Riprendo il discorso sugli attacchi di panico, tenendo
conto della frequenza con cui simili esperienze si propongono, anche e non
casualmente in individui giovani. Proverò a dare, tratto da lunga pratica
analitica, qualche ulteriore spunto di riflessione. Chi subisce un attacco di
panico auspica soltanto che non si ripeta, vuole tornare al più presto alla
normalità, al consueto, anche se si sente molto segnato da un'esperienza così
estrema, anzi continuamente si sente in apprensione, sul chi va là per la possibile
ripetizione dell'attacco, eventualità tutt’altro che rara. In realtà
all'attacco di panico non vuole dare retta, non ha come primo interesse quello
di capire cosa significhi, a che scopo si sia prodotta dentro di sè una simile
esperienza. Il fatto che abbia avuto un carattere così sconvolgente, che abbia
investito il corpo in modo così forte e significativo, favorisce l'idea che sia
stato un guasto, un evento anomalo assai temibile, una pericolosa minaccia da
scongiurare e da debellare. Dopo l'attacco o i ripetuti attacchi le indagini
cercate con insistenza sul terreno medico, con esami clinici innumerevoli, con
visite specialistiche varie, con test diagnostici ripetuti, alla ricerca di
disfunzioni e di patologie possibili nel corpo, vorrebbero da un lato
scongiurare l'esistenza di gravi problemi organici e dall'altro soddisfare
l'attesa di scovare cause ben definite e circoscrivibili, utili per riuscire a
ridurre a problema fisico e a dominare in qualche modo, a porre sotto controllo
un'esperienza così inquietante e misteriosa. La lontananza perdurante, anche se
poco o nulla riconosciuta, ancora meno considerata questione importante, dal
proprio intimo e l'incomprensione abituale della propria esperienza interiore,
non aiutano certo chi lo vive a intendere l'attacco di panico non come
espressione di un disordine e di una anomalia, come potrebbe apparire, ma come
esperienza significativa, non nefasta e capace solo di fare danno, ma
propositiva e con un senso e una finalità utile nelle intenzioni del profondo
che la scatena. Va subito detto che chi subisce l’attacco di panico ha di se
stesso l’immagine di un individuo sostanzialmente, per ciò che più vale e su
cui far conto, definito nei confini della sua parte cosiddetta conscia,
pensando il resto che vive, che sperimenta dentro se stesso di emozioni e di
stati d’animo, di sensazioni e di pulsioni come un corteo di svolgimenti
interni, visti in gran parte come risposta automatica e reattiva a stimoli e a
circostanze esterne, considerato nell’insieme come una sorta di realtà
inferiore, fatta di meccanismi, di espressioni involontarie che vanno
possibilmente regolate e tenute a bada, della cui intelligenza e validità come
guida di pensiero e di conoscenza non c’è idea e considerazione. Anzi,
assecondando l’idea comune, facendo rientrare il sentire e l’esperienza intima
nelle espressioni cosiddette irrazionali, assegna loro il limite della scarsa o
nulla affidabilità. Dunque che ci sia nell'intimo, fuori dai confini della
propria parte conscia razionale, una parte
del proprio essere, niente affatto irrilevante, anzi decisiva, che ha capacità
di offrire, come fa continuamente nel corso dell'esperienza, attraverso il
sentire e tutti gli svolgimenti interiori, stimoli e proposte su cui, imparando a ascoltare e a intendere
il linguaggio della propria interiorità, del proprio sentire, si può fare
conto, cui non si può rinunciare per ritrovarsi, per avere terreno valido e
fecondo per orientarsi, per capirsi, è
scoperta di là da venire. Accade così che se qualcosa dentro di sé fa la voce
grossa e ricorre alle maniere forti per far sì che si porti l'attenzione e la
preoccupazione su di sé e sul proprio stato, non lo stato fisico, ma ben altro
attinente il proprio modo di procedere e la sostanza di ciò che si sta facendo
di se stessi, questo non venga inteso, che invece si pensi solo a un meccanismo
in avaria, a qualcosa di rotto, di anomalo, di cui diffidare, da cui cercare di
proteggersi, che ci si convince rapidamente arrecare solo danni. Il grosso
turbamento, le limitazioni imposte al quieto procedere, all’andare all’esterno,
all’intrattenere le solite attività di relazione con gli altri, preoccupa,
angustia, sono il motivo di preoccupazione principale, unito alla nube oscura
di disagio e di paura crescente nello stare in contatto con se stessi. Chi subisce l'attacco di panico tende
abitualmente, come già accennavo, per orientarsi e per capire a affidarsi a
altro che non siano i suoi vissuti, le sue sensazioni vere, a accontentarsi di
ipotesi e di tesi costruite col ragionamento, in apparenza coerenti e
verosimili, a cercare sponda in idee e comportamenti comuni, vuoi aderendo e
conformandosi ad essi, vuoi provando a differenziarsi, trovando comunque sempre
supporto, anche se in contrapposizione, in altro da sè già concepito, cercando
confronto e intesa con altri piuttosto che con se stesso, con la propria
interiorità. Si muove seguendo un'idea di vita e di autorealizzazione date per
chiare e comprese, prese comunque da fuori e non cercate e maturate dentro se
stesso. Segue e asseconda più l'interesse e l'istanza di stare al passo con
altri, di tenere a bada e di rendersi favorevole lo sguardo e il giudizio
altrui, che di cercare il proprio, di non perdere terreno piuttosto che di
fermarsi a capire, ascoltando e coinvolgendo tutto il proprio essere. Non mette
al primo posto, non concepisce come essenziali e necessarie, né la vicinanza e
l'intesa con se stesso, con la parte intima, profonda di sé, niente affatto
riconosciuta come presenza e parte viva e affidabile di se stesso, né di
conseguenza la ricerca del proprio sguardo fondato sull'ascolto e sulla
comprensione attenta del proprio sentire. Chi subisce l'attacco di panico crede
che basti ciò che racconta a se stesso di sapere di sé e della propria vita, in
apparenza credibile e pertinente, in realtà più raffazzonato e fatto di
supposizioni che compreso in profondità e con rispondenza piena con ciò che
sente, che vive dentro se stesso. Non per tutto il suo essere però conta e
basta ciò che vuole continuare a illudersi di sapere, ciò che continua
imperterrito a inseguire, a fare, a ripetersi in testa. Per una parte di se
stesso, quella intima e profonda, questa maschera di sapere e questa parvenza
di vita propria, altra e lontana da ciò che di vero potrebbe conoscere e da ciò
che potrebbe far nascere da sè, non è certo un bene da difendere a denti
stretti. Per il profondo è rilevante e inaccettabile la condizione di
lontananza da se stessi, di separazione e di sconnessione dal proprio intimo,
di rinuncia a cercare risposte vere e fondate su di sé, a conoscere prima e a
far vivere poi il proprio. Insomma, proseguire come d'abitudine, ritenendolo
sufficiente e normale è una cosa, capire e vedere nitidamente come si sta
procedendo, cosa c'è o non c'è di proprio, di scoperto e generato da sé in ciò
che si fa, verificare cosa realmente si conosce di se stessi, cosa si sta
facendo della propria vita, è un'altra. Individui giovani, che non di rado,
come dicevo all'inizio, patiscono attacchi di panico, hanno il problema di
quanto sono equipaggiati o meno di consapevolezza e di sguardo proprio, di
comprensione di ciò che vogliono tradurre e realizzare nel loro futuro. Il
rischio, privi ancora di capacità di incontro e di dialogo con la loro
interiorità, facendo leva per capire, per capirsi solo sul ragionamento, che
lavorando da solo, senza stretto legame e guida del sentire, non dà capacità di
vedere dentro sé, ma solo di ripetere e di rimasticare il già detto e
comunemente concepito, è di farsi portare e di andar dietro a guide esterne, di
uniformarsi a idee e a modelli prevalenti. Il rischio, ignari, sprovvisti di
ciò che da se stessi potrebbero trarre, concepire coerentemente con sè e far
vivere di originale e di sentito, digiuni di conoscenza propria, fondata e
vera, è di mal intendere e di fallire gli scopi della loro vita, di farsi
portare dall'onda comune, di farseli dire dai modelli comuni, dall'esempio dei
più, dal modo prevalente e già ben definito e segnato di concepire la vita, le
sue mete, ciò che vale, i modi di realizzarsi. Il rischio è di essere gregari e
al seguito di altri, pur con l'illusione di essere attivi e autonomi nel
formare e nel governare le proprie idee, aspirazioni e scelte. E' un rischio di
non trascurabile importanza, è un rischio non certo trascurato dal loro
profondo. E' in gioco il modo di spendere se stessi, il dono della propria
vita. C'è il rischio di portare la propria vita a essere copia di altro, con l'illusione
di perseguire propri scopi e di assecondare proprie aspirazioni. C'è prima di
tutto il rischio di non avere consapevolezza della necessità di provvedere a
costruire e a dotarsi di ciò di cui non si dispone, che non è certo l’educazione
e la formazione plasmata e offerta da fuori a fornire, guide proprie valide,
generate, verificate e ben comprese da sé, a fondamento della capacità di
autogoverno vero della propria vita, della autonoma capacità di intendere e
decidere il proprio futuro. Perciò in persone giovani, anche molto giovani, l’inconscio
interviene per tempo e col massimo dell'incisività e dell'urgenza, perciò
interferisce così potentemente, dando segnali forti, perentori, capaci di
bloccare e di rendere insostenibile l’abituale corso e modo di procedere che
punta tutto all’esterno, segnali che, per la loro potenza e invasività, non
vogliono essere assolutamente ignorati e messi da parte. Nulla di ciò che
accade interiormente avviene per caso. In presenza di malessere interiore,
seppure nella forma drammatica e sconquassante degli attacchi di panico,
leggere e spiegare tutto in termini di disturbo, di anomalia di funzionamento,
di meccanica conseguenza di sovraccarico di tensione da cause esterne aiuta
solo a non capire nulla, a stravolgere il senso delle cose. Cercare e ricevere
come aiuto sul piano psicologico quello di attrezzarsi nella difesa dalla paura
montante fino al panico e perseguire come scopo il superamento dell’attacco o
degli attacchi per tornare, come fosse il traguardo più ovvio e desiderabile,
allo stato solito e al consueto modo di procedere, significa non intendere il
significato e la finalità di ciò che drammaticamente è accaduto, che peraltro
spesso ha un seguito e che lascia una scia che non si dissolve. Dentro di noi
c'è una parte profonda, ben più interessata, piuttosto che alla difesa e alla
prosecuzione dell'abituale, a cosa di noi stessi siamo in grado e sapremo
realizzare o meno, a quanto siamo vicini e coerenti con noi stessi, a quanto di
idee nostre abbiamo coltivato e generato davvero e non semplicemente finto di
possedere, in realtà ripetendo modi e atteggiamenti, risposte e valori comuni.
Se l'attacco di panico alimenta in modo improvviso e impetuoso l'allarme sulla
prosecuzione della vita, del regolare battito cardiaco, del respiro, se
catapulta nella paura di ciò che imprevedibile potrebbe accadere, è per far
capire che non c'è solidarietà interna, della propria parte profonda verso
l'andare avanti nel modo attuale e abituale, è per fare toccare con mano lo
stato di non unità con se stessi. L'attacco di panico non è una sciagura o una
patologia da vincere, è un potentissimo richiamo da ascoltare e da capire, da
prendere sul serio per il proprio vero bene.
martedì 30 dicembre 2025
Ancora sugli attacchi di panico
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