venerdì 29 gennaio 2021

Entrare

La scelta meno favorevole a se stessi in presenza di malessere interiore è di porsi subito in combattimento con quanto interiormente si sta provando, che, se anche spiacevole, debilitante e compromettente la propria consueta modalità di procedere, non per questo è una calamità, un che di ostile e di nocivo. Tutto prende forma interiormente in modo niente affatto inconsulto, non c’è meccanismo guasto. C'è una parte intima e profonda del proprio essere che ha consapevolezza di quanto si debba capire e trasformare di se stessi. Questa parte di se stessi ha intelligenza ben superiore e più lucida di quella che si attribuisce ai propri abituali convincimenti e modi di pensare. Le crisi non si aprono mai per caso. Sempre hanno una necessità d'essere e perseguono uno scopo di cambiamento assolutamente utile oltre che indispensabile. Si ignorano in genere il significato e lo scopo degli eventi interiori, non solo nel modo di pensare comune, ma anche in quello di non pochi terapeuti, pronti da subito a trattare come anomala l'esperienza interiore sofferta e disagevole, a volerla correggere e riplasmare come fosse un che di sfavorevole e non un fermo invito a avvicinarsi a se stessi, a conoscersi, a ripensarsi, a portare a compimento un processo di crescita personale sinora ignorato o malinteso come semplice adattamento e allineamento a schemi e a parametri comuni. Ognuno ha necessità di trovare le proprie ragioni d'esistenza, le proprie risposte, il proprio modo di vedere e di concepire la propria vita, pena il rischio di perdersi nell'apparentemente buono e giusto delle strade già segnate dalla cosiddetta normalità. Entrare creativamente nella propria crisi interiore, imparare a capire cosa il proprio sentire dice, mettersi in contatto e in dialogo con la propria interiorità, capace di dare, di dire e di comunicare tanto, sia attraverso le emozioni, gli stati d’animo, non importa se difficili e poco piacevoli, che attraverso i sogni, anzichè combatterla come fosse presenza nemica, inaffidabile e malata con farmaci e quant'altro, cominciare a fidarsi e a trovare intesa con il proprio intimo, scoprire che la crisi si è aperta per dare opportunità e non per toglierne, è cammino possibile e davvero favorevole. Non è cammino facile, perché inverte il modo abituale di procedere e di pensare, perché implica avvicinare, accogliere ciò che in genere o si rifugge perché in apparenza negativo e spiacevole o si pretende di regolare e di riplasmare, anziché rispettare, imparare a ascoltare e valorizzare. La vera cura che ci si può offrire utilmente è l’apertura a se stessi e la scoperta che nel proprio essere c’è una parte tutt’altro che insignificante o inaffidabile, che in tutto ciò che propone, proprio tutto, comprese le ansie e quant’altro di difficile e poco gradito può muovere interiormente, sa dare il giusto terreno su cui ritrovarsi per aprire gli occhi sul vero, per capirsi. E’ necessario compiere dunque un cammino nuovo, entrare anziché cercare prontamente di uscire e di superare i momenti e i percorsi interiori e quanto offrono, è necessario imparare il linguaggio dell’interiorità, che forma e nutre un modo di vedere più intimo, approfondito e riflessivo. Serve l’aiuto di chi sappia accompagnare e far scoprire tutte le novità di un simile percorso di avvicinamento a se stessi e di crescita. Curare, aiutare l'altro a prendersi cura di sé per favorire l'incontro e l’intesa con se stesso, con la parte intima e profonda di se stesso che inizialmente mette in crisi il procedere solito per aprire una stagione di cambiamento è una cosa, curare per spegnere e zittire o per pretendere di invertire e raddrizzare ciò che interiormente è considerato anomalo e nocivo è un'altra. Questa seconda modalità di cura, purtroppo non poco diffusa, rischia di alimentare e rafforzare la divisione e la lontananza da se stessi, la sfiducia nel proprio intimo, vissuto come meccanismo guasto, oltre che di impedire di raccogliere tutto il nuovo e il positivo che il cambiamento aperto, innescato dalla crisi interiore vorrebbe produrre. Entrare dunque nel confronto e nel dialogo con la propria interiorità, farsi aiutare per questo scopo, per poter uscire più forti e coesi con se stessi, arricchiti di ciò che la crisi ha voluto promuovere, questo è possibile oltre che auspicabile.

domenica 24 gennaio 2021

Ciò che non si vuole riconoscere

Quando ci si confronta con la crisi e col malessere interiore ci si persuade facilmente che sia in atto solo un guasto, una minaccia, un che di ostile che mina la saldezza di un modo di procedere che si considera indiscutibilmente valido e da ristabilire al più presto. Ciò che non si vuole riconoscere nel proprio stato abituale è il vuoto di sè e di vera consapevolezza, la mancanza di capacità di visione che sappia cogliere il senso di tutto ciò che si fa e del proprio modo di procedere, il mancato possesso di un pensiero che non ricalchi e confermi ciò che generalmente si pensa, sui binari e nelle guide dei comuni modi di intendere. Non si vuole riconoscere che senza dotarsi di questa capacità, senza questo bagaglio, senza questo patrimonio che rende un individuo tale col suo specifico e originale, con la sua forza di generare risposte tratte da sè, col suo coltivato e sviluppato di identità e di pensiero, di orientamenti e di capacità di dare loro seguito, non si è che parvenze di individui. Pur illusi di non essere tali e di avere del proprio da dire e da realizzare, non si è che copie d'altro, attori o comparse dentro una scena, secondo un copione già scritto, che nulla ha a che fare con ciò che sarebbe possibile far vivere se quel vuoto di sè e di consapevolezza fosse colmato. C'è una parte di sè, intima e profonda, che non ignora il problema e il vero della propria condizione, che per questo motivo col malessere batte forte, dando stimoli e imponendo un clima interiore non facile e disagevole, con lo scopo di rendere tangibile e riconoscibile quel vuoto e di spingere a colmarlo con un serio lavoro su se stessi. Accade però che questa iniziativa profonda, tutt'altro che sciagurata o scriteriata, che col malessere e con la crisi vuole porre le basi della ricerca del cambiamento, sia letta come disturbo e patologia, confermando così soltanto  l'incapacità di intendere le esigenze personali più autentiche e profonde, ribadendo l'ottusità e l'incapacità di vedere lo stato attuale vero delle cose. Lo stato vero è di essere più che incompiuti, più che insufficienti e non certo nella capacità di far mostra di normalità, di stare in corsa e di dare prova di efficienza secondo i criteri prevalenti, ma nel possesso di sostanza propria, di pensiero capace prima di tutto di vedere la verità della propria condizione e non di raccontarsela a piacimento, trovando riparo e conferma nel pensato solito e comune, oltre che di concepire e di aprire nuove strade fedelmente corrispondenti a se stessi. La posta in gioco è notevole, ma rischia di non essere compresa e ben soppesata. Ristabilire l'ordine solito, battersi per il raggiungimento di questo scopo, imputando alla crisi interiore di essere solo un intralcio dannoso e un segno di malattia, travisandola e riducendola a scoria da eliminare, è la risposta più ottusa e sfavorevole a se stessi che ci si possa dare. L'autoinganno è di far credere a se stessi che sia stupido e nemico ciò che invece interiormente è la propria risorsa più affidabile, il lato del proprio essere più accorto e sincero, il più saggio e provvido.