspirazione a portare a maturazione il proprio
originale, il progetto di vita come da sè può essere concepito e generato. Il
profondo di se stessi, portatore delle proprie originali potenzialità, promuove
lo sviluppo autentico e indipendente, come la radice di un albero che non può
che volere di dare compimento e sviluppo a se stesso, non all'artefatto che
nasce dalla dipendenza e dall’innesto su un'altra matrice. Perciò l'inconscio
spinge prima di tutto per la verifica della costruzione di vita a cui ci si è
legati, per la presa di visione dei vincoli sottesi e delle basi su cui si è
formata, sui cui presupposti si sta conducendo la propria esistenza.
L'inconscio, avvalendosi del sentire e di tutto quanto il corso interiore, che
plasma e dirige, inserendo nella propria esperienza interiore segnali anche
forti di malessere, sempre però ben direzionati a evidenziare punti decisivi,
spinge per mettere sotto sguardo riflessivo il proprio modo di procedere, per
sottoporlo a una verifica attenta, senza altro perseguire che fare emergere il
vero. Sono verità su se stessi che non danno conferme, che anzi, mettendone a
nudo la mancanza di fondamento vero, scardinano le persuasioni cui si è legati.
Sono verità da cui si è abitualmente ben lontani, che risultano comunque difficili
da accettare, da condividere col proprio intimo e profondo. Non c'è intento
ostile e distruttivo da parte del profondo, che se dà contro lo fa unicamente
verso gli equivoci e le false persuasioni, contro i vuoti di consapevolezza.
C'è però un grosso ostacolo alla possibilità di un confronto aperto e sincero
con l'iniziativa e la proposta del proprio profondo. Pesa il costo della
distanza, della lontananza, che si è rafforzata nel tempo, da una parte di sè,
intima e profonda, che è stata relegata a un ruolo marginale e con cui in
genere non si è creata familiarità di incontro e di dialogo, una parte vitale
di se stessi da cui ci si è estraniati, riducendola a meccanismo un pò oscuro,
cui non si è riconosciuto di essere parte vicina dialogante e propositiva, la
più vicina, appartenente al proprio essere, voce del proprio essere, di cui non
ci si è messi in grado dunque di riconoscere e di apprezzare l'affidabilità e
la capacità di dare stimoli e guide valide e non trascurabili. Per mancanza di
familiarità col proprio intimo e profondo, spesso per ignoranza del suo
esistere se non come rumore di fondo di sensazioni cui ci si è abituati a non
dare gran peso, la banalizzazione dei suoi più significativi interventi come
attraverso i sogni, considerati fantasiose e assurde produzioni, brandelli di
impressioni indotte e stimolate
dall'esterno, per effetto di tutto questo accade che non si faccia
tesoro del contributo che il proprio inconscio vuole e è capace di dare, che si
mantenga forte il vincolo con una forma d'esistenza che fa leva e conto su
altre guide da quella interiore e propria. Nel condursi e nel pensarsi si
continua a fare leva sulla parte razionale, che non alimentata e guidata dalla
parte intima e profonda, non può che esercitare il proprio pensiero avvalendosi
e rielaborando altro preso da fuori, modelli, attribuzioni di significato,
modalità di giudizio comuni e condivise, che, se danno supporto e convalida a
ciò che si pensa, nello stesso tempo ne tengono ben fissi i confini e
l'orizzonte. L'inconscio è la parte più matura del proprio essere, la meno
disposta a farsi istruire e dire, la meno intrappolata nelle illusioni e nella
falsa coscienza, che fanno da collante per il mantenimento di una condizione
tutt'altro che felicemente corrispondente al proprio potenziale vero di
scoperta e di conoscenza, alle proprie esigenze di crescita personale
autentica. Privi, ben al di là della presunzione di possederne, di capacità di
visione, di critica, di capacità riflessiva di vedere, come guardando dentro
uno specchio la propria realtà e condizione, cosa c'è di vero e cosa implica il
proprio modo di procedere abituale, di riconoscere quel legame di adesione e di
passiva dipendenza da altro comune e già concepito, su cui poggia il proprio
pensare e agire, si finisce per dare credito e per difendere con ostinazione
come realizzazione valida ciò che non corrisponde a realizzazione vera di se stessi.
Pur dentro le guide di un pensiero che non ha fondamento nella propria autonoma
scoperta di significati e di verità, che non è frutto di un attento lavoro
sulla propria esperienza, ci si abitua a considerarlo capace di definire ciò
che è reale, di dare valido e affidabile fondamento a ciò che viene perseguito,
che pare realizzare validamente la propria vita. Si crea persuasione di avere
pensiero e capacità di decisione autonoma, rimanendo all'oscuro, senza vedere,
senza prendere attenta visione del mancato fondamento, del tributo di
dipendenza da guide esterne di esempi e modelli ricorrenti e prevalenti, di
pensato comune, di questa pseudo libertà di iniziativa, dipendenza che finisce
per indirizzare la propria vita su percorsi già segnati. Solo l'inconscio non cade in questi equivoci
e solo l'inconscio ha la forza e la tenacia di scuotere le certezze mal fondate
e mai seriamente e attentamente verificate, mettendo in campo inquietudini,
disagi, malesseri, tutto ciò che interiormente vuole mettere in crisi le
disinvolte persuasioni dentro cui naufraga l'unico bene che conta, il risveglio
e l'esercizio della propria consapevolezza. Spiantati, privi delle proprie
intime radici, si diventa, seppure illegittimi, figli docili e ossequiosi di
altro, che si è assunto a guida e maestro, soprattutto si diventa tenaci
sostenitori della propria resa, della resa della propria libertà e autonomia,
dei beni più preziosi, barattati col dare buona prova per incassare qualche
plauso e consenso. L'inconscio concepisce per se stessi un ben diverso destino
e progetto. L'inconscio cerca, prima di tutto spingendo attraverso crisi e
inquietudini e malessere interiore a aprire gli occhi sul vero, di promuovere
la costruzione delle basi di una vera autonomia, di una libertà di
realizzazione personale della propria vita secondo se stessi. Perciò è la parte
più matura del proprio essere, che meriterebbe di essere riconosciuta e portata
al centro della propria vita. Infine una considerazione è necessaria, oltre che
utile. Chi si confronta con una situazione interiore difficile e sofferta
potrebbe considerare lontana dai suoi immediati interessi la riflessione che ho
aperto in questo scritto. La ricerca di soluzioni e rimedi, il desiderio di
capire e di approfondire la conoscenza di se stessi circoscritti e resi strumentali
alla ricerca di qualche spiegazione di causa per il proprio malessere, per
sbloccare ciò che pare malamente intralciato, potrebbe far sembrare lontana
dalle proprie necessità la riflessione che ho proposto. La crisi e il disagio
interiore non sono però frutto di qualche anomalia da correggere, persuasione
che appartiene a chi è pronto a rilanciare nella sostanza, senza necessità di
verifica, il proprio modo abituale di essere e di procedere. Dentro la crisi c’è
l’intervento deciso e decisivo della propria parte profonda, che, quando rispettata
nel suo dire, come succede nel corso di un’analisi che le dia voce e che le
riservi attento ascolto, pone con lucida intelligenza le questioni di cui ho
parlato, promuovendo come scopo un processo di profondo cambiamento personale,
nel verso di generare e far vivere il proprio. Non intendere questo comporta il
rischio di sancire, con un’idea di crisi come guasto o patologia, della cura
come ricerca di soluzioni di aggiustamenti e per un riallineamento della
propria vita su basi solite, il disaccordo con la parte intima e profonda di se
stessi, col rischio più sostanziale di non offrire a se stessi la possibiltà di
un cambiamento profondo, che consiste nel rimettere la propria vita sulle
proprie radici.
mercoledì 7 maggio 2025
Significato e scopo dei sogni
Non è raro che un sogno tocchi particolarmente la
sensibilità del sognatore e lasci in lui una traccia, un seguito, capace di
influenzarne l'umore, la giornata. Che vogliano incidere è nelle intenzioni dei
sogni, di tutti i sogni, anche di quelli che non hanno così forte impatto. C'è
in ogni caso volontà di coinvolgere, di persistere, di ottenere ascolto. Perché
possano incidere davvero è necessario però che i sogni siano compresi e
acquisiti in ciò che intendono comunicare e dire, cosa non facile, poco probabile
purtroppo per come vengono abitualmente intesi e letti. Dei sogni si pensa
spesso ciò che non sono. Non sono fantasie bizzarre, non sono espressione di
desideri inappagati, non sono residui sparsi di ricordi di esperienze e di
impressioni registrate durante il giorno, i sogni sono pensiero, di cui
l'inconscio è capace, acutissimo e calzante, il più adatto a descrivere la
situazione interiore di chi sogna, a porlo dinnanzi a questioni di capitale
importanza e di estrema attualità per lui. Se si leggono i sogni in chiave
concreta e banale, riferendo tutto sempre al rapporto con l’esterno, con gli
altri, adagiandosi su modi di pensare e sull’impiego di significati
convenzionali, cosa che capita frequentissimamente, non li si comprende
affatto. I sogni usano il linguaggio simbolico, il più adatto e valido per guardare dentro se stessi, per riconoscere la
propria realtà oltre la crosta di superficie dei fatti e portandosi oltre la
logica comune, oltre la barriera del proprio pensare solito, in larga parte chiuso
su se stesso e preconcetto. Ad esempio la presenza nel sogno di una persona non
significa che si sta parlando di lei concretamente, della sua incidenza nella
propria vita, della relazione con questa persona e delle problematiche che ne
derivano. La presenza della persona nel sogno, andando a cercare e tenendo
conto di ciò che la caratterizza agli occhi del sognatore, dà volto e serve a
ritrarre una modalità, un atteggiamento, un’espressione che in quella persona è
più marcato e più facilmente riconoscibile, ma che appartiene alla personalità
del sognatore. L'inconscio non vuole parlare di quella persona là fuori e delle
questioni di rapporto con lei, ma, inserendo la sua presenza nel sogno, vuole
dare volto, rendere riconoscibile una modalità, un aspetto della personalità
del sognatore e far comprendere il modo in cui agisce all’interno di se stesso
e in cui è trattata sempre all’interno di se stesso. Lo scopo che persegue
l’inconscio nei sogni è sempre la conoscenza di se stessi, di ciò che si svolge
interiormente, che è proprio ciò che è fuori dallo sguardo abituale del
sognatore, tutto puntato all’esterno di sé e fortemente incline a far
discendere e dipendere tutto da cause e
da fattori esterni. Per intero in tutti i suoi componenti, siano persone,
animali, luoghi o cose, il sogno descrive simbolicamente parti vive del
sognatore. I sogni non sono affatto caotici e privi di costrutto, non sono un
insieme disorganico e casuale di frammenti di ricordi, di fatti della giornata
che ritornano e che l'inconscio registra e rilancia passivamente, non sono
produzioni fantasiose, sono elaborazioni di pensiero estremamente attento,
affatto vago e buttato lì in modo sparso e disordinato. Il pensiero che
l'inconscio vuole comunicare e guidare a formare attraverso il sogno è
lucidissimo e di estrema precisione, nulla è inserito nel sogno, fin nei più
minuti particolari, per caso. Tutto organicamente all'interno di un sogno
compone un pensiero, un significato, che certamente non è di immediata
comprensione e riconoscibile con la presa razionale, perchè non è omogeneo e
parte di ciò che il sognatore è abituato a pensare, ma viceversa conduce alla
conquista di una visione più approfondita e vera. Il sogno ha capacità, se
inteso fedelmente e compreso, di aprirgli gli occhi in modo nuovo, non
condizionato da preconcetti e da interessi che non siano di riconoscere il
vero. Il sogno non arriva mai per caso, non arriva sotto la spinta e l'urgenza
di un movente esterno, di un accadimento, di una causa scatenante, capace dall’esterno
di determinarlo. Il respiro e l'orizzonte del sogno vanno ben oltre l’incidenza
e la contingenza dei fatti quotidiani, semmai l'inconscio sa valorizzare
momenti dell'esperienza, che sa richiamare nel sogno, per ciò che sanno
rivelare di se stessi, inserendoli dentro una trama di riflessione e di
pensiero che vanno ben oltre. Non c'è sogno che non sia capace di dare risalto
a ciò che è importante e decisivo da riconoscere per il sognatore, che non
sappia porre al centro la riflessione su se stesso, l'individuazione dei nodi
fondamentali della sua vita da chiarire e da sciogliere. Non c'è nulla di più
vero, reale e rispondente alle necessità di presa di coscienza e di crescita di
un individuo, dei suoi sogni in ciò che vogliono rendergli riconoscibile di se
stesso, nelle questioni che vanno a rischiarare. Il pensato o meglio il
preconcetto comune è che se da un lato c’è la realtà con i suoi temi, con le
sue necessità e urgenze, dall’altro ci sono i sogni che parlano d’altro un po'
fuori dal mondo e dalle questioni reali e coinvolgenti, un po' etereo e senza
base e rispondenza con ciò che più conta e tocca da vicino la sorte di ognuno.
Nulla di più falso, di meno corrispondente a ciò che i sogni sono e hanno
capacità e intento di dire e di dare. Semmai rispetto a una visione quotidiana
della cosiddetta realtà, che non rivela ciò che è implicato per ognuno, ciò che
è cruciale, i sogni vanno proprio a toccare i punti vitali, a svelare ciò che
ognuno sta facendo di se stesso, i suoi modi di procedere, le questioni
insolute, le implicazioni vere. Il racconto che ognuno fa di se stesso e della
propria esperienza poggia su idee e fa suo l’impiego di schemi, di attribuzioni
di significato convenzionali, che non corrispondono affatto alla verità insita
nella propria esperienza. C’è poi la tendenza a sorvolare, a aggiustare i
significati dell’esperienza che si vive e di ciò di cui si è autori e
responsabili, a renderlo conforme a ciò che più rassicura. C'è in sostanza la
tendenza, a volte sottilmente coperta e ben camuffata, a raccontarsela come
pare e piace, con omissioni e reseconti di comodo. I sogni non assecondano
questa tendenza, viceversa portano lo sguardo nell’intimo vero e non rinviano
la presa di coscienza di ciò che è conseguente a scelte e a modi di procedere
abituali. Niente di astratto e etereo, niente di fantasioso, il pensiero
promosso dai sogni è il più vicino e reale possibile. Se in ogni singolo sogno
è racchiusa intelligenza di ciò che sta accadendo all’individuo, non c’è da
sogno a sogno discontinuità o estemporaneità di iniziativa dell’inconscio. Ci
sono sogni che a volte insistono e si ripetono nel tempo, sogni ricorrenti che
se battono e ribattono sullo stesso tasto significa che quello è un punto
fondamentale da affrontare e da acquisire.
Al di là di questo, scorrendone tutta la produzione, i sogni fatti di
seguito nel tempo, questo anche considerando l’intero arco di vita, sono tutti
interconnessi, non c'è un susseguirsi di sogni casuale, c'è un filo che li
lega, c'è uno sviluppo di ricerca che li vede uniti e consonanti tra loro. I
sogni, in concordanza con tutto ciò che si svolge interiormente sul terreno del
sentire (di entrambi, sogni e sentire, è ispiratore l’inconscio) contribuiscono
in modo decisivo a chiarire le ragioni e il senso del malessere interiore,
della crisi che ha investito l’individuo, a farne comprendere e a promuoverne
lo scopo. Il percorso di avvicinamento a se stessi, di scoperta e di conoscenza
di se stessi, di presa di visione del vero, di profonda trasformazione che ne deriva,
come accade nel corso dell’esperienza analitica, di una valida e ben condotta
esperienza analitica, è indirizzato, alimentato con grande maestria e saggezza
dai sogni, che esercitano un ruolo guida fondamentale e imprescindibile. Non ci
sono sogni negativi o brutti, che, al di là dell’apparenza, se compresi, si
rivelino tali, anzi incubi e sogni cosiddetti brutti hanno un alto potenziale
comunicativo, racchiudono una capacità di illuminare, di spezzare la coltre
dell'inconsapevolezza, senza nulla tacere o addomesticare per comodo nella
ricerca del vero, che non ha eguali, perciò, se intesi e fatti propri nel loro
autentico significato, sono preziosissimo alimento per la propria crescita.
Quando nel vivo di un’esperienza vissuta in sogno ci si trova a vivere un che
di angoscioso, di tremendo, di inquietante anche in una forma estrema, capita
che presto al risveglio ci si dica che per fortuna si trattava solo di un
sogno, con ciò provando o rischiando di cancellare ciò che l’inconscio ha
voluto e saputo rendere così tangibile e coinvolgente, rivolgendo invece
abbraccio consolatorio e rincuorante all'abituale concreto della propria vita.
In quel sogno angoscioso c'è viceversa un'ottima opportunità di avvicinarsi al
vero. Nell'incubo, che può prendere forme inquietanti, quasi mostruose,
l'inconscio non esagera i toni, non dà sfogo e scarico a paure estreme e
irrazionali, anzi, saputo intendere nel suo linguaggio e senso, si arriva a
comprendere che il sogno cosiddetto brutto, che l'incubo rende visibile in modo
preciso, appropriato, qualcosa di decisivo da riconoscere, su cui urge aprire
gli occhi. Non si è trattato dunque dell'emergere nel sogno di una paura
irrazionale, di una angoscia dettata da un momento di particolare debolezza o
stress, come si usa dire. Il sogno angosciante, l'incubo ha voluto, con vigore
propositivo e senza cadere in eccessi, rendere riconoscibile qualcosa di
assolutamente vero, che va saputo intendere non nella chiave concreta, ma per
ciò che significa nella verità del proprio modo di condurre la propria vita e
il rapporto con se stessi. Accantonare un sogno tipo incubo, considerandolo
esperienza da dimenticare, trattarlo come un indice negativo di una condizione
da superare, significa non capire quanto invece potrebbe valere per sè
avvicinarlo, comprenderlo, farlo proprio. C'è di mezzo una questione
fondamentale, che riguarda il rapporto con la propria vita interiore, col
proprio intimo, con cui spesso non si ha capacità di rapporto, verso cui si è
imparato più a tenerlo a bada, a commentarlo con i ragionamenti senza
ascoltarlo, a porsi non di rado più in fuga che in ricerca di avvicinamento e
di intesa. Nel tempo, se si è affermata la necessità di contatto e scambio con
tutto ciò che vive fuori, se si è rafforzata la necessità, vissuta come di
vitale importanza, di non trascurare, di tenere in primo piano la relazione con
l'esterno, di attingere da lì ogni risorsa, di avere capacità di relazione con
gli altri, non si è riconosciuta la necessità, l'importanza di costruire un
rapporto con se stessi, con la parte viva e intima di se stessi. Non si è
ritenuto importante e necessario
imparare a capire l'esperienza intima e il linguaggio della propria
interiorità, che parla di continuo nelle emozioni, negli stati d'animo, nel
sentire come nei sogni, non la si è coltivata, rimanendone così totalmente
digiuni. Digiuni quindi di tutto il patrimonio di conoscenza di se stessi e
della propria vita proveniente dall'intimo, dal profondo di se stessi. Se si impara
a intendere, a rendersi familiare e a fare proprio il linguaggio interiore,
come accade dentro e attraverso l’esperienza analitica, se si smette di
guardare solo l’esterno, di rimasticarne la logica e gli argomenti, di leggere
la propria esperienza con le lenti del preconcetto e del pensiero
convenzionale, l’intera propria vita interiore e i sogni in particolare sanno
essere le guide e l’alimento più valido per conoscersi, per leggere la propria
vita, per comprenderne gli originali e autentici scopi e il cammino che li sa
tradurre.
giovedì 1 maggio 2025
La conoscenza di se stessi: equivoci, irrigidimenti e possibili aperture
Come arrivare alla conoscenza di se stessi? Il corso
dell’esperienza interiore, il proprio sentire sono la guida più sicura per
capire se stessi, il terreno su cui poggiare, la traccia da seguire. Nel
sentire prende volto e vuole rendersi riconoscibile la verità di noi stessi, il
nostro sentire acuisce, evidenzia, sottolinea, ci fa toccare con mano ciò che
vive in noi e che ci muove nelle nostre scelte, nelle nostre risposte, ci fa
riconoscere ciò che, al di là delle apparenze, ci sta accadendo, i nodi e le
questioni scottanti dentro cui rispecchiarci e con cui confrontarci, per una
conoscenza di noi stessi non astratta, ma fondata e vera. E' idea comune che le
emozioni e che tutti i moti e gli stati interiori, che il sentire sia una
componente da trattare con riserva, da tenere sotto tutela, perchè irrazionale
e per ciò stesso giudicata non affidabile come guida e come fondamento per
capire, perché soggetta a eccessi, a parzialità a intemperanze. Si dà viceversa
in genere fiducia prevalente e indiscussa alla componente razionale,
considerata capace di dare visione lucida e obiettiva, non in balia di
capricciose, viscerali e miopi istanze. In realtà, affidando la capacità di
chiarimento a questa funzione razionale, che ha pretesa di bastare a se stessa
e che, per garantirsi lucidità di visione, tiene in disparte e in subordine il
sentire, non si può che rimanere confinati in un pensiero, che, a un attento
esame e ben diversamente dalle aspettative, si rivela spesso tutt'altro che
libero da limiti e parzialità, da distorsioni e capricci. Quando ci si occupa
di se stessi si ama infatti rappresentarsi in ciò che pregiudizialmente si
ritiene consono e adeguato all'immagine che si ha cara di se stessi, con fatica
si accolgono verità scomode, con frequenza nel percorso di pensiero ragionato
si omette, anche se in modo velato, ciò che non dà conferma, che dissona o che
smentisce le proprie convinzioni, che delude le proprie attese e previsioni. In
ciò che momento dopo momento, cogliendoci spesso di sorpresa, prende forma nel
nostro corso interiore, in ciò che sentiamo, che si muove dentro di noi, c’è
invece la testimonianza più sincera, il continuo stimolo, acuto e intelligente,
a aprire gli occhi, a guardare dentro di noi, a non trascurare parti
essenziali. Ciò che in genere si ignora, che nel comune modo di pensare non è
affatto presente, che invece, aprendo un confronto con la vita interiore libero
da preconcetti, si ha modo di constatare, è che gli svolgimenti interiori, che tutto
ciò che accade nel corso del sentire, delle emozioni, degli stati d’animo, dei
moti e delle pulsioni, non è affatto un
succedersi casuale e meccanico vincolato a stimoli esterni o condizionato da
abitudini, da schemi di risposta appresi o da altro, ma è un succedersi di interventi e di
suggerimenti mirati, con una intenzionalità e con una capacità propositiva
della cui intelligenza e formidabile puntualità di intervento volto a rendere
riconoscibile il vero, non si può che rimanere stupiti. D’altra parte è questa
la capacità che ha la parte profonda della nostra psiche di rendersi presente
nella nostra vita, passo dopo passo dentro la nostra esperienza. Ci si porta
appresso e fa parte del pensato comune un’idea di se stessi che amputa o
marginalizza il peso e il valore della parte che ha peso e rilevanza notevole, della
parte intima e profonda, considerata solo un’appendice poco rilevante e che,
anziché farci conto, imparando a conoscerla, ci si abitua a tenere in posizione
subalterna, con una concessione di
fiducia molto limitata. L’inconscio, che non è entità oscura e mitica
interessante solo per menti sofisticate, è presentissimo nella vita di ognuno e
purtroppo, anche da chi lo tiene in considerazione è pensato non di rado come
un che di molto limitato, una sorta di serbatoio o ricettacolo del rimosso, di esperienze
traumatiche e dolorose o fortemente imbarazzanti, che, perché dolorose e
difficili da ammettere alla consapevolezza, sono tenute sequestrate in questo
recesso oscuro della propria psiche. L’inconscio, quando si apre un confronto
con la propria vita interiore, sgombro da simili teorie e preconcetti, si
rivela, nel sentire, in tutti gli svolgimenti intimi e, in modo superlativo, nei
sogni, essere ben altra presenza e con ben altre capacità. La prospettiva da
cui e entro cui si muove il profondo, che, come detto, è la parte di noi che con
intelligenza plasma e dirige il nostro corso interiore, il succedersi di tutto
ciò che sentiamo e che, fuori dal controllo di volontà e ragione, accade e si
propone nel nostro intimo, è ben diversa da quella della nostra parte
cosciente. Libero dal vincolo di essere compiacente e di dare conferma alla
mente conscia, l’inconscio, capace di esercitare lo sguardo riflessivo che
guarda dentro e riconosce i significati veri dell'esperienza di cui si è attori,
ben diversamente dalla meccanica del pensiero razionale, che si avvale di
attribuzioni di significato pronte, di impiego di nessi e deduzioni, che tutto
sono fuorché mezzi per aprire lo sguardo,
l'inconscio è interessato a garantire all'individuo l'accesso al vero e
a una visione ben più aperta e lungimirante di quella che in superficie e con
largo impiego di materiale di pensiero preconcetto, lo sguardo e il pensiero
cosciente sanno offrirgli. Lo sguardo e i processi di pensiero della parte
conscia sono spesso vincolati al bisogno di tenere compatta e ben difesa col
ragionamento l’idea di se stessi che è gradita, di proseguire e di far
persistere ciò che è abituale, in conformità e dentro i limiti di ciò che
comunemente è considerato normale, degno e possibile. Affidandosi, come spessissimo
capita, unilateralmente alla mente razionale se ne subiscono le distorsioni e
le limitazioni di pensiero non da poco, pur non riconoscendole come tali, anzi
a volte con l'illusione di disporre di chissà quale libertà e ampiezza di idee,
di un appiattimento della visione, di una compressione in univocità del proprio
pensiero, di un restringimento della prospettiva, come se altro non fosse
possibile, concepibile e da salvare se non ciò che è nel solco di ciò che già
si sa, dentro cui da tempo si è incanalati. E' comprensibile che, ignorando le
proprie risorse interiori, inconsapevoli e incuranti di vedere la vera natura e
le ragioni del proprio modo di procedere e di pensare, che spesso, anche se
coperto da illusioni circa il suo valore, è senza radice dentro se stessi, dove
il pensiero e i propositi, persino i progetti sono desunti da ipotesi e da
modelli preconfezionati, riprodotti pari pari o in qualche misura riadattati, è
comprensibile che ci si disperi se interiormente, per iniziativa del profondo,
che sa vedere oltre le apparenze, si aprono crepe, si fanno sentire freni o si
impongono veri e propri intralci. Dando tutto nelle sue linee base per già
compreso e acquisito di se stessi, ci si oppone come a una minaccia e a un
fastidio a tutto ciò che interiormente non gira per il verso voluto e considerato
valido e conveniente, non si dà disponibilità di ascolto ai segnali interiori, li
si tratta come segni di anomalo funzionamento, si concentra viceversa
l’interesse sul proseguire linearmente, spesso avendo come aspirazione più
forte quella di dare prova di capacità di riuscita e di merito in una corsa già
segnata e fuori discussione. Verso se stessi la pretesa e l'attesa prevalenti
sono di tirar fuori da sè argomenti e abilità da mostrare e dimostrare, come se
nient'altro contasse. C’è attesa e pretesa che tutto di sé cooperi e concordi
con i propositi di riuscita, perché ottenerla e darne prova sono diventati,
dentro il modo di procedere che nel tempo si è consolidato, l'unica o la più
forte sorgente di interesse e di autostima da inseguire, da non compromettere.
Il profondo di sé, l’inconscio, depositario delle personali e originali ragioni
di vita e potenzialità, con la consapevolezza di ciò che coerentemente con se
stessi si potrebbe da sé concepire, generare, far vivere, dare al mondo e dire,
non ci sta a una simile misera resa della propria esistenza, dove allinearsi e
farsi apprezzare e benedire, farsi confermare in ciò che allo sguardo dei più
pare degno e adeguato, sembrano gli unici scopi perseguibili, fortemente
sostenuti e strenuamente dalla parte razionale e volitiva di superficie. Il
profondo non getta la spugna, anzi dà di continuo attraverso il sentire
l’occasione per veder chiaro dentro se stessi. Certo complica le cose, inceppa
la corsa, inserisce elementi discordanti, preme più sul fermarsi, per aprire
gli occhi, che sul continuare a procedere e sul non perdere terreno. Si
vorrebbe far funzionare le cose, si vede spesso tutto in termini di riuscita e
di resa efficiente, come se su un cammino già segnato non ci fosse che da
proseguire e col miglior passo, illudendosi che in questo ci sia l'espressione
della propria forza e capacità di iniziativa e ci siano le migliori fortune
possibili da non farsi sfuggire. Non per caso e coerentemente con questa tendenza
comune, oggi nell'ambito delle psicoterapie sono assai diffusi gli indirizzi
che si propongono di correggere in senso funzionale ciò che nel malessere
interiore è considerato (dando questo per evidente e certo) solo una risposta
anomala e inadatta, non utile, che penalizza chi la vive, non diversamente da
come con l'uso degli psicofarmaci, pure assai diffuso, ci si propone di
intervenire sul sentire giudicato anomalo e patologico per metterlo a tacere,
per correggerlo, per rimetterlo in riga con ciò che è ritenuto normale, sano,
vantaggioso. L'importante è risolvere, rimettere tutto in "buono"
stato di funzionamento. L'individuo e il modo di pensare comune sono
predisposti a una simile scelta curativa, dove quel che conta è superare, passare
oltre tutto ciò che nell'esperienza interiore disagevole è giudicato solo un
peso, un aggravio inutile e limitante, un assurdo, un ostacolo di troppo e
svantaggioso. Se dentro di sè compare disagio, se interiormente la propria
situazione si complica, subito, ancor prima di rivolgersi al curante riparatore
di turno, si interpreta l’accadimento come condizione malaugurata, come guasto
e espressione di insufficienza, di incapacità di vivere le cose per il verso
giusto e normale, come disturbo, come patologia che preoccupa, che allarma.
Proporrò un esempio per far capire la diversità tra lo sguardo e il modo di
intervenire del profondo e il modo di giudicare, di pensare se stesso e di
reagire dell'individuo strettamente attaccato alla visione razionale. Accade
che ci sia chi si sente, via via in modo più paralizzante e intenso,
impacciato, timoroso, intimidito nel contatto con gli altri, particolarmente
con individui a cui, per ruolo, per statuto e per considerazione comune, si
riconosce e attribuisce autorità, titolo d'essere capaci e intelligenti, in
grado di fare da modello e di valutare dall'alto meriti e capacità personali.
Di fronte a un'esperienza come questa la risposta più frequente dell'individuo,
affidato ai criteri e ai giudizi razionali, è di volersi porre prontamente al
riparo dal disagio patito, di considerare come difettoso il proprio sentire, di
volerlo spegnere e sostituire, invocando una sicurezza, una fiducia in se
stesso che ritiene essergli dovuta, che pensa sia scontato, normale e
soprattutto valido, adeguato e meritorio possedere per non essere un minus, un
debole. Può partire la ricerca del rimedio nel farmaco, che smorzi l'ansia e
risollevi l'umore o nell'aiuto psicologico che, mettendosi nelle mani del
terapeuta, delle sue spiegazioni, dei suoi suggerimenti, delle tecniche
proposte, consenta di mettere le cose a posto, che aiuti a rovesciare presto
quelle sensazioni così disagevoli in altre più desiderabili e positive.
L’ingegneria del cognitivo comportamentale, che si autoincensa come approccio scientificamente
provato, senza tanto andare a cercare indietro si propone di offrire
l’alternativa di un pronto e efficace intervento sul punto oggi dolente,
facendo leva sull’idea del disfunzionale applicato a ciò che pare anomalo,
complicante e di intralcio interiormente, senza senso, anzi controproducente,
per mettere in atto la correzione che permetta di non farsi compromettere la
vita e i risultati “felici” possibili da assurdi modi di intendere e sentire.
C’è poi la psicoterapia che, andando a cercare nel passato, in esperienze
dolorose, in traumi patiti, in condizionamenti negativi subiti, in carenze di
figure significative, la presunta causa, l'origine nascosta di una così debole
sicurezza e fiducia in se stessi, consenta di rompere la catena del malessere.
Se non è zuppa è pan bagnato, i diversi e in apparenza qualitativamente diversi
approcci puntano tutti a risanare i meccanismi, a liberare da presunti guasti e
inghippi, per rimettere in piedi e in buono stato di efficienza il procedere
consueto nelle sue linee base e con i suoi fondamenti fuori discussione, dati
per normali. L’ottica e il punto di vista del profondo, il problema che vuole
sollevare, lo scopo cui tende l'inconscio, che accende e tiene vivo il disagio
di cui ho parlato, sono decisamente tutt'altra cosa. Ciò che il disagio vuole
far capire, le questioni fondamentali che vuole sollevare, sono ben altro che
un problema di cattivo funzionamento da riparare con qualche tecnica o trucco,
per (provare a) proseguire contenti e regolari. Si tratta di ascoltare ciò che
il sentire dice con attenzione e fedelmente. Se il profondo vuole rendere
consapevole l'individuo, non attraverso il ragionamento, ma attraverso
esperienza viva, da un lato del suo affannarsi a cercare consenso, del peso non
secondario che ha nella sua vita lo sguardo altrui, dall'altro della scarsità
di autonomia di giudizio attorno a se stesso, conseguente al non aver coltivato
e dato sviluppo alla conoscenza autonoma e approfondita di se stesso, cos'altro di meglio potrebbe
scegliere che rendere acuta nell'esperienza la percezione del problema, non
consentendo di passare oltre? Non è casuale che, senza conoscenza di sé ben
verificata e profonda, senza lo sviluppo di una autonomia di sguardo e di
giudizio su se stessi e sulla propria esperienza, senza la conquista di una
vera capacità di guidarsi da sè (si tratta di lacune e di necessità di crescita
personale, cui non si rimedia con qualche tecnica e ragionamento), lo sguardo e
il giudizio altrui siano un riferimento così presente e condizionante, che
diventino l'autorità a cui rifarsi e da cui dipendere. Se il profondo prende
l'iniziativa di rendere nel sentire cocente tutta questa questione, accentuando
le sensazioni di impaccio, di soggezione, di paura dello sguardo altrui, lo fa
per indurre a aprire gli occhi, a non prescindere da questa verità, a trattare
questa come l’occasione per cominciare a capire, a capirsi, a trarne spunto e
spinta a lavorarci sopra e in profondità. Questo l’intento del profondo, ben
altra cosa dal trattare quanto messo in campo, che pur difficile e spiacevole,
ha uno scopo tutt’altro che insignificante o sfavorevole, come una disfunzione da correggere con
qualche tecnica impartita di gestione e di preteso controllo sul proprio
sentire o come il disturbo da debellare andando a ritroso a cercare qualche
motivo di afflizione, trauma o cattivo condizionamento subito che possa
spiegare tutto, augurandosi di riportare tutto al dritto, per proseguire come
prima e nelle stesse condizioni fondamentali di sempre. Se il profondo, anzichè
sostenere lo sforzo di ben funzionare, inceppa e intralcia la corsa a dare
buona prova, a dare dimostrazione, a avere prontezza e fluidità nel dire,
rendendola affannosa e timida, fino a imbrigliarla, lo fa perché casomai quella
di ottenere la buona prestazione e di averci un pò di apparente sicurezza è da
un lato solo una maschera e una figura da mostrare e difendere (per non fare
brutta figura), con sotto nulla che sostenga davvero quella messa in scena e
dall'altro perchè, anche dove ottenesse la riuscita, sarebbe misera conquista e
altra da ciò che l'individuo potrebbe scoprire, costruire e offrire a se stesso
passando attraverso di sè, facendo un valido lavoro su se stesso. Più
importante del dare buona prova per sentirsi a norma e funzionanti, è la
necessità, questo sollecita e propone l’inconscio, di vedere chiaro il proprio
modo di procedere, di conoscersi senza restrizioni, in profondità e senza veli,
dando a se stessi l’opportunità di aprire gli occhi, di stimare da sé cosa vale
e merita davvero di essere conquistato, smettendola di rincorrere a testa bassa
prestazioni congeniali solo a raccattare consenso esterno e poco più. Il
rischio per l'individuo, ancora privo di visione propria, di comprensione di
ciò che profondamente gli appartiene e che potrebbe concepire da sé e generare,
di incanalare e di spingere la sua vita in qualcosa che è pallida sembianza di
una vita propria e di ciò che sarebbe capace di realizzare, fa sì che il
profondo prenda ferma, intransigente posizione. Se l'individuo, che vive
l'esperienza disagevole che ho descritto, affidandosi ai suoi criteri
razionali, cerca di porre rimedio e di correggere o di farsi aiutare a
correggere ciò che considera solo una distorsione da sanare per procedere più
libero da intralci il cammino di sempre, il suo inconscio vuole invece
attraverso il malessere metterlo alle strette su una questione ben più
importante, vuole evidenziargli invece il vuoto che sta sotto il suo procedere abituale, la sua non conoscenza
di se stesso e la non consapevolezza del modo di condurre la sua vita, vuole
stimolare in lui la responsabilità di prenderne visione e di modificarne i
fondamenti. Nell'incontro col proprio intimo, nell'ascolto e nel dialogo con la
propria interiorità, c'è tutto ciò che può dare la visione chiara del proprio
stato, senza mistificazioni, la scoperta della propria identità vera, la
formazione graduale del proprio bagaglio di idee fondate, comprese da sè e alla
radice, che rendono capaci di sostenere progetti e percorsi di cui essere
protagonisti e artefici, con passione e
con convinzione salda, liberando se stessi dalla dipendenza dalla
autorità dello sguardo e del giudizio degli altri. E' questa la condizione per
dare un nuovo volto, originalmente proprio, alla propria vita di cui essere
fieri, capace di sostenere e a ragion veduta una fiducia in se stessi forte e
tenace come non si è mai avuta, una fiducia, un'autostima e una sicurezza ben
piantate e motivate, non gonfiate ad arte e gratuite come si sarebbe preteso.
L'inconscio spinge verso la conquista di questi traguardi. Se serve aiuto,
questo può rivelarsi valido e prezioso se favorisce la scoperta di se stessi,
particolarmente della parte di sè più intima e profonda sinora ignorata,
sottovalutata o temuta, se favorisce la propria crescita solida e vera e non
aggiustamenti che lasciano intatta la propria condizione di fragilità, di
mancanza di salde radici proprie, di lontananza da se stessi. La conoscenza di
se stessi può essere piegata alla pretesa di tenersi sul binario di ciò che si
considera normale, adoperandosi per far funzionare tutto secondo gli andamenti
soliti, anche se in disarmonia e in disaccordo col proprio profondo, che non ha
mancato e che non mancherà di farsi sentire. Ben altra cosa è la conoscenza trasparente,
sincera e approfondita verso cui spinge il profondo, una conoscenza che,
alimentata dall'inconscio col sentire e in modo straordinariamente valido con i
sogni, se assecondata e coltivata, diventa la base del cambiamento di qualità e
di sostanza della propria vita, per prenderne davvero in mano la guida, per
darle volto e contenuto originali e propri, per avere unità di visione e
d'intenti con tutto il proprio essere.