L'interiorità si fa in quattro per
coinvolgere la parte cosiddetta conscia, che spesso di consapevolezza vera ne
cerca e ne forma assai poca, per farle capire che c'è necessità vitale di
prendere visione attenta di come si è e di provvedere a costruire, a formare
quanto manca per essere all'altezza di individuo con propria identità e
progetto. L'interiorità non vuole chiudere gli occhi e preme facendo capire che
non c'è urgenza di fare e di proseguire come sempre, senza perdere colpi, che
l'urgenza è ben altra. Ostinatamente lancia l'allarme, il profondo dell'essere
strattona anche con forza la parte di sopra, ponendo intralci alla sua pretesa
di quieto vivere, alla sua propensione a gettarsi fuori, come se il fuori fosse
l'unica risorsa e riferimento, l'unico habitat possibile, rifuggendo il luogo
intimo, dello stare in contatto con se stesso, col proprio sentire, come fosse
irrilevante e senza promessa, un niente da evitare, dentro cui non sostare,
perchè ci sarebbe sempre bisogno d'altro per vivere e, per dirla giusta, per
non perdere il passo con qualcosa che non si sa bene perchè, ma che tutti
dicono essere normale. L'interiorità non recede e insiste nella volontà di
porre al centro dell'attenzione non le illusioni, non la voglia matta, questa
sì matta, di proseguire e basta, ma non c'è verso, le capita solo di essere
oggetto di improperi (del tipo di: maledetta ansia!), di giudizi senza ascolto,
di sentenze senza appello, casomai sotto forma di diagnosi, di prese di misura
curativa che altro non sono che purghe per spazzare via ciò che è inteso solo
come disturbo e patologia. Il quadro è questo, ma i travestimenti in forma di
cura di risposte sorde e ostili all’interiorità e i travisamenti sono
infiniti e ferrei. Ne sono esempi, ben sostenuti dall'ideologia dello star bene
purchessia, casomai nel segno del non aver di mezzo dubbi e domande, la cura
che vuole mettere a posto e a tacere l’interiorità con i farmaci, quella
che vuole risanare e correggere con tecniche per eliminare ciò che considera
anomalo e disfunzionale. E poi ancora la cura che, con pretesa di essere
introspettiva e analitica, vuole spiegare i presunti perchè di ciò che,
interiormente impegnativo e difficile, non sa ascoltare in ciò che vuole dire e
far capire, cui soltanto va a cercare con lunghi giri le presunte cause per
levarselo di torno, per liberarsi dell’incomodo di qualcosa, che in partenza
terapeuta e paziente giudicano l'esito infelice di un danno patito, di un
passato sfavorevole, una sofferenza residua frutto di condizionamenti negativi,
di traumi subiti, travisando, travisando. Con ostinata sicumera si travisa come
disturbo da togliere e guasto da sanare ciò che l'interiorità vuole, a ragion
veduta, dire e dare, la consegna, che certamente impegnativa, ma a misura e a
altezza di essere umano, vuole portare a cambiare profondamente, a diventare
soggetti consapevoli e artefici della propria vita e non passivi traduttori di
un'idea di vita già scritta, con parte da interpretare e sceneggiatura belle
che pronte. Il profondo ha capacità di vedere vuoti e assenze, vuoti di sè, di
pensiero proprio, di capacità di leggere nell'intimo e senza veli il proprio
modo di essere e di procedere. Se ancora non si sono trovate le proprie
risposte alla propria vita e se ancora non si hanno radici in se stessi, come
si può pretendere di proseguire integri e imperterriti, come se tutto fosse
scontato e già risolto? Se una parte di se stessi vede e non ignora il problema
è assurdo e patologico o è comprensibile e sano che si faccia in quattro per
sollevarlo, strafottendosene della preoccupazione che domina l'altra parte di
sè di proseguire comunque e basta, di non perdere il passo con gli altri? E'
importante non travisare.
martedì 31 luglio 2018
L'importanza di non travisare
sabato 21 luglio 2018
Il valore dei sogni
domenica 1 luglio 2018
La cura
Per chi vive uno stato di sofferenza interiore si pone il
problema del che fare, di come prendersi cura di se stesso. Pare evidente e
scontato che far cessare quanto prima il disagio, che togliersi o farsi
togliere quel carico interno difficile e sofferto sia la soluzione più
desiderabile e propizia. Pare, ma una riflessione attenta merita di essere
fatta. Tutta l'esperienza interiore, emozioni, stati d'animo, pulsioni,
complessi svolgimenti interiori, non è mai casuale o automatica risposta e
semplicemente condizionata da stimoli esterni, bensì è mossa e regolata da
parte profonda, dall'inconscio, con lo scopo di rendere comprensibile di volta
in volta qualcosa di utile e necessario. L'intento dell'inconscio è di
segnalare, attraverso il sentire e i movimenti della vicenda interiore, il
vero, complicando e correggendo la visione conscia razionale, spesso miope e
distorta da preconcetti e da interessi immediati di auto rassicurazione e
conferma, oltre che pigra e inerte nel cogliere i significati più profondi e le
implicazioni della propria esperienza. I sogni sono poi il modo in cui il
profondo dà il meglio e il massimo di sè e della sua capacità di indirizzare la
presa di coscienza, la conoscenza di se stessi. Fatta questa premessa,
necessaria per chiarire con cosa ci si rapporta quando si avvicina l'esperienza
interiore, in qualsiasi forma essa si dia e si manifesti, anche nelle forme del
malessere interiore, si può cominciare a riflettere su cosa implichi davvero trattare
in un modo o nell'altro ciò che si vive dentro se stessi, se come un meccanismo
da regolare a piacimento, da contrastare e correggere quando ritenuto anomalo e
mal funzionante, se invece come un'intelligenza profonda, componente preziosa
di sè, del proprio essere, da rispettare, valorizzare e comprendere per farne
propri i contributi. Se una parte di sè, quella profonda, che usa come voce e
linguaggio il sentire, avanza una proposta, smuove, cerca proprio attraverso il
malessere di calare nel vivo della consapevolezza di qualcosa di decisivo e di
importante (se così non fosse non farebbe tanto rumore), la risposta più utile
e saggia, più attenta a sé, ai propri interessi sarebbe in realtà di intendersi
con questa parte intima di se stessi, di collaborare nella presa di visione del
problema, che la propria interiorità sta cercando di far capire, di rendere
priorità assoluta. Capisco che non è facile entrare in questa prospettiva,
quando, come dicevo all'inizio, imperante è l’idea, ritenuta ovvia, che, se si
sta soffrendo, la cosa migliore da farsi a proprio vantaggio sia spegnere al
più presto, dissolvere e scacciare ciò che, perché disagevole e sofferto, si
ritiene faccia solo danno. Se poi questo modo di intendere la sofferenza
interiore e la cura, con la proposta pronta di soluzioni farmacologiche e non,
è sostenuto da una non piccola schiera di esperti e di terapeuti vari, questo
pare dare solida e "scientifica" conferma a una tendenza già ben
presente nella mentalità comune. Pare consono e favorevole a se stessi, ma
questo modo di pensare la propria condizione e il prendersi cura di se
stessi, di definire ciò che andrebbe a
proprio vantaggio è un gran tranello in realtà. Se una parte di sé, intima e
profonda, non un che di alieno, lancia l’allarme, fa il diavolo a quattro per
far intendere che c’è un problema decisivo, per smuovere e già indicare nella
crisi l’insostenibilità degli attuali equilibri, di costruire dentro se stessi
qualcosa di nuovo, che ancora non c’è, se dà attraverso il sentire le prime
tracce per iniziare a vedere e a capire, se a ciò si risponde facendo guerra al
richiamo e mettendo in campo ogni sforzo possibile per levarsi di torno in
fretta la difficile esperienza interiore, senza raccoglierne il messaggio e la
proposta, il danno, questo sì reale, a cui ci si espone è duplice. Da un lato
ci si condanna a rimanere ciechi e ciò che la parte profonda di sé in modo
lucido e previdente ha visto necessario capire, cambiare e ricostruire di sé,
lo si butta tra i rifiuti, dall’altro si alimenta, si consolida e si rende
inossidabile uno stato di diffidenza, di paura, di disunione con se stessi.
Sono le storie tristissime e interminabili di paura di star male ancora, che
ricapiti, stando sul chi va là perennemente contro parte intima di sé, temuta,
sempre più temuta e sempre più incompresa. Va aggiunto che per capire e per
assecondare il proposito di trasformazione che viene dal profondo e di cui il
primo atto necessario è la crisi, l’interruzione del corso solito, la presa
forte del sentire, che di fatto impone di dare assoluta precedenza alle vicende
interiori, maggior peso al dentro, all’intimo di sé, rispetto al fuori, va
fatto un lavoro adeguato, con l'aiuto di chi sappia impostarlo e guidarlo. Non
può esserci crescita e trasformazione senza coltivarle, senza rendersene parte
attiva e consapevole. La ricerca di soluzioni veloci si regge spesso sulla
comodità di rendersi solo oggetto passivo di cura con qualche pillola buttata
giù, eventualmente con l'applicazione di qualche consiglio e prescrizione di
comportamento, sull'indisponibilità a un lavoro più impegnativo con
l'argomentazione che non è accettabile l'idea di un impegno di tempo più
consistente per perseguire un risultato utile. Accade poi in realtà che il
tempo passi comunque e che a distanza di anni ci si ritrovi al palo, che tutto
rimanga uguale, anzi peggiori, vista la convivenza armata con se stessi, che
limita e deteriora sempre più la propria esistenza. La scelta di aprire dialogo
e confronto con il proprio intimo e profondo, di essere aiutati a farlo, è
certamente più impegnativa che buttar giù pillole o farsi dare velocemente
qualche spiegazione e dritta, ma va considerato quanto può valere. La scelta
che paga davvero non è infatti di ingaggiare la guerra, sotto forma di cura,
contro il proprio intimo sentire, ma di imparare ad ascoltarlo e a comprenderne
il linguaggio e la proposta, di lavorare su di sé in accordo e sotto guida di
questa parte di sé profonda per raggiungere qualcosa di importante e di
irrinunciabile per sè, per trovare finalmente accordo e unità di visione e
d’intenti con se stessi. Comunicare a tutto campo col profondo è possibile. Il
profondo è la parte di noi, che dove serve, pur sfidando interessi immediati da
cui la parte “alta”, cosiddetta conscia, non intende staccarsi e oltre i quali
non sa vedere, smuove con decisione, avendo chiaro l’esito cui andrebbe
incontro la propria vita senza una fondamentale svolta e rinascita. Ciò che
sembra sciagurato, la crisi, in realtà è richiamo potentissimo di questa parte
profonda, per trarsi in salvo, per far tutto ciò che serve allo scopo. Una
maturità di facciata, una consapevolezza di sé che spesso si sorreggono più
sull’accordo e sul consenso dell’esterno che su visione fondata e propria, un
senso della propria esistenza che cerca e trova sponda nell’esempio e nel
modello di altri, nel "normale" comune modo di pensare e di concepire
la vita, non portano certo a capire e a realizzare i propri scopi e a fare
della vita la propria vita. Nel profondo di ognuno ci sono le ragioni della
propria vita oltre che l’animo, la tempra e l'intelligenza adeguate per
diventare individuo davvero consapevole e davvero autonomo, capace di trovare
le proprie risposte, di riconoscere da sé e attraverso sè ciò che vale e
perché, di capire i propri scopi e non di farseli suggerire, definire o
delimitare da altro e da altri. Il lavoro su di sè guidato dal profondo,
principalmente attraverso i sogni, conduce a verifiche attente e a tratti
impegnative, anche dolorose sul cammino della propria crescita, così come a
scoperte di significato nuove e inattese, lucide e feconde, portando anche chi
avesse in precedenza tentato di afferrare con la sola inventiva del
ragionamento nuove possibilità di espressione di sè o di percorso, senza però
vero incontro e intesa con se stesso, a procurarsi ben diversa e fondata
consapevolezza e conseguente autonomia, capacità di decidere della propria
vita. Il dialogo quotidiano che ho col profondo da oltre trent’anni nel mio
lavoro di analista, soprattutto ascoltandolo nei sogni, dove meglio il profondo
dice le sue ragioni e comunica il suo pensiero, mi hanno fatto e mi fanno
vedere ciò che sto dicendo. Chi ha saputo raccogliere e fare sua la proposta
del proprio profondo si è reso conto, con l’avanzare dell’esperienza analitica
sempre di più, di quanto fondate e valide fossero le ragioni della crisi, di
quanto importanti e irrinunciabili i cambiamenti generati, aperti e resi
possibili proprio da quel che all’inizio aveva vissuto solo come minaccia e
calamità di cui sbarazzarsi. La risposta ideale alla crisi e alla sofferenza
interna è dunque aprire dialogo vero, che significhi ascolto e comprensione di
ciò che l’intimo di sé dice nel sentire e nei sogni, risorsa preziosa, di
straordinario e insostituibile valore per condividere pensiero e intenzioni del
proprio profondo. Capisco che non sempre la stessa psicoterapia sa muovere
simili passi e offrire una simile apertura a se stessi, ma considero tutto
questo che ho scritto non una sofisticheria, ma un bene essenziale di cui in
molti dovrebbero fruire, per non condannarsi a rimanere scissi e di continuo
timorosi del proprio intimo sentire, in guerra perenne con la propria
interiorità, perdendo l’occasione di trovare, dentro e in unità con se stessi,
la propria vera salvezza.